martedì, Dicembre 3, 2024
Diritto e Impresa

La prevenzione dell’insolvenza a seguito dell’introduzione del nuovo Codice della Crisi d’impresa e dell’Insolvenza

1.      Il dovere di prevenzione dell’insolvenza

 

I doveri gestori in funzione preventiva dell’insolvenza annoverano una vasta schiera di compiti attribuiti agli amministratori, in particolar modo quelli inerenti alla gestione professionale dell’impresa e gli obblighi di carattere previsionale.

Infatti, prefigurarsi l’assetto societario dell’impresa in un dato momento futuro, permette di evitare o risolvere anticipatamente alcuni momenti di declino che, in caso di mancata o inadeguata gestione, potrebbero sfociare in una crisi vera e propria.[1]

Questi obblighi si traducono nel dover distinguere prontamente la situazione di crisi, o comunque il suo approssimarsi e, conseguentemente, adottare tutti gli strumenti che appaiono utili; tra questi rientra certamente il ricorso alle procedure di composizione negoziale della crisi, passando anche per la necessaria o opportuna convocazione dell’assemblea, al fine di informare i soci circa le varie operazioni possibili.[2]

Tali doveri sono un presupposto fondamentale dei successivi obblighi di gestione, i quali consistono nel conseguimento dell’oggetto sociale. Non a caso, perché quest’ultimo possa essere raggiunto, è strettamente necessario che ex ante gli amministratori si adoperino affinché, in seguito, non s’incorra in situazioni d’insolvenza. In conformità a quanto premesso, è possibile ricondurre tra i doveri di prevenzione una vasta gamma di compiti che andremo via via ad analizzare nei paragrafi successivi, inerenti per lo più agli ambiti di controllo ed informazione circa le situazioni interne all’impresa in oggetto.

 

1.1. Il dovere conoscitivo-preliminare

 

Il dovere conoscitivo-preliminare è soltanto una categoria unitaria in cui vengono fatti confluire quegli obblighi che ricadono sugli amministratori con l’intento primario di evitare situazioni critiche per l’impresa. Esso comporta che gli amministratori debbano avere contezza di quella che sia la corrente condizione sociale. Per tale ragione, è previsto che gli amministratori delegati riferiscano, ogni semestre, sull’andamento globale della gestione, sulle operazioni di maggior rilevanza e sul possibile proseguimento dell’attività. Spetta poi agli amministratori esecutivi elaborare e selezionare le informazioni ricevute, così da valutare il generale andamento della società. Quest’ultimo dovere è contenuto nell’art. 2381 c.c. e prima dell’intervento del legislatore del 2003 sussisteva la responsabilità solidale degli amministratori qualora fossero venuti meno agli obblighi concernenti la vigilanza sull’andamento dell’impresa.[3]

Diversamente, oggi il dettato di tale norma stabilisce che vi sia una distribuzione della responsabilità tra i vari amministratori in base al loro apporto nella realizzazione del danno, così da evitare una forma di responsabilità oggettiva a tutti gli effetti.[4]

Pertanto, fonti principali del dovere conoscitivo-preliminare sono senz’altro gli obblighi di valutazione della gestione e di agire in modo informato e consapevole. Al di là di ciò, va detto però che esso affonda le proprie radici anche in altre disposizioni, tra cui quelle aventi ad oggetto la diligenza e la corretta amministrazione, nonché la conservazione dell’integrità patrimoniale. Peraltro, si tratta di un dovere desumibile anche dalla disciplina in ambito contabile,[5] riguardo all’approvazione del progetto di bilancio e alla constatazione della continuità aziendale.

 

1.1.1. Titolarità in capo agli amministratori esecutivi e limiti gravanti su quelli non esecutivi

 

Sebbene in questa sede ci si concentri più propriamente sulla figura dell’organo amministrativo, è doverosa una parentesi circa il ruolo svolto anche da parte del revisore dei conti e del collegio sindacale. Per l’appunto, anch’essi debbono rilevare gli eventuali segnali premonitori di uno stato di crisi dell’impresa, magari coordinandosi tra loro, al fine di pervenire ad una chiara visione del quadro economico, finanziario e patrimoniale dell’impresa in questione.[6]

Quanto agli amministratori, nel caso in cui la società sia fondata sul modello delle deleghe gestorie, essi hanno il dovere di conoscere la condizione sociale di riferimento.[7] In particolare, sono gli amministratori esecutivi i titolari dell’obbligo conoscitivo-preliminare, in quanto devono prendere coscienza e valutare le informazioni relative all’andamento dell’attività imprenditoriale. Qualora, a seguito di tali operazioni, siano constatate anomalie nell’andamento societario, gli amministratori stessi dovranno riferirle prontamente al plenum consiliare, in ottemperanza al dovere sopra menzionato. Tale interazione informativa è usualmente svolta per il tramite di una riunione apposita dell’organo amministrativo o in sede di relazione secondo quanto previsto ex art. 2381, comma 5, c.c.

Si procederà nell’uno o nell’altro modo quando la crisi pre-concorsuale risulterà di scarsa rilevanza, scegliendo una delle due opzioni prospettate in base ad una scelta discrezionale. Di contro, qualora lo stato di declino sia avanzato e grave, sarà necessario ricorrere alla riunione ad hoc.

Gli amministratori non esecutivi, d’altro canto, essendo privi di deleghe esecutive, sono gravati da obblighi e responsabilità ben diversi. Tale distinzione è stata resa più marcata dalla riforma del 2003, la quale ha provocato una parcellizzazione della responsabilità di ciascun amministratore in base al suo contributo all’evento lesivo. In tal modo è sorta una netta separazione tra funzioni ed obblighi riconducibili agli amministratori delegati e non.[8] Tuttavia, pur ammettendo che i doveri degli amministratori esecutivi siano effettivamente più gravosi, il legislatore non ha voluto ridurre i compiti di quelli non esecutivi ad una mera attività passiva ed inerte, che avesse ad oggetto il semplice apprendimento di quanto riferito dagli amministratori delegati.

