Analisi dell’evoluzione normativa in relazione al marchio rinomato
Come è noto il marchio è un segno distintivo che si applica su un prodotto o un servizio per distinguerlo e riconoscerlo da quelli presenti sul mercato[1]; in tale visione, quindi, un marchio è strettamente connesso ai prodotti, o servizi, che lo stesso contraddistingue. Nella molteplicità delle privative, tuttavia, ve ne sono alcune che, con il tempo, hanno acquisito una certa rinomanza e, pertanto, necessitano di una specifica disciplina al fine di contrastare il fenomeno contraffattivo dovuto all’indebita appropriazione di pregi del marchio anteriore.
In particolare, se, in generale, il titolare di un marchio può impedire la registrazione o l’utilizzo di un marchio successivo solo ove vi sia un rischio di confusione tra la propria privativa ed il segno successivo,[2] nel caso del marchio rinomato si ha una tutela c.d. ultra-merceologica[3] andando a superare l’ambivalenza del giudizio di confondibilità.
Tuttavia, prima di procedere con l’analisi della normativa dedicata al marchio di rinomanza, è necessario definire l’istituto di cui sopra. In primo luogo, si fa presente che il codice non definisce cosa s’intenda per marchio rinomato, ma, tale istituto, è stato via via delineato dalla giurisprudenza comunitaria, prima, e nazionale, poi.[4] Ad oggi, possiamo definire il marchio di rinomanza come quel marchio i cui prodotti si imprimono nella mente di una fascia di pubblico che, pur non acquistando il prodotto, viene comunque quotidianamente e ripetutamente in contatto con lo stesso.[5]
Definito, quindi, il marchio di rinomanza è possibile procedere con l’analisi della relativa disciplina; in particolare, tale istituto è stato regolamentato a livello nazionale solo con l’emanazione del decreto legislativo n. 480 del 4 dicembre 1992. Prima di tale riforma, invero, la disciplina del marchio di rinomanza era ispirata al principio di specialità; nello specifico la giurisprudenza, facendo leva sull’articolo 11, che vietava l’uso confusorio ingannevole del marchio, cercava di assicurare una specifica tutela quantomeno al marchio celebre. Infatti, al fine di garantire una tutela ultra-merceologica, al marchio rinomato la parte maggioritaria della dottrina riteneva che un marchio che si agganciava a quest’ultimo era perseguibile per concorrenza sleale.
Nel 1992, poi, è stato riformato l’art. 1 del Regio Decreto n. 929 del 21 giugno 1942, che ha statuito, tra gli altri diritti, che il titolare di un marchio di rinomanza ha il diritto di vietare a terzi l’uso di un segno identico o simile al marchio registrato per prodotti o servizi non affini, l’uso del segno posteriore, senza giusto motivo, consenta al titolare del marchio successivo, di trarre indebitamente vantaggio dal carattere distintivo o dalla rinomanza del marchio anteriore o, ancora, rechi pregiudizio allo stesso.[6] Nella riformulazione del codice della proprietà industriale la tutela sopra riportata non è stata sostanzialmente riformata, ma è stata disciplinata all’art. 20 c.p.i.[7]
Il marchio che gode di rinomanza, pertanto, è stato sin dal principio tutelato non solo per la sua funzione distintiva, ma anche promozionale a tutela degli interessi degli imprenditori e alla salvaguardia degli investimenti aziendali e dell’incremento del Selling Power.[8]
Si viene così a creare una sorta di binario da una parte i marchi ordinari, delle privative monopolistiche, dall’altra i marchi che godono di rinomanza, i quali valicano l’interesse alla non confondibilità andando a costituire l’interesse a non vedersi sottratte o pregiudicate le utilità economiche che da tale rinomanza possono derivare. Appare, quindi, chiara la ratiosottostante alla decisione del legislatore di garantire allo stesso la c.d. tutela ultra-merceologica indicata al principio. In particolare, in questo caso la norma nel garantire la tutela non si basa sul principio di confondibilità, che come anticipato permette ad un titolare di un marchio di bloccare una privativa altrui, ma si è ispirato al più generale principio di correttezza imposto a chiunque operi sul mercato. Invero, come sopra riportato, affinché possa essere applicata la tutela estesa è necessario che il marchio successivo tragga un indebito vantaggio[9] dallo sfruttamento della rinomanza del marchio anteriore o che venga oggettivamente pregiudicata la reputazione o distintività del marchio rinomato. Pertanto, pur non essendo richiesta una somiglianza tra i segni tale da ingenerare un rischio di confusione, affinché il titolare del marchio rinomato possa agire, ci deve essere un nesso tra i propri diritti ed il marchio posteriore nel senso che lo stesso deve evocare quello anteriore nella mente del consumatore medio. Peraltro, il titolare del marchio non è costretto a provare una lesione effettiva, essendo sufficiente, per giurisprudenza consolidata, “un rischio futuro non ipotetico di indebito vantaggio o di pregiudizio”, benché serio e concreto.
