Dai servizi di interesse generale europei ai servizi pubblici nazionali: la compatibilità dei SIEG con la Costituzione Italiana
Nel nostro ordinamento l’espressione “servizi pubblici” è utilizzata in contesti e con accezioni differenti, così non automaticamente si intende la medesima funzione a seconda che questa venga utilizzata in ambito penale, amministrativo, di diritto del lavoro o di diritto pubblico dell’economia. Nell’analisi dei pubblici servizi occorre evitare l’errore metodologico di considerare la normativa europea in maniera settoriale, concentrando l’attenzione essenzialmente sul diritto derivato per valutarne l’applicabilità o meno al caso concreto, essendo piuttosto necessario un riferimento al diritto comunitario globalmente considerato, che costituisce di per sé un ordinamento dal quale ricavare principi generali, in primis quelli in tema di concorrenza, pubblicità, pluralità e confronto delle offerte. È da sottolineare come una simile impostazione risulta di fatto coincidente con quella successivamente assunta dalla Commissione europea proprio in relazione alla problematica della definizione e regolamentazione della concessione di pubblici servizi. Inoltre, occorre precisare come il nostro ordinamento non conosca unicamente l’espressione “servizi pubblici” ma anche quella “servizi di pubblica utilità” o “servizi di preminente interesse generale”, così come regolato dall’art. 1 del d.lgs. n. 261/1999, che definisce “la fornitura dei servizi relativi alla raccolta, allo smistamento, al trasporto ed alla distribuzione degli invii postali nonché la realizzazione e l’esercizio della rete postale pubblica”.
Tale ultima espressione, la cui genesi va individuata al momento della eliminazione dei monopoli legali pubblici, mediante le privatizzazioni e la liberalizzazione del mercato, introdotta nel quadro normativo italiano ad opera della legge n. 481/1995, deve intendersi nel senso che la qualificazione come “pubblica” dell’utilità dei servizi è correlata alla destinazione di questi al pubblico. Una qualificazione dunque priva delle ambiguità insite nella tradizionale locuzione di “servizio pubblico”, in cui l’elemento ermeneutico della destinazione al pubblico si fonde anche alla pubblicità del soggetto erogatore. Ciò non deve indurre, tuttavia, a ritenere che i soggetti pubblici non abbiano rilievo nell’ambito dei “servizi di pubblica utilità”, in quanto, invece, in ossequio alle disposizioni del diritto comunitario relative alla liberalizzazione dei settori interessati, questi vedono attribuirsi dalla legge funzioni di regolazione, attribuite spesso ad autorità amministrative indipendenti. In tal modo, la “mano” dello Stato continua ad avere la propria funzione anche nel settore della fornitura dei servizi qualificabili come “di pubblica utilità”, esercitando le proprie competenze a seconda dell’ambito di estensione di queste, imponendo agli operatori del mercato il rispetto delle regole della concorrenza ovvero, a seconda dei casi, la predisposizione di regole volte al conseguimento dell’obiettivo di rafforzare o incentivare la concorrenza, garantendo, nel contempo, il perseguimento di obiettivi sociali predeterminati, spesso esplicitamente ricondotti al servizio universale. Invece, nel modello del servizio pubblico, la funzione attribuita ai pubblici poteri si discosta da quella appena descritta, consistendo nel provvedere all’attività qualificata come servizio pubblico. Ciò può essere compiuto attraverso due modalità: istituendo rapporti contrattuali con un’impresa che si aggiudica la fornitura del servizio (per il tramite del contratto di servizio) ovvero assumendo esso stesso l’onere della fornitura del servizio mediante la propria organizzazione interna, variamente considerata. I due modelli non devono considerarsi come necessariamente separati, avvenendo in molti casi, nella pratica, che nell’ambito di settori dei servizi di pubblica utilità i poteri pubblici non si limitano a regolare il mercato, ma assicurano anche in prima persona lo svolgimento del sevizio (come, ad esempio, nel mercato della distribuzione del gas). Si può così affermare che l’elemento della pubblicità nel servizio pubblico necessiti, per essere individuato, di un allontanamento dalla contrapposizione storica tra teoria oggettiva e soggettiva, e da un superamento delle stesse nel senso di pervenire a una prospettiva di sintesi armonica fra le due: la qualificazione di “pubblico” riferita a un servizio deve necessariamente compenetrare l’elemento oggettivo (destinazione al pubblico del servizio) con un’accezione soggettiva dell’ente erogante (servizio fornito dallo Stato direttamente, indirettamente o mediante la definizione da parte dei pubblici poteri del regime giuridico delle attività di erogazione).
