venerdì, Luglio 26, 2024
Labourdì

Il potere di controllo del datore di lavoro: limiti e condizioni del monitoraggio

A cura dell’Avv. Rosa Lacapra

 

1)Premessa introduttiva.
L’elaborazione del presente contributo si pone come obiettivo nodale quello di esaminare e delineare, in punto di diritto, la disciplina del potere di controllo del datore di lavoro, prestando particolare zelo al controllo a distanza dei lavoratori. La disamina sgorga soprattutto dall’esigenza di affrontare il complesso rapporto tra l’interesse datoriale ad un controllo sull’attività dei dipendenti, mediante anche l’utilizzo di strumentazione tecnologica invasiva ( si pensi all’installazione di strumenti di videosorveglianza sul luogo di lavoro, ai silenti controlli a mezzo piattaforme virtuali o ancora alla geolocalizzazione dei veicoli aziendali) ed il contrapposto diritto dei lavoratori al rispetto della dignità e della riservatezza.

2) I controlli del datore di lavoro: limiti soggettivi e oggettivi.
Per un esame accurato della disciplina giuslavorista in materia, è d’uopo premettere che il Legislatore, al fine di garantire il perseguimento dell’interesse imprenditoriale, attribuisce al datore di lavoro la titolarità di un insieme di prerogative. Tali poteri, che costituiscono il precipitato sostanziale del diritto sancito dall’art. 41, co 1 Cost.1 (1), assumono tradizionalmente una classificazione tripartita, sunteggiata per vero in potere direttivo, potere di controllo e potere disciplinare. Con riguardo al potere di controllo, esso si sostanzia nel potere in capo al datore di lavoro di verificare l’esatto adempimento degli obblighi gravanti sul lavoratore, ossia l’esatta esecuzione della prestazione, il rispetto delle prescrizioni impartite, l’impiego della diligenza ed il rispetto degli obblighi di fedeltà (2). Al fine di scongiurare un esercizio incondizionato di siffatto potere, tale da ledere il diritto alla dignità ed alla riservatezza del lavoratore, lo Statuto dei lavoratori (L. n. 300/1970) ha per vero individuato, limiti soggettivi e oggettivi, entro i quali è consentito il controllo datoriale. Quanto ai primi, il Legislatore giuslavorista ha premura di mettere in chiaro chi sono i soggetti abilitati ad esercitare un potere di controllo. Da un’attenta lettura degli artt. 2 e 3 della sopracitata legge, si evince senza dubbio che oltre al datore di lavoro ed ai superiori gerarchici, possono essere abilitati all’esercizio del potere di vigilanza sull’attività lavorativa in senso stretto, anche altri dipendenti, purché il loro nominativo e le loro specifiche mansioni siano anticipatamente comunicate ai lavoratori interessati, non essendo consentite forme di controllo occulto (3). Sul punto, tuttavia, giova precisare che le garanzie poc’anzi menzionate, come ribadito di recente dalla Suprema Corte di Cassazione (4), non si estendono agli eventuali comportamenti illeciti commessi dal lavoratore in occasione dello svolgimento della prestazione, i quali, invece, possono essere liberamente accertati dal personale di vigilanza o da terzi (si pensi agli Agenti Investigativi), purché questi non sconfinino nella vigilanza dell’attività lavorativa vera e propria. Quanto poi ai secondi, c.d. limiti oggettivi, il Legislatore ha inteso distinguere due forme attraverso le quali può estrinsecarsi l’esercizio del potere di controllo: il controllo diretto ed il controllo a distanza. Il controllo diretto, ossia quello esercitabile direttamente sulla persona del lavoratore, è rinvenibile negli artt. 5 e 6 dello Statuto dei Lavoratori, i quali rispettivamente sanciscono il divieto di accertamenti sanitari sull’idoneità e sulla infermità per malattia o infortunio del lavoratore dipendente da parte del datore di lavoro o per il tramite di un medico privato ed il divieto delle visite personali di controllo (ad es. ispezioni personali), salvo il caso in cui le stesse risultano indispensabili ai fini della tutela del patrimonio aziendale. Un puntuale approfondimento, invece, meritano i controlli a distanza, ovvero quella particolare forma di controllo eseguita in modalità “remoto”, per il tramite cioè di strumenti elettronici, pur in assenza dunque del datore di lavoro o del personale di vigilanza(5). L’impiego delle moderne tecnologie informatiche, come si avrà modo di approfondire nei paragrafi che seguono, ha di fatto aperto un nuovo scenario, mutando radicalmente i meccanismi di controllo; tale circostanza ha, pertanto, allertato il Legislatore a predisporre una regolamentazione capace di razionalizzarne le modalità di esercizio, ponderando l’interesse datoriale alla vigilanza ed il diritto del lavoratore al rispetto della liberta, dignità e riservatezza nonché il diritto a svolgere le proprie mansioni in un ambiente lavorativo che non sia estenuante.
