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Cons. St., A. P., 26 aprile 2018, n. 4

N. 00004/2018REG.PROV.COLL.
N. 00015/2017 REG.RIC.A.P.


REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Adunanza Plenaria)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 15 di A.P. del 2017, proposto dalla società Plurima s.p.a., in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dagli avvocati Saverio Sticchi Damiani, Enrico Michetti, Alberto Gamberini, Nicola Bruno, Marco Giustiniani, con domicilio eletto presso lo studio Saverio Sticchi Damiani in Roma, p.zza S. Lorenzo in Lucina, N. 26;

contro

Società Pròdeo s.p.a., in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dagli avvocati Maria Alessandra Sandulli, Romano Vaccarella, con domicilio eletto presso lo studio Maria Alessandra Sandulli in Roma, corso Vittorio Emanuele II, 349;

nei confronti

Asl Lecce, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dall’avvocato Francesco Caricato, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via Monte Zebio N. 19;

per la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia – Sezione Staccata di Lecce, Sezione II, 19/01/2017, n. 80.

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio dell’Asl Lecce e della società Pròdeo s.p.a.;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Visti gli artt. 74 e 120, co. 10, cod. proc. amm.;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 14 febbraio 2018 il consigliere Fabio Taormina e uditi per le parti gli avvocati Ugo De Luca in dichiarata delega di Sticchi Damiani, Giustiniani, Vaccarella, Sandulli, e Caricato;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

1. Con la sentenza in epigrafe n. 80 del 19 gennaio 2017 qui appellata il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia –Sezione Staccata di Lecce- ha accolto il ricorso proposto dalla società odierna appellata Pròdeo s.p.a., volto ad ottenere l’annullamento della deliberazione n. 910 del 3.8.2016, di aggiudicazione della procedura aperta per l’affidamento del servizio di “archiviazione, custodia e gestione della documentazione amministrativa e sanitaria” (da aggiudicarsi con il criterio del prezzo più basso, ex art. 82 del decreto legislativo n. 163/2006) indetta con bando di gara pubblicato sulla GUUE il 28 febbraio 2015, dall’Azienda Sanitaria Lecce (di seguito, anche: “ASL Lecce”)

2. La società Pròdeo, gestore uscente del servizio (che si era collocata al quarto posto della graduatoria su cinque partecipanti) aveva impugnato l’aggiudicazione, censurando in primis il criterio del “prezzo più basso”, in ragione della complessità del servizio posto a gara nonché della mancanza di una legge di gara sufficientemente dettagliata.

3. L’Azienda Sanitaria Locale di Lecce e la società prima graduata Plurima s.p.a. si erano costituite in giudizio chiedendo che il gravame venisse respinto.

4. Il T.a.r. con la sentenza impugnata, dopo avere ripercorso l’iter procedimentale, dato atto di quali fossero le censure proposte, e richiamato il quadro normativo alle stesse sotteso, ha accolto il ricorso, rilevando che:

a) l’oggetto del contratto in argomento risultava indubbiamente complesso, non tanto per le prestazioni da eseguire singolarmente considerate, quanto per le generali modalità organizzative del servizio;

b) a fronte di un servizio tutt’altro che semplice e standardizzato la lex specialis della procedura non presentava profili di specificità tali da consentire alla stazione appaltante di individuare la migliore offerta senza alcun tipo di valutazione diversa da quella relativa al prezzo: l’oggetto dell’appalto, difatti, era definito mediante la semplice elencazione delle singole ‘articolazioni’ del servizio e le modalità di svolgimento dello stesso erano indicate dall’art. 4 del capitolato in forma sostanzialmente descrittiva delle sue diverse fasi, senza una disciplina di dettaglio, quanto meno dei suoi momenti principali e fondanti;

c) a conferma di una non esaustiva predeterminazione dei contenuti del servizio da parte della stazione appaltante, l’allegato 2 al disciplinare di gara prevedeva, con riguardo alla busta ‘B’ – offerta tecnica, che i concorrenti formulassero una “proposta progettuale, analiticamente descritta in due distinti elaborati: il primo relativo alle attività archivistiche, il secondo relativo al sistema informatico proposto”.

4.1. Il T.a.r., dichiarata la fondatezza del primo motivo di gravame ed assorbite le ulteriori doglianze, ha quindi disposto l’annullamento degli atti impugnati, stabilendo altresì che il travolgimento dell’intera procedura di gara e la declaratoria di inefficacia del contratto eventualmente stipulato soddisfacevano pienamente l’interesse strumentale della società originaria ricorrente all’eventuale riedizione della gara, respingendo di conseguenza la sua domanda di risarcimento del danno per equivalente.

5. La sentenza è stata appellata dalla società aggiudicataria Plurima s.p.a., originaria controinteressata rimasta integralmente soccombente, la quale ha dedotto che:

a) la società ricorrente Pròdeo non aveva fornito neppure un principio di prova in ordine all’astratta possibilità del fatto che l’eventuale rinnovazione della procedura di gara, con un diverso criterio di aggiudicazione (in specie, quello dell’offerta economicamente più vantaggiosa), avrebbe potuto determinare un esito diverso e, per la stessa Pròdeo, vittorioso;

b) detta prova, nella fattispecie, risultava a fortiori necessaria, tenuto conto che la Pròdeo aveva partecipato alla gara senza mai contestare il criterio adottato, classificandosi al penultimo posto in graduatoria sulla base di un ribasso modesto rispetto agli altri concorrenti che la precedevano;

c) la sentenza era erronea nella parte in cui non aveva ritenuto giustificato il ricorso al criterio del prezzo più basso: doveva rilevarsi dal punto di vista fattuale che una parte significativa della documentazione della Asl Lecce (circa il 50%) risultava già archiviata ed emergeva l’elevata standardizzazione e semplicità delle prestazioni da eseguire conseguente all’estremo livello di dettaglio delle norme tecniche di riferimento.

6. In data 21.4.2017 la società originaria ricorrente Prodeo s.p.a. si è costituita nel giudizio di appello depositando una articolata memoria nell’ambito della quale ha chiesto la reiezione del gravame, sostenendo che:

a) non poteva dubitarsi del suo interesse, in quanto le censure spiegate in primo grado – unitamente a quelle riguardanti i criteri- rendevano palese che essa aveva censurato anche le carenze tecniche delle altre offerte (circostanze che nell’ambito di una gara con il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa avrebbero condotto alla sua vittoria);

b) per la denegata ipotesi di accoglimento del gravame, ha riproposto i motivi assorbiti dal Ta.r., e segnatamente:

I) incongruità delle offerte delle prime tre classificate in quanto evidentemente redatte omettendo totalmente la valutazione dei costi del personale (16 unità lavorative impiegate) e dunque in violazione della clausola sociale; difetto, in capo a Plurima, del requisito tecnico della “piena ed effettiva disponibilità” dell’immobile utilizzato per il servizio (in locazione alla stessa Pròdeo), con conseguente non veridicità delle dichiarazioni all’uopo rilasciate tanto dal RTI Plurima, quanto dalla capogruppo Plurima;

II) illegittimità dell’ammissione alla gara della seconda classificata e indebito superamento della verifica di conformità tecnica per assoluta inidoneità delle risorse umane e tecniche previste per assolvere compiutamente al complesso servizio di cui è causa;

III) palese difetto, in capo alla terza classificata, di un deposito sufficientemente vicino al luogo di esecuzione delle prestazioni oggetto dell’affidamento da consentirle il rispetto del requisito tecnico (previsto a pena di esclusione dalla legge di gara) della consegna dell’originale entro tre ore lavorative; nonché per mancata presentazione, da parte della stessa società, del certificato di prevenzione incendi;

IV) inidoneità tecnica dell’offerta dell’aggiudicataria per mancata suddivisione delle attività in prima e seconda fase;

V) mancata indicazione del numero dei dipendenti da utilizzare in tutte le fasi;

VI) palese insufficienza delle risorse destinate alle attività di “presa in carico iniziale”;

VII) mancata indicazione di una serie di attività/servizi richiesti dalla lex specialis (attività di consulenza e gestione archivi, offerta di un sistema informatico rispondente ai requisiti minimi e unità di conservazione corrispondenti a quelle indicate nel capitolato).

7. In data 29.4.2017 si è costituita con atto di stile l’ASL di Lecce, che in data 13.5.2017 ha poi depositato una memoria contenente deduzioni difensive sostanzialmente adesive all’appello proposto dalla società Plurima: essa ha richiamato, in limine all’udienza di discussione nella memoria conclusiva, l’orientamento della giurisprudenza secondo cui l’operatore economico sarebbe onerato dell’immediata impugnazione del provvedimento recante la determinazione del criterio di aggiudicazione prescelto dalla stazione appaltante, con conseguente inammissibilità del gravame, proposto contro gli esiti della procedura di gara svolta in attuazione delle prescrizioni stabilite nel bando, diretto a censurare la legittimità del criterio di aggiudicazione.

8. Alla camera di consiglio del 18 maggio 2017 fissata per la delibazione della domanda cautelare di sospensione dell’esecutività dell’impugnata decisione la trattazione della causa, su concorde richiesta delle parti, è stata differita all’udienza pubblica di definizione del merito del 28 settembre 2017.

9. Tutte le parti processuali, in vista della udienza pubblica del 28 settembre 2017, hanno depositato memorie e repliche, puntualizzando le proprie difese.

10. Alla pubblica udienza del 28 settembre 2017 la causa è stata trattenuta in decisione e la Terza Sezione del Consiglio di Stato con l’ordinanza collegiale n.5138 del 7 novembre 2017, dopo avere richiamato il quadro legislativo applicabile e gli orientamenti della giurisprudenza amministrativa che si erano soffermati sulle questioni controverse – o comunque rilevanti ai fini della risoluzione della causa- ha:

a) ravvisato l’opportunità di una rivisitazione complessiva dell’orientamento espresso dall’Adunanza plenaria con la sentenza n. 1 del 2003 al fine di pervenire all’ esatta definizione dei casi in cui, nelle procedure di affidamento dei contratti pubblici, sussista l’onere di immediata impugnazione del bando o di altri provvedimenti conclusivi di autonome fasi della sequenza procedimentale;

b) espresso il convincimento secondo cui la questione della ammissibilità del ricorso di primo grado potrebbe essere esaminata d’ufficio anche in grado di appello, in tutti i casi in cui il T.a.r. abbia omesso di pronunciarsi esplicitamente sul punto (sollecitando sulla questione una presa di posizione da parte dell’Adunanza plenaria, pur senza formulare un espresso quesito ai sensi dell’art. 99 del c.p.a.).

