giovedì, Aprile 18, 2024
Criminal & Compliance

Tutela del terzo e sequestro preventivo

Il nostro codice di procedura penale prevede, nel titolo II del libro IV le varie misure cautelari reali. Tra queste, di particolare interesse è il sequestro preventivo, disciplinato dall’art. 321 c.p. che prevede espressamente, “quando vi è pericolo che la libera disponibilità di una cosa pertinente al reato possa aggravare o protrarre le conseguenze di esso ovvero agevolare la commissione di altri reati, a richiesta del pubblico ministero il giudice competente a pronunciarsi nel merito ne dispone il sequestro con decreto motivato. Prima dell’esercizio dell’azione penale provvede il giudice per le indagini preliminari”. Inoltre, “Il giudice può altresì disporre il sequestro delle cose di cui è consentita la confisca”, e il comma 2-bis dispone che, “Nel corso del procedimento penale relativo a delitti previsti dal capo I del titolo II del libro secondo del codice penale il giudice dispone il sequestro dei beni di cui è consentita la confisca”.

Come per le altre misure cautelari anche in questo caso la dottrina e la giurisprudenza si sono soffermati sulla corretta individuazione del fumus commissi delicti e del periculum in mora. Per quanto riguarda la prima circostanza – il fumus commissi delicti – la giurisprudenza è concorde nel ritenere che la misura possa essere esercitata nel momento in cui sussista uno stretto legame tra la res che viene sequestrata e il reato, non vi è quindi bisogno di alcun legame tra la res e l’imputato, ben potendo essere sequestrate anche cose non di proprietà dell’imputato ma che devono essere nella sua disponibilità e attinenti al reato. Viene evitata qualsiasi verifica riguardo la colpevolezza, la Corte Costituzionale ha precisato che bisogna valutare solo la sussistenza di un reato nella sua astratta configurabilità[1], ciò è stato ribadito anche dalla Corte di Cassazione che ha sottolineato la differenza tra misure cautelari personali e reali[2], vi sono invece dei marginali indirizzi in dottrina che propendono per la conclusione opposta in quanto le misure reali talvolta possono essere più afflittive di quelle personali.

Vi sono dei casi in cui la disponibilità della res possa essere persa da parte del soggetto sottoposto al procedimento penale, a causa di vicende di tipo civilistico (o amministrativo) che non possono sempre essere controllate dal Pubblico Ministero; in questi casi la Cassazione ha stabilito che si può ritenere ugualmente configurata la situazione di periculum necessaria ai fini della predisposizione della misura cautelare[3]; solo in limitati casi, sottolinea la Corte, il trasferimento di proprietà può provocare l’implosione del periculum, fermo restando che debba trattarsi di un acquisto in buona fede e che tutte le formalità del trasferimento devono essere state espletate[4], il problema che si viene a configurare dal punto di vista processuale in queste situazioni è di tipo probatorio: al proprietario è richiesto di dimostrare il trasferimento di proprietà e la buona fede. In altri casi[5], ove altamente probabile o imminente il possibile aggravamento delle conseguenze del reato, nemmeno il trasferimento di proprietà in buona fede è stato ritenuto sufficiente bloccare la misura cautelare.

Riguardo al concetto di “pertinenza” al reato la Corte ha stabilito che, al fine di assoggettare la res a sequestro, non è sufficiente che questa sia stata semplicemente utilizzata per la commissione del reato, ma è necessario che essa rappresenti un mezzo indispensabile per l’attuazione o la protrazione della condotta criminosa[6].

Nell’ipotesi in cui il bene appartenga (già prima del sequestro) ad un terzo ovvero nel caso in cui il terzo disponga del bene (vantando un diritto reale), il sequestro può essere apposto nonostante il pregiudizio che il terzo possa subire perché è prioritaria, rispetto alla tutela del singolo, la tutela della collettività[7]. Bisogna aggiungere però che il sequestro, nel caso di soggetto proprietario della res non indagato, può essere apposto ma a patto che il Pubblico Ministero riesca a dimostrare che si tratti di una intestazione fittizia e che nella realtà i beni siano nella piena disponibilità dell’indagato[8] e fermo restando che occorrerà tutelare il terzo in buona fede che avrà l’onere di dimostrare il proprio stato di inconsapevolezza ovverosia l’ignoranza dell’uso illecito della cosa[9]. Da questa pronuncia  bisogna poi capire come tale assunto vada a conciliarsi con una diversa forma di sequestro che è quello per equivalente.