3) I controlli a distanza: Art. 4 dello Statuto dei Lavoratori e nuova formulazione.
Dopo un’accurata disamina a tout court della disciplina del potere di controllo datoriale, appare indispensabile, per chiarezza espositiva, soffermarsi sulla definizione normativa di controllo a distanza, regolamentata dall’art. 4, Capo I, Titolo I della L. n. 300 del 1970. La disposizione legislativa in commento, per vero, è ascrivibile, anche a seguito della Riforma, ad un’attività di monitoraggio azionata a distanza (intesa in termini di distanza spaziale e temporale) dal datore di lavoro, attraverso apparecchiature meccaniche idonee a registrare e memorizzare i comportamenti posti in essere dai lavoratori controllati. Come poc’anzi anticipato, la formulazione legislativa contenuta nel citato articolo 4 è stata colpita dalla ventata riformista (6) messa in atto nel 2015 e comunemente denominata Jobs Act. Il legislatore giuslavorista invero, memore del moderno e dilagante contesto tecnologico ed informatico e dell’indispensabilità di prendere posizione sul punto, ha inteso aggiornare il dettato normativo stabilendo un diverso bilanciamento delle posizione soggettive facenti capo al rapporto di lavoro: da un lato, consentendo al datore di lavoro di ampliare la facoltà di un controllo a distanza sull’attività lavorativa, dall’altro, tutelando il lavoratore, quale soggetto controllato, garantendogli appunto il diritto ad essere informato e reso consapevole sulle modalità attraverso le quali il controllo a distanza avrà luogo. Passando ad una breve rassegna dell’art 4 Stat. Lav. è di facile e pronta individuazione che nella formulazione ante riforma, il Legislatore, al primo comma, poneva un divieto assoluto di utilizzo di impianti audiovisivi e di altre apparecchiature tese ad un controllo a distanza sull’attività del lavoratore , per poi proseguire con un secondo comma dove, in via del tutto eccezionale e dunque in deroga a tale divieto, consentiva al datore di lavoro l’installazione dei predetti impianti al sorgere di tre specifiche esigenze: organizzative, produttive o di sicurezza sul lavoro. In tali ipotesi, tuttavia, il datore di lavoro, prima di provvedere ad un loro impiego, era tenuto ad accordarsi con le rappresentanze sindacali presenti in azienda o nell’ente, e in caso di mancato accordo o assenza delle stesse, era obbligato a richiedere l’autorizzazione alla competente Direzione Territoriale del Lavoro (7). Con la novella post riforma, tuttavia sembrerebbe dileguarsi il divieto assoluto dei controlli intenzionali a distanza. Eppure, tale apparenza appare smentita dall’avverbio “esclusivamente” a cui fa seguito l’elencazione delle esigenze organizzative, produttive, di sicurezza sul lavoro e di tutela del patrimonio aziendale che, ad oggi, consentono al datore di lavoro di procedere all’installazione di impianti audiovisivi e di altra strumentazione dai quali deriva anche la possibilità di un controllo a distanza dell’attività dei lavoratori. Con la riforma del 2015, risulta manifesto oltre all’ingresso, nel novero delle finalità tipiche e tassative legittimanti l’impiego di strumentazione da cui possa derivare un controllo a distanza dei lavoratori, della tutela del patrimonio aziendale, la volontà del Legislatore di dettare puntuali prescrizioni in ordine all’utilizzabilità dei dati acquisiti e all’obbligo informativo gravante sul datore di lavoro. In particolare, l’art 4 al comma 3, prevede espressamente la possibilità di utilizzare le informazioni acquisite con il controllo, a tutti i fini connessi al rapporto di lavoro( ad esempio per irrogare sanzioni disciplinari, per valutare il rendimento del lavoro), a condizione che sia data al lavoratore adeguata ed esaustiva informazione, nel rispetto della normativa in materia di privacy (D.lgs. n. 196/03) e dei principi che governano il trattamento dei “dati personali”, ossia la liceità, la correttezza, la necessità, la determinatezza della finalità perseguita, la pertinenza, la completezza e la non eccedenza (8).
