Decreto Minniti: il daspo urbano non fermerà il disagio sociale
Il 20 Febbraio è entrato in vigore il decreto legge n. 14/2017 recante “Disposizioni urgenti in materia di sicurezza delle città” [1], ritornato al centro del dibattito politico di questi giorni perchè in discussione al Senato per essere convertito e acquisire efficacia definitiva.
La ratio della normativa che tanto ha fatto discutere è, a mio avviso, evidente già con una lettura dell’art. 4, in cui il legislatore definisce la sicurezza urbana come “bene pubblico che afferisce alla vivibilità e al decoro delle città” da perseguire “anche attraverso interventi di riqualificazione e recupero delle aree o dei siti più degradati, l’eliminazione dei fattori di marginalità e di esclusione sociale, la prevenzione della criminalità, in particolare di tipo predatorio, la promozione del rispetto della legalità e l’affermazione di più elevati livelli di coesione sociale e convivenza civile”.
Quando si scrive una legge, in particolar modo una su un argomento così delicato, bisogna scegliere con cura le parole da utilizzare; in questo caso la locuzione “anche” non fa ben sperare, anzi lascia trapelare l’idea che il mito della sicurezza e del decoro vada perseguito in prima battuta tramite gli strumenti indicati dal decreto (multe e misure restrittive della libertà personale) e “anche” – in via eventuale dunque? – attraverso iniziative di prevenzione ed inclusione sociale.
In coerenza con l’impianto del decreto, infatti, i poteri del Sindaco vengono ampliati: fino ad oggi il primo cittadino poteva, secondo la disciplina ex art. 50 del d.lgs. 297/2000, emettere ordinanze contingibili e urgenti solo nei casi di “emergenze sanitarie o di igiene pubblica”, mentre il decreto aggiunge nuove ipotesi, estendendo la possibilità di adottare ordinanze anche per “superare situazioni di grave incuria o degrado del territorio o di pregiudizio del decoro e della vivibilità urbana, con particolare riferimento alle esigenze di tutela della tranquillità e del riposo dei residenti” e il Sindaco può, inoltre, intervenire per regolare gli orari di vendita e di somministrazione di bevande alcoliche.
Tra i punti più criticati del decreto c’è l’introduzione di un c.d. daspo urbano per allontanare chiunque commetta reati contro la sicurezza della città.
Nello specifico il testo prevede che chi pone in essere condotte che “limitano la liberà accessibilità e la fruizione di infrastrutture, fisse e mobili, ferroviarie, aeroportuali, marittime e di trasporto pubblico locale, urbano ed extraurbano, e delle relative pertinenze, in violazione dei divieti di stazionamento o di occupazione di spazi ivi previsti”, chi incorre nei reati di ubriachezza (art. 688 c.p) o di atti contrari alla pubblica decenza (art. 726 c.p.) è soggetto ad una sanzione amministrativa che va dal 100 ai 300 euro ed, in aggiunta, al trasgressore viene ordinato l’allontanamento dal luogo in cui ha commesso il reato.
Tale ordine di allontanamento ha una durata prevista di 48 ore e, nel caso di mancato rispetto dell’ordine, è comminata il doppio della sanzione pecuniaria.
Le disposizioni possono applicarsi anche ad “aree urbane su cui insistono musei, aree e parchi archeologici, complessi monumentali o altri istituti e luoghi della cultura interessati da consistenti flussi turistici”, individuate dai regolamenti di polizia urbana.
Si aggiunge che nei casi di reiterazione delle condotte sopra indicate, il questore, “qualora dalla condotta tenuta possa derivare pericolo per la sicurezza”, può disporre, con provvedimento motivato, il divieto di accesso in determinate aree per un periodo non superiore a sei mesi, margine di tempo che aumenta quando chi commette il reato è un soggetto condannato con sentenza definitiva o confermata in appello, nel corso degli ultimi cinque anni, per reati contro la persona o contro il patrimonio.
Il divieto d’accesso può, inoltre, essere utilizzato dal questore per allontanare dai locali e dalle immediate vicinanze quanti siano stati condannati per vendita di sostanze stupefacenti e psicotrope; e possono essere disposte nei confronti degli spacciatori anche ulteriori misure, quale l’obbligo di presentarsi due volte a settimana presso la Polizia di Stato o i Carabinieri territorialmente competenti, il divieto di allontanarsi dal comune di residenza e l’obbligo di comparire in un ufficio di polizia negli orari di entrata ed uscita dagli istituti scolastici.
I principali destinatari del decreto Minniti sono, in realtà, tutte figure espressione del disagio sociale dei nostri tempi: mendicanti, ambulanti, parcheggiatori abusivi, ubriachi, writer che, con questi strumenti, potranno essere sanzionati o, in casi estremi, “invitati” ad allontanarsi da alcune aree urbane.
Sorge lecitamente una domanda, che prescinde dal colore politico in cui si fa rientrare il decreto legge: siamo sicuri che queste misure siano idonee a prevenire determinati fenomeni e che, per esempio, l’allontanamento non si tradurrà in un semplice spostamento da una zona urbane ad un’altra?
Il rischio concreto che si intravede tra le disposizioni di questa legge è di aver fornito uno strumento che permetterà ulteriori frammentazioni delle realtà urbane in nome del “decoro” e della “vivibilità”, divisioni che non faranno altro che aumentare le distanze – culturali e sociali – e alimentare il malessere della società.
Post scriptum: segnalo, invece, con favore la modifica dell’art. 639 del codice penale, ovvero il reato di deturpamento e imbrattamento delle cose altrui, perché persegue il principio costituzionale della “finalità rieducativa della pena”; infatti, in tal caso, il giudice il giudice potrà disporre l’obbligo di ripristino e di ripulitura dei luoghi ovvero, qualora cio’ non sia possibile, l’obbligo a sostenerne le relative spese o a rimborsare quelle a tal fine sostenute, ovvero, se il condannato non si oppone, la prestazione di attivita’ non retribuita a favore della collettivita’ per un tempo determinato comunque non superiore alla durata della pena sospesa, secondo le modalita’ indicate nella sentenza di condanna.
[1] Per il testo del decreto, clicca qui
Laureata con lode e menzione presso la Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Napoli “Federico II”, ha conseguito il dottorato di ricerca in “Internazionalizzazione dei sistemi giuridici e diritti fondamentali” presso l’Università degli Studi della Campania “Luigi Vanvitelli”. Durante gli anni di formazione, ha periodi di ricerca all’estero presso l’Università di Nantes (Francia), l’Università di Utrecht (Olanda) e il King’s College London (Regno Unito). Avvocato presso lo studio legale “Saccucci & Partners“, specializzato nel contenzioso nazionale e internazionale in diritti umani e diritto penale europeo e internazionale.
Indirizzo mail: claudia.cantone@gmail.com