Pertanto, il dovere informativo oggi presenta una connotazione non solo attiva, ma anche riflessiva.[9] Ciò significa che l’amministratore, oltre ad informare gli altri, dovrà anche mobilitarsi autonomamente per informarsi, così da individuare egli stesso gli eventuali indicatori di crisi.[10]

È utile richiamare l’art. 2361 c.c., che, ai commi quarto e sesto, prevede una ripartizione delle competenze tra consiglieri deleganti e non, stabilendo che ai primi va attribuita la cura dell’adeguatezza del sistema amministrativo, organizzativo e contabile; ai secondi invece, spetta una valutazione su tale adeguatezza.[11]

 

1.1.2. Vigilanza sulla gestione: doveri informativi e dovere di autocontrollo

 

Il dovere conoscitivo-preliminare, come detto, si snoda in un ampio ventaglio di obblighi gravanti sull’organo gestorio. Tra questi, è opportuno partire dal dovere di riferire circa l’andamento della gestione e la sua potenziale evoluzione. Questo comporta l’elaborazione di giudizi prognostici e l’analisi consapevole delle informazioni reperite.[12] Presupposto di tale attività è la consapevolezza dello stato in cui versi l’impresa stessa.

L’obbligo di vigilanza trova riscontro all’art. 2381 c.c., in quanto al comma terzo è previsto che il consiglio d’amministrazione valuti piani strategici, finanziari ed industriali della società, controllandone periodicamente l’attuazione.[13]Al comma quinto è invece stabilito che gli amministratori riferiscano circa le operazioni più rilevanti della società o delle sue controllate, sulla base delle peculiarità e delle dimensioni delle operazioni stesse, oltre che sull’andamento generale. Tale obbligo informativo va assolto ogni sei mesi, affinché gli amministratori delegati possano valutare le informazioni ricevute per tracciare un quadro oggettivo della situazione societaria.

Gli amministratori sono quindi tenuti ad un’intensa attività informativa esercitata in varie direzioni: verso se stessi, il c.d.a., il collegio sindacale e i revisori, nei confronti dei soci e degli stakeholders.

Come già visto, a prescindere dalla comune distinzione tra amministratori esecutivi e non, ognuno è tenuto ad informarsi, anche di sua sponte, sulla condizione sociale.[14]

È dunque necessario un costante monitoraggio della crisi e della gestione mirata alla sua risoluzione. Eventuali inottemperanze riguardanti l’adeguatezza dei flussi informativi fanno sorgere, in capo agli amministratori, responsabilità per violazione del dovere di corretta gestione.[15]

Gli amministratori debbono informare revisori e collegio sindacale circa la situazione societaria, così come questi ultimi debbono fare lo stesso nei confronti dei primi. Si tratta di un’attività informativa reciproca che deve prendere corpo in occasione delle adunanze di rito e delle riunioni cui partecipano, o ancora qualora siano interpellati in merito al bilancio o alla relazione di gestione.[16]

La disclosure verso gli stakeholders ed in particolare nei confronti dei creditori sociali di quelle che sono le difficoltà interne all’impresa, si ha con il bilancio, la relazione di gestione e la nota integrativa. Sebbene gli amministratori abbiano la possibilità di esternare con una certa opportuna accortezza le criticità, così da evitare o quanto meno procrastinare effetti negativi sul mercato di riferimento, è comunque essenziale che le scritture contabili da loro redatte presentino realmente e correttamente i fatti gestori oggetto di quell’esercizio.[17]

Più delicata è la questione relativa ai rapporti intercorrenti tra soci ed amministratori, in particolar modo se ci si riferisce all’assemblea. Nella fase per così dire “crepuscolare” dell’impresa, questa si trova appesa ad un filo ed anche un minimo episodio può determinarne la fine. Allo stesso modo è possibile che una reazione tempestiva ed opportuna possa risollevare la società dal baratro in cui era in procinto di sprofondare.

Il coinvolgimento dell’assemblea ha assunto maggior rilievo dopo il d.l. 83/2015 ed ormai quando la società si trovi in fase crepuscolare, gli amministratori debbono convocare immediatamente l’assemblea dei soci con l’intento di informarli circa la situazione societaria corrente e di richiedere un interpello o una ratifica circa l’indirizzo da adottare,[18] nonostante questa figuri usualmente come parere non vincolante.[19]

Pertanto, in presenza di una crisi patrimoniale particolarmente grave, è essenziale la convocazione dell’assemblea, la quale deve essere informata in merito alla situazione di crisi stessa tempestivamente. Qualora invece le perdite sofferte siano poco rilevanti, gli azionisti potranno ricevere aggiornamenti circa la condizione sociale una volta all’anno.[20]

Al di là delle ipotesi considerate, sembra non sussista il dovere di riunione dell’assemblea a scopo informativo nei confronti degli stakeholders circa lo stato di declino venuto in essere. Tale mancanza non evita comunque che gli amministratori convochino l’assemblea ugualmente, concedendo ai soci l’opportunità di deliberare o esprimere pareri consapevolmente.

L’art. 2381 c.c., all’ultimo comma, prescrive l’obbligo di agire in modo informato in capo ad ogni componente del c.d.a.. Si tratta di una specificazione del più generale dovere di diligenza.[21]

Pertanto, l’agire in maniera consapevole è una modalità di adempimento diligente dell’incarico amministrativo e per tale correlazione, ogni qual volta vi sia una violazione del comma sesto dell’art. 2381 c.c., ne conseguirà una parallela inottemperanza alle previsioni di cui all’art. 2392 c.c., la quale si configurerà come condotta negligente.[22]

Nello specifico, esso attribuisce, da un lato, ai delegati il dovere di realizzare un’adeguata istruttoria in merito ad ogni qualsivoglia proposta o decisione gestionale da prendere e, dall’altro, ai deleganti il potere-dovere di pretendere informazioni dagli organi delegati.[23]

Inoltre, grava sugli amministratori il compito di individuare il c.d. triggering point, in altre parole il momento dal quale le loro mansioni subiscono una variazione per via della condizione di crisi in cui versa la società.

Dunque, gli amministratori sono tenuti ad un perpetuo dovere di monitoraggio dello stato in cui si trovi l’impresa, così da permettere una tempestiva rilevazione di anomalie o episodi di mala gestio.

Tra l’altro, la conoscenza o conoscibilità di quegli indici sintomatici del fatto illecito deve essere provata da chi contesti la violazione da parte degli amministratori del loro obbligo di agire informati.[24]

Tale obbligo si configura come un dovere di auto-controllo che ha ad oggetto la situazione economica, finanziaria e patrimoniale della società.