Le disposizioni a livello costituzionale che immediatamente vengono in rilievo sono quelle dell’art. 41 e soprattutto dell’art. 43. Quest’ultimo è l’alveo costituzionale in cui tradizionalmente si fa ricadere la materia dei SIEG, trattandosi, si ricorda, di norma che consente, in determinate circostanze, di riservare anche originariamente allo Stato, a enti pubblici o comunità di lavoratori o di utenti, singole imprese o intere categorie di queste. Le circostanze che consentono una siffatta impostazione risiedono, oltre che nella specificazione dei “fini di utilità generale”, anche nel “carattere di preminente interesse generale” delle imprese in questione e il fatto che ciò si riferisca a “servizi pubblici essenziali o a fonti di energia o a situazioni di monopolio”. La monopolizzazione pubblica o da parte di soggetti comunque incardinati nello Stato delle imprese veniva comunemente indicata come il massimo livello di intervento statale, il cui fondamento e i cui limiti sono individuabili nell’art. 41 della Costituzione. Questo sancisce il principio fondamentale della libertà dell’iniziativa economica privata la quale viene dichiarata, tuttavia, passibile di limitazioni ove il suo esercizio risulti incompatibile con “l’utilità sociale” o possa comportare conseguenze restrittive con riferimento “alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana”, prevedendo inoltre la possibilità che l’attività economica sia svolta tanto da soggetti pubblici quanto da privati, e che questa possa essere “indirizzata e coordinata a fini sociali”. Una disamina della giurisprudenza della Corte costituzionale in tema di monopoli pubblici rileva come interventi di cui alla previsione dell’art. 43 erano avvenuti solo per imporre una riserva di sfruttamento di giacimenti petroliferi in una data area geografica e per la nazionalizzazione dell’energia elettrica. Per il resto, le disposizioni dell’articolo in commento erano essenzialmente state utilizzate per verificare la legittimità di leggi antecedenti la Costituzione. Come rilevato da autorevole Dottrina, quella “Costituzione economica” tratteggiata dagli artt. 3, 41 e 43 della Costituzione, preordinando un disegno di raccordo tra i principi di uguaglianza, controllo dell’economia e socializzazione, non è mai stata veramente attuata, né il sindacato della Corte costituzionale sui presupposti per l’applicazione dell’art. 43 Cost. era stato particolarmente penetrante: come rilevato dalla giurisprudenza “non emerge alcun approfondimento particolare in ordine alla nozione di servizio pubblico essenziale” mentre, sotto l’aspetto dell’interesse generale, si evidenziava la tendenza “per lo più a conservare a questa nozione la naturale carica di indeterminatezza ed elasticità”. Analogamente, dalla ricognizione che la stessa Corte costituzionale, nella sentenza n. 63 del 1991, effettuava della propria produzione giurisprudenziale, risultava che il sindacato relativamente alla “utilità sociale alla quale la Costituzione condiziona la possibilità di incidere sui diritti dell’iniziativa economica privata concerne solo la rilevabilità di un intento legislativo di perseguire quel fine e la generica idoneità dei mezzi predisposti per raggiungerlo”. La Corte, per esemplificare, in tale sede cita una sentenza su una legge relativa al prezzo del pane, dove rilevava che “l’interesse pubblico primario che tale disciplina speciale mira a soddisfare è costituito dall’esigenza di salvaguardare l’equilibrio locale di mercato tra domanda ed offerta, equilibrio che in tale particolarissimo settore merceologico è stato ritenuto dal legislatore del 1956 fare aggio sulla contrapposta esigenza di tutelare il libero ed incondizionato estrinsecarsi dell’iniziativa economica privata in ragione della natura di alimento di base che rivestiva il pane”.
