sabato, Aprile 27, 2024
Di Robusta Costituzione

Ddl Calderoli: tra attuazione e compatibilità costituzionale

Ddl Calderoli: tra attuazione e compatibilità costituzionale

a cura di Francesco Lamacchia

Per la Rubrica “DI ROBUSTA COSTITUZIONE” di Ius in itinere una breve illustrazione ed un commento a caldo sul Ddl Calderoli che in questi giorni si discute in Senato ( ddl n. 615 recante Disposizione per l’attuazione dell’autonomia differenziata delle Regioni a statuto ordinario)

  1. Introduzione

La Costituzione del 1948 prevedeva, nella sua versione originaria, un’organizzazione territoriale basata sul dualismo tra Regioni ordinarie e Regioni a statuto speciale. In questo contesto interviene la riforma del Titolo V, avvenuta con la legge costituzionale n. 3/2001, con l’obiettivo di attuare l’art. 5 della Costituzione. Quest’ultimo rinviene nel pluralismo autonomistico e nel decentramento amministrativo alcuni dei principi dell’una e indivisibile Repubblica. L’attuazione di questi principi, tuttavia, passa anche per l’art. 116 comma 3 della Costituzione. In particolare, ad ogni Regione possono essere riconosciute forme e condizioni particolari di autonomia che integrano i contenuti di quella ordinaria, differenziandola in ragione delle condizioni economiche, sociali e culturali di ciascun territorio. Viene così riconosciuta la possibilità di differenziare l’autonomia riconosciuta alle Regioni ordinarie (cd. regionalismo differenziato o asimmetrico, v. infra).

In assenza di una legge di attuazione dell’art. 116 co. 3, negli anni si sono susseguiti diversi tentativi di attuazione mediante disegni di legge proposti dai diversi Governi ovvero mediante iniziative regionali[1]. Tuttavia, si è avvertita la necessità di una legge di attuazione che definisse organicamente i tempi e le modalità del negoziato tra Stato e Regione, le modalità di finanziamento delle nuove attribuzioni e così via.  L’attesa sembra giunta al termine, infatti in questi giorni si discute in Senato il ddl n. 615[2] recante Disposizione per l’attuazione dell’autonomia differenziata delle Regioni a statuto ordinario proposto dal Ministro per gli affari regionali e le autonomie Roberto Calderoli e da cui prende il nome di ddl Calderoli. Quest’ultimo, come riportato dall’art. 1, nel rispetto dei prin­cìpi di unità giuridica ed economica, indivisibilità e autonomia e in attuazione del prin­cipio di decentramento amministrativo […] definisce i princìpi generali per l’attribuzione alle Regioni a statuto ordinario di ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia in attuazione dell’articolo 116, terzo comma, della Costituzione, nonché le relative moda­lità procedurali di approvazione delle intese fra lo Stato e una Regione.

Il presente scritto analizzerà le diverse disposizioni del ddl menzionato in considerazione dei limiti impliciti, ricavabili dall’ordinamento considerato nel suo insieme, e dei limiti espliciti previsti direttamente dall’art. 116 co. 3 al fine di circoscrivere l’ambito della differenziazione regionale.

  1. Ambito dell’autonomia (differenziata)

In base all’art. 116 co. 3 Cost. le Regioni a statuto ordinario, nel rispetto dei principi perequativi di cui all’art. 119 Cost., possono richiedere ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia in determinate materie. In particolare, nelle materie oggetto di potestà legislativa concorrente, (previste all’art. 117 co. 3 Cost.) e in alcune materie di potestà legislativa esclusiva dello Stato (previste al secondo comma dell’art. 117 co. 2 Cost.: organizzazione della giustizia di pace, norme generali sull’istruzione, tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali). L’attribuzione di queste particolari forme di autonomia è basata su un procedimento legislativo rinforzato: legge approvata dalle Camere a maggioranza assoluta dei componenti, formulata in base a un’intesa fra lo Stato e la Regione interessata, previo parere degli enti locali.

In prima analisi, bisogna individuare l’ambito (rectius: contenuto) dell’autonomia[3] all’interno del quale circoscrivere l’ampliamento delle prerogative regionali ex art. 116 co. 3 Cost. In forza di un’interpretazione sistematica dell’articolo in questione, per autonomia dovrà intendersi quella che la Repubblica riconosce e promuove ex art. 5 Cost. Quest’ultima disposizione, già richiamata, se da un lato riconosce e promuove le autonomie e il decentramento, dall’altro riconosce il principio di unità giuridica ed economica che, nelle sue declinazioni di solidarietà, uguaglianza e coesione sociale, impone un bilanciamento tra istanze unitarie-solidaristiche ed istanze autonomistiche. In altre parole, l’attribuzione alle Regioni di forme e condizioni particolari di autonomia dovrà avvenire nel rispetto di tali principi.

Si tratta di un’autonomia che riguarda poteri e funzioni ed è dello stesso genus di quella di cui dispongono le Regioni a statuto speciale (art. 116 co. 1 Cost.). A tal proposito, è opportuno chiarire che, nonostante l’art. 116 co. 3 Cost. si riferisca alle Regioni a statuto ordinario, l’art. 10 co. 2 del ddl Calderoli stabilisce che Nei confronti delle Regioni a statuto speciale e delle Province autonome di Trento e di Bolzano, si applica l’articolo 10 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3. Sembrerebbe quindi delinearsi un primo contrasto tra la norma in esame e il tenore letterale dell’art. 116 co. 3 Cost[4].

In definitiva, l’art. 116 co. 3 introduce una forma di autonomia c.d. differenziata, infatti accanto alle Regioni ordinarie (che decidono di non stipulare l’intesa) e alle Regioni a statuto speciale (che sembrerebbero quindi escluse da tale disposizione) ci potranno essere Regioni ordinarie attributive di ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia.

Lo stesso art. 116 co. 3 individua i limiti alla differenziazione, quest’ultima sarà possibile esclusivamente nelle materie sopra indicate. In particolare, secondo l’interpretazione della norma in esame, la richiesta di attribuzione avanzata dalla Regione non deve essere generica e immotivata: devono essere individuate specifiche funzioni e compiti legislativi e/o amministrativi inerenti alle materie oggetto di richiesta e, inoltre, devono essere indicate le ragioni per le quali la Regione interessata ritiene di poter meglio gestire quelle funzioni e quei compiti. Di tale limite non sembra però esserci traccia nel Ddl in esame[5].

A tal proposito, laddove la Regione richiedesse, attraverso il procedimento che sarà analizzato di seguito, l’attribuzione di tutte le materie di legislazione concorrente previste dall’art. 117 co. 3 Cost. si potrebbe avere un’elusione dell’art. 138 Cost. In particolare, ammettendo tale ipotesi, si assisterebbe ad un’abrogazione tacita della categoria della legislazione concorrente ad opera della legge di intesa: ciò violerebbe i principi di revisione costituzionale[6].

  1. Il procedimento di approvazione

L’attribuzione delle particolari forme di attribuzione, come già detto, avviene mediante un’intesa della durata massima di dieci anni[7]. Per pervenire alla stipulazione delle singole intese il ddl Calderoli all’art. 2 co. 1 prevede un Procedimento di approvazione delle intese fra Stato e Regione, procedimento che ai sensi dell’art. 7 co. 1 è anche valevole per la successiva modifica delle intese già stipulate.

Il procedimento ha inizio con un atto deliberato dalla singola Regione interessata nelle forme e nei modi previsti dal proprio ordinamento statutario e sentiti gli enti locali. L’atto d’iniziativa sarà poi trasmesso al Presidente del Consiglio dei ministri e al Ministro per gli affari regionali e le autonomie, quest’ultimo acquista entro trenta giorni la valutazione dei Ministri competenti per le materie oggetto della proposta e del Ministro dell’economia e delle finanze. Tale valutazione deve essere espressa anche ai fini dell’individuazione delle necessarie risorse da assegnare ai sensi dell’art. 14 della legge n. 42/2009 (v. infra). Ricevuta la valutazione, ovvero a seguito della decorrenza del termine, prende avvio il negoziato tra Stato e Regione a cura del Presidente del Consiglio dei ministri (o del Ministro per gli affari regionali e le autonomie).

Terminato il negoziato, il Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro per gli affari regionali e le Autonomie, approva uno schema d’intesa preliminare corredato di una relazione tecnica redatta ai sensi dell’art. 17 della legge n. 196/2009. Alla riunione del Consiglio dei ministri partecipa il Presidente della Giunta regionale interessata (co. 3).

Una volta approvato lo schema d’intesa preliminare, quest’ultimo sarà trasmesso alla Conferenza unificata ex art. 9 d.lgs. n. 287/1997 per l’acquisizione del parere da rendersi entro trenta giorni dalla trasmissione. Una volta reso il parere o decorso inutilmente il termine, lo schema d’intesa preliminare è trasmesso alle Camere per l’esame da parte dei competenti organi parlamentari, che si esprimono con atti di indirizzo, entro sessanta giorni e udito il Presidente della Giunta regionale interessata (co. 4).

Concluso l’esame preliminare presso il Parlamento, anche per mero decorso del termine, il Presidente del Consiglio dei ministri (o il Ministro per gli affari regionali e le autonomie), valutato il parere della Conferenza unificata e sulla base degli atti di indirizzo (ove presenti), predispone lo schema definitivo d’intesa, lo trasmette alla Regione e quest’ultima, nell’ambito della propria autonomia e sentiti gli enti locali, lo approva. Entro trenta giorni dalla comunicazione dell’approvazione regionale, lo schema d’intesa definitivo corredato dalla relazione tecnica di cui supra, nonché del disegno di legge statale di approvazione cui essa è allegato, viene deliberato dal Consiglio dei ministri su proposta del Ministro per gli affari regionali e le autonomie (co. 5 e 6). A tale riunione partecipa il Presidente della Giunta regionale interessata. Quest’ultimo e il Presidente del Consiglio dei ministri sottoscrivono l’intesa definitiva (co. 7).

Il disegno di legge di cui supra viene trasmesso alle Camere per la deliberazione ex art. 116 co. 3 Cost. (co. 7).

Con riferimento quest’ultimo passaggio si sono posti dei dubbi di costituzionalità della norma con riferimento alla violazione delle norme sul procedimento legislativo ordinario. In particolare, essendo il procedimento di elaborazione dello schema d’intesa preliminare assorbito dalla deliberazione del Consiglio dei ministri, non ci sarebbe alcun potere di emendamento da parte del Parlamento. Di conseguenza, affinché il procedimento risulti conforme a Costituzione, deve essere riconosciuta al Parlamento la possibilità, durante la fase di approvazione, di emendare l’intesa determinando così il contenuto della legge di differenziazione[8].

Un ulteriore dubbio di costituzionalità, con riferimento alla violazione della riserva di regolamento ex art. 72 Cost., riguarda l’apposizione del termine di decadenza di sessanta giorni al Parlamento per l’adozione di atti di indirizzo. Affinché il procedimento risulti conforme a Costituzione sarebbe necessaria una modifica regolamentare per la definizione di un procedimento legislativo speciale[9].

  1. La preventiva determinazione dei LEP

Come già detto, l’art. 116 co. 3 Cost. deve essere interpretato alla luce dei principi dell’art. 5 della Costituzione e, in particolare, in base al principio di unità giuridica ed economica, quest’ultimo finalizzato al superamento delle disuguaglianze sociali e territoriali. A tal fine è la stessa Costituzione a riconoscere la competenza esclusiva dello Stato nella determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale (art. 117 co. 2 let. m) e il relativo potere sostitutivo del Governo (art. 120 co. 2).

Di conseguenza, al fine di un’attribuzione di ulteriori forme e condizioni di autonomia conforme ai principi costituzionali sarà condizione necessaria la predeterminazione dei LEP[10]. Tale necessità è alla base dello stesso ddl Calderoli che all’art. 1 subordina l’attuazione dell’art. 116 co. 3 Cost. alla preventiva determinazione dei LEP concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale e la cui individuazione rientra nella competenza esclusiva dello Stato.

In particolare, l’art. 3 disciplina l’approvazione dei LEP prevedendo che questi siano determinati da uno o più decreti del Presidente del Consiglio dei ministri (co. 1). A tal proposito, l’articolo rinvia alla procedura prevista dalla legge n. 197/2022 (legge di bilancio per il 2023) all’art. 1, co. 791-801 secondo cui la determinazione dei LEP è affidata ad un’apposita Cabina di regia costituita presso la Presidenza del Consiglio dei ministri. Quest’ultima, entro sei mesi dall’entrata in vigore della legge di bilancio, provvede a determinare i LEP. Successivamente, entro ulteriori sei mesi, predispone uno o più decreti del Presidente del Consiglio dei ministri con cui vengono determinati i LEP ed i correlati costi e fabbisogni standard nelle materie oggetto di differenziazione. In caso di mancato rispetto di tali termini il Presidente del Consiglio dei ministri nomina un commissario per svolgere le attività mancanti. Sullo schema di decreto è acquisita l’intesa della Conferenza unificata e successivamente, alla sua acquisizione o al decorso del termine di trenta giorni, lo schema di decreto è trasmesso alle Camere per l’espressione del parere da rendere entro quarantacinque giorni, decorso inutilmente tale termine il procedimento continua. All’esito di tale procedimento, il Presidente del Consiglio adotta il decreto previa deliberazione del Consiglio dei ministri (co. 2).

La predeterminazione dei LEP rileva con riferimento al trasferimento delle funzioni e delle relative risorse umane, strumentali e finanziarie alle Regioni. In particolare, ai sensi dell’art. 4, nelle materie riferibili ai LEP, così come individuate dall’art. 14 del d.lgs. n. 68/2011 (sanità, assistenza istruzione e trasporto pubblico locale), il trasferimento delle funzioni (e delle relative risorse) avviene secondo le modalità, procedure e tempi disciplinate dalle singole intese, soltanto dopo la determinazione dei medesimi LEP e dei relativi costi e fabbisogni standard. Diversamente, nelle materie non riferibili ai LEP il trasferimento delle funzioni e delle relative risorse potrà avvenire secondo le modalità, procedure e tempi disciplinate dalle singole intese nei limiti delle risorse previste a legislazione vigente, dalla data di entrata in vigore della presente legge.

In ogni caso quindi, la disciplina delle modalità, procedure e tempi per il trasferimento delle funzioni e delle relative risorse è demandata alle singole intese. In particolare, ai sensi dell’art. 5 co. 1, si prevede che le risorse umane, strumentali e finanziarie necessarie per l’esercizio da parte delle Regioni di ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia sono determinate da una Commissione paritetica Stato-Regione disciplinata dall’intesa ma di cui tale articolo ne definisce la composizione.

Se da un lato la determinazione dei LEP come precondizione ai fini dell’attribuzione di ulteriori forme e condizioni di autonomia in determinate materie è vista come un fattore di progresso dell’intero Paese in conformità al dettato costituzionale, dall’altro si avanzano diverse critiche[11].

In primo luogo, con riferimento alla natura dei LEP, la procedura prevista sembra finalizzata ad individuare le quantità di risorse finanziarie da trasferire anziché i livelli quantitativi e qualitativi delle prestazioni che lo Stato intende assicurare su tutto il territorio. I LEP, definiti dalla stessa legge di bilancio sopra richiamata come soglia di spesa costituzionalmente necessaria, si riducono così a meri indici tecnico-amministrativi serventi solo alla allocazione di risorse finanziarie.

In secondo luogo, con riferimento alla procedura di determinazione, quest’ultima prevede che la determinazione dei LEP avvenga per il tramite di uno o più atti di natura non legislativa del Governo e con la possibilità per il Parlamento di esprimere un mero parere non vincolante. Ciò sembrerebbe essere in contrasto con la previsione di cui all’articolo 117 co. 2 let. m) Cost. che attribuisce la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni alla competenza legislativa dello Stato.

  1. Il finanziamento delle nuove funzioni

L’autonomia, così come le sue ulteriori forme e condizioni, interessa anche il profilo finanziario[12]. A questo aspetto si riferisce l’art. 116 co. 3 Cost. prevedendo che l’attribuzione di ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia avvenga nel rispetto dei principi di cui all’art. 119. I principi desumibili da tale norma sono diversi, in particolare le funzioni di nuova attribuzione dovranno essere integralmente finanziate nel rispetto dell’equilibrio di bilancio e dei vincoli europei.

In attuazione di questi principi è stata emanata la legge n. 42/2009 sul cd. federalismo fiscale, recante i principi relativi ai tributi delle Regioni e ai mezzi di finanziamento delle funzioni degli enti territoriali e locali. È opportuno premettere che tale legge introduce nuovi principi in attuazione dei suddetti principi, nuovi principi la cui attuazione non è ancora completa. In questo contesto normativo, pertanto, risulta difficile trovare norme idonee a disciplinare il finanziamento delle funzioni attribuite ex art. 116 co. 3 Cost.

Ciò premesso, la legge n. 42/2009 all’art. 14 prevede che con la legge con cui si attribuiscono ex art. 116 co. 3 Cost. forme e condizioni particolari di autonomia si provvede altresì all’assegnazione delle necessarie risorse finanziarie, in conformità all’art. 119 Cost. e ai principi della presente legge. In definitiva, viene esclusa la possibilità delle Regioni di autofinanziare le nuove funzioni attribuite.

In conformità a tale norma, l’art. 5 co. 2 del ddl in esame dispone che il finanziamento delle funzioni attribuite avvenga attraverso la compartecipazione della Regione al gettito di uno o più tributi erariali nazionali riscossi sul territorio nazionale. Infatti, non risulterebbe possibile ricorrere agli ulteriori strumenti previsti dall’art. 119 Cost. quali i trasferimenti dal fondo perequativo, previsti per finalità diverse, e le entrate proprie il cui utilizzo implicherebbe una doppia imposizione sul cittadino.

Si aggiunge a tale disposizione l’art. 8 che al co. 1 dispone che dall’attuazione dell’autonomia differenziata, e quindi dalle eventuali intese stipulate, non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pub­blica. Il co. 2 ribadisce che il finanziamento dei LEP sulla base dei relativi costi e fabbisogni standard è attuato nel rispetto dell’articolo 17 della legge 31 dicembre 2009, n. 196, e degli equilibri di bilancio.

La principale perplessità su tali previsioni sta nel fatto che il finanziamento, essendo ancorato dal gettito erariale regionale, sarebbe influenzato dal ciclo economico, con il rischio di una riduzione delle risorse a fronte della riduzione del gettito erariale. In particolare, per quanto riguarda le funzioni non LEP la Regione si troverà a far fronte alle spese con minori risorse; viceversa, con riferimento alle funzioni LEP lo Stato dovrebbe intervenire ex art. 120 co. 2 Cost., vanificando così lo spirito dell’autonomia differenziata. Se, viceversa, il gettito aumenta si ritiene che la Regione potrà contare su maggiori risorse (cd. residuo fiscale) che potranno essere impiegate senza vincolo di destinazione[13]. Le conseguenze sarebbero diverse[14]. In primo luogo, si andrebbero a cristallizzare i divari territoriali, le Regioni a economia più lenta vedrebbero progressivamente ridotte le risorse destinate al finanziamento delle funzioni ordinarie. In secondo luogo, si violerebbe l’art. 53 della Costituzione in virtù del quale il concorso alle spese pubbliche secondo la propria capacità contributiva è personale e nazionale e non dipende dal luogo di residenza del contribuente.

 

[1] Per una trattazione esaustiva dell’argomento v. D. Girotto, L’autonomia differenziata delle Regioni a statuto ordinario – Tentativi di attuazione dell’art. 116, comma 3, Cost. e limiti di sistema, 2019, pp. 64-72.

[2] Il testo integrale è consultabile qui: https://www.senato.it/service/PDF/PDFServer/BGT/01372900.pdf

[3] D. Girotto, op. cit., pp. 56-57

[4] quest’ultimo dispone che «sino all’adeguamento dei rispettivi statuti, le disposizioni della presente legge costituzionale si applicano anche alle Regioni a statuto speciale ed alle province autonome di Trento e di Bolzano per le parti in cui prevedono forme di autonomia più ampie rispetto a quelle già attribuite». A tal proposito, v. Astrid, L’autonomia regionale “differenziata” e la sua attuazione: questioni di procedura e di metodo, 2023, p. 12, consultabile qui: https://www.astrid-online.it/static/upload/fina/finale—autonomia-differenziata-pos-paper-17-aprilefinal.pdf

[5]  Ivi, pp. 14-16; altri autori sostengono l’irrilevanza di una disposizione in tal senso. A tal proposito v. A. Giovanardi, Gutta cavat lapidem (si spera): ancora sui profili finanziari del regionalismo rafforzato, 2023, pp. 3-5 consultabile qui: https://www.rivistadirittotributario.it/wp-content/uploads/2023/06/Giovanardi.pdf

[6] M. Calamo Specchia, L’autonomia differenziata e la solidarietà interterritoriale: spunti di riflessione per una riforma costituzionalmente sostenibile, 2023, pp.40-41, consultabile qui: https://www.osservatorioaic.it/images/rivista/pdf/2023_5_08_Calamo_Specchia.pdf

[7] È opportuno specificare che ai sensi dell’art. 7 co. 2 Alla scadenza del termine di durata l’intesa si intende rinnovata per un uguale periodo, salvo diversa volontà dello Stato o della Regione, manifestata almeno dodici mesi prima della scadenza.

[8] M. Calamo Specchia, op. cit., pp. 38-39

[9] Ivi, p. 40

[10] A tal proposito v. Astrid, op. cit., p. 29

[11] A tal proposito v. Ivi, pag. 29 e M. Calamo Specchia, op. cit., pp. 34-37

[12] D. Girotto, op. cit., pp. 151-172

[13] A tal proposito v. A. Giovanardi, op. cit., pp. 11-17

[14] M. Calamo Specchia, op. cit., p. 42-43

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