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Diritto e Impresa

Cass. Civ. Sez. I, Sentenza del 07/06/2021 n. 15789/2021, commissario giudiziale ed effetti della chiusura della procedura concordataria

Commento breve a cura del Dott. Niccolò Tamburini

In tema di procedure concorsuali, il rinvio compiuto dall’art. 165, comma 2, all’art. 39 l. fall. […] comporta che a seguito della chiusura – per qualsiasi causa – della procedura concordataria, il Tribunale competente sulla regolazione del concorso, nonostante la sua formale decadenza, abbia ancora il potere di provvedere alla liquidazione del compenso dovuto al commissario giudiziale, una volta che tutte le sue attività si siano concluse”.

Con il provvedimento in commento la Corte di Cassazione si sofferma sulla portata degli effetti della chiusura della procedura concordataria, relativamente al compenso vantato dal professionista incaricato di rivestire il ruolo di commissario giudiziale.
Nel caso di specie, il Tribunale di Latina, a seguito del ricorso ex art. 161, sesto comma, l.f., dichiarava inammissibile la domanda di ammissione alla procedura di concordato preventivo e, conseguentemente, di non poter provvedere sulla domanda di liquidazione del compenso dovuto al commissario giudiziale, stante l’intervenuta chiusura della procedura.
L’art. 39, secondo comma, l.f., in tema di determinazione del compenso del curatore fallimentare, a cui fa espresso rinvio l’art. 165, secondo comma, l.f. dettato per il commissario, stabilisce che il compenso debba essere liquidato dopo l’approvazione del rendiconto e, nel caso, dopo l’esecuzione del concordato. Precisando inoltre che qualora vi siano più curatori incaricati, il compenso, oltre ad essere determinato secondo proporzionalità, “è liquidato, in ogni caso, al termine della procedura”.
La ragione di tale disposizione, ad avviso degli Ermellini, è sottesa al fatto che soltanto a procedura concordataria conclusa il Tribunale sarà in grado di conoscere effettivamente il lavoro svolto dal commissario e quindi liquidare il compenso dovuto, mancando, al contempo, una disposizione come quella di cui all’art. 117, primo comma, l.f. dettata in tema di fallimento che consente la liquidazione del compenso del curatore fallimentare prima del riparto finale.
Tuttavia, considerato che la procedura di concordato preventivo si conclude:
(i) con decreto di omologazione del concordato, ai sensi dell’art. 181 l.f.,
(ii) con decreto di inammissibilità (art. 162, secondo comma, l.f.), con decreto di revoca (art. 173 l.f.), oppure per mancata omologazione del piano (art. 180, ultimo comma, l.f.),
al commissario non è dato conoscere, prima della chiusura della procedura, l’importo da richiedere in sede di istanza di liquidazione. Così che non può assumere rilevanza la tesi implicitamente desumibile dal provvedimento impugnato per cui, con il decreto di inammissibilità e quindi con la decadenza degli organi della procedura, non risulterebbe possibile procedere alla liquidazione del compenso in favore del commissario giudiziale.
Una tale statuizione, secondo i Giudici, “relegherebbe il potere di liquidazione del Tribunale, per effetto della necessità che essa avvenga al termine dell’attività, a un novero di situazioni del tutto marginali” e con il rischio che la determinazione del compenso sia rimesso ad un giudice estraneo alla procedura.
Sulla scorta di tali considerazioni, la Corte di Cassazione si distanzia nettamente da un altro precedente in materia (Cass. Civ. Sez. VI, ord. del 03/08/2016, n. 16269). Come rilevato da quest’ultimo arresto, espressamente richiamato dalla Sentenza in commento, per effetto del provvedimento di revoca del concordato preventivo e successiva emanazione della sentenza dichiarativa di fallimento, il commissario giudiziale avrebbe dovuto proporre ricorso ex art. 93 l.f. per ammettere al passivo fallimentare l’importo del compenso relativo all’attività precedentemente posta in essere; con la conseguenza che in tal caso, sulla legittimità di detta domanda, la decisione sarebbe rimessa ad un giudice diverso – il giudice delegato alla formazione del passivo – e quindi estraneo rispetto al procedimento in relazione al quale si riferisce il compenso per l’attività professionale svolta.
Il rinvio compiuto dall’art. 165, comma secondo, l.f. all’art. 39 l.f., assume quindi rilevanza per il fatto di attribuire al Tribunale una sorta di “ultrattività” nelle sue funzioni, consentendo al medesimo di procedere alla liquidazione del compenso del commissario, tanto nel caso in cui il concordato sia omologato, quanto qualora sia dichiarato inammissibile, revocato e non omologato.