10.1. Con la citata ordinanza collegiale n.5138 del 7 novembre 2017, la Terza Sezione ha quindi rimesso, ai sensi dell’art. 99 del codice del processo amministrativo, all’Adunanza plenaria la decisione delle seguenti questioni:

a) se, avuto anche riguardo al mutato quadro ordinamentale, i principi espressi dall’Adunanza plenaria n.1/2003 possano essere ulteriormente precisati nel senso che l’onere di impugnazione immediata del bando sussista anche per il caso di erronea adozione del criterio del prezzo più basso, in luogo di quello del miglior rapporto tra qualità e prezzo;

b) se l’onere di immediata impugnazione del bando possa affermarsi più in generale per tutte le clausole attinenti alle regole formali e sostanziali di svolgimento della procedura di gara, nonché con riferimento agli altri atti concernenti le fasi della procedura precedenti l’aggiudicazione, con la sola eccezione delle prescrizioni generiche e incerte, il cui tenore eventualmente lesivo è destinato a disvelarsi solo con i provvedimenti attuativi;

c) se, nel caso in cui l’Adunanza plenaria affermi innovativamente il principio dell’immediata impugnazione delle clausole del bando di gara riguardanti la definizione del criterio di aggiudicazione, e individui, eventualmente, ulteriori ipotesi in cui sussiste l’onere di immediata impugnazione di atti della procedura precedenti l’aggiudicazione, la nuova regola interpretativa si applichi, alternativamente:

I) con immediatezza, anche ai giudizi in corso, indipendentemente dall’epoca di indizione della gara;

II) alle sole gare soggette alla disciplina del nuovo codice dei contratti pubblici, di cui al decreto legislativo n. 50/2016;

II) ai soli giudizi proposti dopo la pubblicazione della sentenza dell’Adunanza plenaria, in conformità alle regole generali dell’errore scusabile e dell’irretroattività dei mutamenti di giurisprudenza incidenti sul diritto vivente (secondo i principi dell’overruling);

d) se, nel caso di contestazione del criterio di aggiudicazione o, in generale, dell’impugnazione di atti della procedura immediatamente lesivi, sia necessario, ai fini della legittimazione a ricorrere, che l’operatore economico abbia partecipato alla gara o manifestato formalmente il proprio interesse alla procedura, ovvero sia sufficiente la dimostrazione della qualità di operatore economico del settore, in possesso dei requisiti generali necessari per partecipare alla selezione.

11. In data 12.6.2017 l’appellante società Plurima s.p.a. ha depositato la nomina di un ulteriore difensore in aggiunta a quelli già nominati.

12. in data 29.1.2018 la società appellante e la società appellata hanno depositato memorie puntualizzando e ribadendo le rispettive conclusioni, ed in data 2.2.2018 hanno depositato memorie di replica; anche la Asl di Lecce in data 2.2.2018 ha depositato una memoria insistendo nelle proprie difese.

12. Alla odierna pubblica udienza del 14 febbraio 2017 la causa è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO

13. Le questioni sottoposte dall’ordinanza di rimessione devono essere risolte dando continuità all’indirizzo interpretativo maggioritario, secondo il quale:

a) sussiste il potere del Giudice di appello di rilevare ex officio la esistenza dei presupposti e delle condizioni per la proposizione del ricorso di primo grado (con particolare riguardo alla condizione rappresentata dalla tempestività del ricorso medesimo), non potendo ritenersi che sul punto si possa formare un giudicato implicito, preclusivo alla deduzione officiosa della questione;

b) le clausole del bando di gara che non rivestano portata escludente devono essere impugnate unitamente al provvedimento lesivo e possono essere impugnate unicamente dall’operatore economico che abbia partecipato alla gara o manifestato formalmente il proprio interesse alla procedura.

14. Seguendo la tassonomia propria delle questioni (secondo le coordinate ermeneutiche dettate dall’Adunanza plenaria n. 5 del 2015), in ordine logico è prioritario l’esame della questione di natura processuale concernente la possibilità per il giudice di appello di rilevare ex officio la sussistenza dei presupposti e delle condizioni per la proposizione del ricorso di primo grado in carenza di pronuncia del giudice di primo grado su tali profili.

14.1. Sebbene – come meglio risulterà chiaro dal prosieguo della esposizione e come in premessa anticipato- tenuto conto della soluzione raggiunta dal Collegio sui profili di merito, tale problematica processuale non spieghi immediata rilevanza nell’economia della controversia, trattasi di una questione di massima di rilevante importanza sulla quale è utile e doveroso fornire risposta.

14.2. Va in proposito rilevato che la giurisprudenza amministrativa formatasi nel previgente quadro normativo aveva sempre e costantemente ritenuto che il giudice d’appello possa svolgere anche d’ufficio un vaglio in ordine alla sussistenza dei presupposti processuali – intesi come il complesso delle condizioni attinenti alla regolare costituzione del processo – ovvero delle condizioni dell’azione – intese, queste ultime, come il complesso delle circostanze che consentono al giudice di entrare nel merito della domanda (tra le tante, si veda Consiglio di Stato, sez. VI, 24 aprile 2009, n. 2555 VI Sez. n. 4326 del 10 settembre 2008Cons. Stato, Sez. VI, sent. 2 novembre 1999, n. 1662; id., Sez. IV, sent. 4 settembre 1995, n. 687).

14.3. A seguito della entrata in vigore del c.p.a. (d. Lgs n. 104 del 2010), la giurisprudenza si è interrogata in ordine alla permanente attualità – o meno – dell’orientamento pregresso, ed a tale interrogativo ha reso –pressochè senza eccezioni- risposta positiva.

Ancora di recente, infatti, è stato fatto rilevare che nel processo amministrativo non può essere precluso al giudice di appello di rilevare ex officio la sussistenza dei presupposti e delle condizioni per la proposizione del ricorso di primo grado né può ritenersi che, sul punto, si possa formare un giudicato implicito, preclusivo alla deduzione officiosa della questione; in sostanza il giudice amministrativo, in qualsiasi stato e grado, ha il potere e il dovere di verificare se ricorrono le condizioni cui la legge subordina la possibilità che egli emetta una decisione nel merito, né l’eventuale inerzia di una delle parti in causa, nel rilevare una questione rilevabile d’ufficio, lo priva dei relativi poteri-doveri officiosi, atteso che la legge non prevede che la mancata presentazione di parte di un’eccezione processuale degradi la sua rilevabilità d’ufficio in irrilevabilità, che equivarrebbe a privarlo dell’autonomo dovere di verifica dei presupposti processuali e delle condizioni dell’azione (Consiglio di Stato, sez. V, 6 settembre 2017, n. 4215, ma si veda anche Consiglio di Stato, sez. VI, 21luglio 2016, n. 3303 Consiglio di Stato, sez. IV, 8 settembre 2015, n. 4157 Consiglio di Stato Sez. VI, 22 febbraio 2013, n. 1094; Consiglio di Stato Sez. VI, 5 settembre 2017, n. 4196).

14.3.1. In realtà, per il vero, nel vigente quadro normativo, tenuto conto del tenore letterale degli articoli 35 e 9 del c.p.a. la questione sembrerebbe agevolmente risolvibile nel senso fatto proprio dalla suindicata giurisprudenza.

Per un verso, infatti, l’articolo 35 affida al potere officioso del giudice il rilievo dei presupposti processuali e delle condizioni dell’azione e, posto che tale prescrizione è collocata nel libro primo del codice, e riguarda il processo amministrativo in generale, non si vede come potrebbe escludersi che la medesima si applichi anche al giudizio di appello.

Per altro verso, l’articolo 9 del c.p.a. ha limitato il principio del giudicato implicito, che ne impedisce il rilievo officioso in appello, alle sole questioni che riguardano la tematica della giurisdizione.

A quanto sinora rilevato, può aggiungersi che l’art. 104 del c.p.a. (come previsto per il processo civile dall’art. 345 comma II c.p.c.) rende possibile che nel processo di secondo grado vengano liberamente prospettate “eccezioni rilevabili d’ufficio” e tale è sempre stata, per quanto prima chiarito, la disamina della originaria ammissibilità del ricorso di primo grado.

14.3.2. Sulla scorta di una semplice esegesi del diritto positivo, dunque, sembra possibile in via piana ricostruire un sistema fondato sulla regola generale del possibile rilievo ex officio di tutte le questioni (condizioni dell’azione e presupposti processuali) che condizionano la possibilità di pervenire ad una pronuncia di merito, e su una espressa eccezione a tale criterio generale, rappresentata dal formarsi di un c.d. “giudicato implicito” sulla problematica relativa alla spettanza della giurisdizione al giudice adito.

14.4. Senonchè, tale esegesi è acutamente contraddetta da una obiezione, che fa leva sulla “consistenza” della problematica inerente alla giurisdizione.

Per la concorde elaborazione della giurisprudenza civile di legittimità (ex aliis Cassazione civile sez. un. 10 luglio 2006 n. 15612 ) e di quella amministrativa (Adunanza plenaria del Consiglio di Stato sentenza 3 giugno 2011, n. 10 e più di recente, tra le tante, Consiglio di Stato, sez. IV, 29 febbraio 2016, n. 860 Consiglio di Stato, sez. V, 31 marzo 2015) infatti, la giurisdizione costituisce il necessario presupposto processuale di ogni domanda ed il fondamento imprescindibile della potestas iudicandi del giudice adito, cosicché essa deve essere esaminata in via necessariamente prioritaria ogniqualvolta venga posta in discussione, al fine di consentire la riproposizione della domanda completamente impregiudicata davanti al giudice al quale spetta la giurisdizione sulla controversia.

14.4.1. Muovendo da tale –incontestata – evidenza, si sostiene, da parte di qualificata dottrina, la complessiva contraddittorietà di una interpretazione del sistema processuale nel senso che esso da una parte “comprimerebbe” la possibilità del rilievo ex officio del difetto di giurisdizione e dall’altra manterrebbe integro il potere di rilievo officioso di presupposti processuali di minore spessore; si postula, così, una ricostruzione alternativa, secondo cui, anche nel giudizio di appello, laddove il giudice sia pervenuto alla decisione di merito, si dovrebbe riconoscere l’avvenuta formazione di un “giudicato implicito” preclusivo (anche) del rilievo officioso di problematiche inerenti agli altri presupposti processuali e le condizioni delle azioni.

14.5. Pur riconoscendo la simmetrica coerenza di tale ricostruzione, il Collegio non la ritiene persuasiva, in quanto essa sembra trascurare la genesi nella vigente disciplina processuale civilistica ed amministrativa del rilievo della “questione di giurisdizione”.

14.5.1. Invero, come è noto, preso atto di una certa “fluidità” dei criteri di riparto della giurisdizione, il legislatore ordinario all’approssimarsi del nuovo millennio aveva ritenuto che – soprattutto laddove l’ individuazione della natura e consistenza delle posizioni soggettive oggetto di tutela presentasse inevitabili margini di incertezza, ovvero si riscontrasse la contemporanea compresenza di più posizioni soggettive attive differenziate – al fine di evitare defatiganti indagini ed incertezze sull’ individuazione del plesso giurisdizionale deputato a pronunciarsi su una determinata controversia ( ovvero di evitare il frantumarsi della giurisdizione sulla medesima controversia insorta a seguito del verificarsi del medesimo “fatto storico”), si potesse intervenire per “blocchi di materie” attribuendo la giurisdizione per espressa previsione di legge all’uno od all’altro plesso giurisdizionale (ordinario, o amministrativo).

Ciò quantomeno in particolari materie, caratterizzate dalla stretta compenetrazione tra le due posizioni attive, e pur tenendo fermo (ovviamente, in quanto direttamente previsto dalla Costituzione) il tendenziale criterio di riparto fondato sul binomio diritto soggettivo/ interesse legittimo per modificare il quale sarebbe stato necessario intervenire sulla Carta Costituzionale.

Si è quindi assistito ad un proliferare di interventi in tal senso (d.Lgs. 80 del 1998, legge n. 205 del 2000): le Sezioni unite della Corte di Cassazione (Cass. civ. Sez. unite, 16 gennaio 2003, n. 594) così avevano tratteggiato dette modifiche legislative “rivoluzionarie”: “la disciplina di cui all’art. 33 d.leg. 31 marzo 1998 n. 80 e all’art. 7 l. 21 luglio 2000 n. 205, ha dettato un nuovo criterio di riparto della giurisdizione, basato sull’attribuzione di blocchi omogenei di materie, così abbandonando il previgente criterio fondato sulla differenziazione tra posizioni giuridiche di diritto soggettivo e interesse legittimo.”.

La Corte costituzionale, con la “storica” decisione del 6 luglio 2004 n. 204, ha tuttavia sensibilmente ridimensionato la portata di tale “nuovo criterio di riparto”.

