venerdì, Aprile 19, 2024
Uncategorized

La Cassazione torna sulla rilevanza dell’errore sull’età della vittima nei reati sessuali Cass. Pen. Sez. III, sentenza n. 47293, 28 ottobre 2021 (dep. 30 dicembre 2021)

A cura dell’Avv. Giacomo Cossavella

 

  1. Il caso.

Nella vicenda portata all’attenzione della Suprema Corte, tre imputati sono stati condannati per il reato, loro rispettivamente ascritto, ex art. 609 quater, comma IV c.p., per aver compiuto atti sessuali con minore di anni quattordici.

I tre interponevano ricorso per cassazione avverso la Sentenza pronunciata dalla Corte d’Appello di Napoli che, in parziale riforma di quella resa dal Tribunale di primo grado, aveva ridotto la pena complessivamente inflitta, confermando, nel resto, il Provvedimento del primo Giudice.

Dei plurimi motivi di censura dedotti dalle Difese, risultano particolarmente meritevoli di attenzione quello concernente la mancata assunzione di una prova decisiva (ossia la mancata acquisizione, richiesta con l’atto di appello, di alcuni registri) e quello relativo alla violazione di legge e di motivazione, per quanto riguarda il mancato riconoscimento dell’ignoranza inevitabile sull’età della persona offesa ex art. 609 sexies c.p.

 

  1. La rinnovazione dell’istruttoria in appello: no a richieste “esplorative”.

Il primo dei due motivi di ricorso testé richiamati, concerne la mancata acquisizione, da parte del Giudice d’appello, di alcuni “registri presenza” detenuti dall’hotel in cui è stato commesso il reato; ciò, secondo la tesi della Difesa, sarebbe stato decisivo al fine di contestare la veridicità delle dichiarazioni rese dalla persona offesa.

La Suprema Corte ha giudicato tale motivo di doglianza manifestamente infondato, posto che “oggetto della richiesta di rinnovazione non è stata l’acquisizione ma la ricerca della prova documentale mediante un’attività volta all’acquisizione degli elenchi” ([1]).

In particolare, si sottolinea come “la rinnovazione ex art. 603 c.p.p. riguarda o la riassunzione di prove già acquisite in dibattimento o l’assunzione di prove nuove: ove si tratti di documenti, l’assunzione della prova nuova consiste esclusivamente nella produzione dell’atto, non nella sua ricerca” ([2]).

Il ragionamento sviluppato dai Giudici, parte dalla considerazione che la rinnovazione dell’istruzione dibattimentale sia un istituto di carattere eccezionale, una vera e propria “anomalia statistica” ([3]), al quale il Giudice d’appello deve ricorrere allorché non sia in grado di decidere allo stato degli atti.

Una tale impossibilità sussiste unicamente quando i dati probatori già acquisiti siano incerti, nonché quando l’incombente richiesto sia decisivo, nel senso che sia in grado di eliminare incertezze ovvero sia, di per sé, oggettivamente idoneo ad inficiare ogni altra risultanza ([4]).

Con specifico riguardo alla prova documentale, la giurisprudenza, oltre a ribadire la necessità che ogni acquisizione venga compiuta, a pena di inutilizzabilità ex art. 526, comma I, c.p.p., sempre con il rispetto del contraddittorio ([5]), è ormai costante nell’affermare che ogni (nuovo) ingresso di documenti nel giudizio di appello, pur non implicando necessariamente l’adozione di una formale ordinanza di rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale, postula pur sempre che la prova richiesta sia, per un verso, “rilevante e decisiva rispetto al quadro probatorio in atti” ([6]) e, per altro verso, sia dotata di una capacità dimostrativa autosufficiente.

Calando tali principi di ordine generale nella vicenda in esame, la Suprema Corte ha rilevato come, a ben vedere, il ricorrente non abbia chiesto al Giudice di secondo grado l’acquisizione di una prova documentale in sé e per sé, domandando, invece, il compimento di un’attività di ricerca della prova medesima.

