La massima.
“Il concorso esterno nell’associazione di tipo mafioso è configurabile nelle ipotesi in cui il libero professionista, pur non essendo inserito nella struttura organizzativa della consorteria, instaura con la stessa un rapporto sinallagmatico, incentrato su un sistema di reciproci vantaggi, economici e professionali“. (Cass. Pen, Sez. I, 07.03.2022, n. 8123).
Il caso.
La pronuncia in esame origina dal ricorso per cassazione presentato dai difensori dell’indagato avverso l’ordinanza emessa dal Tribunale del riesame di Reggio Calabria che aveva confermato quella di custodia cautelare in carcere, emessa dal Giudice per le Indagini Preliminari, per i delitti di cui agli artt. 110 e 416-bis, commi 1,2,3,4,5 e 6, c.p.- Il gravame si basava, quanto al primo motivo, sulla violazione di legge e vizio di motivazione in riferimento agli artt. 273, 309, comma 9, c.p.p. e 110 e 416-bis c.p., mentre il secondo concerneva la violazione di legge e vizio di motivazione dell’ordinanza impugnata, in riferimento all’art. 275 c.p.p.
La motivazione.
Nel dichiarare il ricorso infondato la Corte di Cassazione si sofferma sul compendio probatorio posto a fondamento dell’ordinanza cautelare e valorizzata dal Tribunale della libertà.
In particolare, si evidenzia che le intercettazioni effettuate nei confronti dell’indagato e di altri consociati, unite alle dichiarazioni di alcuni collaboratori di giustizia, fornivano un quadro indiziario sufficiente per fondare un provvedimento restrittivo della libertà personale oltre ad evidenziare il ruolo di intermediazione svolto dal ricorrente nella gestione delle attività di trasporto eseguite dalle imprese riconducibili alla cosca “ndranghetista”.
La Suprema Corte sul punto rileva che: “In tema di valutazione della prova, con riferimento ai risultati delle intercettazioni di comunicazioni, il giudice di merito deve accertare che il significato delle conversazioni intercettate sia connotato dai caratteri di chiarezza, decifrabilità dei significati e assenza di ambiguità, di modo che la ricostruzione del significato delle conversazioni non lasci margini di dubbio sul significato complessivo della conversazione» (Sez. 6, n. 29530 del 03/05/2006, Rispoli, Rv. 235088-01; si vedano, in senso sostanzialmente conforme, anche Sez. 5, n. 48286 del 12/07/2016, Cigliola, Rv. 268414-01; Sez. 6, n. 5224 del 02/10/2019, Acampa, Rv. 278611-01)”. Questa posizione ermeneutica, da ultimo, è stata ribadita anche dalle Sezioni Unite nel senso che: “In tema di intercettazioni di conversazioni o comunicazioni, l’interpretazione del linguaggio adoperato dai soggetti intercettati, anche quando sia criptico o cifrato, costituisce questione di fatto, rimessa alla valutazione del giudice di merito, la quale, se risulta logica in relazione alle massime di esperienza utilizzate, si sottrae al sindacato di legittimità” (Cass. Pen. SS.UU., 26.02.2015, n. 22741).
Venendo poi al punto centrale della questione, circa la figura del concorrente esterno nel reato associativo viene evidenziato che, così come rilevato dalle Sezioni Unite Mannino, si tratta del soggetto che, non inserito stabilmente nella struttura organizzativa dell’associazione mafiosa e privo dell’affectio societatis, fornisce tuttavia un contributo concreto, specifico, consapevole e volontario, sempre che questo abbia un’effettiva rilevanza causale ai fini della conservazione o del rafforzamento delle capacità operative dell’associazione e sia comunque diretto alla realizzazione, anche parziale, del programma criminoso della medesima.
Il Tribunale del riesame ha quindi, secondo i giudici di legittimità, correttamente accertato la rilevanza del contributo causale reso dall’indagato attraverso una valutazione del collegamento funzionale esistente tra l’indagato e le consorterie “ndranghetistiche” e dei vantaggi che il ricorrente ricavava dal suo apporto concorsuale.
Con riferimento a tale aspetto la Corte statuisce che: “Il concorso esterno nell’associazione di tipo mafioso è configurabile nelle ipotesi in cui il concorrente è un libero professionista, che, pur non essendo inserito nella struttura organizzativa della consorteria, instaura con la stessa un rapporto sinallagmatico, incentrato su un sistema di reciproci vantaggi, economici e professionali, che non viene meno laddove, nell’ambito dell’intesa intervenuta tra i due soggetti, è consentito al soggetto attivo del reato Io svolgimento di un’attività di intermediazione criminale a favore di cosche alleate o federate con quella con cui si è instaurato il sinallagma mafioso”.
In merito al secondo motivo enunciato nel ricorso si deve evidenziare che la presunzione di pericolosità sociale prevista dalla disposizione dell’art. 275, comma 3, c.p.p. impone la custodia cautelare per un indagato di associazione di tipo mafioso, salvo che non risultino definitivamente interrotti i suoi legami con la consorteria di riferimento ovvero quando il venire meno della pericolosità derivi da elementi processuali concreti e specifici, che dimostrino l’effettivo allontanamento dal sodalizio dell’affiliato.
Tuttavia, nel caso del concorrente esterno, proprio per sua natura intrinseca, non esiste alcun legame da recidere con la conseguenza che il giudizio di pericolosità non può prescindere dalle emergenze indiziarie, in relazione alle quali occorre verificare se sussista il rischio di ulteriori condotte illecite, analoghe a quelle concorsuali contestate: rischio ritenuto esistente sia dal Tribunale del Riesame sia dalla Corte.
La Corte di Cassazione ha quindi rigettato il ricorso e condannato il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
La sentenza è qui disponibile Cass. Pen, Sez. I, 07.03.2022, n. 8123
Nato a Treviso, dopo il diploma presso il liceo classico Cavanis di Venezia ha conseguito la laurea in Giurisprudenza (Laurea Magistrale a Ciclo Unico), presso l’Università degli Studi di Verona nell’anno accademico 2016-2017, con una tesi dal titolo “Profili attuali del contrasto al fenomeno della corruzione e responsabilità degli enti” (Relatore Chia.mo Prof. Avv. Lorenzo Picotti), riguardante la tematica della corruzione e il caso del Mose di Venezia.
Durante l’ultimo anno universitario ha effettuato uno stage di 180 ore presso l’Ufficio Antimafia della Prefettura UTG di Venezia (dirigente affidatario Dott. N. Manno), partecipando altresì a svariate conferenze, seminari e incontri di studio.
Ha svolto la pratica forense presso lo Studio dell’Avv. Antonio Franchini, del Foro di Venezia; ha inoltre effettuato un tirocinio di sei mesi presso il Tribunale di Sorveglianza di Venezia in qualità di assistente volontario.
Nella sessione 2019-2020 ha conseguito l’abilitazione alla professione forense presso la Corte d’Appello di Venezia ed è attualmente iscritto all’Ordine degli Avvocati di Venezia.
Da gennaio a settembre 2021 ha esercitato la professione di avvocato presso lo studio legale associato BM&A; attualmente è associate dell’area penale e tributaria presso lo studio legale MDA di Venezia.
Da gennaio 2022 è Cultore di materia di Diritto Penale 1 e 2 presso il Dipartimento di Scienze Giuridiche dell’Università degli Studi di Udine (Prof. Avv. E. Amati).
È socio della Camera Penale Veneziana “Antonio Pognici” e membro della Commissione per la formazione e la promozione dei giovani avvocati; è altresì socio AIGA – sede di Venezia e di AITRA giovani.
Email di contatto: francescomartin.fm@gmail.com