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso n. 26859/2018 proposto da:

R.E., domiciliato in Roma, Piazza Cavour, presso la Cancelleria Civile della Corte di Cassazione, rappresentato e difeso dall’Avvocato R.R. giusta procura in calce al ricorso;
– ricorrente –

contro

OMISSIS s.n.c.;
– intimata –

avverso il decreto del Tribunale di Latina depositato l’8/1/2018;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 21/4/2021 dal cons. Alberto Pazzi;
lette le conclusioni scritte, D.L. n. 137 del 2020, ex art. 23, comma 8 bis, inserito dalla legge di conversione n. 176 del 2020, del P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Alberto Cardino, che chiede l’accoglimento del ricorso.

Svolgimento del processo

  1. Il Tribunale di Latina, con decreto del 24 luglio 2017, dichiarava inammissibile la domanda di concordato presentata da OMISSIS s.n.c..
  2. Il medesimo Tribunale riteneva in seguito di non poter provvedere sulla domanda di liquidazione del compenso presentata dal Dott. R.E., già nominato commissario giudiziale ai sensi della L. Fall., art. 161, comma 6, dato che la procedura concordataria risultava oramai chiusa, con la conseguente decadenza dei suoi organi.
  3. Per la cassazione del decreto di rigetto dell’istanza di liquidazione, depositato in data 8 gennaio 2018, ha proposto ricorso il Dott. R.E. prospettando due motivi di doglianza.
    L’intimata OMISSIS s.n.c. non ha svolto difese.
    La sesta sezione di questa Corte, inizialmente investita della decisione della controversia, ha rimesso la causa a questa sezione per la trattazione in pubblica udienza.
    Il Procuratore Generale ha depositato conclusioni scritte sollecitando l’accoglimento del ricorso.

