Green Biotechology: la sua tutela giuridica tra privativa varietale e brevettuale
Green Biotechology: la sua tutela giuridica tra privativa varietale e brevettuale
a cura di Valeria Fantin
1. Introduzione
L’ingegneria genetica nel settore agroalimentare
La tendenza dell’uomo alla manipolazione e al miglioramento della materia vivente non affonda sicuramente radici nella storia recente.
Tra le prime tecniche ad essere impiegate vi sono quelle di crossing and selection, comprendenti ibridazione, reincrocio, selezione e mutagenesi.[1]
A partire dagli anni Settanta del secolo scorso, accanto alle tecniche di miglioramento più tradizionali, si aggiunsero delle tecnologie più sofisticate, frutto della fervente applicazione dell’ingegneria genetica sia in campo vegetale che animale.
Con lo sviluppo della Green Biotechology, che pose il problema di tutelare e garantire un ritorno di investimenti, sempre più ingenti, alle imprese operanti nel settore agroalimentare, si sentì sempre più il bisogno di rimodellare la protezione giuridica accordata, fino a quel momento, in campo vegetale alle nuove esigenze del mercato Agritech.[2]
Mentre infatti, tradizionalmente, le varietà vegetali ottenute mediante incrocio e selezione sono da sempre protette da un diritto di privativa sui generis (meno intenso rispetto allo strumento brevettuale ma attento alle esigenze di PMI impiegate nel settore agroalimentare) ora, con l’avvento della più moderne biotecnologie, il panorama sembra richiedere degli adeguamenti.[3]
Nel presente articolo si cercherà dunque di affrontare l’intricato tema della protezione giuridica del “vivente” vegetale, dei diversi regimi di tutela, in un’ottica nazionale, nondimeno, comunitaria ed internazionale.
Si approfondirà, non solo attraverso testi normativi ma anche grazie all’ausilio dell’interpretazione dottrinale e giurisprudenziale, la dibattuta zona grigia tra la materia brevettabile e ciò che invece è tutelabile ricorrendo alla privativa varietale.
L’attuale mercato Agritech: tra innovazione e concorrenza
Prima di addentrarsi nell’analisi dei profili giuridici che attengono al tema qui discusso, è fondamentale comprendere le ragioni che spingono gli interpreti a ricercare la più adeguata e bilanciata tutela giuridica.
Se, come è vero, negli ultimi decenni del XX secolo l’industria agroalimentare è stata fortemente innovata dall’applicazione dell’ingegneria genetica, non ci si deve stupire che all’originaria protezione sui generis applicata alla materia vegetale si lasci un più ampio spazio al brevetto d’invenzione, strumento più adeguato a proteggere l’investimento di risorse da parte di imprese, soprattutto colossi planetari come Monsanto o Syngenta, interessati a blindare il mercato.
Ed è proprio qui il nodo che gli interpreti mirano a sciogliere: da un lato assicurare alle imprese implicate un ritorno a fronte degli ingenti investimenti nella ricerca (possibile attraverso la concessione di titoli forti come il brevetto) e dall’altro incentivare l’innovazione ed ovviare a derive monopolistiche e anticoncorrenziali (attraverso privative più flessibili).[4]
Dall’originaria esclusione dalla brevettabilità del “vivente” contenuta nella CBE[5], si passò, attorno agli anni ’90, alla tendenza opposta. In particolare, in tutta Europa venne rilasciato un elevato numero di brevetti circa prodotti vegetali ottenuti con sistemi convenzionali (crossing and selection).[6]
Gli effetti di questo cambio di rotta si traducono in una restrizione della concorrenza[7], con la creazione di monopoli ed oligopoli e in una brusca frenata all’innovazione. Infatti, gli agricoltori e selezionatori non possono utilizzare liberamente le semenze soggette a brevetto per ulteriori selezioni o ibridazioni: la conseguenza è una contrazione della disponibilità, nonché varietà di prodotti nel mercato.[8] Effettivamente, un brevetto, può incorporare in sé diverse varietà e una singola varietà può essere blindata da diversi brevetti. I risvolti economici della concentrazione del mercato[9] si riverberano anche sul profitto degli agricoltori, costretti ad aumentare i prezzi, scaricando il costo dello sfruttamento del brevetto sui consumatori.[10]
Se, da un lato, la ricerca e l’innovazione subiscono una forte decelerazione a causa dei costi del brevetto da corrispondere al detentore, soltanto il regime brevettuale garantisce alla multinazionale un corposo ritorno d’investimento.
Compito degli interpreti e del legislatore è quello di ponderare gli interessi in gioco, individuando la protezione giuridica più congeniale agli interessi dei grandi colossi del settore Agritech e le ragioni di PMI, agricoltori, selezionatori e, in ultima battuta, consumatori.
