martedì, Ottobre 15, 2024
Diritto e ImpresaFashion Law Influencer Marketing

Il commercio delle pellicce in Italia e nell’Unione europea

In un precedente articolo[1] si è avuto modo di osservare come la disciplina dell’Unione europea, e di conseguenze quella dell’Italia, nel corso degli ultimi anni ha aumentato le prescrizioni per gli animali in allevamento, in particolare per quelli da pelliccia, indicando le condizioni minime in cui devono essere collocati gli animali in vita, fino a giungere alla loro completa abolizione.

È però rimasto il problema, di portata non indifferente, del controllo delle pellicce di importazione: i capi prodotti fuori dei confini europei, infatti, spesso possono godere di una legislazione meno attenta e rigida, che non pone limiti né alla gestione degli allevamenti né tantomeno alle modalità di cattura degli animali selvatici.

In questo senso, l’Unione europea ha cercato di intervenire con una serie di innovazioni legislative aventi la finalità di vietare l’importazione di pellicce di animali d’affezione o di animali che notoriamente vengono cacciati con modalità particolarmente crudeli.

L’utilizzo di trappole crudeli nella cattura degli animali selvatici

Uno dei primi interventi legislativi a livello comunitario ha riguardato le modalità con cui, nel territorio e all’estero, si procede alla cattura degli animali selvatici per ottenerne la pelliccia: non tutti i capi di abbigliamento, infatti, provengono da animali da allevamento.

Il 4 novembre 1991 il Consiglio della Comunità europea ha emanato il Regolamento CEE 3254/91[2] con il quale è stato vietato l’uso di tagliole nella comunità e l’introduzione nella stessa di pellicce e di prodotti manifatturati di talune specie di animali selvatici originari di Paesi che utilizzano per la loro cattura tagliole o metodi non conformi alle norme concordate a livello internazionale.

Le tagliole, infatti, sono strumenti di metallo, costituite da due ganasce semicircolari internamente seghettate, tenute aperte in tensione finché l’animale, calpestandola, non fa scattare la molla, provocando la chiusura a scatto della tagliola[3]: l’animale, in trappola, non può muoversi e diventa merce per l’uomo.

L’art. 3 del Regolamento prevede una eccezione: possono comunque essere introdotte pellicce delle specie indicate[4] qualora la Commissione abbia stabilito che nel Paese d’origine delle pelli siano in vigore adeguate disposizioni amministrative o legislative che vietano l’uso della tagliola oppure che i metodi di cattura mediante trappole usati per le specie in questione siano conformi alle norme convenute a livello internazionale in materia di cattura mediante trappole senza crudeltà.

La disciplina degli animali d’affezione

Ponendo particolare attenzione ai cosiddetti animali d’affezione, l’Italia, con l’art. 2, comma 1, della legge 20 luglio 2004, n. 189[5], ha vietato sia l’utilizzo che la commercializzazione, l’esportazione o l’introduzione nel territorio nazionale di pelli, pellicce, capi di abbigliamento e articoli di pelletteria costituiti od ottenuti, in tutto o in parte, dalle pelli o dalle pellicce di cani e gatti[6].

Come è stato opportunamente notato, la normativa in commento punisce condotte pacificamente consentite se riferite ad altri animali, ma che in questo caso assumono rilievo penale non tanto perché lesive di uno specifico interesse animale dotato di valenza oggettiva, quanto piuttosto perché offendono sentimenti di affezione che le specie in questione, per la diffusissima condivisione degli ambienti domestici, suscitano agli occhi dell’uomo[7].

Successivamente, il medesimo divieto è stato esteso a tutto il territorio europeo dal regolamento CE n. 1523/2007 dell’11 dicembre 2007[8]: scopo dichiarato del regolamento era vietare la commercializzazione, l’importazione e l’esportazione di pellicce  di cane e di gatto e di prodotti che le contengono, alla luce della considerazione che nella percezione dei cittadini dell’Unione europea, cani e gatti sono considerati animali da compagnia, per cui non è accettabile usare le loro pellicce e i prodotti che le contengono; a fronte di ciò, e dell’esistenza nella Comunità di pellicce di questi animali non etichettate, il Parlamento prendeva atto della preoccupazione dei consumatori di acquistare capi di tal fatta in modo del tutto ignaro.

L’obiettivo del Parlamento europeo era quello di armonizzare la legislazione in modo da eliminare ostacoli al funzionamento del mercato interno: ciò derivava dalla constatazione che numerosi Stati membri avevano già adottato misure legislative volte ad impedire la produzione e la commercializzazione di pellicce di cane e di gatto, ma assumendo scelte differenti, che andavano da semplici prescrizioni in tema di etichettatura al divieto totale di produzione, passando per alcune limitazioni alla produzione o all’importazione.