Fine ultimo di tale attività di vigilanza è quindi la prevenzione o comunque il tempestivo intervento, qualora emerga la crisi dell’impresa.[25]

Il monitoraggio deve essere costante e sistematico, a prescindere dall’avvenuta emersione dello stato patologico o meno.[26]

Per l’appunto, l’eventuale crisi pre-concorsuale determina un incremento sostanziale dei doveri gestori rispetto ai momenti antecedenti. Dunque, le verifiche sono oggetto dell’attività gestoria in ogni fase della vita dell’impresa, ma divengono più intense e frequenti nel caso sia sopravvenuta una situazione di declino della compagine sociale considerata.

È possibile, peraltro, ricondurre, seppur indirettamente, i doveri analizzati alla sfera di garanzia che si pone a tutela delle pretese creditorie, in quanto i compiti informativi e di controllo permettono una più agevole gestione conservativa dell’integrità patrimoniale ex art. 2394 c.c.

 

1.1.3. Oggetto del dovere conoscitivo-preliminare: triggering point e cause della crisi

 

Lo stato patologico di crisi rappresenta l’oggetto principale dell’obbligo conoscitivo-preliminare finora analizzato nelle sue varie sfumature.

Più nel dettaglio, oggetto dello stesso può essere ogni condizione finanziaria, organizzativa, economica o anche patrimoniale che possa ostacolare il perseguimento degli obiettivi sociali e portare all’insolvenza.

Pertanto, la crisi pre-concorsuale può sfociare nell’insolvenza e tale accadimento può verificarsi in due tipologie societarie distinte.

Da un lato, vi è quell’impresa che ha subito una variazione in peius del c.d. risk of insolvency, che comporta quindi un’incombente minaccia alla continuità aziendale.

Dall’altro, vi sono quelle società che ab origine sono nate inidonee a conseguire gli scopi predeterminati, in virtù di un’erronea pianificazione iniziale che ha portato alla nascita di un’impresa già di per sé in crisi pre-concorsuale.[27]

Un parametro di cui si tiene conto è quello del triggering point,[28]ossia quel momento a partire dal quale può ritenersi integrata la crisi pre-concorsuale. Si configura dunque come presupposto applicativo della disciplina che regola tale stato patologico.

Dopo aver preso contezza della crisi in atto, segue un’ulteriore indagine circa le cause alla base della stessa, nell’intento di predeterminare un piano gestorio in grado di rimettere in sesto l’impresa.[29] L’apprendimento di tali informazioni è possibile tramite il monitoraggio che deriva dall’espletamento del dovere di auto-controllo e conduce gli amministratori ad un’attività risanatoria che consta di una prima fase in cui, evidenziate le cause della crisi, si procede alla loro eliminazione, ed una seconda in cui si mira al recupero della produttività sociale.

Va aggiunto, infine, che l’individuazione delle cause, nonché la loro valutazione, non ha rilevanza autonoma, ma piuttosto si configura come momento critico da superare al fine di preservare o ripristinare la continuità aziendale.[30]

 

1.1.4. Parametri dell’adeguatezza, della completezza e della chiarezza

 

Ritornando al contenuto dell’obbligo di corretta gestione, una sua specificazione può rinvenirsi in una norma che costituisce un’ulteriore novità della riforma societaria del 2003. Si tratta del quinto comma dell’art. 2381 c.c. che impone agli organi delegati di curare l’adeguatezza degli assetti organizzativi, amministrativi e contabili alla luce delle dimensioni e della natura dell’attività, riferendone al consiglio di amministrazione che dovrà compierne una valutazione, e al collegio sindacale per l’attività di vigilanza e controllo, unitamente ad informazioni sul generale andamento della gestione e la sua prevedibile evoluzione.

L’organo amministrativo deve dunque garantire l’adeguatezza della struttura interna dell’impresa, la quale dovrà pertanto manifestarsi capace di assolvere in maniera efficiente i bisogni scaturiti dall’attività economica.[31]

La valutazione dell’adeguatezza, inoltre, va fatta tenendo conto in via prioritaria dell’assetto organizzativo, poiché gli altri due aspetti, quali sono quello contabile ed amministrativo, non sono altro che species del più ampio genus dell’organizzazione.[32]

Con specifico riguardo agli amministratori privi di delega gestoria, è necessario affermare che il dovere conoscitivo-preliminare non si esaurisce nella sola analisi dell’adeguatezza degli assetti su menzionati e in un mero ascolto di quanto riferito[33] secondo il quinto comma della disposizione in oggetto.

Su questi, infatti, ricade l’obbligo di verificare adeguatezza, completezza e chiarezza di quanto sia stato riportato.[34]

Ad ogni modo sussiste un generale “affidamento” che esclude la responsabilità del destinatario delle informazioni qualora in seguito dovessero rivelarsi false, infondate o errate.

Tale affidamento viene a mancare soltanto nel caso in cui vi siano indizi che mettano in dubbio la veridicità ed esaustività dei dati riferiti.[35]

Qualora ricorrano tali condizioni sorgerà un dovere di “attivazione” finalizzato ad ottenere conferma o integrazione delle notizie in questione.[36]

Il comma terzo dell’art. 2381 c.c. stabilisce che il consiglio di amministrazione, basandosi sulle informazioni ricevute, deve valutare l’adeguatezza dell’assetto organizzativo, amministrativo e contabile della compagine sociale.

Il comma quinto, invece, dispone che gli organi delegati devono verificare che tale assetto sia idoneo alla natura e alle dimensioni dell’impresa.[37]

Con la riforma del 2003 si è introdotto un nuovo principio informatore di ordine generale del diritto societario, qual è, appunto, l’adeguatezza degli assetti interni della società. Al di là dell’adeguatezza degli assetti organizzativi, contabili ed amministrativi, è ben possibile tenere conto anche dell’idoneità di altri compartimenti interni dell’impresa.

L’adeguatezza di cui si tratta deve caratterizzare anzitutto l’assetto patrimoniale, ad esempio valutando se il capitale fissato nell’atto costitutivo sia o meno idoneo al perseguimento dell’oggetto sociale.

