giovedì, Marzo 28, 2024
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The Queen’s Gambit: la mossa Vestager per contrastare i Big Tech e rivoluzionare il diritto UE della concorrenza

Nell’arco di un singolo decennio, il mercato globale e l’universo delle comunicazioni hanno subito trasformazioni radicali, segnando la storia come uno tra gli shifts più repentini ed incisivi sia per la portata sostanziale di tali cambiamenti, sia per la loro velocità. Oltre all’apertura di nuovi mercati e settori, questa trasformazione è soprattutto basata dalla sempre più preponderante presenza di un elemento digitale all’interno della nostra economia, così come nelle dinamiche che contraddistinguono le relazioni sociali e lo scandire della vita quotidiana. In particolare, negli ultimi dieci anni si è assistito alla nascita di una digitalizzazione dell’economia e dei mercati e alla comparsa di online players che, in tempi fulminei, hanno permesso di valicare i limiti fisici dei negozi ‘brick-and-mortar’ e hanno permesso a moltissime imprese di entrare in contatto con consumatori e fornitori geograficamente distanti tra loro, aprendo la via a nuove business strategies, models and marketing. 

Se è vero che l’avvento dell’era digitale ha permesso una sempre più profonda interconnessione globale, il contesto regolamentare nel quale tali forze operano si rivela essere sempre più in difficoltà a fronte di una tale fast-changing reality.

Sul piano europeo, l’interesse a trasformare il Mercato Unico in un Mercato Unico Digitale (‘Digital Single Market’) era già presente durante la Presidenza Juncker.[1] In particolare, il Regolamento sulla GDPR[2] e la c.d. Geoblocking Regulation[3], così come il pacchetto di Regolamenti atti ad integrare e migliorare il rapporto tra business, piattaforme e consumatori[4] sono solo alcuni esempi dei più importanti sforzi regolatori da parte del legislatore europeo nell’ambito del Digital Single Market[5];una riflessione sulla loro efficacia ed adeguatezza esula, tuttavia, dall’obiettivo di questo contributo.

Tra le sfide ed i dilemmi che affliggono il legislatore nell’assicurare una transizione efficace ed innovativa alla dimensione digitale, spiccano senza dubbio le problematiche legate al diritto europeo in materia di concorrenza: lo scopo di questo articolo è pertanto quello di introdurre, in linea generale, le caratteristiche principali delle ‘nuove’ dinamiche concorrenziale e i motivi che spingono ad un cambio d’approccio da parte della Commissione Europea; successivamente, si tenterà di fornire un quadro dell’attuale Stato dell’Arte; infine, una breve riflessione personale proverà a sottolineare i punti di tensione più rilevanti per il futuro di breve e medio periodo.

Introduzione : i mercati digitali e le piattaforme (o the Openings)

Google, Amazon, Facebook, Apple: questi ed altri grandi attori hanno attirato da oramai molti anni le attenzioni della Commissione Europea[6], incarnata nella figura di Margrethe Vestager, e delle autorità di concorrenza nazionali ed oltreoceano. La dinamica di mercato delle piattaforme come i ‘GAFA’ (così vengono nominate le quattro piattaforme di cui sopra, a volte, dalla U.S. House Judiciary Committee’s Subcommittee on Antitrust, Commercial, and Administrative Law) è caratterizzata, anzitutto, dai c.d. effetti di rete (‘network effects’), per i quali il valore di un’impresa, in questo caso una piattaforma, aumenta con l’aumentare degli utenti che accedono ai suoi servizi. Questi effetti, inoltre, tendono alla stickiness: è cioè svantaggioso per l’utente individuale, una volta che il bacino di utenza della piattaforma è abbastanza vasto, cambiare piattaforma.

Le conseguenze di questi effetti di rete sono numerose: una sempre più grande quantità di utenti e una sempre più grande raccolta di dati portano, da un lato, all’aumento del potere di mercato (market share) della piattaforma e, dall’altro, all’utilizzo di algoritmi che sfruttano la mole di dati a vantaggio della piattaforma stessa. A ciò, si deve aggiungere l’elevato livello di trasparenza all’interno di questi mercati, il quale facilita la collusione tacita tra pochi attori anche e soprattutto grazie all’utilizzo dei sopracitati algoritmi (come ad esempio gli algoritmi di prezzo). Il risultato di queste dinamiche è il ‘tipping’ del mercato: la piattaforma più grande, godendo di enormi economie di scala e di scopo, si trova in una situazione de facto monopolistica, cristallizzando le dinamiche concorrenziali all’interno di quel mercato.