Trattasi, con tutta evidenza, di mezzo istruttorio dall’esito (per definizione) incerto, non conoscendosi il contenuto del documento che avrebbe dovuto acquisirsi, né gli effetti che il medesimo avrebbe potuto spiegare sul piano probatorio.

La richiesta di rinnovazione è stata, pertanto, giudicata inammissibile perché meramente esplorativa, in quanto non volta alla produzione di un dato certo ([7]), ma volta ad accertare se il ricorrente fosse presente nell’albergo e, conseguentemente, sondare l’attendibilità delle dichiarazioni rese della persona offesa.

In più, aggiungono i Giudici, la Corte d’Appello risulta aver adeguatamente motivato in ordine alla completezza del materiale istruttorio e sull’assenza del carattere di novità della prova di cui si è chiesta l’acquisizione (peraltro indicando tutte le fonti di prova a carico), escludendo, quindi, i presupposti per la rinnovazione ex art. 603 c.p.p.

 

  1. La ritenuta sussistenza dell’errore sull’età della vittima.

Con altro e distinto motivo di ricorso, si deduce il mancato riconoscimento dell’art. 609 sexies c.p., la cui attuale formulazione prevede che “quando i delitti previsti negli articoli 609 bis, 609 ter, 609 quater, 609 octies e 609 undecies sono commessi in danno di un minore degli anni diciotto, e quando è commesso il delitto di cui all’articolo 609 quinquies, il colpevole non può invocare a propria scusa l’ignoranza dell’età della persona offesa, salvo che si tratti di ignoranza inevitabile”.

Nel caso in esame, la persona offesa si sarebbe presentata in chat ad un imputato, affermando di avere 14 anni e svelando solo dopo l’incontro la sua reale condizione, mentre ad altro imputato la ragazza non avrebbe mai rivelato la sua età e l’errore sarebbe stato determinato dall’atteggiamento “disinvolto” sulla sessualità e dall’iniziativa presa dalla stessa persona offesa per concordare un incontro a fini sessuali.

Aggiungono le Difese che la ragazza sarebbe stata di per sé dotata di caratteristiche fisiche che avrebbero indotto gli imputati a ritenere vera l’età dichiarata.

Ebbene, anche tale motivo di doglianza è stato ritenuto manifestamente infondato e, per l’effetto, rigettato.

  • Ignoranza dell’età della persona offesa: l’evoluzione normativa.

L’art. 609 sexies c.p., testé richiamato, regola i limiti in cui può rilevare l’ignoranza dell’età della persona offesa in talune fattispecie delittuose commesse contro la libertà personale – e, segnatamente, gli artt. 609 bis, 609 ter, 609 quater, 609 quinquies, 609 octies e 609 undecies c.p. – ponendo una regola di portata generale (ossia l’inescusabilità dell’ignoranza dell’età della persona offesa), a cui si accompagna una eccezione (ossia la scusabilità nell’ipotesi di ignoranza inevitabile).

La disposizione originaria, introdotta dall’art. 7, Legge n. 66/1996, prevedeva che quando il delitto di violenza sessuale (anche nella sua forma aggravata, posto in essere con minorenni o realizzato in un contesto “di gruppo”) o quello di corruzione di minorenne, fossero stati commessi in danno di persona minore degli anni quattordici, il colpevole non avrebbe mai potuto invocare, a propria scusa, l’ignoranza dell’età della persona offesa.

La fermezza di tale affermazione è stata mitigata per effetto dell’art. 4, Legge n. 172/2012 che, pur avendo esteso l’applicazione del principio fino al diciottesimo anno di età del minore e pur avendo ampliato il novero dei delitti in relazione ai quali esso si applica ([8]), ha espressamente fatto salvo il caso di ignoranza inevitabile dell’età della persona offesa.

Per vero, già prima di tale ultima modifica, la Corte Costituzionale venne chiamata a pronunciarsi in ordine alla compatibilità della norma (che ancora non prevedeva alcuna deroga alla ignoranza sull’età della vittima) con l’art. 27, commi I-III Cost.