La disciplina costituzionale dell’economia recata dagli articoli 41 e 43 della Costituzione appare indubitabilmente compatibile con la disciplina dei SIEG: in primo luogo, anche le norme comunitarie, così come quelle nazionali, prevedono la possibilità di deroga alle norme di divieto di riconoscimento alle imprese di diritti speciali o esclusivi nonché di deroga alla disciplina sugli aiuti di stato, purché giustificata da proporzionalità della limitazione, in assenza della quale sarebbe compromessa la possibilità di fornitura del servizio di interesse economico generale.
La Corte Costituzionale nel 2010, rendendo la pronuncia di un giudizio di legittimità in via principale, ha addirittura affermato la sostanziale equivalenza tra i servizi pubblici locali di rilevanza economica e i servizi di interesse economico generale, sostenendo che entrambi gli istituti abbiano in comune sia la predetta rilevanza economica, sia la finalità sociale: Corte Cost., sent., n. 325, del 17 novembre 2010, secondo cui “Dall’evidente omologia posta da tale articolo tra «servizi pubblici locali di rilevanza economica» e «servizi pubblici di interesse generale in ambito locale» si desume, innanzitutto, che la nozione di «servizio pubblico locale di rilevanza economica» rimanda a quella, più ampia, di «servizio di interesse economico generale» (SIEG), impiegata nell’ordinamento comunitario e già esaminata al punto 6. Del resto, questa Corte, con la sentenza n. 272 del 2004, aveva già sottolineato l’omologia esistente anche tra la nozione di «rilevanza economica», utilizzata nell’art. 113 bis TUEL (relativo ai servizi pubblici locali «privi di rilevanza economica» e dichiarato costituzionalmente illegittimo dalla stessa sentenza), e quella comunitaria di «interesse economico generale», interpretata anche dalla Commissione europea nel Libro verde sui servizi di interesse generale del 21 maggio 2003. In particolare, secondo le indicazioni fornite dalla giurisprudenza comunitaria e dalla Commissione europea, per «interesse economico generale» si intende un interesse che attiene a prestazioni dirette a soddisfare i bisogni di una indifferenziata generalità di utenti e, al tempo stesso, si riferisce a prestazioni da rendere nell’esercizio di un’attività economica, cioè di una «qualsiasi attività che consista nell’offrire beni o servizi su un determinato mercato», anche potenziale (sentenza Corte di giustizia UE, 18 giugno 1998, causa C-35/96, Commissione c. Italia, e Libro verde sui servizi di interesse generale del 21 maggio 2003, § 2.3, punto 44) e, quindi, secondo un metodo economico, finalizzato a raggiungere, entro un determinato lasso di tempo, quantomeno la copertura dei costi. Si tratta dunque di una nozione oggettiva di interesse economico, riferita alla possibilità di immettere una specifica attività nel mercato corrispondente, reale o potenziale“.
Piuttosto, la compatibilità con il diritto comunitario non sarebbe certamente predicabile per quanto riguarda l’art. 43 Cost. se il suo primo comma dovesse essere inteso nel senso di rendere legittima una riserva, pubblica o comunitaria che fosse, di un’impresa o categoria di imprese per il solo fatto che, oltre ad avere “carattere di preminente interesse generale” svolgano un servizio pubblico essenziale ovvero operino in relazione a fonti di energia o siano in situazioni di monopolio, ovvero, in breve, senza che sia necessario dimostrare che solo con la riserva le imprese in questione possano adempiere la missione loro affidata.
Gianluca Barbetti nasce a Roma nel 1991. Appassionato di diritto amministrativo,ha conseguito la laurea in Legal Services con una tesi sui servizi pubblici locali, con particolare attenzione alle società partecipate. Durante il percorso di studi, ha svolto diverse attività parallele per completare la propria formazione con approcci pratici al diritto, come Moot Court in International Arbitration e Legal Research Group. E’ curatore e coautore di due opere pubblicate e attualmente in commercio.