Danno da emoderivati infetti
Con la locuzione danno da emoderivati infetti si fa riferimento ai danni alla salute derivanti dal contagio di virus quali l’HBV (epatite B), l’HCV (epatite C) e l’HIV per vaccinazioni od emotrasfusioni infette. Si tratta di un’ipotesi classica di danno lungolatente e, difatti, nei casi in esame c’è uno sfalsamento temporale tra il momento della condotta lesiva – vaccinazione o emotrasfusione infetta – e quello in cui il danneggiato si avvede di aver contratto il virus, posto che si tratta di patologie che hanno un lungo periodo di incubazione ed i cui sintomi si palesano anche a distanza di un ragguardevole lasso temprale dal contagio. Si badi che in tema di danno da emoderivati infetti il problema della responsabilità, per lungo tempo, non è stato affrontato per la mancanza di conoscenze tecnico scientifiche in grado di dimostrare con elevato grado di probabilità la derivazione causale della malattia alla trasfusione o vaccinazione. Tuttavia, man mano che il progresso rivelava il c.d. “rischio da sviluppo” connesso all’attività di trattamento, produzione, gestione e distribuzione di sangue ed emoderivati, s’impose l’intervento del Legislatore statale.
Quest’ultimo con la l. 210/1992 ha previsto, in favore dei soggetti che avessero contratto una delle malattie di cui alla tabella allegata alla legge, l’erogazione di un indennizzo, di natura tipicamente assistenziale, volto, per ciò solo, non già a ristorare il danno subito, ma a realizzare la funzione solidaristica di cui all’art. 2 della Carta Costituzionale, in attuazione anche degli artt. 32 e 38 Cost. E’ chiaro, dunque, come l’indennizzo in questione non precluda la possibilità di richiedere il risarcimento per i danni non coperti dalla somma erogata, vista la diversa natura giuridica dei due rimedi e la necessità di assicurare un completo ristoro al paziente danneggiato.
A riguardo, infatti, la Cassazione ha più volte affermato che l’indennizzo erogato ai soggetti danneggiati da vaccinazioni obbligatorie, trasfusioni ed emoderivati, di cui alla succitata l. 210/1992 è cumulabile con la pretesa risarcitoria volta ad ottenere il completo risarcimento dei danni sofferti in conseguenza del contagio. Nello specifico, nel giudizio risarcitorio promosso contro il Ministero della Salute per omessa adozione delle dovute cautele, l’indennizzo già eventualmente corrisposto al danneggiato può essere interamente scomputato dalle somme liquidabili a titolo di risarcimento del danno ( c.c. compensatio lucri cum damno), venendo, altrimenti, la vittima a godere di un ingiustificato arricchimento consistente nel porre a carico di uno stesso soggetto (il Ministero della Salute) due diverse attribuzioni patrimoniali in relazione al medesimo fatto lesivo[1]. Si badi che tale categoria di danni, i c.d. danni lungolatenti, pone una serie di problematiche e con riferimento all’individuazione del dies a quo da cui far decorrere il calcolo prescrizionale, e con riferimento alla corretta configurazione giuridica della responsabilità del danneggiante.
In primis, pare opportuno precisare, che le norme da cui prendere le mosse riguardo alla dibattuta questione della decorrenza della prescrizione si rinvengono negli artt. 2935 e 2947 c.c. e, non a caso, proprio su di esse si è concentrata la Suprema Corte di Cassazione che, già nel 2003[2], ha affermato che, con riferimento al danno da contagio per fatto doloso o colposo di un terzo, ex art. 2947, co. 1, c.c., il dies a quo della prescrizione decorre dal momento in cui il danneggiato percepisce o può percepire, secondo l’ordinaria diligenza, l’evento lesivo oltre che la sua ingiustizia. Tale pronuncia conferma il consolidato orientamento giurisprudenziale per cui il “fatto” di cui all’art. 2947, co. 1, c.c. comprende, secondo l’art. 2043 c.c., tutte le circostanze e modalità fattuali che rendono ingiusto il danno. Alla luce di ciò può dunque dirsi che il dies a quo della prescrizione non decorre né dal verificarsi dell’evento lesivo, né solo dalla percezione o percepibilità oggettiva e soggettiva del danno, quanto, piuttosto, dal momento il cui il danneggiato può, usando l’ordinaria diligenza, acquisire piena consapevolezza di tutti gli elementi costitutivi dell’illecito come, ad es., la derivazione causale del danno da una determinata condotta.
Dunque, sulla scorta di questo principio di diritto può pacificamente affermarsi che i giudici di Piazza Cavour abbiano ormai inglobato nelle norme sul termine di decorrenza della prescrizione tutti gli elementi costitutivi dell’illecito, compresi la causalità giuridica e il danno conseguenza. Tanto premesso, per quanto afferisce, invece, al corretto inquadramento della responsabilità statale, la giurisprudenza è ormai costante nel definirla di natura omissiva, per aver trascurato il controllo e la vigilanza dell’attività di raccolta e distribuzione delle sacche di plasma utilizzate per scopi terapeutici. Si tratterebbe, dunque, di una tipica ipotesi di responsabilità aquiliana, ex art. 2043 c.c., per violazione del principio generale del neminem laedere, tant’è che viene ritenuto in conferente, di contro, il riferimento all’attività pericolosa di cui all’art. 2050 c.c. A riguardo, difatti, proprio di recente la Cassazione[3] ha ribadito le argomentazioni già rese in precedenza dalle Sezioni Unite nel 2008[4], secondo cui il connotato della pericolosità è riferibile alla “pratica terapeutica della trasfusione del sangue e dell’uso” e, dunque, all’attività in sé considerata.