E’ quindi tornata di stringente attualità l’esigenza di ridurre la frequenza statistica di pronunce declinatorie della giurisdizione che sopravvenivano nei gradi di giudizio successivi al primo, con conseguente spreco di attività giurisdizionale e vanificazione del principio costituzionale di ragionevole durata del processo (art. 111 comma II della Costituzione).

14.5.2. Tali sforzi sono stati coronati da successo in quanto, con una serie di coordinati interventi legislativi è stato – se non definitivamente accantonato, almeno – sensibilmente ridotto nella sua portata pratica, il risalente e sempre rispettato principio per cui la verifica attribuita al giudice in ordine alla sussistenza della sua giurisdizione deve essere compiuta, di norma, “ex officio”, in ogni stato e grado del processo, nell’ambito proprio di ognuna delle sue fasi.

La linea tendenziale di questi interventi può essere compendiata, in sintesi, nei seguenti principi:

a) la definitiva pronuncia sulla giurisdizione deve intervenire nel più breve tempo possibile;

b) la parte che abbia erroneamente individuato il giudice competente non deve subire preclusioni od amputazioni della tutela sostanziale in relazione a tale errore (il principio della translatio iudicii è stato introdotto dall’art. 59 della legge n. 69/2009, in ottemperanza ad una decisione della Corte costituzionale -sentenza n. 77 del 2007-, allo scopo di evitare che le parti incorrano in preclusioni e decadenze a motivo delle incertezze nell’individuazione del giudice fornito di giurisdizione: ex aliis, per una compiuta ricostruzione, si veda Cons. Stato, Sez. III, sent. n. 940 del 21 febbraio 2012);

c) il giudice che declina la giurisdizione deve indicare il plesso giurisdizionale che – a suo dire- è deputato ad esaminare la controversia al fine di consentire la trasmigrazione del processo in un termine perentorio presso quel giudice (il quale, a propria volta, se non ritiene che la giurisdizione sia stata esattamente individuata dal giudice rimettente, o perché ritenga che spettasse a quest’ultimo, ovvero perchè ritenga che spetti ad un terzo e diverso plesso ancora, è tenuto a sollevare il conflitto in tempi ristrettissimi).

Il composito sistema così delineato era stato in parte “anticipato” dalle Sezioni unite della Corte di Cassazione che, con la sentenza 9 ottobre 2008, n.24883, avevano escluso la contestabilità ex officio della giurisdizione affermata per implicito dal primo giudice in assenza di espresso motivo di impugnazione.

L’art. 9 del cpa ha quindi espressamente codificato il principio giurisprudenziale suddetto, al quale del resto si era prontamente adeguato il Consiglio di Stato. Ed è interessante rilevare che, proprio in virtù di tale spontaneo (e pregresso rispetto all’entrata in vigore del cpa) adeguamento all’arresto delle Sezioni unite della Corte di Cassazione reso con la sentenza 9 ottobre 2008, n.24883, è stata conseguentemente affermata la natura ricognitiva della previsione di cui all’art. 9 del c.p.a. e la sua estensibilità anche a controversie d’appello relative a cause introdotte anteriormente all’entrata in vigore del nuovo codice (Cons. Stato Sez. V, 27 marzo 2013, n. 1769).

Si evidenzia peraltro che, ad oggi, la disciplina del processo amministrativo riassunto in seguito a declaratoria di difetto di giurisdizione consente al giudice amministrativo di trarre argomenti di prova dall’istruttoria espletata nel processo celebrato innanzi al giudice sprovvisto di giurisdizione (art. 11, c. 6, c.p.a.).

14.5.3. La circostanza che la questione di giurisdizione, nei gradi successivi al primo, sia stata ricondotta al potere dispositivo delle parti ex art. 112 cpc e sottratta al rilievo d’ufficio del giudice, si spiega quindi:

a) con una precisa volontà legislativa in tal senso, anticipata, come prima chiarito, per via giurisprudenziale;

b) con la considerazione che tale contenuta tempistica del rilievo officioso della questione non pregiudica in alcun modo le parti e consente che nei tempi più celeri venga individuato il giudice fornito di giurisdizione;

c) con la constatazione che – a tutto concedere- il formarsi del giudicato implicito a cagione dell’inerzia delle parti e dell’omesso rilievo officioso del giudice di primo grado conduce ad una soluzione (quella che sulla controversia si pronunci un plesso sfornito di giurisdizione) certamente sconsigliabile, ma comunque non produttiva di conseguenze “contra ius”: al contrario, precludere al giudice di appello il rilievo officioso dell’assenza dei presupposti processuali o delle condizioni dell’azione condurrebbe a conseguenze negative sul piano del diritto sostanziale (esemplificativamente: la delibazione di un ricorso certamente tardivo, ovvero proposto da un soggetto non legittimato, etc).

14.6. Alla stregua di tali considerazioni, e considerato l’univoco tenore letterale degli artt. 9, 35 e 104 del c.p.a. prima citati, ritiene l’Adunanza plenaria che debba fornirsi risposta positiva al quesito concernente la permanente possibilità per il giudice di appello di rilevare ex officio la sussistenza dei presupposti e delle condizioni per la proposizione del ricorso di primo grado in carenza di pronuncia del giudice di primo grado, sul punto.

15. Venendo adesso all’esame delle problematiche attinenti al merito, il Collegio ritiene che evidenti ragioni di ordine sistematico ed espositivo inducano in primo luogo ad individuare in modo puntuale il quadro normativo applicabile e a delimitare altresì il thema decidendum, anche al fine di evitare che la vastità della materia trattata induca ad esulare dai confini tracciati dall’ordinanza di rimessione.

16. Le tematiche della necessaria partecipazione alla gara quale condizione legittimante l’impugnazione della lex specialis, ovvero dell’esito della stessa, delle eccezioni a tale precetto, e la connessa aspirazione all’enucleazione dei casi in cui sarebbe ammissibile – rectius: doverosa- l’ immediata impugnazione del bando (eventualmente anche in carenza della previa presentazione di una domanda partecipativa) sono state già esaminate dalla giurisprudenza amministrativa.

16.1. E’ emersa in proposito una stabile concordanza di opinioni, sulla scia di due fondamentali pronunce rese da questa Adunanza plenaria (ci si riferisce a: Adunanza plenaria del Consiglio di Stato 29 gennaio 2003 n. 1; Adunanza plenaria del Consiglio di Stato 7 aprile 2011, n. 4) secondo cui:

a) la regola generale è quella per cui soltanto colui che ha partecipato alla gara è legittimato ad impugnare l’esito della medesima, in quanto soltanto a quest’ultimo è riconoscibile una posizione differenziata; né quanto si afferma sulle regole di gara in via generale potrebbe essere in contrasto con l’assetto fondamentale della giustizia amministrativa;

b) i bandi di gara e di concorso e le lettere di invito vanno normalmente impugnati unitamente agli atti che di essi fanno applicazione, dal momento che sono questi ultimi ad identificare in concreto il soggetto leso dal provvedimento ed a rendere attuale e concreta la lesione della situazione soggettiva dell’interessato».

c) possono essere tuttavia enucleate alcune eccezioni a tale principio generale, individuandosi taluni casi in cui deve essere impugnato immediatamente il bando di gara, nonché particolari fattispecie in cui a tale impugnazione immediata deve ritenersi legittimato anche colui che non ha proposto la domanda di partecipazione.

16.2. E’ stato in proposito osservato che l’illegittimità di regole inidonee a consentire una corretta e concorrenziale offerta economica incide direttamente sulla formulazione dell’offerta, impedendone la corretta e consapevole elaborazione, sicché – ha affermato la citata giurisprudenza- la lesività della stessa disciplina di gara va immediatamente contestata, senza attendere l’esito della gara per rilevare il pregiudizio che da quelle previsioni è derivato, ed anzi nemmeno sussiste l’onere di partecipazione alla procedura di colui che intenda contestarle, in quanto le ritiene tali da impedirgli l’utile presentazione dell’offerta e, dunque, sostanzialmente impeditive della sua partecipazione alla gara.

La sentenza dell’ Adunanza plenaria n. 9 del 25 febbraio 2014, dopo avere richiamato i propri precedenti (n. 4 del 2011 e n. 1 del 2003), ha rilevato che, in materia di controversie aventi ad oggetto gare di appalto, il tema della legittimazione al ricorso (o titolo) è declinato nel senso che tale legittimazione “deve essere correlata ad una situazione differenziata e dunque meritevole di tutela, in modo certo, per effetto della partecipazione alla stessa procedura oggetto di contestazione” e che “chi volontariamente e liberamente si è astenuto dal partecipare ad una selezione non è dunque legittimato a chiederne l’annullamento ancorché vanti un interesse di fatto a che la competizione – per lui res inter alios acta – venga nuovamente bandita”.

E’ stato poi ivi precisato che a tale regola generale può derogarsi, per esigenze di ampliamento della tutela della concorrenza, solamente in tre tassative ipotesi e, cioè, quando:

I) si contesti in radice l’indizione della gara;

II) all’inverso, si contesti che una gara sia mancata, avendo l’amministrazione disposto l’affidamento in via diretta del contratto;

III) si impugnino direttamente le clausole del bando assumendo che le stesse siano immediatamente escludenti”.

16.3. Come peraltro riconosciuto nell’ ordinanza di rimessione, è agevole riscontrare, che – sotto un profilo di frequenza statistica- le prime due ipotesi categoriali suindicate (contestazione dell’indizione della gara, ovvero della mancata indizione della gara) siano di più rara verificazione; esse sono poi di più agevole accertamento, per cui il nodo centrale da sciogliere, con il quale si è sinora confrontata la giurisprudenza nell’aspirazione di precisare con chiarezza quali siano gli oneri per le imprese, è consistito nella enucleazione dei casi in cui ci si trovi al cospetto di “clausole del bando immediatamente escludenti”.

16.4. Sul punto, può ben affermarsi che la giurisprudenza maggioritaria ha fornito una risposta “ampliativa” in quanto, giovandosi della “clausola di apertura” contenuta nella sentenza dell’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato 29 gennaio 2003 n. 1 (“non può, invece, essere escluso un dovere di immediata impugnazione del bando di gara o della lettera di invito con riferimento a clausole, in essi contenute, che impongano, ai fini della partecipazione, oneri assolutamente incomprensibili o manifestamente sproporzionati ai caratteri della gara o della procedura concorsuale, e che comportino sostanzialmente l’impossibilità per l’interessato di accedere alla gara ed il conseguente arresto procedimentale. Fra le ipotesi sopra richiamate può, sul piano esemplificativo, essere ricompresa quella di un bando che, discostandosi macroscopicamente dall’onere di clare loqui, al quale, per i suoi intrinseci caratteri, ogni bando deve conformarsi, risulti indecifrabile nei suoi contenuti, così impedendo all’interessato di percepire le condizioni alle quali deve sottostare precludendogli, di conseguenza, direttamente ed immediatamente la partecipazione.”):

a) ha considerato “immediatamente escludenti”, e quindi da impugnare immediatamente, (anche) clausole non afferenti ai requisiti soggettivi in quanto volte a fissare – restrittivamente, in tesi- i requisiti di ammissione ma attinenti alla formulazione dell’offerta, sia sul piano tecnico che economico laddove esse rendano (realmente) impossibile la presentazione di una offerta;

b) in tali evenienze ha legittimato alla contestazione giurisdizionale anche l’operatore che non ha proposto la domanda partecipativa.