Questo vantaggio permette a tali di piattaforme di controllare (spesso precludendo) l’ingresso di nuovi attori nel mercato, così come di utilizzare il proprio vantaggio (l’esempio più tipico è l’utilizzo di dati raccolti) all’interno di un mercato per fare pressione (‘leveraging’) su mercati ‘connessi’, i.e. mercati vicini. In questo modo, ad esempio, Amazon sfrutta i dati raccolti in qualità di marketplace per meglio piazzare i propri prodotti in concorrenza con quelli di imprese concorrenti, imprese che, comprendendo gli effetti di rete e l’ampiezza del bacino di utilizzatori di Amazon, si vedono altamente incentivati a vendere su Amazon proprio per raggiungere una clientela altrimenti impossibile da carpire. E cosìAmazon passa da essere un ‘semplice’ marketplace ad essere un retailer a tutti gli effetti, influenzando le dinamiche di concorrenza di un mercato (quello del retail) differente ma strettamente collegato al primo.

In questo contesto, vi sono diverse difficoltà nel rispondere a tali dinamiche concorrenziali a livello europeo. Come già la giurisprudenza della Corte di Giustizia ha dimostrato in casi come Microsoft o Google Android, gli approcci della Commissione Europea e della stessa Corte sono stati innovativi, sia per ciò che concerne l’analisi sulla definizione dei mercati, sia per ciò che concerne la struttura e la sostanza delle violazioni in esame. Ciò che più preme, tuttavia, è un elemento di fondo riconosciuto anche dalle autorità nazionali della concorrenza nella loro risposta ad una consultazione pubblica aperta questo giugno: gli strumenti tradizionali a disposizione dell’esecutivo del diritto europeo della concorrenza non sono al passo con le sfide imposte dai nuovi mercati (e i nuovi attori) digitali.[7]Gli articoli 101 e 102 TFUE, ad esempio, non sono in grado di esaminare il fenomeno della collusione tacita, così come non sono adatti a fornire un quadro di risposta adeguato quando gli algoritmi di prezzo mantengono certe pratiche al di sotto alcuni di detection; la definizione di ‘impresa dominante’ in questi mercati può essere altrettanto ardua da applicare.

Una delle conseguenze dirette di questo ‘scarto’ tra un quadro regolamentare inadatto e delle dinamiche in constante evoluzione è la frammentazione delle condotte in sede giurisdizionale nei vari Stati Membri: sono le autorità nazionali che, come nel caso Google in Francia o Facebook in Germania[8], sono costrette ad interpretare le norme in modo difforme, in mancanza di strumenti più incisivi nella sfera sopranazionale.

La mossa Vestager e il Digital Markets Act (o The Queen’s Gambit)

Le prime mosse dalla Commissione Europea, in questo senso, sono arrivate nel giugno 2020. Il contesto è quello del Digital Services Act, pacchetto di proposte legislative atte a modernizzare in maniera ancora più comprensiva e dettagliata il sistema regolamentare attualmente in atto, al fine di “rafforzare il Mercato Unico per i servizi digitali e incoraggiare l’innovazione e competitività all’interno della dimensione online europea”.[9]

Con il lancio di due consultazioni pubbliche,[10] DG COMP ha presentato due proposte distinte: da un lato, la costruzione di un meccanismo ex-ante che permetterebbe di monitorare e, se necessario, porre fine ad alcuni comportamenti messi in atto dai c.d. gatekeeper, i.e. quegli attori che ‘controllano’ l’ingresso di nuovi players sul mercato (ad esempio i GAFA). Dall’altro lato, la Commissione ha proposto un New Competition Tool’ (NCT), un nuovo strumento che conferirebbe alla Commissione, su una case by case basis, di intervenire su quelle dinamiche concorrenziali tipiche dei mercati digitali che sfuggono all’esame dei meccanismi tradizionali in capo al diritto UE della concorrenza, con la possibilità di imporre l’adozione di rimedi da parte di queste piattaforme.

Dopo una serie di indiscrezioni – come il leak della prima bozza delle proposte a fine settembre[11] – e alcune dichiarazioni da parte della Vice Presidente Vestager,[12] questi due strumenti sembrano essere confluiti in un unico documento, rinominato Digital Markets Act. La sua pubblicazione ufficiale è stata fissata per il 2 Dicembre.

Digital Markets Act: cosa sappiamo finora?