La tendenza a sostituire la privativa varietale con lo strumento brevettuale, verificatasi in modo importante attorno agli anni Duemila su prodotti ottenuti con metodi tradizionali, coinvolse diverse multinazionali e sfociò in innumerevoli casi giurisprudenziali, che valgono come leading cases per la futura riforma della materia.
Tra i casi più recenti di concessione da parte dell’Ufficio Brevetti europeo (di seguito EPO)[13] di un brevetto alla multinazionale svizzera Syngenta, vi è quello del “peperoncino selvatico” giamaicano nel 2013. Questo, dotato di particolare resistenza agli insetti, fu oggetto di incrocio con altre varietà prodotte commercialmente. Syngenta chiese all’EPO il rilascio di un brevetto circa una caratteristica che esisteva già in natura, ottenuta con procedimento essenzialmente biologico, escluso dunque dall’alveo della brevettabilità[14]. Nonostante ciò, l’EPO concesse la privativa richiesta, alimentando così il dibattito non solo economico-sociale ma anche giuridico sul tema.[15]
2. Tutela brevettuale o varietale?
Problemi relativi alla brevettabilità del “vivente”
Il sistema brevettuale, tradizionalmente pensato come privativa atta a proteggere l’invenzione meccanica, se applicato ad altri campi del sapere, come quello chimico e biochimico, porta con sé notevoli complicazioni.
Ai sensi del Codice della Proprietà Industriale italiano[16], il brevetto protegge l’invenzione connotata da: novità, attività inventiva, industrialità e liceità.
Ed è proprio attorno ai requisiti della novità e dell’industrialità che si annidano le principali perplessità sulla brevettabilità della materia vivente.[17]
In ordine al carattere della novità, viene in luce il dibattito circa la differenza tra scoperta ed invenzione. Partendo da una delle più autorevoli definizioni normative di “scoperta”, essa si intende come “il riconoscimento di fenomeni, proprietà o leggi dell’universo fisico”.[18]
Un’invenzione, invece, contiene un quid pluris: può derivare da una scoperta ma presuppone un contributo od elaborazione da parte dell’ingegno umano.
Ed è qui che si gioca la distinzione tra i due concetti in esame: tra “product of nature”, non brevettabile in quanto carente del requisito della novità (esiste infatti già in natura) e “article of manufacture”[19], che in ragione dell’apporto dell’uomo, risulta proteggibile con privativa brevettuale.
È rilevante porre l’attenzione circa una seconda differenza tra invenzioni e mere scoperte. Queste ultime, infatti, possono potenzialmente coinvolgere una pluralità di campi per svariate applicazioni. In ragione di ciò se la scoperta fosse brevettabile comporterebbe una notevole estensione del diritto di privativa, idoneo a produrre effetti anticoncorrenziali e a scoraggiare l’innovazione e la ricerca[20].
L’invenzione, invece, rimane confinata a singole e determinate applicazioni, atta a risolvere precisi problemi tecnici: ciò risponde alla logica brevettuale, ovviando ad ogni distorsione della concorrenza.[21]
Particolari problemi, nel tema in discussione, sono condotti dalla controversa carenza di “industrialità” nella materia vivente, o meglio, da un requisito strettamente connesso alla stessa, la “riproducibilità”.[22] Invero, una volta realizzata l’invenzione, per essere tale dovrà poter essere riprodotta nuovamente e illimitatamente seguendo un procedimento scandito da diverse fasi governate dall’ingegno umano.
A queste condizioni, un’invenzione godrà di applicazione industriale e potrà accedere alla tutela brevettuale.
Per le entità microbiologiche, e per quanto concerne questo lavoro, per la materia vegetale, difficilmente sarà ottenibile una descrizione “…sufficientemente chiar[a], complet[a] perchè ogni persona esperta del ramo…”[23] possa realizzare ex novo il procedimento che ha condotto ad un determinato trovato vegetale. La materia vivente infatti, a differenza di prodotti meccanici, conserva sempre un certo margine di imprevedibilità e di capacità di autoriproduzione, indipendentemente dal contributo umano.[24]
Il dibattito, sentito non solo in Europa ma anche oltreoceano, fu oggetto di un’importante pronuncia della Corte Suprema statunitense, nota come “Diamond v. Chakrabarty case” [25]del 1980. Il nucleo del caso sottoposto alla Corte ruotava attorno alla richiesta di brevettazione di un batterio, in grado di bonificare le aree inquinate da idrocarburi.[26]
Ai sensi del §101 del Patent Act statunitense[27], la richiesta fu disattesa. Sulla scorta di molteplici ricorsi, nel 1980 la Corte Suprema si pronunciò in via definitiva, ammettendo la brevettabilità di organismi geneticamente modificati, come quello del noto caso controverso.