Quanto, poi, all’assetto tecnico dell’impresa, questo può definirsi adeguato se i luoghi di produzione industriale o dove si somministra il servizio o si espleta l’attività commerciale, sono rispondenti ai canoni ordinariamente previsti, ma soprattutto se l’insieme di macchinari, beni e strumentazioni utili per la produzione e per la somministrazione del servizio risultano idonei ai fini dell’attività d’impresa considerata.[38]

Sappiamo, comunque, che non esiste un assetto adeguato ideale e valido per tutti, tant’è che per ogni impresa va operata una scelta apposita che si basi sui parametri enunciati proprio all’art. 2381 c.c., ossia dimensioni e natura, nonché sugli altri canoni di cui si riterrà opportuna l’applicazione.[39]

Dunque, si può asserire che, poiché adeguare significa commisurare, rendere idoneo o opportuno qualcosa, dovere della società sarà anche quello di aggiornare costantemente gli assetti in base alle sopravvenienze normative, tecnologiche e scientifiche, per le quali la natura e le dimensioni dell’impresa possono subire mutamenti.[40]

Per comprendere, poi, cosa debba intendersi per assetti organizzativi adeguati, è necessario enumerare una moltitudine di profili.

Innanzitutto, si dovrà valutare l’idoneità del personale e degli uffici, tra cui quelli ispettivi interni, ma in particolare quelli di coordinamento settoriali, fondamentali perché le attività possano esser coordinate nei casi opportuni, come ad esempio per la “direzione vendite” di beni e servizi o per la “direzione marketing”. Importanti in quest’ambito sono, quindi, la separazione organizzativa e il coordinamento settoriale.

In secondo luogo, va menzionata l’adeguatezza dell’assetto contabile, riferendosi a quei controlli destinati a produrre una sorta di separazione contabile correlata alla stessa separazione organizzativa.

Per quel che concerne l’adeguatezza tecnica, bisogna parlare delle metodologie d’individuazione dei fatti per perseguire il fine dell’efficienza, ad esempio tramite l’utilizzo di hardware e software specifici.

Quanto all’adeguatezza patrimoniale, essa riguarda l’utile impiego delle risorse ed il correlato rispetto delle regole e delle procedure.[41]

Peraltro, sempre in ossequio al comma terzo dell’art. 2381 c.c., il c.d.a. ha anche l’obbligo di valutare i piani strategici, industriali e finanziari dell’impresa, nonché di esaminare il generale andamento della stessa, considerando la sua potenziale evoluzione.[42]

Per quanto inerisce all’assetto contabile, questo sarà considerato adeguato a patto che sia improntato a modalità che consentano un controllo agevole, così che il collegio sindacale possa valutare facilmente l’idoneità del sistema amministrativo-contabile ad un’esatta esecuzione dei controlli, accertando, poi, che il sistema contabile della società sia in grado di riflettere appieno di fatti aziendali.[43] Inoltre, le imprese dovranno conformarsi sempre ai principi contabili internazionali, comunemente noti come IAS.

Un esempio, invece, di inadeguatezza patrimoniale, lo si può ritrovare nei casi di sottocapitalizzazione formale,[44] la quale dà luogo all’invalidità dell’atto costitutivo prima dell’iscrizione. Infatti, è ben noto che i due parametri per cui una società possa considerarsi idonea negli assetti patrimoniali sono la sottoscrizione dell’intero capitale nominale ed il versamento da parte dei soci del 25% dei conferimenti, ma soprattutto l’effettività del capitale stesso.[45]

Con l’art. 2381 c.c. si è provveduto a collegare al concetto di adeguatezza alcuni compiti, poteri e doveri di chi deve realizzarla, tra cui appunto gli amministratori, i quali dovranno prendere decisioni idonee rispetto a ciascun settore di competenza.

Si è valorizzato, poi, il controllo dell’attuazione del principio d’adeguatezza: in particolare, il collegio sindacale deve vigilare sul concreto funzionamento dell’adeguatezza dell’assetto organizzativo, amministrativo e contabile; il revisore contabile svolge lo stesso compito nelle società che fanno ricorso al mercato del capitale di rischio. Agli organi delegati è stato affidato il compito di curare che tali assetti siano adeguati alla natura e alle dimensioni della società.

Ai deleganti, invece, e dunque al consiglio d’amministrazione, si è data una funzione di controllo e valutazione dell’adeguatezza.

Quest’ultima è, pertanto, divenuta un criterio d’imputazione della responsabilità d’impresa, per tutte quelle inottemperanze che derivino da condotte gestorie tenute in spregio agli obblighi di cui all’art. 2381 c.c.[46]

 

1.1.5. I sistemi di controllo interno

 

L’obbligo di agire in modo informato, e di conseguenza anche quello di richiedere informazioni supplementari ed integrative rispetto a quelle normalmente fornite da parte degli amministratori esecutivi, diviene ben più intenso nella fase crepuscolare o in caso di emersione dello stato d’insolvenza.

Come visto, l’adeguatezza degli assetti organizzativi è un criterio imprescindibile per la valutazione della responsabilità degli amministratori.

In questo contesto, altrettanto importante è il sistema di controllo interno a ciascuna impresa, che deve essere curato dagli amministratori delegati, valutato da quelli deleganti e vigilato da parte del collegio sindacale.[47]

Concentrandoci sulla figura degli amministratori, è fondamentale che elaborino un assetto procedurale ed organizzativo insito alla società, che sia in grado di rilevare immediatamente sintomi di crisi ed insolvenza, così da poter intervenire senza indugio.[48]

Tra l’altro, gli amministratori devono adempiere gli obblighi loro imposti ex lege e dallo statuto con la professionalità e la diligenza richieste dalla natura dell’incarico gestorio.

Pertanto, essi valuteranno la diligenza opportuna in base al caso concreto, basandosi sulle dimensioni della società o sul suo oggetto, sulla sua struttura organizzativa, nonché sulla sua condizione economica e finanziaria.