Tale istituto non è stato codificato dal nostro legislatore, ma viene sono utilizzato per far regredire nell’alveo delle cautele reali le caratteristiche operative della confisca: quando i beni sono assoggettabili a una futura confisca si iniziano a preservare tramite il sequestro. Ciò è possibile in relazione a cose aventi peso economico equivalente ai proventi del reato. Riguardo a tale tipo di sequestro le garanzie sono diverse poiché è diversa la ratio applicativa; in questo caso vi è un’anticipazione della pena finale, su di un bene libero da ogni legame con la condotta criminosa.

Partendo dall’assunto ricordato in apertura, la Corte Costituzionale ha quindi ritenuto non necessari gravi indizi di colpevolezza, poichè la funzione cautelare reale non si proietta sull’autore del fatto ma su cose la cui libera disponibilità possa costituire un rischio per la collettività; ma applicare tale ragionamento alla confisca per equivalente conduce ad una opposta conclusione, perché la confisca per equivalente non è proiettata su res intrinsecamente illecite e possiede una natura indiscutibilmente sanzionatoria, rivolgendosi al soggetto più che alla cosa sequestrabile, manca quindi il paradigma di fondo del ragionamento: in questo caso essendo un’anticipazione della pena vi è necessariamente bisogno di un legame tra pena e indagato, non potendosi infliggere una pena anticipata ad un soggetto che non dovrà subirla a seguito di sentenza di condanna.

La tutela del terzo è quindi diversa in caso di sequestro preventivo o per equivalente. Nel primo caso è legittimo il sequestro anche su beni non appartenenti all’imputato/indagato purchè questi siano il mezzo o il risultato della commissione di un delitto che potrà aggravarsi, ripetersi o ultimarsi in futuro; nel caso del sequestro per equivalente pur sussistendo delle decisioni della Corte di Cassazioni poco chiare[10], la “la confisca, anche se obbligatoria, non può essere disposta nei confronti di chi sia riconosciuto estraneo al reato. Nel caso di cose in comproprietà tra condannato ed estraneo la misura di sicurezza patrimoniale di cui all’art. 240 c.p. ha effetto soltanto per la quota di comproprietà di spettanza del condannato, o di chiunque altro sia riconosciuto non estraneo al reato[11] e ciò perché la misura cautelare è strettamente funzionale alla sanzione definitiva.

[1] Corte costituzionale, sentenza n. 48 del 1944

[2] Cass pen., S.U., 4 maggio 2000, n. 7

[3] Cass pen., Sez III, 31 marzo 1998, n. 114

[4] Cass pen., sez V, 5 luglio 2005

[5] Cass. Pen., sez. V, 16 giugno 2006, n.29935

[6] Cass. Pen., sez 5, 30 gennaio 2004,

[7] Cass. Pen., sez VI, 7 ottobre 2008, n. 38865

[8] Cass. Pen., sez. V, 15 febbraio 2001, n. 766

[9] Cass. Pen., sez III, 4 novembre 2008

[10] Vedi Corte di Cassazione, sez. III, sent. 27.1.2011 n. 6894, in cui viene ritenuto legittimo il sequestro preventivo, per l’intero, di un bene posseduto in comproprietà tra l’indagato ed un terzo, ferma restando la confiscabilità della sola quota appartenente al soggetto coinvolto nell’illecito. In tale sentenza la Corte precisa che “l’applicazione della disciplina in esame [confisca] non può pregiudicare i soggetti terzi estranei al reato”, anche perché ciò costituirebbe un indebito arricchimento del reo la cui pena viene espiata da un altro soggetto.

[11] Cass. pen., sez. I, 12 maggio 1987

Davide Carannante

Davide Carannante, 23 anni, laureato in giurisprudenza alla Federico II di Napoli con una tesi in diritto penale dal titolo "omissioni e colpe nel diritto penale marittimo".

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