Con la Sentenza n. 322 del 24 luglio 2007, la questione venne giudicata inammissibile, in aderenza alla giurisprudenza precedente sia sull’art. 539 c.p. ([9]), sia sul principio di personalità della responsabilità per fatto proprio colpevole, sancito dall’art. 27, comma I, Cost. ([10]), nonché valorizzando le Convenzioni internazionali a cui l’Italia aveva aderito ([11]).

In particolare, la Corte costituzionale ha ritenuto che la norma dovesse essere interpretata dando rilevanza scusante all’errore incolpevole sull’età, dal momento che “il giudizio di inevitabilità dell’errore postula in chi si accinga al compimento di atti sessuali con un soggetto che appare di giovane età un impegno conoscitivo proporzionato alla pregnanza dei valori in gioco, il quale non può certo esaurirsi nel mero affidamento nelle dichiarazioni del minore: dichiarazioni che secondo la comune esperienza, ben possono risultare mendaci. E ciò fermo restando, ovviamente, che qualora gli strumenti conoscitivi e di apprezzamento di cui il soggetto dispone lascino residuare il dubbio circa l’effettiva età del partner, detto soggetto, al fine di non incorrere in responsabilità penali, deve necessariamente astenersi dal rapporto sessuale: giacché operare in situazioni di dubbio circa un elemento costitutivo dell’illecito (o un presupposto del fatto) – lungi dall’integrare una ipotesi di ignoranza inevitabile – equivale ad un atteggiamento psicologico di colpa, se non addirittura di dolo eventuale”.

Con la successiva novella del 2012, il Legislatore ha formalmente recepito tali postulati, modificando l’art. 609 sexies c.p. con l’aggiunta dell’inciso “il colpevole non può invocare a propria scusa l’ignoranza dell’età della persona offesa, salvo che si tratti di ignoranza inevitabile” ([12]).

  • L’irrilevanza dell’errore scusabile nel caso di specie.

La giurisprudenza successiva alla citata sentenza della Corte costituzionale, si è dimostrata particolarmente severa nel riconoscere cittadinanza all’art. 609 sexies c.p., ritenendo sufficiente ad integrare l’ignoranza (o anche solo l’erronea rappresentazione della stessa), una condotta improntata a disattenzione, ad avventatezza o a superficialità dell’agente.

In proposito, è stato più volte ribadito che, in tema di reati contro la libertà sessuale, commessi in danno di persona minore degli anni quattordici, “l’ignoranza da parte del soggetto dell’età della persona offesa scrimina la condotta solo qualora egli, pur avendo diligentemente proceduto ai dovuti accertamenti, sia indotto a ritenere, sulla base di elementi univoci, che il minorenne sia maggiorenne; ne consegue che non sono sufficienti le sole rassicurazioni verbali circa l’età fornite dal minore, o da terzi, soprattutto se fornite in maniera ambigua” ([13]).

E non potrebbe essere altrimenti, dal momento che il disvalore della condotta dei reati in esame è tutto incentrato sul corretto sviluppo della personalità del minore, il quale, essendo fino all’età adolescenziale in via di formazione, è stato ritenuto meritevole di una protezione assoluta sotto il profilo dell’integrità psico-fisica.

Conseguentemente, spetta all’agente attivarsi per superare l’eventuale condizione di ignoranza dell’età del minore, che non può fondarsi soltanto sulla dichiarazione della vittima di avere un’età superiore a quella effettiva, essendo richiesto, a chi si accinga al compimento di atti sessuali con un soggetto che appare di giovane età, un dovere di informazione qualificato ([14]).

L’autore materiale della condotta, quindi, potrà andare esente da responsabilità unicamente quando riesca a dare prova – o almeno alleghi elementi specifici che consentano una verifica in tal senso – di aver agito presupponendo una realtà diversa da quella effettiva.