Perché risulti rispettato il principio di corretta gestione è imposto agli amministratori che predispongano procedure che prevedano i rischi tipici dell’impresa considerata; che individuino i segnalatori di allarme per pericoli potenziali; che regolino le mansioni di comunicazione delle informazioni reperite; che precisino i vari meccanismi di reazione.[49]

Qualora gli amministratori elaborino procedure inidonee per la gestione del rischio, sorgerà la responsabilità degli stessi per gli eventi dannosi che ne siano conseguiti.[50]

 

1.2. I doveri di monitoraggio della situazione economica dell’impresa: base patrimoniale ed equilibrio finanziario

Com’è ben noto, fine ultimo dell’organo amministrativo sta nell’attuazione dell’oggetto sociale e a questo si aggiunge, in stato di crisi o insolvenza, la finalità conservativa del patrimonio sociale, indirettamente connessa sempre al conseguimento dell’oggetto sociale, poiché quest’ultimo non sarebbe perseguibile in assenza di una base patrimoniale consistente.

In tale ambito va ricompreso anche il dovere di garantire costantemente le circostanze per la tutela e l’efficienza dell’attività d’impresa della società,[51]giacché è in tale attività che s’identifica l’oggetto sociale:[52]ovvero il continuo monitoraggio della condizione patrimoniale, economica e finanziaria della compagine sociale.

Doveri di controllo aventi ad oggetto la situazione patrimoniale sono desumibili anche da ulteriori obblighi: basti pensare, ad esempio, alla riduzione obbligatoria del capitale sociale per perdite superiori ad un terzo e al correlato obbligo di convocare tempestivamente l’assemblea per deliberare quanto opportuno; o ancora si pensi al medesimo obbligo di convocazione, in correlazione al caso in cui il capitale sociale scenda al di sotto del minimo legale, con la finalità di deliberare la trasformazione della società.

Il risultato cui si mira con la predisposizione di tali controlli è l’immediata individuazione di perdite e riduzioni di capitale. Essenzialmente, tale obiettivo è oggi facilmente perseguibile sulla base di doveri che altro non sono se non una specificazione del più generale obbligo di diligenza ex art. 2392 c.c.

In particolare, funzionali alla tutela del patrimonio sociale sono, senz’altro, il dover agire in modo informato e l’obbligo degli amministratori delegati di predisporre un assetto organizzativo, amministrativo e contabile adeguato alla natura e alle dimensioni dell’impresa.[53]

Passando alla trattazione dell’obbligo di controllo dell’equilibrio finanziario, va precisato che per sostentare l’attività imprenditoriale si deve necessariamente acquisire capitale di credito e dunque ruolo centrale è rivestito dall’indebitamento.

Tuttavia, qualora quest’ultimo aumenti senza una pianificazione accurata e soprattutto prudente, si può comunemente incorrere in situazioni di squilibrio da cui è difficile uscire.

Conseguenze di tale condizione sono usualmente la perdita della continuità aziendale, riduzioni del patrimonio sociale e inadempimenti delle pretese creditorie.

Compresa quindi l’importanza di un equilibrio finanziario che sia dettato da una programmazione accorta, si possono ora analizzare i doveri di pianificazione finanziaria e di previsione stabiliti ex lege.

Nello specifico, gli amministratori devono compiere valutazioni previsionali e prognostiche circa l’evoluzione della gestione, l’utilizzabilità del principio “going concern”, i rischi di maggior rilievo che incombono sulla società.[54]

A questo si aggiunge il dovere, per gli amministratori delegati, di riferire periodicamente al c.d.a. e al collegio sul generale andamento della gestione, sul suo potenziale sviluppo, nonché sulle operazioni più rilevanti per peculiarità o dimensioni, effettuate dalla società o dalle sue controllate.[55]

Peraltro, l’attuazione di operazioni aleatorie per i creditori è ammessa a patto che siano effettuate apposite previsioni da parte degli amministratori riguardo alla futura capacità della società di generare liquidità in grado di assolvere i debiti.[56]

Un esempio eminente è quello delle operazioni di merger leveraged buy out, che consistono in fusioni successive all’acquisizione dell’indebitamento.

Tale fenomeno trova disciplina codicistica all’art. 2501-bis c.c., il quale subordina l’ammissibilità di tali operazioni alla redazione di un apposito business plan.

Quest’ultimo deve annoverare un piano economico, uno finanziario che precisi da dove provengono le risorse finanziarie, ed una descrizione dei traguardi da raggiungere.

Dover enumerare i motivi che avvalorano una certa operazione e soprattutto dover stilare un piano economico-finanziario, risulta utile al fine di rafforzare gli obblighi informativi, così da far sì che gli stakeholders esercitino i propri diritti amministrativi in modo non scriteriato.[57]

In altre circostanze, si parte da un’originaria condizione di squilibrio finanziario con l’intento di ripristinare lo status quo ante. Su questa linea si muove la legge fallimentare, che prevede la redazione di un piano da parte di un professionista attestatore non interno all’impresa, che conferisce un certo grado di affidabilità anche al piano stesso.

Tale previsione è condizione necessaria e sufficiente perché sia possibile procedere al risanamento o alla risoluzione negoziale della crisi, tramite gli strumenti previsti in materia dal legislatore.[58]

In conclusione, si può dunque affermare che le valutazioni prognostiche che precedono e fondano le scelte che incidono sulla capacità reddituale e finanziaria della società, hanno un peso specifico importante, giacché permettono il conseguimento dell’oggetto sociale e la tutela delle pretese creditorie.

Infatti, senza una programmazione anticipata e minuziosa, il rischio di incorrere nell’insolvenza o nell’impossibilità di perseguire l’oggetto sociale sarebbe ben più elevato, andando tra l’altro a minare le aspettative dei creditori, i quali fanno affidamento sulla dimensione finanziaria e patrimoniale dell’impresa.[59]

 

1.3. Il dovere di evitare la crisi

 

Sulla scorta di quanto evidenziato finora, è facile notare come i diversi obblighi previsionali tendano unitariamente verso un solo proposito: evitare la crisi e dunque prevenire l’insolvenza. Pertanto, in un’ottica semplicistica della materia, non è sbagliato affermare che sussiste, specialmente in capo agli amministratori, il dovere di evitare la crisi d’impresa.[60]

È, a tutti gli effetti, la ragione per cui sono previsti gli obblighi enumerati in precedenza.

Si tratta di un compito che permea l’impresa nella sua interezza, senza fare distinzioni in base alla fase della vita attraversata da questa. Infatti, tale dovere non emerge soltanto alla presenza d’indici rilevatori di situazioni critiche o nell’arco della fase crepuscolare.