Il cambio di rotta si realizzò a fronte di un’apertura giurisprudenziale[28] operata direttamente sul dato normativo[29]. Nella motivazione della sentenza traspare, infatti, che il brevetto sul batterio è stato concesso in ragione del fatto che è stato prodotto un microorganismo nuovo, diverso da quello esistente in natura e teleologicamente orientato alla risoluzione di un problema “tecnico”[30]. Sulla base di ciò il DNA isolato in laboratorio rientra nella materia brevettabile; il DNA esistente allo stato naturale invece ne è escluso.[31]
La produzione giurisprudenziale in materia di brevettabilità del vivente si è dimostrata, anche recentemente, particolarmente oscillante circa le conclusioni tratte nel caso sopracitato. Sul punto risulta interessante ricordare, seppur sinteticamente, la decisione sul caso “Myriad” nel 2012/2013[32]. Qui, a fronte del precedente favorevole alla brevettabilità del vivente, la Corte mostra maggiore cautela, tendenza volta forse a frenare la privatizzazione di informazioni utili al progresso. Nel caso Myriad la Corte nega la brevettabilità di due geni (BRCA1; BRCA2) individuati ed isolati dai relativi cromosomi. Quest’attività di isolamento, agli occhi dei giudici, non risulta sufficiente ad integrare le condizioni di brevettabilità: l’apporto ingegneristico non è, nel caso di specie, così rilevante da distinguere nettamente l’invenzione dalla scoperta.
La Convenzione UPOV e i limiti introdotti dalla CBE
In ragione dei motivi esposti nei precedenti paragrafi, apparve fin da subito inopportuno proteggere ritrovati vegetali con titoli brevettuali. Occorreva, dunque, individuare un regime alternativo. Un compromesso tra antitetiche esigenze si raggiunse nel 1961 con la Convenzione internazionale UPOV[33], che vide l’Italia tra i primi stati firmatari.[34]
Peculiarità di questa nuova normativa internazionale si ravvisava nella libertà accordata ai singoli stati di attuare con strumenti autonomi il suo contenuto. Ben lontana dal regime giuridico delle invenzioni, la nuova Convenzione, offriva tutela ai trovati vegetali secondo diversi requisiti e procedure.
In Italia il recepimento avvenne con il d.P.R. n. 974/1975, che accordava, in linea con l’orientamento maggioritario precedente alla Convenzione, una protezione di stampo brevettuale.[35] L’intera materia, nel 2005, fu poi inglobata nel Codice di Proprietà Industriale[36], con l’abrogazione del d.P.R. di attuazione.
In prima battuta l’oggetto di tutela venne descritto compiutamente a livello nazionale dal CPI all’art. 100, come “…taxon botanico del grado più basso conosciuto, definito in base ai caratteri risultanti da un certo genotipo o da una certa combinazione di genotipi; distinto da ogni altro insieme vegetale in base all’espressione di almeno uno dei suddetti caratteri; considerato come un’entità rispetto alla sua idoneità a essere riprodotto in modo conforme.”
Quindi, se da un lato i brevetti tutelano prodotto e procedimento, la privativa varietale si limita solo al primo fra questi.
Sinteticamente occorre passare in rassegna anche i requisiti che la Convenzione richiede per poter accedere alla tutela varietale: novità, distinzione, stabilità ed omogeneità.[37]
La disciplina contenuta nel testo normativo in esame ben si concilia con la Convenzione sul Brevetto Europeo[38] del 1973, che all’art 53 l) b vieta la brevettabilità di varietà vegetali e animali, nonché di procedimenti essenzialmente biologici[39] volti alla produzione di piante o animali.
Il coordinamento tra la Convezione UPOV e il divieto contenuto all’art 53 l) b CBE si spiega in ragione del fatto che il testo normativo in esame risulta coevo alla versione precedente della CBE[40], la Convenzione di Strasburgo.[41]
Con la riforma della Convenzione UPOV nel 1991 sono state introdotte diverse novità. Diversamente dalla sua versione originaria del 1961, che vietava il cumulo di tutele (brevettuale e varietale), nel 1991, alla luce dell’adozione della tecnica del DNA ricombinante, venne eliminato tale divieto.
Il nuovo testo lascia gli stati firmatari liberi non solo di attuare autonomamente il recepimento, ma anche scegliere il tipo di tutela da accordare, anche in via cumulativa.
Ancora, la versione del 1991 rafforza la disciplina della privativa varietale, sia in termini di durata che di estensione dell’esclusiva, avvicinandola a quella del brevetto[42].
Qui, dove si allenta il confine tra varietà vegetale e invenzione biotecnologica, si acuisce il dibattito sul tema.
Regolamento 2100/94 CE
La convenzione UPOV del 1991, ratificata anche dall’Unione Europea nel 2005, funge da matrice per una normativa comunitaria ad hoc per la protezione di ritrovati vegetali. Si tratta del reg. n. 2100/94, oggi reg. n.15/2008.
Rispetto alla Convenzione UPOV, il Regolamento garantisce una tutela uniforme in tutto il territorio comunitario.[43]
Oltre alla Convenzione internazionale la disciplina comunitaria si intreccia anche con la legislazione dei singoli Stati membri. Ai fini del coordinamento soccorre l’art. 92 del Regolamento, che disciplina la relazione tra privativa nazionale e comunitaria. In particolare, il regime comunitario assorbe il diritto di esclusiva nazionale, eventualmente concesso successivamente. Con ciò si stabilisce il divieto del doppio grado di tutela dei trovati vegetali.
A livello nazionale, tuttavia, rimane valida la protezione accordata dal singolo Stato membro, senza inficiare la validità del titolo.[44]
Non si pongono particolari questioni sul piano del regime sostanziale, dal momento che sia il Regolamento che la disciplina nazionale discendono dalle disposizioni della Convenzione UPOV del 1991. Quindi, quanto per oggetto e requisiti necessari ad ottenere la privativa varietale, vi è assoluta identità tra i due gradi di protezione.[45]
Direttiva 98/44 CE
Il progresso nel campo dell’ingegneria genetica e la messa a punto della tecnica del DNA ricombinante hanno notevolmente esteso la possibilità di ottenere nuove varietà vegetali con metodi non convenzionali. Il qualificato apporto umano al trovato vegetale comporta la necessità di riconoscerne una tutela, forte, mediante il sistema brevettuale.[46]
Con la Direttiva n. 98/44/CE si ammette, nell’accesa discussione sulla brevettabilità della materia vegetale, che venga applicato, anche a prodotti consistenti in materiale biologico, il regime giuridico delle invenzioni.
Più in particolare, la normativa in esame definisce in modo sufficientemente esauriente cosa consideri il legislatore per “materiale biologico”. L’art. 2 così recita: per biologico si intende, “un materiale contenente informazioni genetiche, autoriproducibile o capace di riprodursi in un sistema biologico”.[47]
Segue poi quanto, agli occhi della Direttiva, risulta poter accedere al regime brevettuale. L’art. 3 statuisce la brevettabilità di invenzioni connotate da novità, industrialità e attività inventiva “anche se hanno ad oggetto un prodotto consistente in materiale biologico o che lo contiene, o un procedimento attraverso il quale viene prodotto, lavorato o impiegato materiale biologico”.[48]
Nonostante questa apertura sul fronte della materia vivente, l’art. 4 della Direttiva non mira, almeno testualmente ad eludere il contenuto dell’art 53l) b CBE, riprodotto fedelmente. Piuttosto, le disposizioni della Direttiva faranno emergere un’importante distinzione, forse prima ignorata, tra varietà vegetale e insieme vegetale.[49]
L’attuazione della Direttiva in Italia fu tutt’altro che agevole: questioni etiche ed economiche per lungo tempo alimentarono il dibattito e ne impedirono il recepimento.[50]
A fronte delle sanzioni comminate per la mancata attuazione della normativa europea, l’Italia si vide costretta ad adeguare la legislazione nazionale al suo contenuto[51].
A ben vedere la disputa sul piano etico, vertente principalmente sul timore di consentire la brevettazione del corpo umano o di sue parti, non era poi così fondata.
In base ai principi enunciati nella Direttiva non è brevettabile: qualsivoglia tecnica di clonazione umana e di utilizzazione di embrioni umani o cellule staminali, protocolli di screening genetico volti verso finalità eugenetiche e non diagnostiche, mere sequenze di DNA.[52]
Dalla lettura dei Considerando della Dir. 98/44, si evince che la ratio del legislatore comunitario ruota attorno ad urgenti esigenze economiche. Infatti, impedire la brevettazione di tecniche d’ingegneria genetica ed in generale di materia vivente, ha fortemente penalizzato la competitività di imprese europee rispetto ai grandi colossi del Biotech statunitensi.[53]
Discrimen tra i due regimi di protezione giuridica
Alla luce dei testi normativi ricordati e dei relativi principi ispiratori, non sarà difficile delineare un confine tra la materia brevettabile e quella proteggibile con una privativa sui generis.