4) Videosorveglianza: procedura di installazione ed obbligo informativo.
Come già evidenziato in precedenza, l’installazione di impianti audiovisivi e di altri strumenti che consentono un controllo a distanza dell’attività dei lavoratori (ad es. gli impianti di videosorveglianza), ai sensi del nuovo art. 4 co. 1, dello Statuto dei Lavoratori, soggiace ad un duplice limite: l’uno di carattere sostanziale, attinente al catalogo tassativo delle esigenze legittimanti l’impiego di strumenti a carattere penetrante, l’altro di carattere procedurale attinente al regime codeterminativo-autorizzatorio. Con riguardo a quest’ultimo limite, per vero, la normativa statutaria prevede che l’installazione di siffatta strumentazione, sia necessariamente subordinata al previo accordo stipulato tra il datore di lavoro e la rappresentanza sindacale unitaria o le rappresentanze sindacali aziendali; in caso di imprese con unità produttive ubicate in diverse province della stessa regione o in più regioni, invece, l’accordo è consentito con i sindacati comparativamente più rappresentativi sul piano nazionale. Ove mai tale accordo manchi, il datore di lavoro, perché possa procedere all’installazione, è tenuto a perseguire l’iter amministrativo, mediante l’ottenimento di un’autorizzazione rilasciata dalla Direzione Territoriale del Lavoro, o nel caso di imprese con unità produttive localizzate negli ambiti di competenza di più Direzioni Territoriali del Lavoro, dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali. Al riguardo, l’Ispettorato nazionale del Lavoro con circolare n. 5 del 19 Febbraio 2018 ha fornito indicazioni operative in ordine all’installazione di impianti audiovisivi e di altri strumenti di controllo, stabilendo all’uopo che: la ripresa dei lavoratori, di norma, deve avvenire in via incidentale e con carattere di occasionalità senza precludere, se sussistono ragioni giustificatrici, l’inquadramento diretto sull’operatore, il mancato bisogno di specificare il posizionamento e il numero delle telecamere, la tracciabilità dell’accesso alle immagini registrate attraverso un log di accesso di durata non inferiore a 6 mesi, l’ammissibilità, in casi eccezionali, dell’accesso da
postazione remota alle immagini “in tempo reale”, l’assenza di autorizzazione in caso di installazione di telecamere in zone esterne, estranee alle pertinenze della ditta nelle quali non è prestata attività lavorativa e la possibile attivazione del riconoscimento biometrico, senza richiesta autorizzatoria all’Ispettorato del Lavoro (9). Sul punto, peraltro, giova rimarcare che è in ogni caso illecita l’istallazione di un impianto di videosorveglianza che in difetto delle condizioni sopra specificate, sia provvisto del solo consenso scritto del lavoratore; come da ultimo affermato dalla Corte di Legittimità, infatti, il consenso dei lavoratori dipendenti, ancorché scritto, è insufficiente a legittimare il montaggio di un impianto di videosorveglianza che come tale, è illegittimo e sanzionabile penalmente (10). Del pari, il divieto di installazione di telecamere in assenza di accordo o autorizzazione, si estende anche per le “finte” telecamere, che non registrano alcun dato ma risultano montate per scopi meramente dissuasivi. Di contro e per pura chiarezza espositiva, appare opportuno segnalare una recentissima pronuncia della Suprema Corte (11) che tracciando un discusso solco in tema di sorveglianza occulta ma al contempo in linea con l’orientamento della Corte Edu nei casi Barbulescu e Lopez Ribalda , ha di fatto valutato, in termini di legittimità , una videosorveglianza non preventivamente autorizzata e “riservata”, che sia strettamente funzionale alla tutela del patrimonio aziendale, tale da consentire l’accertamento di gravi condotte illecite del lavoratore, purché essa non si declini in “…un significativo controllo sull’ordinario svolgimento dell’attività lavorativa…”(c.d. controlli difensivi)(12). Nondimeno a controbilanciare il potere imprenditoriale al controllo del lavoratore e all’utilizzabilità delle informazioni acquisite, il legislatore- come anticipato- impone, a tutela della parte debole del rapporto lavorativo, l’obbligo informativo da parte del datore di lavoro nonché il rispetto delle norme del Codice della Privacy e l’implementazione dei provvedimenti del Garante. Quanto all’obbligo informativo, la novella dell’art 4, al comma 3, prescrive a carico del datore di lavoro uno specifico obbligo, ossia quello di fornire un’apposita informativa chiara e trasparente circa le modalità d’uso di detti strumenti, le modalità di effettuazione dei controlli e le modalità del rispetto della privacy ex d.lgs. n. 196/2003. Di portata innovativa appare infatti l’emanazione dei provvedimenti organizzativi “Policy” in cui il datore di lavoro dovrà ,in maniera puntuale e meticolosa, indicare le finalità dell’installazione, le caratteristiche generali delle tecnologie che intende introdurre, in che misura e con quali modalità verranno effettuati i controlli, i tempi di funzionamento, le modalità con le quali
vengono raccolti, gestiti, memorizzati, conservati e distrutti i dati, i soggetti incaricati al trattamento. La Policy, inoltre, dovrà essere adeguatamente pubblicizzata nei confronti dei lavoratori, mediante affissione sulle bacheche dei luoghi di lavoro o pubblicazione in bacheche elettroniche, oltre che, sottoposta ad aggiornamento periodico (13).
6) Uno sguardo ad altre forme di monitoraggio.
L’avvento dei social network, a partire dagli anni Duemila, ha rappresentato senza dubbio una vera e propria rivoluzione. Il social network è infatti qualificabile come quella “speciale” piattaforma virtuale capace di memorizzare, in formato digitale, fatti e dati ed a geolocalizzare e rivelare l’orario di ciascuna azione virtuale compita dall’utente. Esso, pertanto, costituisce un abile strumento idoneo a consentire l’esercizio del potere di controllo a distanza sull’attività lavorativa. Non di rado, il lavoratore adopera la piattaforma Social come strumento di lavoro: in tali casi, dunque, può accadere che lo stesso lavoratore utilizzi il profilo aziendale per scopi del tutto estranei all’attività lavorativa. Perché siffatti dati possano essere utilizzati è necessario, alla luce della normativa citata, che il lavoratore venga informato del corretto utilizzo della piattaforma e delle eventuali modalità di controllo a distanza, attuabili dal datore di lavoro. Viceversa, nell’ipotesi in cui il Social non rappresenti uno strumento di lavoro ed il datore di lavoro scruti post, foto ecc. lesive per l’immagine aziendale, dottrina e giurisprudenza sono concordi nel ritenere che il datore di lavoro, debba sedersi al tavolo di trattativa sindacale e dimostrare che lo svolgimento dell’indagine, sempre che il profilo del lavoratore si accessibile in toto al pubblico, risulti indispensabile per la tutela dei beni immateriali dell’impresa (14). Altra forma di monitoraggio a distanza è, altresì, simboleggiata dal trattamento dei dati di geolocalizzazione dei veicoli aziendali. Il frequente utilizzo del predetto congegno elettronico è difatti legittimato per la tutela della sicurezza dei veicoli e dei lavoratori, o addirittura, per la pianificazione tempistica dell’attività lavorativa. Quanto all’utilizzabilità dei dati rinvenibili con la predetta strumentazione, preme distinguere due ipotesi: l’una, quando le apparecchiature risultano essenziali o funzionali all’attività, in tal caso, infatti, non è richiesto alcuno accordo sindacale o autorizzazione da parte dell’Ispettorato, purché il dipendente sia informato della presenza del sistema di geolocalizzazione e della possibilità di disabilitarlo in presenza di attività di natura personale; l’altra, invece, quando il sistema di monitoraggio viene adoperato per esigenze organizzative, produttive, di garanzia per la sicurezza sul lavoro e di tutela del patrimonio aziendale, in cui di converso, appare necessario l’accordo sindacale o, in assenza, l’autorizzazione dell’ITL (15).
7) Conclusione
Alla luce delle considerazioni che precedono, è giocoforza concludere che lo sviluppo tecnologico e la digitalizzazione delle tecniche lavorative, al giorno d’oggi, ha di fatto ampliato considerevolmente il fenomeno dei c.d. controlli a distanza, ponendo in essere forme di monitoraggio intense a tratti, lesive e penetranti, irriguardose delle garanzie di libertà, dignità e riservatezza. Con l’auspicio che l’interesse imprenditoriale non sconfini, negli anni, in un’asettica mercificazione del lavoratore, si rimane in attesa di un nuovo intervento legislativo, che sappia tradurre, al passo con i tempi, un sano e ragionevole bilanciamento degli interessi in gioco, nel rispetto dei principi di minimizzazione, adeguatezza e proporzionalità.

 

1 – Articolo 41, co 1 Cost. “L’iniziativa economica privata è libera…”.
2 – D. Maria De Filippi “Il potere disciplinare del datore di lavoro: i controlli sul lavoratore” Pronto Professionista.it, 26 Giugno 2020.

3 – S. Lucantoni “Controllo sul lavoratore e sulla sua attività” Diritto on line.
4 – Cass. Civile, Sez. Lavoro, sentenza n. 8373, 4 Aprile 2018.
5 – Redazione “Cosa si intende per controllo a distanza del lavoratore? La Legge per tutti-Informazione e consulenza legale, 23 Giugno 2021.
6 – Art. 4 Sta. Lav. modificato dall’art. 23 del d.lgs. 151 del 2015.

7 – G. Da Valle, “La riforma dell’art. 4 dello “Statuto dei lavoratori”: i punti fermi e le incertezze interpretative della nuova disciplina dei controlli a distanza” Enti locali on line, 9 Maggio 2016.
8 – G. Cassano, “Legge e orientamenti delle Corti sul potere di controllo a distanza del datore di lavoro-prima e dopo il Jobs Act, Rassegna di Giurisprudenza e di Dottrina, Ottobre 2020.

9 – Redazione, “INL: installazione e utilizzazione di impianti audiovisivi”, Dottrina per il Lavoro, 20 febbraio 2018.
10 – Cass. Pen. Sez. III, n. 1733 del 17 Gennaio 2020.
11 – Cass. Pen. Sez. III, n. 3255 del 27 Gennaio 2021.
12 – E. Birritteri “Controllo a distanza del lavoratore e rischio penale” Sistema Penale, 16 Febbraio 2021.
13 – Z. Francesco “videosorveglianza sui luoghi di lavoro tra riforme normative e evoluzioni interpretative”, Diritto.it, 17 Dicembre 2019.
14 – D. Mara Testa “Il controllo a distanza dei lavoratori ed i social network”, Jei-Jus e Internet, 23 Febbraio 2017.
15 – Circ. INL n. 2, 7 Novembre 2016.

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