Esso sorge nell’istante in cui viene in essere l’impresa stessa, poiché per massimizzare i profitti, fine ultimo di ogni società, non può che essere controproducente una condizione sociale di declino.[61]

Dirette esplicazioni del dovere in questione sono i divieti di quelle operazioni particolarmente rischiose, a causa della mancanza o inidoneità di un’apposita ed accorta pianificazione, che potrebbero portare l’impresa in uno stato d’insolvenza o di crisi.[62]

Ulteriori esempi si hanno in correlazione con l’art. 2392 c.c. che dispone l’obbligo di amministrare con diligenza, il quale a sua volta comporta l’impossibilità di compiere operazioni palesemente sproporzionate ripetto alla base patrimoniale della società, o anche cessioni di beni a prezzi di gran lunga inferiori in confronto a quelli usualmente praticati sul mercato di riferimento.

Nel caso in cui, poi, si dovessero verificare episodi di dilapidazione delle risorse patrimoniali a disposizione, a prescindere dall’origine intenzionale o fortuita degli stessi, si terrà conto della disciplina di cui agli artt. 216-217 l. fall., in materia di bancarotta semplice e fraudolenta, per sanzionare tali condotte come illeciti penali, e quindi anche civili.[63]

Tuttavia, vanno considerate ugualmente inammissibili ed illegittime quelle operazioni che, sebbene non presentino squilibri rispetto al capitale sociale, rischiano di compromettere la continuità aziendale dell’impresa in chiave futura.[64]

Questo accade, ad esempio, quando l’utilizzo improprio di determinati mezzi economici va ad incidere, poi, sulle concrete possibilità di conseguire l’oggetto sociale.

Di quanto appena esposto, si tratterà più lungamente nei successivi paragrafi, approfondendo entrambi i profili della continuità e dell’oggetto, peraltro interconnessi.

 

1.4. Il dovere di verifica tempestiva dei rischi con accertamento della continuità aziendale

 

In capo agli amministratori ricade anche il dovere d’intervenire senza indugio non appena siano rilevati segnali premonitori di uno stato di crisi o insolvenza. Pertanto, l’analisi e la moderazione dei rischi, spesso eccessivi, corsi da ciascun’impresa, permettono all’organo gestorio di preservare la continuità aziendale, presupposto utile per la redazione del bilancio d’esercizio.

Detto ciò, quindi, la responsabilità degli amministratori, in caso di crisi dell’impresa, riguarda violazioni di obblighi che concernono innanzitutto: l’individuazione di quegli elementi di rischio che mettono in pericolo la continuità aziendale; la rilevazione del rimedio da utilizzare per riparare quest’ultima ed eliminare i motivi di allerta; l’applicazione della soluzione ritenuta più congeniale.[65]

Agli amministratori è imposto di indicare, prima di redigere il bilancio, l’idoneità dell’impresa per l’esercizio successivo a quello cui il bilancio stesso si riferisce.[66]

Si tratta di un punto cardine, addirittura riconosciuto anche dai principi contabili internazionali. In particolar modo, è previsto testualmente:

<< Nella fase di preparazione del bilancio, la direzione aziendale deve effettuare una valutazione della capacità dell’entità di continuare a operare come un’entità in funzionamento. […] Qualora la direzione aziendale sia a conoscenza, nel fare le proprie valutazioni, di significative incertezze relative ad eventi o condizioni che possano comportare l’insorgere di seri dubbi sulla capacità dell’entità di continuare a operare come un’entità in funzionamento, l’entità deve evidenziare tali incertezze.>>[67]

L’arco temporale di riferimento per la direzione aziendale, nello stabilire se il presupposto della continuità aziendale risulti applicabile, è relativo ad almeno dodici mesi dopo la chiusura dell’esercizio.[68]

Ad ogni modo, la perdita della continuità aziendale può aver luogo nonostante l’integrità del capitale sociale. Nel dettaglio, tale evento può dunque non coincidere con una condizione attuale dell’impresa in crisi.[69]

Inoltre, nella valutazione circa la permanenza della continuità aziendale non si considerano soltanto aspetti relativi alla immediata possibilità di adempiere i propri debiti o fronteggiare eventuali riduzioni reddituali, ma anche quei profili inerenti all’ambito aziendale-organizzativo.[70]

Di conseguenza, è ben possibile che uno stato di crisi derivi da disfunzioni di carattere gestionale.[71]

Dunque, la continuità è un concetto da guardare in un’ottica futura ed attiene principalmente alle condizioni di equilibrio finanziario in cui versa l’impresa, ma anche ai correlati profili economici e gestionali che possono incidere sul mantenimento della prospettiva di prosecuzione dell’attività.[72]

Tuttavia, qualora la prospettiva di continuità venga a mancare, non si può per ciò stesso sostenere che l’impresa versi in una condizione di crisi.

Evidentemente, la crisi costituisce una conseguenza spesso inevitabile della perdita della continuità, la quale però non è di per sé crisi, ma può spesso condurvi.[73]

Sulla stessa linea l’insolvenza, pur condividendone la dimensione finanziaria, non equivale alla perdita di continuità: quest’ultima necessariamente accompagna l’incapacità di pagare, ma si manifesta anticipatamente all’insolvenza.[74]

Gli amministratori hanno il dovere di emettere un giudizio prognostico basato su diverse valutazioni tra loro concorrenti e collegate.

In particolare, l’analisi sulla sussistenza della prospettiva di continuità aziendale deve fondarsi su due tipologie di giudizio.

La prima, è legata al verificarsi di eventi rilevanti suscettibili di formare indizi della perdita di continuità; la seconda, invece, si fonda sulle possibilità riparatorie e sulle soluzioni prospettabili.[75]

Sempre sulla figura dell’amministratore ricade l’obbligo di accertare tempestivamente i rischi che possano portare l’impresa in situazioni di crisi.

In correlazione a ciò, va precisato che essi devono, su sollecitazione del collegio sindacale, predisporre i rimedi, a loro giudizio, più efficaci per la problematica insorta nel caso di specie.[76]

Peraltro, gli amministratori sono tenuti ad esporre, nella relata di gestione e nella nota integrativa, rischi ed incertezze riguardo la continuità aziendale.[77]

Si può dunque osservare che continuità aziendale e solvenza sono elementi costituenti la normalità di un’impresa e del suo andamento.