A fronte delle varie possibili scelte legislative, il Parlamento ha deciso di applicare la più drastica, con un divieto totale e chiaro[9], mitigato unicamente dalla previsione di una misura autorizzativa adottata dalla Commissione a fini didattici o per la pratica della conservazione di animali morti destinati ai musei di storia naturale[10].

La pelliccia delle foche

La medesima finalità di armonizzazione legislativa fra i Paesi membri caratterizzava il Regolamento CE n. 1007/2009[11] del 16 settembre 2009 sul commercio specifico di prodotti derivati dalla foca, la cui immissione sul mercato è autorizzata solo quando essi provengono dalla caccia eseguita da comunità indigene qualora si tratti di attività tradizionale, praticata per il sostentamento della comunità e con modalità che rispettino il benessere degli animali. Anche in questo caso, è prevista una eccezione qualora l’importazione abbia natura occasionale e sia costituita esclusivamente da merci destinate all’uso personale dei viaggiatori o delle loro famiglie, con quantità tali da escludere finalità commerciali.

Pure in questo caso è evidente la spinta proveniente dai consumatori, stante il fatto che la caccia alle foche ha sollevato vive preoccupazioni presso il pubblico e i governi sensibili al benessere di questi animali, che il Parlamento europeo, nei suoi considerando, ha definito come “esseri senzienti che possono provare dolore, angoscia, paura e altre forme di sofferenza”[12]. Infatti, la particolare crudeltà con cui avviene l’uccisione e la scuoiatura delle foche provoca indicibile dolori e sofferenze a tali animali[13].

In attuazione di tale regolamento, l’Italia ha introdotto il comma 2 bis all’art. 2 della già citata legge 189/2004[14], stabilendo una pena per chiunque produca, commercializzi, esporti o introduca nel territorio nazionale qualunque prodotto derivato dalla foca.

Conclusione

Se da una parte, come si è avuto modo di osservare, il legislatore europeo ha escluso totalmente la possibilità di vendere pelli o pellicce di animali d’affezione o di animali selvatici catturati con modalità forse tradizionali ma particolarmente crudeli, dall’altra l’opinione pubblica è sempre più sensibile alla tematica animalista.

Ciò incide non solo sulla normativa nazionale e sovranazionale, ma anche sui consumi e sulle scelte commerciali delle maison di lusso.

Sono sempre più numerose, infatti, le grandi case di moda che stanno prendendo aperte posizioni contro l’utilizzo di pellicce di qualsiasi animale nelle loro collezioni: Giorgio Armani, Gucci, Michael Kors, Versace, Prada, Valentino sono solo alcuni dei grandi marchi che hanno eliminato i derivati degli animali dalle proprie sfilate[15].

Ma non solo. Addirittura lo stato di Israele, a giugno 2021, ha reso illegale la vendita di pellicce nel territorio del suo stato, con alcune eccezioni in caso di ricerca scientifica, istruzione o scopi e tradizioni religiose; scelta simile era già stata fatta dallo stato statunitense della California nel 2019, con un divieto che entrerà in vigore nel 2023[16].

È prevedibile che la moda e la legislazione, parallelamente, seguiranno sempre di più questa corrente innovatrice, sviluppandosi nel senso di trovare sostituiti e vietare l’utilizzo di pelli e pellicce di derivazione animale nel settore dell’abbigliamento.

[1] L. Bano, L’Italia vieta gli allevamenti degli animali da pelliccia, Febbraio 2022, disponibile qui: https://www.iusinitinere.it/litalia-vieta-gli-allevamenti-degli-animali-da-pelliccia-41029

[2] Testo normativo al seguente link: https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/PDF/?uri=CELEX:31991R3254&from=IT

[3] Per una definizione specifica, leggere la definizione al seguente link: https://www.treccani.it/vocabolario/tagliola/

[4] Castoro, lontra, coyote, lupo, lince, lince rossa, zibellino, procione, topo muschiato, fischer, tasso, martora, ermellino.

[5] Testo normativo al seguente link: https://www.gazzettaufficiale.it/eli/id/2004/07/31/004G0217/sg

[6] Art. 2 l. 189/2004: “1.  E’ vietato utilizzare cani (Canis familiaris) e gatti (Felis catus) per la produzione o il confezionamento di pelli, pellicce, capi di abbigliamento e articoli di pelletteria costituiti od ottenuti, in tutto o in parte, dalle pelli o dalle pellicce dei medesimi, nonché commercializzare o introdurre le stesse nel territorio nazionale.”

  1. La violazione delle disposizioni di cui al comma 1 è punita con l’arresto da tre mesi ad un anno o con l’ammenda da 5.000 a 100.000 euro.
  2. Alla condanna consegue in ogni caso la confisca e la distruzione del materiale di cui al comma 1.”

[7] P. Ardia, La nuova legge sul maltrattamento degli animali: sanzioni e ammende per i combattimenti clandestini e per chi abbandona – Commento, Diritto Penale e Processo, n. 12, 1 dicembre 2004.

[8] Testo normativo al seguente link: https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/PDF/?uri=CELEX:32007R1523&from=IT

[9] Art. 3 Regolamento CE 1523/2007: “Sono vietate la commercializzazione, l’importazione nella Comunità e l’esportazione fuori della Comunità di pellicce di cane e di gatto e di prodotti che le contengono.”

[10] Art. 4 co. 1 Regolamento CE 1523/2007: “In deroga all’articolo 3, la Commissione può eccezionalmente adottare misure che autorizzino la commercializzazione, l’importazione o l’esportazione di pellicce di cane e di gatto o di prodotti che le contengono, per finalità didattiche o per la pratica della tassidermia”

[11] Testo normativo al seguente link: https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/PDF/?uri=CELEX:32009R1007&from=NL#:~:text=Il%20presente%20regolamento%20istituisce%20norme,regolamentano%20la%20caccia%20delle%20foche.

[12] Considerando n. 1 “Le foche sono esseri senzienti che possono provare dolore, angoscia, paura e altre forme di sofferenza. Nella sua dichiarazione sulla messa al bando dei prodotti derivati dalle foche nell’Unione europea GU C 306 E del 15.12.2006, pag. 194., il Parlamento europeo ha invitato la Commissione a presentare senza indugio una proposta di regolamento al fine di vietare l’importazione, l’esportazione e la vendita di tutti i prodotti derivati da esemplari di foca groenlandica e cistofora crestata. Nella sua risoluzione del 12 ottobre 2006 su un programma d’azione comunitario per la protezione e il benessere degli animali 2006-2010 GU C 308 E del 16.12.2006, pag. 170., il Parlamento europeo ha chiesto alla Commissione di proporre la totale messa al bando dei prodotti derivati dalla foca. Nella sua raccomandazione 1776 (2006) del 17 novembre 2006 sulla caccia alle foche, l’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa invitava gli Stati membri del Consiglio d’Europa in cui è praticata la caccia alle foche a vietare tutti i metodi di caccia crudeli che non garantiscono la morte istantanea e senza sofferenza degli animali, a proibirne lo stordimento con strumenti come hakapik, randelli e armi da fuoco e a promuovere iniziative intese a vietare il commercio di prodotti derivati dalla foca.”

[13] Per un approfondimento delle modalità con le quali avviene la mattanza delle foche, vedasi G. Di Giovanni, Caccia alle foche: strage di cuccioli di appena 3 mesi, 1 ottobre 2014, disponibile qui: https://www.eticamente.net/5927/caccia-alle-foche-petizione.html

[14] Art. 2 co. 2bis l. 189/2004: “Chiunque produce, commercializza, esporta o introduce nel territorio nazionale qualunque prodotto derivato dalla foca, in violazione dell’articolo 3 del regolamento (CE) n. 1007/2009 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 settembre 2009, è punito con l’arresto da tre mesi a un anno o con l’ammenda da 5.000 a 100.000 euro”

[15] C. Dardana, Quali brand di moda hanno abbandonato definitivamente le pellicce animali, 03 giugno 2021, reperibile al seguente link: https://www.lifegate.it/brand-moda-stop-pellicce-animali

[16] E. Comelli, Pellicce messe al bando: Israele è il primo Paese a vietare la vendita, 18 giugno 2021, reperibile al seguente link: https://www.ilsole24ore.com/art/pellicce-messe-bando-israele-e-primo-paese-vietare-vendita-AEto3GR

Linda Bano

Avvocato del Foro di Treviso, collaboratrice dell'area di Fashion Law. Linda Bano si laurea presso la Facoltà di Giurisprudenza dell'Università di Padova con tesi in diritto costituzionale "Il fondamento costituzionale della repressione delle idee (neo)fasciste" e si diploma presso la Scuola di Specializzazione per le Professioni Legali all'Università degli Studi di Milano, durante la quale svolge un tirocinio presso la Procura Generale presso la Corte d'Appello di Milano.

Un pensiero su “Il commercio delle pellicce in Italia e nell’Unione europea

Lascia un commento