Proprio in ciò, conclude la Sentenza in commento, starebbe la manifesta infondatezza ricorso e la correttezza della decisione dei Giudici di secondo grado: i ricorrenti hanno invocato l’applicazione dell’art. 609 sexies c.p., non indicando, però, quali siano stati i diligenti e dovuti accertamenti compiuti dagli imputati per verificare l’età della vittima; la (presunta) ricorrenza della disposizione nella vicenda che ci occupa, infatti, sarebbe stata fondata unicamente sulla valutazione della condotta della minore e sulle sue caratteristiche fisiche (rectius la sua “procacità”).

 

  1. Conclusioni.

Prendendo spunto dai motivi di doglianza analizzati in questa sede (e dalle conseguenti prese di posizione della Suprema Corte), se ne possono trarre due importanti argomenti di riflessione, l’uno sul piano “processuale” e l’altro sul piano “sostanziale”.

Quanto al primo, come visto, i Giudici non si discostano dall’ormai consolidato orientamento in ordine ai presupposti di praticabilità della rinnovazione ex art. 603 c.p.p., rilevando come (anche) l’assunzione della prova documentale nel giudizio d’appello, non possa assumere connotati meramente “esplorativi”. Trattasi, ad ogni buon conto, di una conclusione ragionevolmente condivisibile se si considera che l’istituto in parola rappresenta una deroga (talvolta indispensabile, ma pur sempre eccezionale) rispetto alla presunzione di completezza dell’istruttoria compiuta in primo grado.

Con riguardo al secondo aspetto, la Sentenza si pone in linea di continuità con la Giurisprudenza costituzionale (e con quella di legittimità ad essa successiva), nel richiedere un comportamento proattivo in capo all’agente per scongiurare rischi di incriminazione ai sensi dell’art. 609 quater c.p.

Anche in questo senso, le argomentazioni della Suprema Corte non possono che ritenersi pienamente condivisibili: sul soggetto, infatti, è posto un impegno conoscitivo (certamente) aggravato, ma pur sempre proporzionato alla pregnanza dei valori in gioco.

([1]) Cass. Pen. Sez. III, sentenza n. 47293, 28 ottobre 2021.

([2]) Cass. Pen. Sez. III, sentenza n. 47293, 28 ottobre 2021.

([3]) In questi termini P. GAETA – A. MACCHIA, L’appello, in G. SPANGHER, Trattato di procedura penale, Torino, 2009, 519.

([4]) Cfr. ex multis Cass. Pen. Sez. VI, sentenza n. 20095, 26 febbraio 2013.

([5]) Trattasi di un aspetto enfatizzato anche dalla nota Cass. Pen. S.U., sentenza n. 33748, 12 luglio 2005 (c.d. “Mannino”), la quale ha ribadito la necessità che, in casi come questo, “le parti siano poste in condizione di interloquire e far valere le loro ragioni in ordine all’assunzione di una prova”.

([6]) Cass. Pen. Sez. III, sentenza n. 34949, 3 novembre 2020.

([7]) A proprio sostegno, la Pronuncia in commento richiama anche Cass. Pen. Sez. III, sentenza n. 42711, 23 giugno 2016, per cui “nel giudizio di appello, la presunzione di tendenziale completezza del materiale probatorio già raccolto nel contraddittorio di primo grado rende inammissibile (sicché non sussiste alcun obbligo di risposta da parte del giudice del gravame) la richiesta di rinnovazione dell’istruzione dibattimentale che si risolva in una attività “esplorativa” di indagine, finalizzata alla ricerca di prove anche solo eventualmente favorevoli al ricorrente”.

([8]) L’attuale formulazione contempla anche il delitto di adescamento di minori (art. 609 undecies c.p.) inserito nel codice penale dalla stessa Legge n. 172/2012.

([9]) Il predetto articolo, abrogato dalla Legge n. 66 del 15 febbraio 1996, prevedeva che “quando i delitti preveduti in questo titolo [ndr. ossia i delitti contro la moralità pubblica ed il buon costume] sono commessi in danno di un minore degli anni quattordici, il colpevole non può invocare a propria scusa l’ignoranza dell’età dell’offeso”. Ebbene, anche in questo caso, la Corte costituzionale (Sentenza n. 209 del 6 luglio 1983) venne interpellata per la presunta violazione degli artt. 3-27 Cost., ma ritenne non fondata la questione di legittimità della norma “nella parte in cui esclude qualsiasi rilevanza della ignoranza dell’età della persona offesa che non abbia compiuto quattordici anni e non attribuisce alcun rilievo alla maturità fisica e psichica della medesima”.