Ciò vuol dire che, nel contesto dei canoni di corretta gestione, va condotto anche l’esercizio dell’impresa diretto al suo funzionamento efficiente e al correlato adempimento delle obbligazioni assunte.[78]

Pertanto, qualora un’impresa si forzi ad esercitare il proprio ciclo produttivo in assenza della continuità aziendale, darebbe vita ad un elevato rischio per sé, ma soprattutto per soci, creditori ed azionisti, poiché un’immediata conseguenza sarebbe l’aumento delle perdite.

L’illegittima prosecuzione dell’attività d’impresa implica, dunque, la responsabilità degli amministratori.[79]

 

1.4.1. Il modello di utilità Kaldor-Hicks

 

Nell’analizzare i doveri gestori e le correlate variazioni degli stessi in caso di emersione della crisi, si è sviluppato nel tempo, in ambito giurisprudenziale, il concetto della vicinity of insolvency.

Originariamente si riteneva che gli amministratori dovessero aver cura dell’interesse della società nel suo complesso. [80]

Tuttavia, tale concezione fu da subito ritenuta fin troppo generica e totalizzante. Pertanto, era necessario ricercare un modello di utilità differente e più specifico, cui gli amministratori potessero fare riferimento nella fase d’emersione dell’insolvenza.

Infatti, in condizione di continuità aziendale l’impresa presenta un modello di utilità in base al quale gli amministratori, nello svolgimento delle proprie attività a favore dell’interesse contrattuale dei soci, eseguono un’efficiente allocazione delle risorse. Tale modello è anche noto come “modello paretiano”.[81]

Di contro, qualora si versi in una situazione di emerging insolvency, il criterio sarà ben diverso, fondandosi su un giudizio comparativo del potenziale danno che l’attività d’impresa possa causare nei confronti dei titolari degli altri interessi.[82]

Per concludere, è utile spostare l’attenzione sul modello di utilità cd. Kaldor-Hicks, il quale stabilisce che una variazione nell’allocazione delle risorse è efficiente soltanto qualora il benessere ottenuto da taluni superi le perdite di benessere subite da altri.

Dunque, perché vi sia una situazione di efficienza complessiva è fondamentale che la perdita di benessere di taluni sia compensata da coloro verso i quali la modificazione allocativa abbia operato favorevolmente.[83]

 

[1] Galletti D., La ripartizione del rischio di insolvenza. Il diritto fallimentare tra diritto e economia, Il Mulino, Bologna, 2006, 164-165.

[2] Vicari A., I doveri degli organi sociali e dei revisori in situazioni di crisi d’impresa, Giur. Comm., 2013, I, 134.

[3] Cagnasso O., L’amministrazione collegiale e la delega, in Trattato delle società per azioni, diretto da Colombo e Portale, IV, Torino, 1991, 293.

[4] Bonelli F., Gli amministratori di s.p.a. dopo la riforma delle società, Milano, 2004, 52 ss.

[5] Abbadessa P. e Mirone A., Le competenze dell’assemblea nelle s.p.a., in Riv. soc., 2010, 4.

[6] Luciano A., La gestione della S.p.A. nella crisi pre-concorsuale, Giuffrè editore, Milano, 2016, 119.

[7] La ripartizione delle competenze sulla base di quanto previsto dall’art. 2381 c.c., riguarda solo quelle società in cui sussista una delega delle funzioni gestorie, altrimenti sarà il consiglio ad occuparsi dell’adeguatezza dell’assetto organizzativo. (Cfr. Franzoni M., Dell’amministrazione e del controllo, in Commentario al codice civile Scialoja-Branca, a cura di Galgano, III, Bologna-Roma, 2008, 110.)

[8] Abbadessa P., Profili topici della nuova disciplina della delega amministrativa, in Il nuovo diritto delle società – Liber amicorum Campobasso G. F., diretto da Abbadessa e Portale, II, Torino, 2006, 502.

[9] Regoli D., Poteri di informazione e controllo degli amministratori non esecutivi, in Società, banche e crisi di impresa. Liber amicorum Abbadessa P., Torino, II, 2014, 1126.

[10] Trib. Prato, 14.9.2012, in Il.caso.it – Si attesta che anche gli amministratori privi di deleghe gestorie siano destinatari degli obblighi di diligenza ed informazione di cui agli artt. 2392 e 2381, comma 5, c.c.. Peraltro, emerge l’inesigibilità dell’adempimento informativo soltanto in caso d’impossibilità e non anche di mera difficoltà. Si configura un esempio d’impossibilità qualora gli amministratori esecutivi agiscano in modo particolarmente aleatorio e irragionevole, tentando inoltre di celare tali condotte agli occhi vigili degli amministratori non delegati.

[11] Irrera M., Assetti organizzativi adeguati e governo delle società di capitali, Giuffrè, Milano, 2005, 224 ss.

[12] Bonelli F., op. cit., 52 – fa una precisazione: gli amministratori non esecutivi, non essendovi alcuna disposizione in materia, debbono preoccuparsi di valutare il generale andamento societario e non anche la sua possibile evoluzione. In senso contrario si pone invece Abbadessa P., op. cit., 502 – il quale asserisce che gli amministratori deleganti debbono esaminare ogni elemento prospettico e/o fattuale riferitogli dai delegati.

[13] Strampelli G., Capitale sociale e struttura finanziaria della società in crisi, in Riv. Soc., 2012, 618.

[14] Zamperetti G., Il dovere di informazione degli amministratori nella governance della società per azioni, Milano, 2005, passim.

[15] Sacchi R., La responsabilità gestionale nella crisi dell’impresa societaria, in Diritto societario e crisi d’impresa, a cura di Tombari, Torino, 2014, 112.

[16] Sandulli M., I controlli delle società come strumenti di tempestiva rilevazione della crisi d’impresa, in Le società, 2009, passim.

[17] Pacileo F., Continuità e solvenza nella crisi di impresa, Milano, Giuffrè, 2017, 377.

[18] Abbadessa P. e Mirone A., op. cit., 2010, 269 ss.

[19] Pacileo F., Doveri informativi e liberta d’impresa nella gestione di una s.p.a. in fase “crepuscolare”, in Riv. del dir. comm., 2016, 83.

[20] Luciano A., La gestione della S.p.A. nella crisi pre-concorsuale, Giuffrè editore, Milano, 2016, 131.