Nello scorso anno, in attuazione della direttiva UE 2015/2436, la summenzionata tutela è stata, infine, rinforzata tramite la modifica della lettera c) del primo comma dell’art. 20 c.p.i.
Di seguito è riportata una tabella di confronto tra il testo ante-riforma e quello introdotto dal decreto legislativo 15 del 2019.
Normativa ante-riforma | Normativa post-riforma |
1. I diritti del titolare del marchio d’impresa registrato consistono nella facoltà di fare uso esclusivo del marchio. Il titolare ha il diritto di vietare ai terzi, salvo proprio consenso, di usare nell’attività economica:
a) un segno identico al marchio per prodotti o servizi identici a quelli per cui esso è stato registrato;
b) un segno identico o simile al marchio registrato, per prodotti o servizi identici o affini, se a causa dell’identità o somiglianza fra i segni e dell’identità o affinità fra i prodotti o servizi, possa determinarsi un rischio di confusione per il pubblico, che può consistere anche in un rischio di associazione fra i due segni;
c) un segno identico o simile al marchio registrato per prodotti o servizi anche non affini, se il marchio registrato goda nello stato di rinomanza e se l’uso del segno senza giusto motivo consente di trarre indebitamente vantaggio dal carattere distintivo o dalla rinomanza del marchio o reca pregiudizio agli stessi.
2. Nei casi menzionati al comma 1 il titolare del marchio può in particolare vietare ai terzi di apporre il segno sui prodotti o sulle loro confezioni; di offrire i prodotti, di immetterli in commercio o di detenerli a tali fini, oppure di offrire o fornire i servizi contraddistinti dal segno; di importare o esportare prodotti contraddistinti dal segno stesso; di utilizzare il segno nella corrispondenza commerciale e nella pubblicità.
3. Il commerciante può apporre il proprio marchio alle merci che mette in vendita, ma non può sopprimere il marchio del produttore o del commerciante da cui abbia ricevuto i prodotti o le merci.
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1. I diritti del titolare del marchio d’impresa registrato consistono nella facoltà di fare uso esclusivo del marchio. Il titolare ha il diritto di vietare ai terzi, salvo proprio consenso, di usare nell’attività economica:
a) un segno identico al marchio per prodotti o servizi identici a quelli per cui esso è stato registrato;
b) un segno identico o simile al marchio registrato, per prodotti o servizi identici o affini, se a causa dell’identità o somiglianza fra i segni e dell’identità o affinità fra i prodotti o servizi, possa determinarsi un rischio di confusione per il pubblico, che può consistere anche in un rischio di associazione fra i due segni;
c) un segno identico o simile al marchio registrato per prodotti o servizi anche non affini, se il marchio registrato goda nello stato di rinomanza e se l’uso del segno, anche a fini diversi da quello di contraddistinguere i prodotti e servizi, senza giusto motivo consente di trarre indebitamente vantaggio dal carattere distintivo o dalla rinomanza del marchio o reca pregiudizio agli stessi.
2. Nei casi menzionati al comma 1 il titolare del marchio può in particolare vietare ai terzi di apporre il segno sui prodotti o sulle loro confezioni o sugli imballaggi; di offrire i prodotti, di immetterli in commercio o di detenerli a tali fini, oppure di offrire o fornire i servizi contraddistinti dal segno; di importare o esportare prodotti contraddistinti dal segno stesso; di utilizzare il segno nella corrispondenza commerciale e nella pubblicità; di apporre il segno su confezioni, imballaggi, etichette, cartellini, dispositivi di sicurezza o autenticazione o componenti degli stessi o su altri mezzi su cui il marchio può essere apposto ovvero di offrire, immettere in commercio, detenere a tali fini, importare o esportare tali mezzi recanti il marchio, quando vi sia il rischio che gli stessi possano essere usati in attività costituenti violazione del diritto del titolare.
2-bis. Il titolare del marchio può inoltre vietare ai terzi di introdurre in Italia, in ambito commerciale, prodotti che non siano stati immessi in libera pratica, quando detti prodotti oppure il relativo imballaggio provengono da Paesi terzi rispetto all’Unione europea e recano senza autorizzazione un segno identico al marchio o che non può essere distinto nei suoi aspetti essenziali da detto marchio, qualora i prodotti in questione rientrino nell’ambito di protezione del marchio, a meno che durante il procedimento per determinare l’eventuale violazione del marchio, instaurato conformemente al regolamento (UE) 608/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 12 giugno 2013, il dichiarante o il detentore dei prodotti fornisca la prova del fatto che il titolare del marchio non ha il diritto di vietare l’immissione in commercio dei prodotti nel Paese di destinazione finale.
3. Il commerciante può apporre il proprio marchio alle merci che mette in vendita, ma non può sopprimere il marchio del produttore o del commerciante da cui abbia ricevuto i prodotti o le merci.
3-bis. Se la riproduzione di un marchio in un dizionario, in un’enciclopedia o in un’analoga opera di consultazione in formato cartaceo o elettronico dà l’impressione che esso costituisca il nome generico dei prodotti o dei servizi per i quali il marchio è registrato, su richiesta del titolare del marchio d’impresa l’editore dell’opera provvede affinché la riproduzione del marchio sia, tempestivamente e al più tardi nell’edizione successiva in caso di opere in formato cartaceo, corredata dell’indicazione che si tratta di un marchio registrato. |
Come si evince dalla tabella soprariportata l’art. 20 è relativo ai diritti riservati ai titolare di un marchio e lo stesso è stato incrementato in varie parti; tuttavia, tra le summenzionate innovazioni ci si soffermerà solo sul 1° comma essendo lo stesso relativo specificatamente al marchio di rinomanza. Con l’aggiunta dell’inciso, anche a fini diversi da quello di contraddistinguere i prodotti e servizi, infatti il legislatore ha garantito al titolare di un marchio di rinomanza una protezione a 360° vietando persino la riproduzione del marchio rinomato a fini diversi da quelli del marchio d’impresa. Invero, tale ampliamento non è una vera e propria innovazione dei diritti del titolare di un marchio rinomato ma, piuttosto, una codificazione di un indirizzo giurisprudenziale già presente anche in Italia in base al quale la protezione del marchio rinomato si estende anche agli usi non distintivi di un segno eguale o simile allo stesso che siano comunque in grado di determinare un agganciamento parassitario ad esso o di arrecare un pregiudizio alla sua distintività o rinomanza[10].
In conclusione, per quanto l’inciso introdotto con il d. lgs 15/2019 possa apparire di non particolare rilevanza, anche per il fatto che il principio introdotto era comunque già attuato a livello giurisprudenziale lo stesso ha un notevole rilievo sistematico, ponendo la normativa italiana tra quelle più garantiste nei confronti dei titolari del marchio rinomato.
[1] Art. 7 c.p.i.
[2] Il rischio di confusione è il principio che regolamenta la coesistenza tra i marchi e viene valutato globalmente, ossia tenendo in considerazione tutti i fattori pertinenti del caso di specie, i.e. la somiglianza tra i marchi e quella tra prodotti o servizi designati
[3] La tutela ultra-merceologica prevede che un marchio sia tutelato per tutti i prodotti e servizi a prescindere dalla rivendicazione originaria per la quale è stato registrato.
[4] Una sentenza che tra tutte citiamo è la definizione data con la Sentenza C-375 del 14 settembre 1999, General Motors, in cui la Corte di Giustizia ha definito il marchio di rinomanza come l’attitudine del segno, conosciuto da una parte significativa del pubblico interessato ai prodotti o servizi da esso contraddistinti, a comunicare un messaggio al quale sia possibile agganciarsi anche in difetto di una confusione sull’origine.
[5] Tribunale di Milano sentenza n. 572 del 30 maggio 2013.
[6] Art. 1 lettera b) d.lgs. n. 480/1992
[7] Art. 20 c.p.i.
Il codice della proprietà intellettuale, all’art. 20, prevede che il titolare del marchio d’impresa ha il diritto di vietare ai terzi, salvo proprio consenso, l’uso di un segno:
a) identico al marchio per prodotti o servizi identici a quelli per cui esso è stato registrato;
b) identico o simile al marchio registrato, per prodotti o servizi identici o affini, se a causa dell’identità o somiglianza fra i segni e dell’identità o affinità fra i prodotti o servizi, possa determinarsi un rischio di confusione per il pubblico, che può consistere anche in un rischio di associazione fra i due segni;
c) identico o simile al marchio registrato per prodotti o servizi anche non affini, se il marchio registrato goda nello stato di rinomanza e se l’uso del segno senza giusto motivo consente di trarre indebitamente vantaggio dal carattere distintivo o dalla rinomanza del marchio o reca pregiudizio agli stessi.
[8] Il cosiddetto selling power del marchio è inteso come l’elevata capacità di vendita dovuta alla funzione evocativa e suggestiva del marchio, anche in ragione degli ingenti investimenti pubblicitari effettuati dal titolare del marchio stesso, che permette di travalicare i limiti dell’affinità del settore merceologico a cui appartiene il marchio rinomato.
[9] L’indebito vantaggio ricorre quando il terzo aggancia parassitariamente il proprio marchio alla rinomanza o alla distintività del marchio rinomato, traendone benefici di varia natura.
[10] Una tra tutti il celebre caso Bulgari, Tribunale Milano n. 5453, 28 dicembre 2008
Bibliografia
L.C.Ubertazzi, Commentario breve alle leggi su proprietà intellettuale e concorrenza, Padova, 2016
Vanzetti e V. Cataldo, Manuale di diritto industriale, edizione 2018
Edoardo Badiali, La parodia del marchio che gode di rinomanza, rivista semestrale di diritto ius in itinere, n. 1/2019, https://www.iusinitinere.it/wp/wp-content/uploads/2019/09/Edoardo-Badiali-La-parodia-del-marchio-che-gode-di-rinomanza.pdf
Rinomanza o notorietà?, in Sprint Sistema proprietà intellettuale
Corte di Giustizia, n. 375 del 14 settembre 1999
Tribunale Milano, n. 5453 del 28 dicembre 2008
Tribunale di Milano, n. 572 del 30 maggio 2013
Nicoletta Cosa si è laureata in Giurisprudenza presso La Sapienza Università di Roma nel novembre 2017. Sta proseguendo gli studi partecipando al Master in diritto della Concorrenza ed Innovazione presso la Luiss School of Law. Attualmente è anche praticante presso un prestigioso studio legale della capitale.