([10]) Principio riconosciuto dalle celebri Sentenze della Corte costituzionale n. 364/1988 (“il principio della natura personale della responsabilità penale (art. 27 Cost.) equivale sia a preclusione di responsabilità per fatto altrui sia a configurabilità del fatto proprio sul presupposto della colpa in senso stretto…la legittima punibilità di un fatto imputato postula la colpa dell’agente in relazione agli elementi più significativi della fattispecie”) e n. 1085/1988 (“l’art. 27 comma 1 Cost. richiede non solo che tutti e ciascuno degli elementi che concorrono a contrassegnare il disvalore della fattispecie siano soggettivamente collegati all’agente e siano quindi investiti del dolo o della colpa, ma anche che tutti e ciascuno dei predetti elementi siano allo stesso rimproverabili”).

([11]) Il riferimento è alla Dichiarazione dei Diritti del Fanciullo (adottata dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite con Risoluzione del 20 novembre 1959), alla Convenzione sui Diritti del Fanciullo (siglata a New York il 20 novembre 1989) e, con specifico riguardo alla lotta contro lo sfruttamento sessuale dei bambini, alla Decisione quadro 2004/68/GAI del Consiglio dell’Unione europea del 22 dicembre 2003.

([12]) Per completezza di trattazione si segnala che la Legge n. 172/2012 ha introdotto anche la disposizione di cui all’art. 602 quater c.p. che, in simmetria con l’art. 609 sexies c.p., ha sancito l’irrilevanza dell’ignoranza dell’età della persona offesa per tutti i delitti contro la personalità individuale, salvo che si tratti di ignoranza inevitabile.

Proprio in relazione a tale norma, la Suprema Corte si è recentemente espressa sul ricorso proposto dalla Difesa di un imputato che, tra i motivi di doglianza, ha sollevato questione di legittimità costituzionale in relazione: all’art. 25, comma II Cost. (per indeterminatezza del concetto di ignoranza inevitabile); agli art. 24, comma II – 27 Cost. (perché la prova dell’ignoranza incolpevole della minore età sarebbe diabolica), nonché all’art. 3 Cost. (sostenendo che la colposa ignoranza della minore età sarebbe indebitamente equiparata alla dolosa ignoranza).

In proposito, la Suprema Corte, valorizzando le sopra esposte argomentazioni della Corte Costituzione (Sentenza n. 322, 24 luglio 2007, cit.) ha rilevato che la “pur suggestiva tesi sostenuta dalla difesa si fonda su un’indebita commistione tra l’elemento psicologico del reato (il dolo) e il tipo di diligenza richiesta per superare la presunzione di inescusabilità della conoscenza della minore età. La Corte costituzionale [ndr. Sentenza n. 322, 24 luglio 2007, cit.] ha ben spiegato cosa significhi “inevitabilità” e ha precisato che nel dubbio il soggetto si debba astenere, cioè debba adottare la scelta di massima prudenza a tutela del minore. In tale considerazione risiede anche la risposta al rilievo che la prova dell’inevitabilità sarebbe diabolica. Infatti, avuto riguardo alla prioritaria tutela che il legislatore ha inteso assegnare al minore di anni diciotto, non c’è dubbio che non basta assumere o accontentarsi delle informazioni ricevute dal minore o reperite aliunde, ma è necessario che chi compia atti sessuali con un giovane si preoccupi di verificare con tutti i mezzi a disposizione la sua maggiore età” (Cass. Pen. Sez. III, sentenza n. 502, 2 dicembre 2021).

([13]) Ex multis, Cass. Pen. Sez. III, sentenza n. 775, 4 aprile 2017.

([14]) Cfr. Cass. Pen. Sez. III, sentenza n. 3651, 10 dicembre 2013.

Lascia un commento