16.5. Sulla scia di tale linea interpretativa (ex aliis Cons. Stato sez. III, 2 febbraio 2015 n. 491) e nel tentativo di enucleare le ipotesi in cui tale evenienza può verificarsi, la giurisprudenza ha quindi a più riprese puntualizzato che vanno fatte rientrare nel genus delle “clausole immediatamente escludenti” le fattispecie di:

a) clausole impositive, ai fini della partecipazione, di oneri manifestamente incomprensibili o del tutto sproporzionati per eccesso rispetto ai contenuti della procedura concorsuale (si veda Cons. Stato sez. IV, 7novembre 2012, n. 5671);

b) regole che rendano la partecipazione incongruamente difficoltosa o addirittura impossibile (così l’Adunanza plenaria n. 3 del 2001);

c) disposizioni abnormi o irragionevoli che rendano impossibile il calcolo di convenienza tecnica ed economica ai fini della partecipazione alla gara; ovvero prevedano abbreviazioni irragionevoli dei termini per la presentazione dell’offerta (cfr. Cons. Stato sez. V, 24 febbraio 2003, n. 980);

d) condizioni negoziali che rendano il rapporto contrattuale eccessivamente oneroso e obiettivamente non conveniente (cfr. Cons. Stato, Sez. V, 21 novembre 2011 n. 6135; Cons. Stato, sez. III, 23 gennaio 2015 n. 293);

e) clausole impositive di obblighi contra ius (es. cauzione definitiva pari all’intero importo dell’appalto: Cons. Stato, sez. II, 19 febbraio 2003, n. 2222);

f) bandi contenenti gravi carenze nell’indicazione di dati essenziali per la formulazione dell’offerta (come ad esempio quelli relativi al numero, qualifiche, mansioni, livelli retributivi e anzianità del personale destinato ad essere assorbiti dall’aggiudicatario), ovvero che presentino formule matematiche del tutto errate (come quelle per cui tutte le offerte conseguono comunque il punteggio di “0” pt.);

g) atti di gara del tutto mancanti della prescritta indicazione nel bando di gara dei costi della sicurezza “non soggetti a ribasso” (cfr. Cons. Stato, sez. III, 3 ottobre 2011 n. 5421).

16.5.1. Per converso, è stato ribadito il principio generale secondo il quale le rimanenti clausole, in quanto non immediatamente lesive, devono essere impugnate insieme con l’atto di approvazione della graduatoria definitiva, che definisce la procedura concorsuale ed identifica in concreto il soggetto leso dal provvedimento, rendendo attuale e concreta la lesione della situazione soggettiva (Cons. Stato, sez. V, 27 ottobre 2014, n. 5282) e postulano la preventiva partecipazione alla gara.

16.6. In sostanza, – e con il conforto della maggioritaria dottrina- la possibilità di impugnare immediatamente il bando di gara, senza la preventiva presentazione della domanda di partecipazione alla procedura, è stata configurata quale eccezione alla regola in base alla quale i bandi di gara possono essere impugnati unitamente agli atti che di essi fanno applicazione, in quanto solo in tale momento diventa attuale e concreta la lesione della situazione giuridica soggettiva dell’interessato. Pertanto, il rapporto tra impugnabilità immediata e non impugnabilità immediata del bando è traducibile nel giudizio di relazione esistente tra eccezione e regola. L’eccezione riguarda i bandi che sono idonei a generare una lesione immediata e diretta della posizione dell’interessato. La ratio sottesa a tale orientamento deve essere individuata nell’ esigenza di garantire la massima partecipazione alle procedure ad evidenza pubblica e la massima apertura del mercato dei contratti pubblici agli operatori dei diversi settori, muovendo dalla consapevolezza che la conseguenza dell’immediata contestazione si traduce nell’impossibilità di rilevare il vizio in un momento successivo.

16.7. E’ bene avvertire che l’orientamento espresso dalla decisione dell’Adunanza plenaria n. 1 del 2003 è rimasto nella sostanza immutato, sebbene a più riprese se ne fosse invocato il superamento (ci si riferisce alle tre ordinanze di rimessione all’Adunanza plenaria della VI Sezione del Consiglio di Stato n. 351/2011, n. 2633/2012, n. 634/2013, le cui argomentazioni sono state illustrate nell’ ordinanza di rimessione oggetto di esame) essendosi osservato, in sintesi, che:

a) la limitazione dell’immediata impugnabilità alle sole cause escludenti non ha prodotto l’effetto atteso di deflazione del contenzioso;

b) i principi di buona fede e affidamento di cui agli articoli 1337 e 1338 c.c. comportano per le imprese partecipanti l’obbligo dell’attenta disamina del bando e della sua immediata impugnazione se recante cause di invalidità della procedura predisposta, anche come possibile fonte di responsabilità precontrattuale.

16.8. Sembra al Collegio che gli approdi raggiunti dalla decisione dell’Adunanza plenaria n. 1 del 2003 non costituiscano un “passaggio” isolato od eccentrico, rispetto ai principi generali in materia di condizioni dell’azione, desumibili dall’art. 24, co. 1°, della Costituzione (“tutti possono agire in giudizio per la tutela dei propri diritti e interessi legittimi”) ed in riferimento al principio processuale codificato dall’art. 100 c.p.c. (e da intendersi richiamato nel processo amministrativo dall’art. 39, comma 1, c.p.a.) secondo cui “per proporre una domanda o per contraddire alla stessa essa è necessario avervi interesse”, posto che:

a) <<l’interesse ad agire è dato dal rapporto tra la situazione antigiuridica che viene denunciata e il provvedimento che si domanda per porvi rimedio mediante l’applicazione del diritto, e questo rapporto deve consistere nella utilità del provvedimento, come mezzo per acquisire all’interesse leso la protezione accordata dal diritto>> (cfr. tra le tante Cass. Civ., Sez. III, n. 12241/98).

b) nel processo amministrativo l’interesse a ricorrere è caratterizzato dalla presenza degli stessi requisiti che qualificano l’interesse ad agire di cui all’art. 100 c.p.c., vale a dire dalla prospettazione di una lesione concreta ed attuale della sfera giuridica del ricorrente e dall’effettiva utilità che potrebbe derivare a quest’ultimo dall’eventuale annullamento dell’atto impugnato (cfr. C.d.S., Sez. IV, n. 20 ottobre 1997 n.1210, Consiglio di Stato, sez. V, 23 febbraio 2015 n. 855 ma si veda anche Cassazione civile, sez. un.,2 novembre 2007, n. 23031 secondo cui l’interesse a ricorrere deve essere, non soltanto personale e diretto, ma anche attuale e concreto – e non ipotetico o virtuale- per fornire una prospettiva di vantaggio);

c) tali approdi appaiono coerenti con la funzione svolta dalle condizioni dell’azione nei processi di parte, innervati come sono dal principio della domanda e dal suo corollario rappresentato dal principio dispositivo (cfr. Cass. Sezioni unite, 22 aprile 2013 n. 9685 Cassazione civile, sez. III, 3marzo 2015, n. 4228, Cassazione civile, sez. II, 9 ottobre 2017, n. 23542);

d) il codice del processo amministrativo ha confermato e ribadito tale impostazione (art. 34 comma III ed art. 35 comma I lett, b e c).

17. Così delineata la cornice normativa e giurisprudenziale che il Collegio ritiene di particolare rilevanza per la risoluzione dei quesiti centrali sottoposti dall’ordinanza di remissione, si può adesso passare alla partita disamina dei medesimi.

18. E’ bene innanzitutto precisare che nel caso in esame nessuna delle parti del giudizio, e neppure la Sezione remittente dubita della circostanza che non ci si trovi al cospetto di “clausole del bando immediatamente escludenti” nel senso ampliativo attribuito a tale aggettivo dalla giurisprudenza (e quindi da impugnare immediatamente, eventualmente anche da parte di chi non ha proposto domanda partecipativa) avuto riguardo alle clausole mercè le quali la stazione appaltante presceglie il criterio di aggiudicazione (in tesi tacciato di illegittimità).

18.1. Come puntualmente rilevato dalla Sezione remittente, proprio su questo specifico punto, l’orientamento espresso dalla decisione dell’Adunanza plenaria n. 1 del 2003 (costantemente seguito dalla giurisprudenza di questo Consiglio di Stato e dei T.a.r.) è stato quello secondo cui dovesse restare escluso l’onere di immediata impugnazione delle prescrizioni del bando riguardanti il metodo di gara, il criterio di aggiudicazione e la valutazione dell’anomalia, proprio perché non escludenti.

E sulla circostanza che tale giudizio (in realtà si tratta di una constatazione) di non sussumibilità di simili clausole nel novero di quelle “escludenti” sia esatto, non è dato dubitare né sono state avanzate riserve da parte di alcuno.

18.2. Si chiede invece – nell’ordinanza di rimessione – se non si debba affermare il principio per cui non soltanto le “clausole del bando immediatamente escludenti” ma anche tutte le prescrizioni generali del bando debbano essere immediatamente impugnate, e quindi (con più stretta aderenza alla fattispecie di causa) “quella relativa all’ adozione del criterio del prezzo più basso, in luogo del miglior rapporto tra qualità e prezzo” e più in generale “tutte le clausole attinenti alle regole formali e sostanziali di svolgimento della procedura di gara, nonché agli altri atti concernenti le fasi della procedura precedenti l’aggiudicazione”.

18.3. Tenuto conto della prospettazione contenuta nell’ordinanza di rimessione della Terza Sezione oggi all’esame di questa Adunanza plenaria, in realtà, i quesiti di merito sono ancor più articolati di quanto ivi esposto.

Si richiede infatti all’Adunanza plenaria:

a) la rivisitazione dell’orientamento espresso in passato, con riferimento alla previgente legislazione (d.Lgs. n. 163/2006) in quanto trattasi di profilo immediatamente rilevante nella causa “governata” ratione temporis proprio da tale testo di legge;

b) al contempo, nel sottolineare l’evoluzione legislativa medio tempore avvenuta, si sollecita una presa di posizione che esamini la tematica anche con riferimento alla vigente legislazione (d. Lgs. n. 50 del 18 aprile 2016, siccome modificato dal d. Lgs. n. 56 del 19 aprile 2017) sebbene non applicabile alla odierna controversia;

c) con riferimento ad entrambe le fattispecie, poi, nell’ ipotesi in cui si addivenga all’ affermazione dell’impugnabilità immediata dei bandi allorchè si censuri il criterio di aggiudicazione, si richiede un espresso chiarimento in ordine alle condizioni legittimanti l’impugnazione (id est: se sia – o meno – condizione di ammissibilità del ricorso l’avvenuta presentazione da parte del soggetto ricorrente della domanda di partecipazione alla gara).

18.4. Il Collegio ritiene che le questioni sopraindividuate vadano esaminate separatamente e che nell’ordine logico debba essere innanzitutto fornita una risposta al quesito individuato sub lett. c).

18.4.1. Sebbene, in realtà la questione non sia di immediata attualità con riferimento alla controversia in esame (laddove è pacifico che l’impresa che aveva impugnato la clausola del bando relativa al criterio di aggiudicazione aveva proposto la domanda di partecipazione alla gara) la ragione logica di tale priorità è evidente: laddove si affermasse sotto il profilo generale che anche il soggetto –pur operatore nel medesimo settore economico- che non ha presentato la domanda di partecipazione alla gara sia legittimato ad impugnare un bando contestandone le clausole (tra le quali, per venire al caso di specie, quella relativa al sistema di aggiudicazione) che pacificamente non rivestono carattere “escludente”, si dovrebbe convenire che per tal via verrebbe sancita una anticipazione della soglia di tutelabilità dell’interesse che renderebbe incomprensibile la regola opposta che, invece, imponesse al soggetto partecipante alla gara di attendere l’esito infausto della selezione per potere proporre la medesima impugnazione.

18.5. L’Adunanza plenaria ritiene che non sussistano ragioni per ritenere che il soggetto che non abbia presentato la domanda di partecipazione alla gara sia legittimato ad impugnare clausole del bando che non siano “escludenti”, dovendosi con tale predicato intendersi quelle che con assoluta certezza gli precludano l’utile partecipazione.

18.5.1. Si osserva in proposito, che:

a) nel ribadire che tale consolidata impostazione è stata seguita puntualmente dalle sezioni del Consiglio di Stato (cfr. da ultimo, Sez. IV, 11 ottobre 2016, n. 4180; Sez. IV, 25 agosto 2016, n. 3688; Sez. III, 10 giugno 2016, n. 2507; Sez. IV, 20 aprile 2016, n. 1560; Sez. V, 30 dicembre 2015, n. 5862; Sez. V, 12 novembre 2015, n. 5181) va segnalato che essa ha ricevuto l’autorevole avallo della Corte costituzionale (Corte cost., 22 novembre 2016 n. 245 che ha ritenuto inammissibile – per difetto di rilevanza- una questione di legittimità costituzionale promossa dal T.a.r. per la Liguria, nell’ambito di un giudizio in materia di appalti pubblici originato dal ricorso proposto da un’impresa che non aveva partecipato alla gara: secondo la Corte, infatti, la verifica di legittimità costituzionale della disciplina sostanziale indicata dal T.a.r. non potrebbe influire sull’esito della lite, destinata a concludersi con una pronuncia di inammissibilità del ricorso);

b) tale opzione ermeneutica muove dalla condivisibile considerazione secondo cui l’operatore del settore che non ha partecipato alla gara al più potrebbe essere portatore di un interesse di mero fatto alla caducazione dell’intera selezione (ciò, in tesi, al fine di poter presentare la propria offerta in ipotesi di riedizione della nuova gara), ma tale preteso interesse “strumentale” avrebbe consistenza meramente affermata, ed ipotetica: il predetto, infatti, non avrebbe provato e neppure dimostrato quell’ “interesse” differenziato che ne avrebbe radicato la legittimazione, essendosi astenuto dal presentare la domanda, pur non trovandosi al cospetto di alcuna clausola “escludente” (nel senso ampliativo fatto proprio dalla giurisprudenza e prima illustrato); ed anzi, tale preteso interesse avrebbe già trovato smentita nella condotta omissiva tenuta dall’operatore del settore, in quanto questi, pur potendo presentare l’offerta si è astenuto dal farlo;

c) anche se si volesse accedere ad una nozione allargata di legittimazione individuando un interesse dell’operatore economico a competere secondo i criteri predefiniti dal legislatore, ugualmente resterebbe insuperabile la considerazione che esso non sarebbe né attuale né “certo”, ma meramente ipotetico.

18.5.2. A quanto sinora rilevato, deve aggiungersi che sembra al Collegio che, anche sul piano del diritto europeo, non si rinvenga alcun riferimento che militi per l’estensione della legittimazione ad impugnare clausole non escludenti contenute nei bandi di gara agli operatori del settore che si siano astenuti dal partecipare alla gara medesima.

18.5.3. Giova precisare, in proposito che:

a) la Corte di Giustizia, Sez. VI, 12 febbraio 2004, in causa C-230/02 ha stabilito che l’operatore economico il quale si ritenga leso da una clausola della legge di gara la quale impedisca la sua partecipazione ha la possibilità (rectius: l’onere) di impugnare in modo diretto tale clausola (affermazione questa, certamente in linea con quella della giurisprudenza nazionale prima citata a partire dalla decisione dell’Adunanza Plenaria n. 1 del 2003), ma non ha esteso la legittimazione del non partecipante alla gara all’ impugnazione di clausole non certamente preclusive della propria partecipazione;

b) più di recente la Corte di Giustizia (CGUE, Sez. 21 dicembre 2016 in causa C-355/15 -Bietergemeinschaft Technische Gebäudebetreuung GsmbH) ha espresso il principio secondo cui “l’articolo 1, paragrafo 3, della direttiva 89/665 dev’essere interpretato nel senso che esso non osta a che a un offerente escluso da una procedura di aggiudicazione di un appalto pubblico con una decisione dell’amministrazione aggiudicatrice divenuta definitiva sia negato l’accesso ad un ricorso avverso la decisione di aggiudicazione dell’appalto pubblico di cui trattasi e la conclusione del contratto, allorché a presentare offerte siano stati unicamente l’offerente escluso e l’aggiudicatario e detto offerente sostenga che anche l’offerta dell’aggiudicatario avrebbe dovuto essere esclusa”;

c) se, quindi, seppur a particolari condizioni, può non essere riconosciuta la legittimazione all’impugnazione in capo ad un soggetto, pur partecipante alla gara ma che ne sia stato definitivamente escluso, a fortiori non si vede perché essa dovrebbe essere riconosciuta al soggetto che, pur potendo partecipare alla gara (in quanto il bando non recava clausole escludenti, discriminatorie, etc), si sia astenuto dal presentare un’offerta: va semmai rilevato che la posizione dell’impresa che non abbia partecipato ab imis alla procedura appare ancor meno meritevole di considerazione, sul piano dell’interesse, rispetto a quella dell’impresa che pur abbia manifestato in concreto la volontà di partecipare alla procedura, rimanendo però esclusa.

18.6. Non sembra in contrario senso decisiva la circostanza che di recente il T.a.r. per la Liguria, sez. II,con la ordinanza 29 marzo 2017, n. 263 ( resa nello stesso giudizio proseguito dopo sentenza della Corte costituzionale n. 245 del 22 novembre 2016 che si è prima citata), abbia rimesso alla Corte di giustizia la questione pregiudiziale riposante nel quesito <<se gli artt. 1, parr. 1, 2 e 3, e l’art. 2, par. 1, lett. b), della direttiva n. 89/665 CEE, avente ad oggetto il coordinamento delle disposizioni legislative, regolamentari e amministrative relative all’applicazione delle procedure di ricorso in materia di aggiudicazione degli appalti pubblici di forniture e di lavori, ostino ad una normativa nazionale che riconosca la possibilità di impugnare gli atti di una procedura di gara ai soli operatori economici che abbiano presentato domanda di partecipazione alla gara stessa, anche qualora la domanda giudiziale sia volta a sindacare in radice la procedura, derivando dalla disciplina della gara un’altissima probabilità di non conseguire l’aggiudicazione>>: ciò tenuto conto del fatto che se la clausola è escludente (e tale non è quella che indica il criterio di aggiudicazione prescelto) essa è certamente impugnabile anche da chi non abbia proposto domanda di partecipazione alla gara (in quanto è certa la lesione), mentre se la clausola non è escludente, si dovrebbe dare ingresso a valutazioni (quelle incentrate sulla “altissima probabilità di non conseguire, l’aggiudicazione”) ipotetiche ed opinabili.

18.7. Per concludere su tale profilo: va ribadito il consolidato orientamento secondo il quale l’operatore del settore che non abbia presentato domanda di partecipazione alla gara non è legittimato a contestare le clausole di un bando di gara che non rivestano nei suoi confronti portata escludente, precludendogli con certezza la possibilità di partecipazione: e ciò, sia con riferimento alla previgente legislazione nazionale in materia di contratti pubblici, che nell’attuale quadro normativo.

18.7.1. Non vi sono ragioni per mutare orientamento, tenuto conto che:

a) la presentazione di una domanda di partecipazione alla gara non sembra imporre all’operatore del settore alcuno spropositato sacrificio;

b) in alcun modo la detta domanda di partecipazione può pregiudicare sul piano processuale il medesimo, tenuto conto della granitica giurisprudenza secondo cui (si veda ancora di recente Consiglio di Stato, sez. III, 10 giugno 2016, n. 2507 Consiglio di Stato, sez. V, 22 novembre 2017, n. 5438) “nelle gare pubbliche l’accettazione delle regole di partecipazione non comporta l’inoppugnabilità di clausole del bando regolanti la procedura che fossero, in ipotesi, ritenute illegittime, in quanto una stazione appaltante non può mai opporre ad una concorrente un’acquiescenza implicita alle clausole del procedimento, che si tradurrebbe in una palese ed inammissibile violazione dei principi fissati dagli artt. 24, comma 1, e 113 comma 1, Cost., ovvero nella esclusione della possibilità di tutela giurisdizionale”;

c) la situazione differenziata e dunque meritevole di tutela, in modo certo, è ricollegabile unicamente alla partecipazione alla stessa procedura oggetto di contestazione: la procedura cui non si sia partecipato è res inter alios acta e non legittima l’operatore economico ad insorgere avverso la medesima (Adunanza plenaria 7 aprile 2011, n. 4, Adunanza plenaria 25 febbraio 2014, n. 9).

19. Possono adesso essere esaminate le questioni concernenti il dies a quo a partire dal quale l’offerente debba proporre l’impugnazione avverso le clausole del bando prive di immediata lesività in quanto non “escludenti”, e purtuttavia, in tesi, illegittime.

19.1. Due considerazioni preliminari in proposito, appaiono doverose.

19.1.1. Per elementari esigenze di certezza, ritiene l’Adunanza plenaria meriti integrale condivisione la tesi esposta nell’ultima parte del paragrafo 2.19 dell’ordinanza di remissione secondo cui “non è praticabile l’opzione ermeneutica, astrattamente prospettabile, secondo la quale le esigenze di ampliare la tutela giurisdizionale in coerenza del canone di effettività della tutela imposto dal diritto dell’Unione europea, implicherebbero che l’operatore economico potrebbe scegliere se impugnare immediatamente il bando o attendere l’esito della procedura. Al contrario, deve porsi una chiara delimitazione delle ipotesi in cui un atto è lesivo, generando l’onere di tempestiva e autonoma impugnazione.”. La giurisprudenza, peraltro, ha in passato avuto modo di esaminare tale tematica (si veda Cons. Stato, Sez. Quarta n. 1243 del 13 marzo 2014) ed ha chiarito che “la parte che si assume lesa deve avere il dovere, e non soltanto la “facoltà” di proporre impugnazione, altrimenti la richiesta concretezza ed attualità dell’interesse scolorano nel concetto di “precauzione” e “cautelatività” , facendo presente che la tesi contraria comporterebbe “inammissibili conseguenze sotto il profilo processuale conducendo ad una –facilmente preconizzabile– evenienza che si pone in contrasto con tutta la sistematica del codice improntata ad un evidente favor per il simultaneus processus”.

E’ il caso in proposito di rammentare che l’esigenza di una trattazione unitaria e concentrata nelle controversie in materia di appalti trova conforto nell’art. 120 comma 7 del c.p.a. che eccezionalmente, per le sole controversie disciplinate dal c.d. rito appalti, impone il ricorso ai motivi aggiunti c.d. impropri allorquando si debbano impugnare nuovi provvedimenti attinenti alla medesima procedura di gara (mentre sul piano generale l’art.104, co. 3 circoscrive rigorosamente la proposizione dei motivi aggiunti in appello esclusivamente nei confronti del medesimo atto -o dei medesimi atti- che hanno costituito l’oggetto delle domande proposte in primo grado: si veda sul punto Consiglio di Stato Ad. plen. n. 5 del 17 aprile 2015, capo 6.1.2.).

19.1.2. In secondo luogo, l’ordinanza di rimessione ha esposto gli argomenti che militerebbero per una revisione dell’orientamento “tradizionale”, trascurando però di soffermarsi su un dato normativo che sembra all’Adunanza plenaria di assoluto rilievo.

Ed invero l’art. 120 comma 5 del c.p.a. ha conferito rango legislativo all’impostazione della decisione dell’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato 29 gennaio 2003 n. 1 prevedendo l’onere di immediata impugnazione del bando o dell’avviso di gara solo “in quanto autonomamente lesivo”.

La detta prescrizione normativa sembra al Collegio interpretabile in un unico senso: e cioè che tale eventualità sia ravvisabile soltanto nell’ipotesi in cui il bando presenti clausole escludenti (nel senso pur ampliativo delineato dalla giurisprudenza a più riprese citata).

Come si è prima posto in luce, l’ordinanza di rimessione non ritiene che la clausola del bando inerente al criterio di aggiudicazione sia di natura escludente, ed anzi auspica che l’anticipazione del momento di impugnazione (considerando 3.2. dell’ordinanza di rimessione) possa essere esteso a “tutte le clausole attinenti alle regole “formali” e “sostanziali” della gara” (pur prive di portata escludente).

Ciò implica che, laddove (il che non è, come meglio si chiarirà di seguito) venissero ravvisati così imperiosi motivi per ritenere che l’obbligo di impugnazione immediata delle prescrizioni non escludenti del bando si imponga, ciò probabilmente non potrebbe avvenire in via ermeneutica ma dovrebbe passare per il vaglio della Corte costituzionale sulla compatibilità (rispetto ai precetti di cui agli articoli 24 e 97 della Costituzione) dell’ inciso del comma 5 dell’art. 120 “autonomamente lesivi”.

19.1.3. Ciò premesso, il Collegio dedicherà quindi i successivi paragrafi dell’ esposizione all’ illustrazione delle ragioni che inducono a confermare l’orientamento “tradizionale”.

19.2. Concentrando la disamina alle ragioni sottese alla paventata opportunità della rivisitazione dell’orientamento espresso in passato, con riferimento alla previgente legislazione (d.Lgs. n. 163/2006), non si rinvengono motivi per discostarsi dal principio affermato sin dalla decisione dell’Adunanza plenaria n. 1 del 2003: e ciò, sia per esigenze di carattere teorico generale che per esigenze eminentemente pratiche.

19.2.1. Non sembra, anzitutto, al Collegio che l’innovazione legislativa ascrivibile all’ articolo 4, comma 2, lettera d), del d.L. 13 maggio 2011, n. 70, che ha interpolato l’art. 46 del d.Lgs. n. 163 del 2006 inserendovi il comma 1 bis (che così dispone, nella parte di interesse: “i bandi e le lettere di invito non possono contenere ulteriori prescrizioni a pena di esclusione. Dette prescrizioni sono comunque nulle”), militi a sostegno delle aspirazioni “evolutive” rispetto all’indirizzo tradizionale (siccome ipotizzato nell’ordinanza di rimessione).

Mercè detta disposizione (reiterata peraltro dall’art. 83 comma 8 del vigente d. Lgs n. 50/2016) si è certamente voluta favorire la massima partecipazione alle gare attraverso il divieto di un aggravio del procedimento, correggendo quelle soluzioni che sfociavano in esclusioni derivanti da violazioni puramente formali (tra le tante, si veda Cons. Stato, Sez. III, 29 luglio 2015 n. 3750); ma ciò è avvenuto attraverso un accorgimento (espressa comminatoria di nullità, ex art. 21-septies legge n. 241/1990) che:

a) da un canto rende meramente eventuale il ricorso ad iniziative giurisdizionali in quanto, secondo autorevole giurisprudenza (Consiglio di Stato, sez. V, 18 febbraio 2013, n. 974), tali clausole sono passibili di formale disapplicazione da parte della commissione di gara;

b) ma soprattutto – a cagione dell’anticoncorrenzialità di simili clausole e della sanzione di nullità che da ciò discende –consente che l’iniziativa giurisdizionale avverso le stesse venga esercitata in qualsiasi tempo: ciò, semmai, va nella direzione contraria (immediata emersione dei vizi del bando) rispetto a quella prospettata a sostegno dell’indirizzo evolutivo;

c) non ritiene, quindi, il Collegio che tale disposizione esprima indirizzi a sostegno del superamento del consolidato orientamento in punto di necessità di impugnare le clausole non preclusive della partecipazione unitamente al provvedimento che rende certa ed invera la lesione, sino a quel momento unicamente paventata.

19.2.2. Con più specifico riferimento alla fattispecie rilevante nell’odierno processo (individuazione del metodo di aggiudicazione) è noto che il d.Lgs. n. 163/2006 (come anche la legislazione antecedente) si fondava sul principio dell’equiordinazione dei metodi di aggiudicazione, la cui scelta restava rimessa alla responsabile discrezionalità della stazione appaltante (art. 81, commi 1 e 2 del predetto d.lgs. 12 aprile 2006, n. 163) mentre il nuovo codice dei contratti pubblici di cui al d.lgs. 18 aprile 2016, n. 50- non applicabile ratione temporis alla presente vicenda contenziosa – ha introdotto all’ art. 95 una rilevante novità sistematica (sulla scorta del considerando 89 della direttiva 24/2014, laddove si afferma che l’offerta “economicamente” più vantaggiosa è “sempre” quella che assicura il miglior rapporto tra qualità e prezzo), esprimendo un indiscutibile favor per il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa e prevedendo un “sistema di gerarchia” tra i metodi di aggiudicazione .

Ma né la pregressa disposizione né quella attuale consentono di rinvenire elementi per pervenire all’affermazione che debba imporsi all’offerente di impugnare immediatamente la clausola del bando che prevede il criterio di aggiudicazione, ove la ritenga errata: versandosi nello stato iniziale ed embrionale della procedura, non vi sarebbe infatti né prova né indizio della circostanza che l’impugnante certamente non sarebbe prescelto quale aggiudicatario; per tal via, si imporrebbe all’offerente di denunciare la clausola del bando sulla scorta della preconizzazione di una futura ed ipotetica lesione, al fine di tutelare un interesse (quello strumentale alla riedizione della gara), certamente subordinato rispetto all’interesse primario (quello a rendersi aggiudicatario), del quale non sarebbe certa la non realizzabilità.

19.2.3. A ben guardare, poi, l’ordinanza di rimessione (ma anche per il vero la motivazione delle tre precedenti ordinanze di rimessione all’Adunanza plenaria n. 351/2011, n. 2633/2012,n. 634/2013) dà atto della circostanza che l’esigenza sottesa all’onere di immediata impugnazione di tutte le regole del bando ancorchè non escludenti si fonderebbe pressochè esclusivamente sull’auspicio di accelerare per tal via la definizione del contenzioso ( evitando che i rapporti giuridici, una volta avviati, siano rimessi in discussione) e sulla considerazione che l’orientamento ”tradizionale” non avrebbe prodotto alcuna riduzione del contenzioso.

Ora, però, salvo quanto si dirà immediatamente di seguito, tale esigenza –certamente espressiva di una preoccupazione reale e meritevole di considerazione – per un verso non sarebbe risolutivamente soddisfatta dall’accorgimento che ci si propone di introdurre e, per altro verso, condurrebbe all’assai probabile incremento del contenzioso.

19.2.4. Si è già osservato che il rito processuale amministrativo, per risalente tradizione, è governato dall’impulso di parte.

Numerose sono le vigenti disposizioni che testimoniano dell’attualità di tale particolare configurazione e tra esse giova ricordare quelle (artt. 35 ed 84 del c.p.a.) secondo cui la parte che propone il ricorso può rinunciarvi in qualsiasi momento ed anche nel giudizio di appello, potendo financo rinunciare agli effetti della sentenza di primo grado (tra le tante, Consiglio di Stato, sez. IV, 11 settembre 2017, n. 4274).

Tale –insindacabile da parte del Giudice- diritto potestativo si estende anche alla tutela cautelare, la quale è facoltativamente richiesta dalla parte impugnante.

Come è noto, l’art. 120 comma 6 del c.p.a., conformandosi al precetto contenuto all’art. 1 della Direttiva 89/665/CEE siccome modificato dall’articolo 41 della Direttiva del Consiglio n. 50 del 18 giugno 1992e successivamente sostituito dall’articolo 1 della Direttiva del Parlamento Europeo e del Consiglio n. 66 dell’ 11 dicembre 2007 (laddove si richiede che gli Stati Membri prevedano che”, le decisioni prese dalle autorità aggiudicatrici possano essere oggetto di un ricorso efficace e, in particolare, quanto più rapido possibile”), ha previsto un rito speciale soggetto a termini stringenti ed ha in parte “attenuato” l’incidenza della iniziativa di parte, allorchè ha previsto che l’udienza venga fissata d’ufficio dal Giudice.

Tuttavia -soprattutto con riferimento alle gare di meno rilevante complessità – la tempistica processuale è giocoforza meno rapida rispetto ai compiti rimessi al seggio di gara.

Imporre l’immediata impugnazione di qualsiasi clausola del bando, in questo contesto, rischierebbe di produrre le seguenti conseguenze:

a) tutte le offerenti che ritengano di potere prospettare critiche avverso prescrizioni del bando pur non rivestenti portata escludente sarebbero incentivate a proporre immediatamente l’impugnazione (nella certezza che non potrebbero proporla successivamente);

b) al contempo, in vista del perseguimento del loro obiettivo primario (quello dell’aggiudicazione) esse sarebbero tentate di dilatare in ogni modo la tempistica processuale,(in primis omettendo di proporre la domanda cautelare), così consentendo alla stazione appaltante di proseguire nell’espletamento della gara, in quanto, laddove si rendessero aggiudicatarie prima che il ricorso proposto avverso il bando pervenga alla definitiva decisione, esse potrebbero rinunciare al detto ricorso proposto avverso il bando, avendo conseguito l’obiettivo primario dell’aggiudicazione;

c) soltanto laddove non si rendessero aggiudicatarie, a quel punto, coltiverebbero l’interesse strumentale alla riedizione della procedura di gara incentrato sul ricorso già proposto avverso il bando.

Di converso, le stazioni appaltanti potrebbero ragionevolmente rallentare l’espletamento delle procedure di gara contestate, in attesa della decisione del ricorso proposto avverso il bando.

In ultima analisi, l’effetto pressochè certo dell’abbandono del criterio tradizionale è quello dell’(ulteriore) incremento del contenzioso: quantomeno a legislazione vigente, i possibili vantaggi sembrano del tutto ipotetici.

19.2.5. Può quindi concludersi tale articolazione della disamina, con l’affermazione che con riferimento alle gare ratione temporis governate dal d.Lgs. 12 aprile 2006, n. 163, non si ravvisano ragioni per rivisitare il consolidato principio secondo il quale le clausole del bando che non rivestono certa portata escludente devono essere impugnate dall’offerente unitamente all’atto conclusivo della procedura di gara.

19.3. A considerazioni analoghe deve pervenirsi, ove si valuti la questione con riferimento alla vigente legislazione.

19.3.1. Considerato che la procedura di gara per cui è causa è governata ratione temporis dalle prescrizioni di cui al d.Lgs n. 163/2006, il quesito prospettato dall’ordinanza di rimessione – nella parte in cui esso è stato riferito anche alla vigente legislazione -muove dalla (condivisibile) considerazione che trattasi di una questione della massima importanza (art. 99 comma 5 del c.p.a.).

E non sembra un caso che, in realtà, il maggiore sforzo motivazionale dell’ordinanza di rimessione sia stato dedicato alla illustrazione delle modifiche ordinamentali che, in tesi, dovrebbero indurre ad estendere l’obbligo di immediata impugnazione a tutte le clausole del bando ancorchè non aventi natura escludente.

19.3.2. E’ questa la ragione per cui si è ritenuto di dedicare una autonoma disamina a tale articolazione del quesito, essendo però appena il caso di precisare che quanto si è finora affermato con riferimento al previgente quadro normativo (e che si ometterà di ripetere) è certamente traslabile anche al particolare profilo che ci si accinge ad esaminare.

19.3.3. Premesso che sulla “portata” della disposizione di cui all’art. 83 comma 8 del vigente d. Lgs n. 50/2016 (riproduttivo dell’art. 46 comma 1 bis del d.Lgs. n. 163 del 2006) e di quella di cui all’art. 95 del d. Lgs n. 50/2016 ci si è già in precedenza soffermati, ad avviso della Sezione remittente militerebbero per l’estensione dell’obbligo di immediata impugnazione a tutte le clausole del bando, ancorchè non aventi natura escludente:

a) le disposizioni di cui all’art. 211 comma 2, del nuovo codice (comma quest’ultimo abrogato dall’art. 123, comma 1, lett. b), d.Lgs. 19 aprile 2017, n. 56) e di cui ai commi 1-bis, 1-ter e 1-quater, aggiunti al già citato art. 211 del d.Lgs. n. 50 del 2016 dall’art. 52-ter, comma 1, del d.L. 24 aprile 2017, n. 50;

b) le disposizioni processuali di cui all’art. 120 c.p.a., commi 2-bis e 6-bis, così come modificato dall’art. 204, comma 1 lett. b) del nuovo codice dei contratti pubblici.

19.3.4. Una approfondita riflessione si impone per la disamina del disposto di cui all’art. 211 del d.Lgs. 18 aprile 2016 n. 50 sia nel testo originario interpolato dal d.Lgs. 19 aprile 2017, n. 56, che in quello vigente, siccome novellato dal d.L. 24 aprile 2017, n. 50: ci si riferisce all’istituto delle raccomandazioni vincolanti dell’Autorità Nazionale Anticorruzione previsto dall’art. 211, comma 2 del d. Lgs. 50/2016 e, dopo la sua abrogazione, alla legittimazione dell’ANAC all’impugnazione dei bandi, degli altri atti generali e dei provvedimenti relativi a contratti di rilevante impatto, emessi da qualsiasi stazione appaltante, qualora ritenga che essi violino le norme in materia di contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture.

Si tratta, invero, del conferimento all’ ANAC di una legittimazione processuale straordinaria al pari di quanto disposto da altre previsioni normative (si rammentano in proposito gli artt. 14 comma 7, 62, 110 comma 1, 121comma 6 e 157 comma 2 del d. Lgs. n. 58 del 1998 con cui la Banca d’Italia e la Consob sono state legittimate ad impugnare le deliberazioni delle società vigilate adottate in violazione di alcune disposizioni sul diritto di voto in materia di intermediazione finanziaria; l’ art. 52, comma 4 del d. lgs. n. 446 del 1997 che ha riconosciuto al Ministero delle Finanze il potere di impugnare per qualsiasi vizio di legittimità i regolamenti comunali in materia di entrate tributarie; l’art. 6 comma 10 della l. n. 168 del 1989, che ha attribuito al Ministro dell’Università e della Ricerca il potere di diretta impugnazione degli Statuti dei singoli Atenei che non si adeguino ai rilievi di legittimità dallo stesso formulati; l’art. 21 bis della legge 10 ottobre 1990, n. 287 in tema di poteri dell’Autorità Garante della concorrenza e del mercato sugli atti amministrativi che determinano distorsioni della concorrenza, l’art. 37 del d.L 6 dicembre 2011, n.201 in tema di poteri attribuiti all’ Autorita’ di regolazione dei trasporti e l’art. 70 del decreto legislativo del 18 agosto 2000 n. 267 che attribuisce al Prefetto la legittimazione a far valere, in via giurisdizionale, la decadenza dalla carica di sindaco, presidente della provincia, consigliere comunale, provinciale o circoscrizionale).

19.3.5. Orbene, che la “concorrenza per il mercato” sia un interesse di rango costituzionale ed europeo, è circostanza nota, e non stupisce pertanto che il legislatore abbia sentito l’esigenza di attribuire all’Autorità di vigilanza in materia poteri “propri” da esercitare in sede giurisdizionale:

la commissione speciale del Consiglio di Stato chiamata a rendere il parere sullo schema del decreto legislativo (Consiglio di Stato comm. spec., 28/12/2016, n. 2777) soffermandosi sull’ormai abrogato istituto di cui al comma 2 del citato art. 211 ( le c.d. “raccomandazioni vincolanti”) ha fatto riferimento ad un “rafforzamento dei poteri dell’ANAC mediante l’attribuzione, in particolare, di un potere finalizzato all’emissione di raccomandazioni vincolanti nei confronti delle stazioni appaltanti, per l’annullamento in autotutela di atti della procedura di gara illegittimi”(considerazioni, queste, certamente estensibili alla disposizione oggi vigente di cui al comma 1 bis del citato articolo 211).

E’ necessario però sottolineare l’inassimilabilità della ratio della innovazione legislativa suddetta alle “esigenze” che militerebbero a sostegno dell’obbligo di immediata impugnazione delle clausole non escludenti del bando.

Invero la legittimazione dall’ANAC viene esercitata a presidio dell’interesse pubblico alla concorrenza in senso complessivo (di qui, anche, la limitazione ai “contratti di rilevante impatto” contenuta nella citata disposizione) e postula un interesse “certo” e prioritario (quello alla rimozione del bando).

Il partecipante alla gara, invece, ha un interesse del tutto distinto da quello pubblicistico: ha l’interesse primario ed immediato ad aggiudicarsi la gara medesima; è quindi ravvisabile un interesse dell’offerente a proseguire la gara, funzionale ad ottenere il bene della vita cui esso aspira, rappresentato dall’aggiudicazione; soltanto laddove l’aggiudicazione diviene impossibile assume rilievo l’interesse strumentale alla riedizione della procedura di gara; ma non è certo che nella fase embrionale della procedura (chè è questa la fase in cui egli dovrebbe proporre l’impugnazione avverso il bando) l’interesse all’aggiudicazione sia certamente frustrato.

L’Autorità agisce nell’interesse della legge; il partecipante alla gara nel proprio esclusivo e soggettivo interesse. Che, si ripete, primariamente, è quello di aggiudicarsi la gara, e solo subordinatamente, quello della riedizione della gara che non si sia riuscito ad aggiudicare.

Non sembra pertanto a questa Adunanza plenaria che la disposizione di cui all’art. 211 del d.Lgs n. 50/2016 si muova nella logica di un mutamento in senso oggettivo dell’interesse (non, come si è prima chiarito, dell’operatore del settore, ma neppure del partecipante alla procedura) a che i bandi vengano emendati immediatamente da eventuali disposizioni (in tesi) illegittime, seppure non escludenti: essa ha subiettivizzato in capo all’Autorità detto interesse, attribuendole il potere diretto di agire in giudizio nell’interesse della legge.

19.3.6. Riconosce, invece, il Collegio, la rilevante portata innovativa rappresentata dal nuovo rito c.d. “superaccelerato” di cui ai commi 2 bis e 6 bis dell’art 120 del c.p.a. introdotto dall’art. 204 comma 1 lett. d) del d.Lgs. n. 50/2016.

Detta disposizione è volta, nella sua ratio legis, a consentire la pronta definizione del giudizio prima che si giunga al provvedimento di aggiudicazione e, quindi, a definire la platea dei soggetti ammessi alla gara in un momento antecedente all’esame delle offerte e alla conseguente aggiudicazione (Consiglio di Stato, parere n. 855/2016 sul codice degli appalti pubblici). Il legislatore ha quindi inteso evitare che con l’impugnazione dell’aggiudicazione possano essere fatti valere vizi attinenti alla fase della verifica dei requisiti di partecipazione alla gara, il cui eventuale accoglimento farebbe regredire il procedimento alla fase appunto di ammissione, con grave spreco di tempo e di energie lavorative, oltre al pericolo di perdita di eventuali finanziamenti, il tutto nell’ottica dei principi di efficienza, speditezza ed economicità, oltre che di proporzionalità del procedimento di gara (Consiglio di Stato, parere n. 782/2017 sul decreto correttivo al nuovo codice degli appalti pubblici).

Tale norma pone evidentemente un onere di immediata impugnativa dei provvedimenti in questione, a pena di decadenza, non consentendo di far valere successivamente i vizi inerenti agli atti non impugnati; l’omessa attivazione del rimedio processuale entro il termine preclude al concorrente la possibilità di dedurre le relative censure in sede di impugnazione della successiva aggiudicazione, ovvero di paralizzare, mediante lo strumento del ricorso incidentale, il gravame principale proposto da altro partecipante avverso la sua ammissione alla procedura (cfr. art. 120, comma 2 bis, del c.p.a. “L’omessa impugnazione preclude la facoltà di far valere l’illegittimità derivata dei successivi atti delle procedure di affidamento, anche con ricorso incidentale”).

La diversa ermeneutica non può trarre argomenti interpretativi dal comma 6 bis dell’art. 120 c.p.a. (“La camera di consiglio o l’udienza possono essere rinviate solo in caso di esigenze istruttorie, per integrare il contraddittorio, per proporre motivi aggiunti o ricorso incidentale”) che, nel contemplare espressamente la possibilità di proporre ricorsi incidentali, potrebbe far propendere, ad una prima lettura, per la permanenza del potere di articolare in sede di gravame incidentale, vizi afferenti l’ammissione alla gara del ricorrente principale anche dopo il decorso del termine fissato dal comma 2 bis.

In senso contrario, si osserva che detta disposizione in realtà si riferisce ai gravami incidentali che hanno ad oggetto, non vizi di legittimità del provvedimento di ammissione alla gara, ma un diverso oggetto (es. lex specialis ove interpretata in senso presupposto dalla ricorrente principale) poiché, diversamente opinando, si giungerebbe alla conclusione non coerente con il disposto di cui al comma 2 bis di consentire l’impugnazione dell’ammissione altrui oltre il termine stabilito dalla novella legislativa: per tal via si violerebbe il comma 2 bis citato e, soprattutto, la ratio sottesa al nuovo rito superspeciale che, come sottolineato dal Consiglio di Stato (parere n. 782/2017 sul decreto correttivo al codice degli appalti pubblici) è anche quello di “neutralizzare per quanto possibile …l’effetto “perverso” del ricorso incidentale (anche in ragione della giurisprudenza comunitaria e del difficile dialogo con la Corte di Giustizia in relazione a tale istituto)”.

19.3.7. Va premesso che la giurisprudenza amministrativa non ha avuto incertezze nel ritenere che:

a) mercè la detta disposizione si sia voluta consentire l’immediata emersione dei vizi attinenti alla fase della verifica dei requisiti di partecipazione alla gara, il cui eventuale accoglimento farebbe regredire il procedimento alla fase appunto di ammissione (con conseguente preclusione a rilevare tali vizi in fase successiva);

b) detto rito speciale in materia di impugnazione contro esclusioni ed ammissioni, previsto dal comma 2-bis dell’art. 120 c.p.a., costituisca eccezione al regime «ordinario» del processo appalti (a sua volta derogatorio rispetto al rito ordinario e allo stesso rito accelerato ex art. 119 c.p.a.) e, perciò, debba essere applicato solo nel caso espressamente previsto, e cioè quando sia stato emanato il provvedimento di cui all’art. 29, comma 1, secondo periodo del d.Lgs. n. 50/2016;

c) le norme ivi contenute (quanto ai “vizi” scrutinabili) siano di stretta interpretazione: è rimasto infatti chiarito, ad esempio, che l’esclusione dalla procedura di gara dopo la valutazione del contenuto dell’offerta, in conseguenza dell’attribuzione di un giudizio di inidoneità, non ricade nella fattispecie del rito camerale super-accelerato di cui all’art. 120 commi 2 bis e 6 bis, c.p.a. Questo rito è, infatti, utilizzabile solo quando l’esclusione avvenga prima dell’esame dei dettagli tecnici dell’offerta da parte della Commissione giudicatrice, ossia quando si discuta esclusivamente del possesso dei requisiti soggettivi, economico-finanziari e tecnico-professionali necessari per l’ingresso nella procedura di gara. Non appare, invece, applicabile quando la stazione appaltante abbia espresso un giudizio di valore sull’offerta già ammessa, nel confronto con le altre offerte. La conclusione non cambia se il raggiungimento o il superamento di una soglia minima di punteggio sia prevista dalla lex specialis come condizione per accedere a una fase successiva della medesima procedura, in quanto, una volta che l’offerta sia stata valutata, anche solo parzialmente, l’oggetto sostanziale della controversia è il giudizio sull’offerta stessa, e non l’esclusione del concorrente, che è solo un riflesso del punteggio attribuito;

d) si è quindi da ciò fatto discendere che esso sia applicabile esclusivamente ai casi di censura dei provvedimenti di ammissione ed esclusione dalla gara in ragione del possesso (o mancato possesso) dei requisiti di ordine generale e di qualificazione per essa previsti e non per l’impugnazione del successivo provvedimento di aggiudicazione della gara.

19.3.8. In sostanza, ritiene l’Adunanza plenaria che con la detta prescrizione normativa il legislatore abbia inteso espressamente riconoscere autonoma rilevanza ad un interesse procedimentale (quello legato alla corretta formazione della platea dei concorrenti) riconoscendo ad esso una rapida protezione giurisdizionale. Peraltro un tassello (seppur di minore pregnanza) di questo disegno legislativo in favore della “invarianza” della platea dei partecipanti alla gara era stato già introdotto nel sistema nella vigenza del decreto legislativo n. 163 del 2006 e conservato nell’attuale codice dei contratti pubblici: (art. 38 comma 2 bis del d.Lgs. n. 163/2006 inserito dall’articolo 39, comma 1, del D.L. 24 giugno 2014, n. 90 :“ogni variazione che intervenga, anche in conseguenza di una pronuncia giurisdizionale, successivamente alla fase di ammissione, regolarizzazione o esclusione delle offerte non rileva ai fini del calcolo di medie nella procedura, ne’ per l’individuazione della soglia di anomalia delle offerte”; oggi, si veda l’ art. 95 comma 15 del d. Lgs. n. 50/2016).

19.3.9. L’Adunanza plenaria, se concorda con la rilevante novità dell’istituto in commento, non ritiene però che dallo stesso possano trarsi considerazioni espressive di un principio generale.

Anche in questo caso, è bene sottolineare che l’opzione innovativa del legislatore non rappresenta una novità assoluta.

Non appare in proposito arbitrario l’accostamento della disposizione suindicata a quelle contenute nei primi due commi dell’art. 129 del c.p.a. (“1. I provvedimenti immediatamente lesivi del diritto del ricorrente a partecipare al procedimento elettorale preparatorio per le elezioni comunali, provinciali e regionali e per il rinnovo dei membri del Parlamento europeo spettanti all’Italia sono impugnabili innanzi al tribunale amministrativo regionale competente nel termine di tre giorni dalla pubblicazione, anche mediante affissione, ovvero dalla comunicazione, se prevista, degli atti impugnati.2. Gli atti diversi da quelli di cui al comma 1 sono impugnati alla conclusione del procedimento unitamente all’atto di proclamazione degli eletti”).

Anche in questa ipotesi in ultimo citata, il legislatore, nell’ambito della propria discrezionalità, ha fornito immediata protezione ad un interesse procedimentale (o, se si vuole, ha attribuito connotazioni sostanziali al medesimo) ed ha stabilito a presidio del medesimo termini stringenti di impugnazione dei provvedimenti in tesi (certamente ed immediatamente) lesivi, rinviando ad un momento successivo l’eventuale contenzioso investente provvedimenti di cui –nella fase embrionale del procedimento elettorale- non era certa la lesività, attualizzandosi la medesima, possibilmente, soltanto all’esito della competizione elettorale.

19.3.10. Orbene, in simile condizione, sembra all’Adunanza plenaria che:

a) non sia possibile affermare che si possa trarre dalla disposizione di cui ai commi 2 bis e 6 bis dell’art 120 del c.p.a. una tensione espressiva di un principio generale secondo cui tutti i vizi del bando dovrebbero essere immediatamente denunciati, ancorché non strutturantisi in prescrizioni immediatamente lesive in quanto escludenti;

b) sembra invece che il legislatore abbia voluto perimetrare l’interesse procedimentale (cristallizzazione della platea dei concorrenti, ammissioni ed esclusioni) a di cui favorire l’immediata emersione, attraverso una puntuale e restrittiva indicazione dell’oggetto del giudizio da celebrarsi con il rito “superaccelerato”;

c) e tanto ciò è vero che inizialmente, nello schema originario del codice dei contratti pubblici, sottoposto al parere del Consiglio di Stato, si prevedeva un’estensione del detto rito, ma limitata unicamente alla composizione della commissione (come è noto, il testo definitivo ha espunto tale indicazione, recependo i suggerimenti dell’organo consultivo, incentrate sul vincolo imposto dalla legge di delega, che non contemplava tali ipotesi);

d) come già colto da questo Consiglio di Stato l’intento del legislatore è stato infatti quello di definire prontamente la platea dei soggetti ammessi alla gara in un momento antecedente all’esame delle offerte (Cons. St, commissione speciale, parere n. 885 dell’1 aprile 2016), creando un «nuovo modello complessivo di contenzioso a duplice sequenza, disgiunto per fasi successive del procedimento di gara, dove la raggiunta certezza preventiva circa la res controversa della prima è immaginata come presupposto di sicurezza della seconda» (Cons. St., sez.V^, ordinanza n. 1059 del 15 marzo 2017);

e) e ciò è avvenuto attraverso l’emersione anticipata di un distinto interesse di natura strumentale (sia pure di nuovo conio, come definito in dottrina) che, comunque, rimane proprio e personale del concorrente, e quindi distinto dall’interesse generale alla correttezza e trasparenza delle procedure di gara;

f) né potrebbe sostenersi che la scelta “limitativa” del legislatore possa essere tacciata di illogicità, essendo sufficiente in proposito porre in luce che l’anticipata emersione di tale interesse procedimentale si giustifica in quanto la maggiore o minore estensione della platea dei concorrenti incide oggettivamente sulla chance di aggiudicazione (il che non avviene in riferimento a censure attingenti clausole non escludenti del bando che perseguono semmai la diversa – e subordinata- ottica della ripetizione della procedura).

19.3.11. Le considerazioni sopra esposte inducono, così, a ritenere che le disposizioni sopra richiamate non siano espressive di un principio generale volto ad affermare l’immediata impugnabilità di atti preparatori e la tutelabilità immediata di interessi procedimentali, ma deroghe positivamente previste al diverso principio generale che vuole l’impugnabilità del bando per vizi che non siano immediatamente escludenti unitamente all’atto applicativo.

19.3.12. Escluso quindi che, anche tenuto conto dei commi 2 bis e 6 bis dell’ art 120 del c.p.a., si rinvengano elementi testuali, ovvero sistematici, per pervenire all’auspicato revirement, si aggiunge che vi sono profili pratici di non modesto spessore che (quantomeno de iure condito) si oppongono ad una soluzione ampliativa dell’obbligo di immediata impugnazione del bando.

Accedendo all’indirizzo evolutivo, infatti, emerge con chiarezza (tenuto conto che la espressa dizione contenuta sub art. 120 commi 2 bis e 6 bis, c.p.a. impedisce senz’altro di impugnare le clausole del bando “non escludenti” in seno a detto rito superaccelerato) che il sistema di tutela giurisdizionale subirebbe una ulteriore frammentazione, ipotizzandosi che nella fase iniziale della procedura coesistano due riti (quello “ordinario” ex art. 120 c.p.a. e quello superaccelerato, fruibili in ipotesi rispettivamente differenziate), e che essi a loro volta coesistano con le “ordinarie” impugnazioni ex art. 120 del c.p.a. investenti i provvedimenti lesivi successivi (id est: aggiudicazione, vaglio sull’anomalia, etc).

Verrebbe quindi a complicarsi un quadro già frastagliato, sino ad ipotizzare tre diverse “occasioni” in cui il medesimo giudice è chiamato a pronunciarsi sulla medesima gara: tale frammentazione non sembra giustificata dall’ emersione di un interesse reale, dovendosi qui ribadire che l’interesse dell’operatore economico ad ottenere una lex di gara che gli consenta di competere secundum legem, quando non espressamente tutelato con una norma primaria, è recessivo rispetto all’interesse di questi ad ottenere l’aggiudicazione, e che ove eventualmente resosi aggiudicatario, l’operatore non avrebbe alcun interesse a contestare una lex specialis che comunque gli ha attribuito il bene della vita cui aspirava.


19.3.13. Quanto sinora esposto consente a questa Adunanza plenaria di ribadire che, anche con riferimento al vigente quadro legislativo, debba trovare persistente applicazione l’orientamento secondo il quale le clausole non escludenti del bando vadano impugnate unitamente al provvedimento che rende attuale la lesione (id est: aggiudicazione a terzi), considerato altresì che la postergazione della tutela avverso le clausole non escludenti del bando, al momento successivo ed eventuale della denegata aggiudicazione, secondo quanto già stabilito dalla decisione dell’Adunanza plenaria n. 1 del 2003, non si pone certamente in contrasto con il principio di concorrenza di matrice europea, perché non lo oblitera, ma lo adatta alla realtà dell’incedere del procedimento nella sua connessione con i tempi del processo.

20. Conclusivamente, l’Adunanza Plenaria:

a) enuncia i principi di diritto che seguono:

I) sussiste il potere del Giudice di appello di rilevare ex officio la esistenza dei presupposti e delle condizioni per la proposizione del ricorso di primo grado (con particolare riguardo alla condizione rappresentata dalla tempestività del ricorso medesimo), non potendo ritenersi che sul punto si possa formare un giudicato implicito, preclusivo alla deduzione officiosa della questione;

II) le clausole del bando di gara che non rivestano portata escludente devono essere impugnate unitamente al provvedimento lesivo e possono essere impugnate unicamente dall’operatore economico che abbia partecipato alla gara o manifestato formalmente il proprio interesse alla procedura;

b) restituisce la controversia alla Sezione remittente ai sensi dell’art. 99, comma 4 del decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 104.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Adunanza Plenaria), non definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, enuncia i principi di diritto indicati in motivazione;

restituisce per il resto la controversia alla III Sezione, anche in punto di regolazione delle spese processuali della presente fase.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 14 febbraio 2018 con l’intervento dei magistrati:

Alessandro Pajno, Presidente
Filippo Patroni Griffi, Presidente
Sergio Santoro, Presidente
Franco Frattini, Presidente
Giuseppe Severini, Presidente
Roberto Giovagnoli, Consigliere
Claudio Contessa, Consigliere
Fabio Taormina, Consigliere, Estensore
Bernhard Lageder, Consigliere
Umberto Realfonzo, Consigliere
Silvestro Maria Russo, Consigliere
Lydia Ada Orsola Spiezia, Consigliere
Oberdan Forlenza, Consigliere

IL PRESIDENTE
Alessandro Pajno    
         
L’ESTENSORE
Fabio Taormina

IL SEGRETARIO

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