Leading case nel processo di distinzione tra i due diritti di esclusiva è senza dubbio la decisione sul caso Novartis-Transgenic Plants (1999).[54] La controversia verteva sulla richiesta da parte di Novartis di consentire l’accesso alla tutela brevettuale ad alcune sequenze di DNA ricombinante circa piante transgeniche.[55]
In Novartis II, l’EBA statuisce la brevettabilità di tutti i procedimenti che comportino almeno una fase tecnica, non esclusivamente naturale.[56]
Nel caso in cui si qualifichi il procedimento come “essenzialmente biologico” la tutela da apprestare sarà quella varietale.
Tuttavia, è rilevante precisare che come procedimento biologico, non si intende strettamente quello comunemente definito di “crossing and selection”. Infatti, con lo sviluppo dell’ingegneria genetica, difficilmente i processi di incrocio e selezione escludono integralmente l’apporto tecnico dell’uomo. Sarà sempre necessario ricorrere a laboratori specializzati nel selezionare ed ibridare materia vegetale attraverso marcatori molecolari.
Alla luce di queste considerazioni il discrimen in esame non è basato sulla natura del procedimento volto ad ottenere un prodotto vegetale, bensì sulla qualificazione del patrimonio genetico del vegetale ottenuto.
Più in particolare, se il procedimento di incrocio e selezione conduce ad un vegetale con genoma determinato dall’unione di due individui-genitori e la risultante è la medesima che si avrebbe avuto senza intervento umano, allora il prodotto non sarà proteggibile con brevetto ma con privativa varietale.
Diversamente nel caso in cui risulti un’alterazione del patrimonio genetico non altrimenti ottenibile se non con l’impiego di tecnologie, più o meno sofisticate, allora quel trovato vegetale è tutelabile con un titolo brevettuale.[57]
Conformemente con il contenuto della CBE all’art. 53l) b si esclude la brevettabilità delle varietà vegetali, definite come “un insieme vegetale di un taxon botanico del grado più basso conosciuto”[58].
Dinanzi ai continui sviluppi della tecnologia agroalimentare, ai sensi della Direttiva 44/98/CE, si riconoscono come invenzioni con oggetto piante o animali “se l’eseguibilità tecnica dell’invenzione non è limitata ad una varietà vegetale o razza animale”.[59]
In sostanza, il sistema brevettuale potrà applicarsi solo se la modifica apportata riguarderà insiemi vegetali, taxon botanici, più ampi rispetto alla singola varietà, vale a dire: famiglie, generi etc.[60]
Ciò si deduce dalla lettura dei Considerando 29-32 della Dir. 98/44/CE. La normativa a protezione degli artefatti vegetali si applica solo per varietà le cui caratteristiche sono determinate in base all’intero patrimonio genetico. Diversamente, per classi tassonomiche superiori alle varietà caratterizzati dall’alterazione o introduzione di un singolo gene, si applica la disciplina delle invenzioni biotecnologiche[61].
Ora, individuato il discrimen tra ritrovati vegetali sottoposti all’uno o all’altro regime di esclusiva, occorre interrogarsi sui vantaggi/svantaggi che i due titoli portano con sé.
Il fatto di poter accedere a due sistemi di protezione, almeno in potenza, garantisce a quei trovati, esclusi dalla brevettabilità per carenza di requisiti, di ottenere comunque tutela. Esemplificando, nel caso in cui una varietà manchi del requisito di originalità, comunque è ad essa applicabile la privativa sui generis, purché questa si distingua in modo preciso dalle altre finora conosciute.
In altri termini, l’esclusiva varietale gode di un regime più semplice e meno rigoroso in termini di requisiti, nonché più attento agli interessi del costitutore. In particolare, questa si estende anche al materiale della raccolta e al materiale derivato dalla stessa: prerogative di cui non gode il detentore di brevetto d’invenzione. [62]
Anche la durata del diritto di esclusiva è più estesa rispetto a quella riservata alle invenzioni: vent’anni dalla data di concessione, trenta per alberi e viti. Inoltre, il favor del legislatore per questa singolare tutela permette al costitutore di prolungare al massimo di altri cinque anni la privativa su generi e specie precisamente individuati.[63] Per il titolo brevettuale invece il dies a quo decorre dalla data del deposito della domanda.
Alla luce di queste delucidazioni si comprende appieno come, seppur tutt’oggi ci siano zone griglie, ambigue, che rendono poco agevole il lavoro dell’interprete, grazie all’attività dottrinale e giurisprudenziale i tratti delle due discipline sono più lampanti.
Interferenze tra brevetto e privativa varietale: le licenze obbligatorie
In un quadro così artificioso non c’è da stupirsi che si realizzino commistioni tra diritti di esclusiva.
Per ovviare ad effetti di sbarramento ad opera di titoli brevettuali su insiemi vegetali, si accede al meccanismo contrattuale delle licenze obbligatorie. Si tratta di veri e propri schemi negoziali volti ad assicurare tanto la ricerca di base, quanto quella di selezione.
Nella pratica, un brevetto biotecnologico può essere sfruttato attraverso e a seguito della corresponsione di un compenso al titolare della privativa: così il selezionatore di nuova varietà si troverà dipendente dall’invenzione biotecnologica altrui. Costui, tuttavia, potrà regolare il rapporto con il detentore del brevetto con un sistema di licenze, modulandone la portata.[64]
Il cuore del contratto di licenza su una privativa è costituito dalla clausola di Grant, che definisce gli aspetti più rilevanti. Tra questi: le attività che il licenziante permette al licenziatario, il territorio, la durata e i soggetti a cui viene concesso il titolo.[65]
La previsione normativa si riscontra all’art. 12 della Dir. 98/44/CE. Nel dato positivo si individua anche il carattere reciproco della licenza al costitutore: infatti, in caso di concessione della licenza, il detentore del brevetto potrà richiedere una licenza reciproca a condizioni eque per poter sfruttare la varietà.
Nonostante il legislatore comunitario abbia ammesso la possibilità di interazione tra le due privative, dal 2012 ad oggi nessuna licenza obbligatoria incrociata è stata richiesta.[66]
Con lo sviluppo del settore, si sono evoluti anche gli schemi contrattuali utilizzati, non solo tra detentore di brevetto biotecnologico e selezionatore ma anche nel rapporto selezionatore/agricoltore.
Tra i principali vi è il contratto di leasing, sempre a fronte della corresponsione di un canone; i contratti integrati tra più operatori della filiera; il contratto di produzione per conto, ove non c’è alcun effetto traslativo della proprietà del trovato vegetale quanto invece un obbligo di consegna del raccolto da parte dell’agricoltore al licenziatario.[67]
Questi strumenti negoziali permettono a tutti gli operatori economici di poter beneficiare del prodotto, sia esso invenzione o trovato vegetale, senza sacrificio per gli anelli più deboli della catena (specie gli agricoltori) e impedendo brusche frenate all’innovazione.
3. Conclusioni
Con riguardo a quanto esposto si può agevolmente affermare che, negli anni, il legislatore, adiuvato dalla dottrina e dalla giurisprudenza, ha individuato delle linee guida sempre più precise per discernere ciò che della materia vivente è brevettabile e cosa invece è escluso da tale regime. Da evidenziare anche come, grazie ad un’attività di armonizzazione, gli ordinamenti si siano reciprocamente influenzati, talvolta concedendo, talvolta sbarrando l’accesso a regimi di tutela.
Come è già stato messo in luce, le due privative in esame rispondono a finalità socio-economiche diverse: l’una a protezione dell’inventore, l’altra dell’agricoltore; l’una dell’investimento, l’altra dell’innovazione e della concorrenza. Occorre chiedersi dunque se con lo sviluppo del Biotech possano considerarsi superflui due sistemi di tutela. Ciò in ragione del fatto che l’invenzione biotecnologica gode di una protezione particolarmente forte ai sensi della Biotech Directive comunitaria. Sicuramente un tentativo di uniformare il regime di tutela dei trovati vegetali, a livello europeo e internazionale, c’è stato.[68] Da sottolineare anche come non sia necessario eliminare l’uno o l’altro regime, potendo ammettere una convivenza pacifica attraverso la prassi delle licenze obbligatorie incrociate. Nessun operatore economico ne risulterebbe pregiudicato, garantendo un sistema bilanciato ed equo.[69]Gli orientamenti sono sul punto discordanti. Una prima posizione, piuttosto radicale, sostiene la soppressione della tutela varietale, ampliando così le maglie del brevetto.[70]
Secondo una diversa impostazione dovrebbe consentirsi la brevettazione di procedimenti biotecnologici ma mantenendo la possibilità’ di proteggere trovati vegetali con metodi convenzionali attraverso un diritto di esclusiva sui generis. [71]Alla luce della legislazione attuale, tuttavia, risulta difficile pensare ad una completa sovrapposizione dei due regimi: differenze sostanziali e procedurali non sono ancora state appianate. Escludere l’una o l’altra tutela implica maggior difficoltà per l’inventore, piuttosto che per il selezionatore, nel proteggere il proprio trovato vegetale.
In attesa di individuare di guidelines più precise in grado di adattare il regime giuridico di tutela all’avanzamento in campo biotecnologico, è opportuno, ai fini di orientarsi nella normativa stratificata, fissare la linea di confine tra prodotto vegetale ottenuto con metodi tradizionali (che l’uomo mutua dalla natura) e artefatti realizzati con procedimenti propri dell’alta ingegneria genetica.
[1] Maiano, Profili comparati nell’evoluzione del sistema brevettuale. Le biotecnologie alimentari, 2016-2017 (Tesi di Dottorato P.2)
[2] Francesca Morri, Nuovi brevetti e varietà vegetali, Jovene Editore 2012
[3] Sul punto, Markus Lenben, The overlap between patent and plant variety protection for transgenic plants: problems and solutions, 2006
[4] Maiano, Profili comparati nell’evoluzione del sistema brevettuale. Le biotecnologie alimentari, 2016-2017 (Tesi di Dottorato P.2)
[5] Art 53l) b Convenzione sul Brevetto Europeo, 1973
[6] Vedi “Tomato Case”, 2012 e “Broccoli Case”, 2013
[7] Con conseguente contrazione dello spazio per le PMI
[8] www.prospecierara.ch, Brevetti sulle sementi-natura privatizzata
[9] Delle sementi in particolare
[10] Christoph Then, Ruth Tippe, No patents on Seeds!, 2014
[11] L’ areogramma mostra come le 5 multinazionali più influenti nel mercato semenziero occupino il 60% della quota di mercato globale. I dati sono tratti da “L’industria dei brevetti sta prendendo il controllo sul nostro cibo?”, No patents on seeds!, 2014 (www.no-patents-on-seeds.org)
[12] Il grafico descrive l’aumento di richieste e di concessioni di brevetti da parte di EPO su vegetali ottenuti con metodi di crossing and selection dal 1980 al 2015. I dati sono tratti da classificazioni ufficiali IPC A01H o C12N001582
[13] European Patent Office
[14] Art 53b CBE, 1973
[15] EP 2140023, 2013
[16] Artt.46 ss. CPI
[17] Ghidini-Hassan, Biotecnologie, novità vegetali e brevetti, Giuffrè Editore, 1990
[18] Definizione tratta dal Trattato sul riconoscimento internazionale delle scoperte scientifiche, 1978
[19] Maiano, Profili comparati nell’evoluzione del sistema brevettuale. Le biotecnologie alimentari 2016-2017 (Tesi di Dottorato P.2)
[20] Per approfondimento sugli effetti socio-economici v. §1)l.b
[21] Ghidini-Hassan, Biotecnologie, novità vegetali e brevetti, Giuffrè Editore, 1990
[22] Ivi, A.7
[23] Art 28 l.i.
[24] Ghidini-Hassan, Biotecnologie, novità vegetali e brevetti, Giuffrè Editore, 1990
[25] US Supreme Court, Diamond v. Chakrabarty, 447 U.S. (1980)
[26] Maiano, Profili comparati nell’evoluzione del sistema brevettuale. Le biotecnologie alimentari, 2016-2017 (Tesi di Dottorato P.2)
[27] Che vietava la brevettabilità di “products of nature”
[28] Ad opera della United States Court of Customs and Patent Appeals
[29] §101 Patent Act
[30] Maiano, Profili comparati nell’evoluzione del sistema brevettuale. Le biotecnologie alimentari, 2016-2017 (Tesi di Dottorato P.2)
[31] Andrea Stazi, Invenzioni biotecnologiche e limiti della brevettabilità tra recenti evoluzioni della giurisprudenza statunitense e la prospettiva europea dei diritti fondamentali: verso un indirizzo occidentale comune, Riv.Dir.Ind, 2014;
[32] U.S. Supreme Court, Myriad Case, 2012-2013
[33] Union pour la Protection des Obtentions Vegètables; l’ultima versione del testo risale 1991
[34] Maiano, Profili comparati nell’evoluzione del sistema brevettuale. Le biotecnologie alimentari, 2016-2017 (Tesi di Dottorato p.2)
[35] Francesca Morri, Nuovi brevetti e varietà vegetali, Jovene Editore, 2012. Rispetto al sistema brevettuale tuttavia, anche i più ferventi sostenitori della sua applicazione, riscontravano delle peculiarità inconciliabili con il titolo di privativa
[36] Artt 100-116 CPI; Art 81 quater CPI etc
[37] Francesca Morri, Nuovi brevetti e varietà vegetali, Jovene Editore, 2012. Si richiamano gli artt. 6-9, Convenzione UPOV
[38] Testo normativo che deriva dalla Convenzione di Strasburgo del 1963
[39] Digressione sulla nozione di “procedimento essenzialmente biologico” v. C.II,§e
[40] Art 2 Convenzione di Strasburgo
[41] Markus Lenben, The overlap between patent and plant variety protection for transgenic plants: problems and solutions, 2006
[42] Ivi
[43] Francesca Morri, Nuovi brevetti e varietà vegetali, Jovene Editore, 2012
[44] Ivi
[45] Francesca Morri, La privativa varietale comunitaria, Riv.Dir.Ind, 2011
[46] Cesare Galli, Problemi in materia di invenzioni biotecnologiche e di organismi geneticamente modificati, Riv. Dir. Ind. 2002; v. Considerando 9, Dir. 98/44 CE
[47] Art. 2, Dir. 98/44 CE
[48] Art. 3 Dir.98/44 CE
[49] Maiano, Profili comparati nell’evoluzione del sistema brevettuale. Le biotecnologie alimentari, 2016-2017 (Tesi di Dottorato P.2). L varietà vegetali otterranno protezione ai sensi del Reg. n.2100/94 CE, gli insiemi vegetali ai sensi della Direttiva 98/44 CE
[50] Ne fu richiesto l’annullamento alla Corte di Giustizia dell’UE da parte di stati come Norvegia, Olanda e Italia
[51] Attraverso L. 78/2006
[52] V. art 4, L. 78/2006
[53] da “L’industria dei brevetti sta prendendo il controllo sul nostro cibo?”, No patents on seeds!, 2014 (www.no-patents-on-seeds.org); [53] Maiano, Profili comparati nell’evoluzione del sistema brevettuale. Le biotecnologie alimentari, 2016-2017 (Tesi di Dottorato P.2)
[54] Decisione espressa in seno a Enlarged Board of Appeal (EPO)
[55] Markus Lenben, The overlap between patent and plant variety protection for transgenic plants: problems and solutions, 2006
[56] Cesare Galli, Problemi in materia di invenzioni biotecnologiche e di organismi geneticamente modificati, Riv. Dir. Ind. 2002
[57]EPO, G0002/07, www.epo.org
[58] Art. 100 CPI
[59] Art. 4.2 Dir 44/98/CE
[60] Francesca Morri, Nuovi brevetti e varietà vegetali, Jovene Editore, 2012
[61] Dir. 98/44/CE
[62] Francesca Morri, Nuovi brevetti e varietà vegetali, Jovene Editore, 2012
[63] Ivi
[64] Francesca Morri, Nuovi brevetti e varietà vegetali, Jovene Editore, 2012
[65] Francesca Morri, Tutela e valorizzazione delle nuove varietà vegetali, 2015
[66] Uibm.gov.it, Invenzioni e varietà vegetali: questioni aperte, 2017
[67] Francesca Morri, Tutela e valorizzazione delle nuove varietà vegetali, 2015
[68] Markus Lenben, The overlap between patent and plant variety protection for transgenic plants: problems and solutions, 2006
[69] Ivi
[70] Di Cataldo, Biotecnologie e Diritto, 2003
[71] Parvin, Patentability of plants: technical and legal aspects, Journal of Intellectual property rights, 2009
Bibliografia e sitografia
- Ghidini-Hassan, Biotecnologie, novità vegetali e brevetti, Giuffrè Editore, 1990;
- Francesca Morri, Nuovi brevetti e varietà vegetali, Jovene Editore, 2012;
- Markus Lenben, The overlap between patent and plant variety protection for transgenic plants: problems and solutions, 2006;
- Di Cataldo, Biotecnologie e Diritto, 2003;
- Parvin, Patentability of plants: technical and legal aspects, Journal of Intellectual property rights, 2009;
- Maiano, Profili comparati nell’evoluzione del sistema brevettuale. Le biotecnologie alimentari, 2016-2017 (Tesi di Dottorato P.2);
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- 98/44/CE;
- Cesare Galli, Problemi in materia di invenzioni biotecnologiche e di organismi geneticamente modificati, Riv. Dir. Ind. 2002;
- Andrea Stazi, Invenzioni biotecnologiche e limiti della brevettabilità tra recenti evoluzioni della giurisprudenza statunitense e la prospettiva europea dei diritti fondamentali: verso un indirizzo occidentale comune, Dir.Ind, 2014;
- Francesca Morri, La privativa varietale comunitaria, Riv.Dir.Ind, 2011;
- Convenzione sul Brevetto Europeo, 1973;
- S. Supreme Court, Myriad Case, 2012-2013;
- US Supreme Court, Diamond v. Chakrabarty, 447 U.S. (1980)
- EP 2140023, 2013;
- Convenzione UPOV, 1961;
- 2100/94/CE;
- EPO, G0002/07, www.epo.org;
- “L’industria dei brevetti sta prendendo il controllo sul nostro cibo?”, No patents on seeds!, 2014 (no-patents-on-seeds.org);
- gov.it, Invenzioni e varietà vegetali: questioni aperte, 2017;
- www.prospecierara.ch, Brevetti sulle sementi-natura privatizzata.