Tuttavia, tale requisito non si tradurrebbe in una pericolosità anche della correlata attività di controllo e vigilanza cui è tenuto il Ministero della Salute. Pertanto, l’utilizzo medico del plasma integrerebbe una condotta pericolosa in sé – posto che, com’è noto, il sangue è veicolo di infezioni – di contro, non si può affermare che anche quella del Ministero abbia i connotati della pericolosità, traducendosi essa in un’attività di prevenzione di eventuali rischi di contagio. Sicché, l’omesso svolgimento dei dovuti controlli circa una pratica in sé pericolosa si traduce in un fatto illecito fonte di danno ingiusto e responsabilità aquiliana, secondo il paradigma dettato dall’art. 2043 c.c. Infine, per amor di completezza, pare doveroso analizzare, seppur non lautamente, gli approdi giurisprudenziali, nei casi de quibus, in tema di verifica del nesso eziologico. A riguardo, secondo la Cassazione, la verifica sull’esistenza del nesso causale non può che prendere le mosse dalle conoscenze scientifiche sul rapporto tra trasfusione o vaccinazione ed infezione. In questo senso, solo tra il 1968 e il 1988 può dirsi che la scienza medica abbia fatto chiarezza sul punto e, perciò, solo da tali date l’accertamento del nesso causale può offrire risultati certi.
In altri termini, l’accertamento del nesso di causalità materiale, funzionale e prodromico all’imputazione della responsabilità per il contagio al Ministero, presuppone una valutazione preliminare sulle conoscenze scientifiche vantabili nel periodo in cui si preparava e metteva in commercio il plasma. In particolare, la giurisprudenza considera un fatto notorio che il virus dell’epatite B fu diagnosticato solo dalla fine degli anni 70’ ed ufficialmente riconosciuto dall’Organizzazione Mondiale della Sanità nel 1978.
Dunque, non si potrebbe ravvisare il nesso di causalità materiale tra la condotta omissiva del Ministero della Salute ed il contagio, con riguardo alla messa in circolazione ed utilizzo di plasma infetto in epoca anteriore alla metà degli anni 70’. La regolarità causale subirebbe, infatti, un arresto dovuto ad un evento del tutto eccezionale ed imprevedibile[5]. Così argomentando i giudici di Piazza Cavour conferiscono rilievo al requisito della prevedibilità del danno anche in tema di responsabilità aquiliana, nonostante lo stesso figuri solo con riferimento alle ipotesi di responsabilità contrattuale all’art. 1225 c.c. e non anche nella norma, ad essa speculare, dettata in tema di responsabilità extracontrattuale, ossia l’art. 2056 c.c. Seguendo le argomentazioni giurisprudenziali riferite, la prevedibilità assume rilievo, sul piano dell’accertamento del nesso causale, anche in tema di illecito extracontrattuale, in quanto, si afferma che “ciascuno è responsabile soltanto delle conseguenze della sua condotta, sia essa attiva od omissiva, che appaiono sufficientemente prevedibili al momento nel quale si è agito, escludendosi in tal modo la responsabilità per tutte le conseguenze assolutamente atipiche o imprevedibili”[6]. Ne consegue che “a partire dalla conoscenza dell’epatite B sussiste la responsabilità per il Ministero della Salute, sia pure con i limite dei danni prevedibili, anche per il contagio degli altri virus, che non costituiscono eventi autonomi e diversi, ma solo forme di manifestazione patogene dello stesso evento lesivo”[7].
FONTI.
[1] Cass., Sez. Un., 548/2008; Cass., 6573/2013.
[2] Cass., 2645/2003.
[3] Cass., 1136/2015.
[4] Cass., Sez. Un., 576/2008.
[5] Cass., 4791/2007.
[6] Cass., 1136/2015.
[7] Cass., Sez. Un., 576/2008.
Elena Ficociello nasce a Benevento il 28 luglio del 1993. Dopo aver conseguito la maturità classica presso l’istituto “P. Giannone” si iscrive alla facoltà di giurisprudenza Federico II di Napoli. Si laurea il 13 luglio del 2017, discutendo una tesi in diritto processuale civile, relativa ad una recente modifica alla legge sulla responsabilità civile dello Stato-giudice, argomento delicato e problematico che le ha dato l’opportunità di concentrarsi sui limiti dello ius dicere. A tal proposito, ha partecipato all’incontro di studio organizzato dalla Scuola Superiore della Magistratura presso la Corte di Appello di Roma sul tema “La responsabilità civile dei magistrati”. Nell’estate del 2016, a Stasburgo, ha preso parte al master full time “Corso Robert Shuman” sulla tutela dei diritti fondamentali dell’uomo, accreditato dal Consiglio Nazionale Forense, convinta che un buon avvocato, oggi, non può ignorare gli spunti di riflessione che la giurisprudenza della Corte EDU ci offre.
Adora viaggiare e già dai primi anni di liceo ha partecipato a corsi di perfezionamento della lingua inglese, prima a Londra e poi a New York, con la Greenwich viaggi.
È molto felice di poter collaborare con Ius in itinere, è sicuramente una grande opportunità di crescita poter approfondire e scrivere di temi di diritto di recente interesse.
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