Cass. Pen., Sez. V, 7 gennaio 2021, n. 318, sulla violazione del segreto professionale da parte del ginecologo
La massima.
“Il reato di rivelazione di segreto professionale di cui all’art. 622 cod. pen. postula, tra l’altro, la sussistenza di una “rivelazione” del segreto e l’assenza di giusta causa. La nozione di “giusta causa” deve essere affidata al concetto generico di giustizia, che la locuzione stessa presuppone, e la sua ricorrenza, atta ad integrare il reato di cui all’art. 622 cod. pen., ove ricorrano gli altri elementi costitutivi, deve essere verificata di volta in volta dal giudice con riguardo alla liceità – sotto il profilo etico e sociale – dei motivi che determinano il soggetto ad un certo atto o comportamento.”
Il caso.
La pronuncia origina dal ricorso per cassazione presentato dal difensore dell’imputato, con riferimento alle sole statuizioni civili, contro la sentenza della Corte d’Appello di Torino la quale – in parziale riforma della sentenza di prime cure – aveva riconosciuto la penale responsabilità dell’imputato in ordine ai reati di rivelazione del segreto professionale (art. 622 c.p.) e di diffamazione aggravata (art. 595, c.2, c.p.). Il gravame si fondava, quanto al primo motivo, sulla violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla ritenuta responsabilità per il reato di rilevazione di segreto professionale, quanto al secondo si deducevano analoghi vizi sulla affermazione di colpevolezza in ordine al reato di diffamazione.
La motivazione.
La Corte di Cassazione, nella motivazione, affermava preliminarmente che entrambi i reati risultavano prescritti e che il ricorso, così come prospettato, atteneva alla mera sfera delle statuizioni civili.. Il Supremo consesso, analizzando i due reati contestati all’imputato, affermava che il reato di rivelazione del segreto professionale postula tra l’altro la sussistenza di una rivelazione del segreto e l’assenza di giusta causa.
Dunque non si ha rivelazione, e quindi violazione del segreto, nel caso di comunicazione della notizia a chi già la conosceva.
Sul tema della giusta causa, occorre ricordare che secondo quanto indicato dalla Corte Costituzionale (Cort. Cost., 13.01.04, n. 5), la formula senza giusta causa e formule ad essa equivalenti od omologhe, compaiono con particolare frequenza nel corpo di norme incriminatrici, ubicate all’interno dei codici e delle leggi speciali. Tali clausole sono destinate in linea di massima a fungere da valvola di sicurezza del meccanismo repressivo, evitando che la sanzione penale scatti allorché l’osservanza del precetto appaia concretamente inesigibile in ragione, a seconda dei casi, di situazioni ostative a carattere soggettivo od oggettivo, di obblighi di segno contrario, ovvero della necessità di tutelare interessi confliggenti, con rango pari o superiore rispetto a quello protetto dalla norma incriminatrice, in un ragionevole bilanciamento di valori.
Il carattere elastico della clausola si connette poi alla impossibilità pratica di elencare analiticamente tutte le situazioni astrattamente idonee a giustificare l’inosservanza del precetto. La giurisprudenza di legittimità (Cass. Pen., sez. V, 29.10.14, n. 52075) ha ritenuto che la nozione di giusta causa vada affidata al concetto generico di giustizia e che il giudice sia tenuto a determinare di volta in volta con riguardo alla liceità dei motivi che determinano il soggetto ad un certo atto o comportamento. La Corte d’Appello, nel caso de quo, errava quindi nel ritenere insussistente e inoperante la nozione di giusta causa interpretando in maniera erronea tale definizione e motivando in maniera lacunosa sul punto. La Corte di Cassazione ha affermato che la certificata infertilità era stata dedotta dal soggetto interessato già nella causa civile per il disconoscimento della paternità e quindi risultava quantomeno arduo addebitare all’imputato di aver rivelato, con il certificato destinato ad essere prodotto in quella causa civile, circostanze riservate inerenti alla sfera sessuale e procreativa, quando il medesimo soggetto aveva esercitato azione di disconoscimento della paternità, deducendo lui per primo tale circostanza. Anche con riferimento alla diffamazione aggravata la sentenza impugnata risultava carente dal punto di vista motivazionale, poiché si risolveva in affermazioni tautologiche che non chiarivano mai in cosa riposasse realmente l’offesa, nè spiegava per quale ragione le espressioni citate andassero qualificate come lesive della reputazione della persona offesa. La Suprema Corte ha quindi annullato la sentenza limitatamente agli effetti civili, con rinvio per nuovo giudizio al giudice civile competente per valore in grado di appello.
Dopo il diploma presso il liceo classico Cavanis di Venezia ha conseguito la laurea in Giurisprudenza (Laurea Magistrale a Ciclo Unico), presso l’Università degli Studi di Verona nell’anno accademico 2016-2017, con una tesi dal titolo “Profili attuali del contrasto al fenomeno della corruzione e responsabilità degli enti” (Relatore Chia.mo Prof. Avv. Lorenzo Picotti), riguardante la tematica della corruzione e il caso del Mose di Venezia.
Durante l’ultimo anno universitario ha effettuato uno stage di 180 ore presso l’Ufficio Antimafia della Prefettura UTG di Venezia (Dirigente affidatario Dott. N. Manno), partecipando altresì a svariate conferenze, seminari e incontri di studi in materia giuridica.
Dal 30 ottobre 2017 ha svolto la pratica forense presso lo Studio dell’Avv. Antonio Franchini, del Foro di Venezia. Da gennaio a luglio 2020 ha ricoperto il ruolo di assistente volontario presso il Tribunale di Sorveglianza di Venezia (coordinatore Dott. F. Fiorentin) dove approfondisce le tematiche legate all’esecuzione della pena e alla vita dei detenuti e internati all’interno degli istituti penitenziari.
Nella sessione 2019-2020 ha conseguito l’abilitazione alla professione forense presso la Corte d’Appello di Venezia e dal 9 novembre 2020 è iscritto all’Ordine degli Avvocati di Venezia.
Da gennaio a settembre 2021 ha svolto la professione di avvocato presso lo Studio BM&A – sede di Treviso e da settembre 2021 è associate dell’area penale presso MDA Studio Legale e Tributario – sede di Venezia.
Da gennaio 2022 è Cultore di materia di diritto penale 1 e 2 presso l’Università degli Studi di Udine (Prof. Avv. Enrico Amati).
Nel luglio 2022 è risultato vincitore della borsa di ricerca senior (IUS/16 Diritto processuale penale), presso l’Università degli Studi di Udine, nell’ambito del progetto UNI4JUSTICE.
Nel dicembre 2023 ha frequentato il corso “Sostenibilità e modelli 231. Il ruolo dell’organismo di vigilanza” – SDA Bocconi.
È socio della Camera Penale Veneziana “Antonio Pognici”, e socio A.I.G.A. – sede di Venezia.