Motivi della decisione

4.1 Il primo motivo di ricorso denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione della L. Fall., artt. 39 e 165, perché il Tribunale, benché titolare di una competenza liquidatoria esclusiva, ha negato al commissario giudiziale il diritto al compenso sul falso presupposto che la dichiarata inammissibilità della proposta concordataria avesse fatto venir meno tale potere, provocando la decadenza degli organi della procedura, e malgrado non fosse stata concessa al medesimo alcuna preventiva opportunità di presentazione della richiesta di liquidazione del suo compenso.
4.2 Il secondo motivo di ricorso lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’omessa valutazione del fatto che il compenso richiesto era quello finale, come tale liquidabile solo una volta intervenuta la definizione della procedura.
5. I motivi, da esaminarsi congiuntamente per la loro connessione, sono ambedue fondati.
5.1 Il provvedimento impugnato, avendo rifiutato di provvedere sul compenso dovuto al commissario giudiziale, ha carattere definitivo e decisorio ed è quindi ricorribile per cassazione ai sensi dell’art. 111 Cost., comma 7.
5.2 La L. Fall., art. 165, comma 2, stabilisce che “si applicano al commissario giudiziale gli artt. 36, 37, 38 e 39”.
Quest’ultima norma, con riferimento al compenso del curatore, prevede, al comma 2, che “la liquidazione del compenso è fatta dopo l’approvazione del rendiconto e, se del caso, dopo l’esecuzione del concordato”.
Il successivo capoverso prescrive, inoltre, che “se nell’incarico si sono succeduti più curatori, il compenso è stabilito secondo criteri di proporzionalità ed è liquidato, in ogni caso, al termine della procedura, salvi eventuali acconti”.
5.3 La prima regola che si ricava da questo complesso di norme indicata espressamente per il fallimento ed applicabile anche al concordato, in ragione del rinvio previsto dalla L. Fall., art. 165, comma 2, e dell’assenza di ragioni di incompatibilità – sta nel fatto che la liquidazione del compenso avviene “al termine della procedura” e quindi presuppone l’avvenuta conclusione di tutte le attività di pertinenza del curatore (nel fallimento) o del commissario giudiziale (nel concordato).
E ciò perché solo quando l’intera attività si è conclusa il Tribunale è in grado di apprezzare, in termini quantitativi e qualitativi, il carattere dell’opera professionale da retribuire e liquidare in via definitiva il compenso dovuto.
Per converso, quando tutte le attività non sono terminate è possibile procedere alla liquidazione soltanto di acconti.
5.4 Nel suo sviluppo fisiologico “la procedura di concordato preventivo” – a mente della L. Fall., art. 181 – “si chiude con il decreto di omologazione ai sensi dell’art. 180”.
Il che tuttavia non significa che il commissario giudiziale cessi in tale momento il suo compito, essendo deputato a sorvegliare l’adempimento del concordato una volta esaurita la procedura, ai sensi della L. Fall., art. 185, comma 1.
5.5 Nel suo sviluppo patologico la procedura concordataria trova termine invece a seguito di declaratoria di inammissibilità, L. Fall., ex art. 162, comma 2, di revoca dell’ammissione al concordato, ai sensi della L. Fall., art. 173, o di mancata omologa, a mente della L. Fall., art. 180.
In tutte queste ipotesi però (ad eccezione del caso in cui la declaratoria di inammissibilità L. Fall., ex art. 162, comma 2, avvenga in applicazione della L. Fall., art. 179) il commissario giudiziale non è in grado di prevedere con certezza l’esito della statuizione del Tribunale e, quindi, di presentare la propria richiesta di liquidazione del compenso prima del termine della procedura.
5.6 Se ne ricava che tanto in caso di evoluzione fisiologica, quanto in ipotesi di sviluppo patologico non è data la possibilità al commissario giudiziale di richiedere la liquidazione del compenso prima della chiusura della procedura, nell’un caso perché il suo compito non è concluso, nell’altro perché non gli è consentito prevedere gli esiti delle statuizioni del Tribunale.
Per di più non si può non osservare come nel concordato preventivo, a differenza che nel fallimento, non vi sia una norma quale la L. Fall., art. 117, che preveda la liquidazione del compenso del commissario prima della chiusura della procedura.
5.7 Rimane allora da verificare quale significato possa essere attribuito al rinvio a una norma che prevede la liquidazione “al termine della procedura” nell’ambito di un procedimento con simili caratteristiche. Questo collegio, pur consapevole dell’esistenza di arresti di questa stessa Corte in termini dissonanti (Cass. 16269/2016), ritiene che il rinvio fatto dalla L. Fall., art. 165, comma 2, alla L. Fall., art. 39, possa assumere un senso solo laddove si ritenga che lo stesso implichi un’ultrattività delle funzioni del Tribunale dopo la chiusura del concordato rispetto alla liquidazione del compenso del commissario giudiziale.
Ultrattività che sussiste non solo ove il concordato omologato importi una successiva esecuzione ma, in linea generale, per tutte le ipotesi in cui non si sia provveduto prima dell’esaurirsi della procedura, per qualsiasi causa (mancata omologa, dichiarata inammissibilità, revoca dell’ammissione), alla liquidazione del compenso.
Diversamente opinando (e volendo valorizzare, come ha fatto il provvedimento impugnato, il venir meno degli organi della procedura a seguito della sua chiusura), si relegherebbe il potere di liquidazione del Tribunale, per effetto della necessità che essa avvenga al termine dell’attività, a un novero di situazioni del tutto marginali, con esclusione tanto dei casi di sviluppo (esecutivo) fisiologico del concordato, quanto delle ipotesi di sviluppo patologico più frequenti, lasciando a un giudice estraneo alla procedura (il giudice delegato alla formazione del passivo o quello ordinario, a seconda che sia stato dichiarato o meno il fallimento), e quindi non a diretta conoscenza dell’andamento del procedimento, il compito di provvedere alla liquidazione.
Sul punto andrà fissato il seguente principio:
in tema di procedura concorsuali, il rinvio compiuto dall’art. 165, comma 2, alla L. Fall., art. 39 – il cui comma 3 prevede che la liquidazione del compenso finale avvenga “al termine della procedura” – comporta che, a seguito della chiusura – per qualsiasi causa – della procedura concordataria, il Tribunale competente sulla regolazione del concorso, nonostante la sua formale decadenza, abbia ancora il potere di provvedere alla liquidazione del compenso dovuto al commissario giudiziale, una volta che tutte le sue attività si siano concluse.
6. Il provvedimento impugnato andrà dunque cassato, con rinvio al Tribunale di Latina, il quale, nel procedere a nuovo esame della causa, si atterrà ai principi sopra illustrati, avendo cura anche di provvedere sulle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso, cassa il decreto impugnato e rinvia la causa al Tribunale di Latina in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 21 aprile 2021.

Depositato in Cancelleria il 7 giugno 2021.

Niccolò Tamburini

Niccolò si è laureato in Giurisprudenza ad ottobre 2019 con il massimo dei voti all'Università degli Studi di Firenze, discutendo una tesi in Diritto Fallimentare.  Da maggio 2020 collabora con l'area di Diritto Commerciale della rivista Ius In Itinere.

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