[21] Trib. Rovigo, 17.2.2010, in Rep. giur. it., 2010, 495.

[22] Sacchi R., Amministratori deleganti e dovere di agire in modo informato, in Giur. comm., 2008, 374.

[23] Meruzzi G., L’informativa endo-societaria nella società per azioni, in Contratto e impresa, III, 2010, 775 – precisa infatti che dal dover agire informato derivi una situazione giuridica di potere-dovere: gli amministratori dunque sono soggetti da una parte ad un vincolo giuridico d’informazione (dovere d’informarsi); dall’altra, tale vincolo li porta ad acquisire informazioni (potere d’informarsi) esercitando le opportune facoltà.

Si veda in giurisprudenza: Cass. pen., sez. IV, 19.6.2007, n.23838 – Il caso in esame ebbe origine dal ricorso per Cassazione del p.m. contro la sentenza di non luogo a procedere pronunciata dal g.u.p. del Tribunale di Brescia nei confronti di vari imputati coinvolti nella gestione del gruppo bancario Bipop-Carire. Solo alcuni amministratori sapevano dell’infedele esposizione della condizione patrimoniale della società e perciò il g.u.p. aveva escluso l’illecita consapevolezza in capo agli altri esponenti societari, emettendo sentenza di non luogo a procedere. Tuttavia, a seguito della riforma del 2003, è possibile individuare una responsabilità gestoria anche in assenza di una vera e diretta conoscenza degli illeciti, poiché gli amministratori hanno un potere-dovere di richiedere informazioni. Infatti, si legge testualmente: <<la riforma della disciplina delle società, portata dal d.lgs. n.6 del 2003, ha certamente modificato il quadro normativo di chi è preposto alla gestione della società ed ha compiutamente regolamentato la responsabilità dell’amministratore destinatario di delega. E così, ha delineato, da un lato, il criterio direttivo dell’”agire informato”, che sostiene il mandato gestorio e, correlativamente l’obbligo di ragguaglio informativo sia a carico del presidente del consiglio di amministrazione, sia in capo agli amministratori delegati, i quali, con prestabilita periodicità, devono fornire adeguata notizia sul generale andamento della gestione e sulla sua prevedibile evoluzione>>.

[24] Cass. pen., sez. V, 22.9.2009, n.36595.

[25] Miola M., Riduzione e perdita del capitale di società in crisi: l’art. 182 sexies l. fall. – Parte seconda: Profili applicativi e sistematici, in Riv. dir. civ., 2014, 431.

[26] Racugno G., Venir meno della continuità aziendale e adempimenti pubblicitari, in Giur. comm., 2010, 217.

[27] Luciano A., La gestione della S.p.A. nella crisi pre-concorsuale, Giuffrè editore, Milano, 2016, 101-102.

[28] Cfr. supra cap. II, § 1.1.2.

[29] Rossi R., Insolvenza, crisi di impresa e risanamento. Caratteri sistematici e funzionali del presupposto oggettivo dell’amministrazione straordinaria, Milano, 2003, 171 ss.

[30] Meo G., I “piani di risanamento” previsti dall’art. 67 l. fall., in Giur. comm., 2011, I, 51 ss.

[31] Luciano A., La gestione della S.p.A. nella crisi pre-concorsuale, Giuffrè editore, Milano, 2016, 84.

[32] Buonocore V., Adeguatezza, precauzione, gestione, responsabilità: chiose sull’art. 2381, commi terzo e quinto, del codice civile, in Giur. comm., 2006, I, 19.

[33] Montalenti P., op. cit., 2006, 850 ss. – afferma che una relazione degli amministratori esecutivi che sia completa ed esaustiva possa esonerare da ogni dovere di chiedere altre informazioni che vadano ad integrare quelle già reperite.

[34] Campobasso G. F., Diritto commerciale – Diritto delle società, a cura di Campobasso M., Torino, 2015, 382 ss.

[35] Regoli D., Poteri di informazione e controllo degli amministratori non esecutivi, in Società, banche e crisi di impresa. Liber amicorum Abbadessa P., Torino, II, 2014, 1121.

[36] Sfameni P. D., Vigilanza, informazione e affidamento nella disciplina della disciplina della delega amministrativa, in Scritti giuridici per Piergaetano Marchetti. Liber discipulorum, Milano, 2011, 613 ss. – tratta di come la sussistenza di un adeguato assetto organizzativo sia un presupposto per l’affidamento circa esaustività, correttezza e completezza informativa. L’obbligo di attivazione nasce da eventuali segnali di allarme che minino la convinzione dell’adeguatezza di tali assetti e di conseguenza anche la credibilità delle informazioni ottenute.

[37] Buonocore V., Adeguatezza, precauzione, gestione, responsabilità: chiose sull’art. 2381, commi terzo e quinto, del codice civile, in Giur. comm., 2006, I, 5.

[38] Idem, 11-12.

[39] Ad esempio, nel caso in cui si parli dell’attività bancaria, è indispensabile che le banche si dotino di idonei strumenti di rilevazione, misurazione e controllo dei rischi, in conformità con la complessità e le dimensioni delle attività svolte.

[40] Buonocore V., op. cit., 14.

[41] Idem, 21-22.

[42] Id., 22.

[43] Cfr. art. 2403 c.c.

[44] Si tratta della costituzione di una società per azioni o di una s.r.l. con un capitale inferiore al minimo stabilito ex lege.

[45] Buonocore V., op. cit., 24-25.

[46] Idem, 37-38.

[47] Irrera M., Assetti organizzativi adeguati e governo delle società di capitali, Giuffrè, Milano, 2005, 60 ss.

[48] Montalenti P, I controlli societari: recenti riforme, antichi problemi, in Banca, borsa, tit. cred., 2011, 535 ss.

[49] Montalenti P., Amministrazione e controllo nella società per azioni: riflessioni sistematiche e proposte di riforma, in Riv. soc., 2013, 69 ss.

[50] Pacileo F., Continuità e solvenza nella crisi di impresa, Milano, Giuffrè, 2017, 383.

[51] Angelici C., La società per azioni. Principi e problemi, in Trattato di diritto civile e commerciale, già diretto da Cicu A. – Messineo F. – Mengoni L. e continuato da Schlesinger P., I, Giuffrè, Milano, 2012, 390.

[52] Mucciarelli G., