domenica, Dicembre 1, 2024
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Il caso ISIS alla luce delle problematiche del diritto internazionale (parte I)

La profonda confusione normativa che circonda la delicata materia dell’uso della forza internazionale ha prodotto i suoi risultati anche relativamente al recente intervento condotto dalla coalizione a guida statunitense contro il sedicente Stato Islamico in Iraq e Siria.
Il caso dell’ISIS può essere particolarmente rilevante alla luce dell’analisi della disciplina dell’uso della forza internazionale, nonché del diritto internazionale in genere, in quanto sembra rappresentare al meglio tutte le problematiche più rilevanti che la materia ha dovuto affrontare negli ultimi anni.
L’ISIS nasce da una costola di Al-Qaeda in Iraq in base al progetto del giordano Abu Mussab al Zarqawi, con lo scopo di riunire il mondo arabo sunnita in un unico Stato governato dalla sharia. Secondo autorevoli analisi, il principale obiettivo dello Stato Islamico sarebbe proprio quello di rappresentare per i musulmani sunniti ciò che Israele rappresenta per gli ebrei, ossia un potente Stato confessionale sorto negli antichi luoghi simbolo della tradizione religiosa. Sebbene il fenomeno sia altamente radicato nella storia dei vari movimenti fondamentalisti che nel tempo si sono susseguiti in Medio Oriente, la vera e propria origine dello stesso è da ricondursi al 29 giugno 2014, quando, dopo la conquista di Mosul da parte di una vasta composizione di militanti estremisti sunniti, il leader jihadista Abu Bakr Al-Baghdadi proclama la rinascita del califfato nelle terre dell’antica Mesopotamia. Conosciuto nei territori occupati semplicemente come al-Dawlat, ossia “lo Stato”, è possibile riscontrare precise connotazioni simboliche sin dalla scelta della denominazione, la quale essendo sprovvista nella sua matrice araba dei riferimenti ai territori occupati dell’Iraq e della Siria, evidenzia il convinto disconoscimento dei confini tracciati in Medio Oriente dagli accordi di Sykes-Picot del 1916, i quali, segnando la fine dell’impero Ottomano, fecero calare il sipario sull’ultimo grande califfato della storia.
Elementi di differenziazione tra lo Stato Islamico ed un semplice gruppo terroristico sono riscontrabili, oltre che nel carattere della territorialità, anche nell’assetto della propria compagine militare, la quale sembra possedere caratteristiche molto simili a quelle di un esercito regolare.
Tuttavia, nonostante la dotazione di un esercito regolare ed il governo del territorio possano essere per qualche verso assimilabili a quelle proprie di uno Stato, vi sono ulteriori aspetti che evidenziano come lo Stato Islamico sia comunque contrassegnato da una forte matrice terroristica. In particolare, si fa riferimento alla strategia del terrore, intesa come quella forma di lotta che propugna “il treno della paura”. Difatti, si può riscontrare come il sapiente uso dei mezzi di comunicazione dei jihadisti, gli permetta di distribuire tramite la rete immagini particolarmente cruente, in cui vengono poste in evidenza le crudeltà che i seguaci del califfato infliggono agli infedeli, con modalità anch’esse ricche di simbolismi. Difatti le decapitazioni, le esecuzioni di infedeli in ginocchio, sono tutte immagini che tendono a diffondere l’idea di un califfato forte, nonché profondamente ispirato all’applicazione della legge della sharia.
Questa precisa strategia di comunicazione, che viene sovente accompagnata anche da minacce di invasione di città europee, persegue un duplice obiettivo, da un lato terrorizzare i Paesi Occidentali, e dall’altro raccogliere proseliti tra la popolazione musulmana residente all’esterno dell’area occupata.
Proprio la scelta del terrorismo, dunque, sebbene a prima vista potrebbe sembrare l’elemento di forza del movimento, in realtà ne costituisce la debolezza più profonda, dato che in assenza della propria dimensione criminale, lo Stato Islamico potrebbe anche ambire ad un riconoscimento internazionale.
In definitiva, nonostante il clamore mediatico sollevato dalla vicenda, il sedicente Stato Islamico può essere, tuttavia, definito come l’ultimo stadio di una serie di movimenti estremisti che si sono sviluppati in Medio Oriente a partire dalla prima guerra del Golfo e dall’abbandono dell’Afghanistan da parte delle forze sovietiche.
A parte la maggiore visibilità garantita da un sapiente uso dei mezzi di comunicazione di massa infatti, non si rinvengono sostanziali differenze con varie precedenti esperienze in cui un’organizzazione fondamentalista aveva avuto a disposizione un territorio da governare.
Dal punto di vista politico, infatti, l’esperienza dell’ISIS appare fortemente riconducibile al movimento dei talebani, i quali con la lettura del manifesto dell’ideologia a Kabul nel 1996, sembrano esprimere concetti del tutto coincidenti con quelli fatti propri dallo Stato Islamico. Dunque, lungi dal poter considerare l’ISIS come un fenomeno del tutto nuovo, bisognerebbe interrogarsi sulle cause che hanno portato alla progressiva nascita di movimenti estremisti in una particolare zona del mondo in cui, evidentemente, la democrazia non riesce ancora ad attecchire.
Ciò che colpisce, dal punto di vista del diritto internazionale, è che questa potrebbe essere una fondamentale occasione per poter risolvere una volta e per tutte i dubbi che accompagnano la disciplina dell’uso della forza, essendo l’ISIS un gruppo non statale a cui sono riconducibili gravi violazioni dei diritti umani, ed idoneo a minacciare seriamente la pace e la sicurezza internazionale.
In una prospettiva a carattere globale dunque, la reazione a tale fenomeno dovrebbe prescindere dall’individuazione di uno o più Stati lesi, dovendosi necessariamente ricollegare alla tutela di valori che appartengono alla generalità degli Stati costituenti la Comunità Internazionale. Proprio da tale punto di vista bisogna sottolineare come molti autori abbiano cercato di giustificare l’intervento procedendo ad una analisi unitaria dei vari interventi condotti dagli Stati coinvolti. Tuttavia, proprio alla luce della dimensione globale assunta dal problema, una ricostruzione che non mira a ricostruire da un punto di vista unitario neanche i profili di legittimità della coalizione interveniente, non sembra del tutto condivisibile, soprattutto se poi si considera che i titoli di giustificazione mirano perlopiù a ricondurre l’intervento nell’ottica della legittima difesa collettiva, insistendo dunque in una prospettiva che dal 1990 in poi si è dimostrata del tutto inadatta a poter costituire un valido punto d’appiglio per la materia.
Infatti l’azione posta in essere dalle forze occidentali in Iraq e Siria, per poter ambire ad una concreta prospettiva di riappacificazione, dovrà necessariamente essere condotta in un quadro strategico e diplomatico più ampio, in cui oltre a porsi l’obiettivo di liberare i territori occupati sostenendo i peshmerga curdi e l’esercito iracheno, bisognerà porre in essere tutte le iniziative necessarie ad aumentare il consenso sull’operazione da parte degli altri Paesi arabi, onde evitare una possibile espansione del fenomeno ISIS anche in queste aeree.

Dott. Salvatore Viglione

Nato a napoli nel 1991, vive a Melito di Napoli. Ha conseguito la laurea in giurisprudenza presso la Federico II di Napoli nel luglio 2016 con tesi in diritto internazionale. Attualmente oltre a frequentare la Scuola di Specializzazione per le Professioni Legali, svolge il tirocinio forense presso lo Studio Legale Mancini, specializzato in diritto penale. Ha collaborato con diverse testate editoriali, principalmente con articoli di cronaca locale e politica. Ama il calcio, anche dilettantistico e la scrittura.

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