Per quanto molti dettagli rimangano ancora da definire, il documento integrale che riprenderà la divisione ex-ante ed ex post sarà quasi sicuramente limitato, nel suo ambito di applicazione, a specifici mercati digitali e a quelle entità che, con una definizione ancora non stabilita, potranno essere definiti ‘gatekeeper’ di tali mercati.

A questo proposito, il lato ex ante comprenderà una lista di pratiche nere e grigie (‘blacklisted’ e ‘greylisted’ practices) che saranno proibite tout court per i gatekeepers: tra le pratiche inserite nella black list, si trova l’attività di self-preferencing, il rifiuto di data sharing, il tying di alcune applicazioni preinstallate in determinati devices e l’imposizione di condizioni che rimandano alle most favoured nation clauses.

Per ciò che concerne le pratiche grigie, la Commissione monitorerà assiduamente tali attività da parte dei gatekeeper: una di queste è l’utilizzo e la raccolta di determinati tipi di dati e la garanzia di interoperabilità tra sistemi.

Molto meno chiaro è, invece, l’applicazione pratica della fase ex post, i.e. l’ex NCT. Da ciò che si evince, tramite questo strumento la Commissione potrà, on a case by case basis, definire azioni tailor made ai gatekeeper che non rispetteranno gli obblighi imposti dalla blacklist o greylist, oppure dopo aver rilevato dinamiche strutturali dannose per l’equilibrio concorrenziale all’interno dei mercati in cui operano i gatekeepers. Le azioni della Commissione, sembrerebbe, potrebbero consistere nell’imposizione di rimedi e culminare con la comminazione di sanzioni.

Conclusioni: potenzialità e rischi del nuovo assetto europeo (o the Checkmate)

Come la giurisprudenza, l’accademia e le istituzioni stesse hanno ripetuto nel corso degli anni, vi è una profonda necessità di ripensare l’approccio europeo ai nuovi problemi concorrenziali che le grandi piattaforme digitali pongono in tutta Europa e oltreoceano. Poche settimane fa, anche la U.S. House Judiciary Committee’s Subcommittee on Antitrust, Commercial, and Administrative Law ha pubblicato un report di oltre 400 pagine[13] – citando esplicitamente i GAFA – e avanzando un’analisi del tutto simile, se non ancora più tranchant, delle minacce alla concorrenza espresse da questi big players.

Se la necessità di approcciare diversamente il mondo della concorrenza e proteggerne le dinamiche risulti sempre più pressante, il processo di regolamentazione di quello che in tutto e per tutto è un uncharted territory e potrebbe delineare una politica a lungo termine ha ugualmente bisogno di particolare cautela. Quello che emerge dalle reazioni alla proposta della Commissione è un elevato grado di scetticismo, invece, basato principalmente sull’impressione che vi sia un bias normativo considerevole nelle proposte di DG COMP.

In primo luogo, una delle prime sfide (e probabilmente criticità) delle nuove proposte risiede nella definizione stessa di gatekeeper: una definizione troppo ristretta potrebbe risultare addirittura discriminante, nonché poco efficace. Al contrario, se per comprendere i GAFA la definizione sarà più ampia, a medio e lungo termine essa potrebbe altresì prendere di mira altri attori diversi dai GAFA che differiscono in dinamiche, strutture ed obiettivi, nonché proprio quei nuovi attori emergenti nel mercato che tanto si vogliono supportare.

La stessa problematica, seppur con diversa accezione, è evidenziata nella blacklist: la Commissione parte dal presupposto, dibattuto, che alcuni comportamenti siano per se nocivi della concorrenza. Queste nuove restrizioni ‘per oggetto’, tuttavia, non sono generalmente accettate come tali: Ibanez Colomo si è recentemente espresso[14], a margine della pubblicazione dello Statement of Objections della Commissione nei confronti di Amazon[15], sul carattere normativo del divieto di self-preferencing nell’utilizzo della Buy Box del marketplace di Bezoff. Mentre questo caso permetterà ancora alla Commissione di aprire un nuovo capitolo sull’utilizzo degli strumenti più ‘tradizionali’ del diritto UE della concorrenza contro le pratiche ‘digitali’, Ibanez Colomo osserva l’apparazione di quello che definisce il ‘common carrier antitrust’: se prima la definizione di ‘posizione dominante’ ed ‘abuso’ avveniva in maniera sequenziale e distaccata (l’essere dominante non comporta di per sé l’abuso della propria posizione), “un vantaggio competitivo ora porta (quasi) automaticamente ad effetti anticompetitivi”. La domanda da porsi diventa, pertanto, quasi morale: è giusto definire il self-preferencing dannoso a priori, quando sei un attore che ha raggiunto una posizione preminente nel mercato proprio grazie alle dinamiche concorrenziali? È giusto obbligare la condivisione di dati con piattaforme minori, per lo stesso motivo?

La risposta a queste domande potrebbe non sempre essere immediata e scarna da ogni considerazione partitica. Tuttavia, questi interrogativi hanno e sicuramente avranno un peso enorme sullo sviluppo dei mercati digitali in Europa e non solo, dalle cui risposte potrà altresì dipende il futuro dei GAFA e delle potenziali aziende che, di qui ai prossimi dieci anni, prenderanno il loro posto. La Commissione è decisa a rispondere in modo chiaro e deciso: ai posteri (e alla Corte di Giustizia, molto probabilmente) l’ardua sentenza.

 

[1] Si veda la priorità n. 2 al documento di 40 pagine della Presidenza Juncker: https://op.europa.eu/en/publication-detail/-/publication/cb5248c4-0639-11e8-b8f5-01aa75ed71a1/language-en.

[2] Si veda la pagina esplicativa sulla GDPR della Commissione Europea a https://ec.europa.eu/info/law/law-topic/data-protection/eu-data-protection-rules_it.

[3] Regolamento (UE) 2018/302 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 28 febbraio 2018, recante misure volte a impedire i blocchi geografici ingiustificati e altre forme di discriminazione basate sulla nazionalità, sul luogo di residenza o sul luogo di stabilimento dei clienti nell’ambito del mercato interno e che modifica i regolamenti (CE) n. 2006/2004 e (UE) 2017/2394 e la direttiva 2009/22/CE (Testo rilevante ai fini del SEE.

[4]  Maggiori informazioni sul pacchetto legislativo adottato negli ultimi anni (REFIT check on Consumers’ Rights) sono disponibili qui: https://ec.europa.eu/info/law/law-topic/consumers/review-eu-consumer-law-new-deal-consumers_en.

[5] .

[6] Si veda, ad esempio, Sentenza T-167/08 Microsoft, Caso AT.40099 Google Android, Caso AT.39740 Google Shopping, e più recentemente Cause Riunite T‑778/16 e T‑892/16, Apple.

[7]Il contributo delle NCAs agli impact assessment della Commissione sono disponibile qui.

[8] Si vedano, ad esempio, la decisione del Bundeskartellamt nei confronti di Facebook e la decisione dell’autorità francese nei confronti di Google.

[9] https://ec.europa.eu/digital-single-market/en/digital-services-act-package.

[10] Disponibili qui e qui.

[11] https://www.euractiv.com/section/digital/news/commission-mulls-restrictions-on-platform-data-use-in-digital-services-act/.

[12] Uno dei discorsi della Commissaria Vestager sul Digital Markets Act è disponibile qui.

[13] https://www.cliffordchance.com/briefings/2020/10/US-House-Report-on-Competition-in-Digital-Markets-Focuses.html.

[14] https://chillingcompetition.com/2020/11/10/the-commission-sends-amazon-an-so-the-rise-of-common-carrier-antitrust/.

[15] https://ec.europa.eu/commission/presscorner/detail/en/STATEMENT_20_2082.

Copyright immagine: Pollyana Ventura/iStock

Samantha Scarpa Ferraglio

24 anni, ho conseguito due Master in diritto europeo (LL.M.) presso il Collegio d'Europa di Bruges e la European Law School di Maastricht. Laureata in Scienze Internazionali, dello Sviluppo e della Cooperazione all'Università degli Studi di Torino. Finalista Regionale alla European Law Moot Court Competition nel 2019 ed ex Presidente dell'Italian Society al Collegio d'Europa. Ex collaboratrice per M.S.O.I. thePost, settimanale di politica ed affari internazionali di M.S.O.I. Torino (Movimento Studentesco per l'Organizzazione Internazionale). Content Team Member per l'EuroMUN 2019, ho organizzato una simulazione della OLP tra Parlamento Europeo e Consiglio dell'UE. Prediligo un approccio 'Law in Context' per l'analisi di fenomeni giuridici. I miei principali interessi si focalizzano sul diritto costituzionale europeo, l'Unione Economica e Monetaria e la protezione dello Stato di Diritto all'interno dell'Unione. Citando David Carretta, ho trasformato il mio 'euro-entusiasmo' in 'euro-realismo': senza critica e sfida (costruttiva) alla realtà dell'Unione non vi può essere progresso nel progetto europeo.

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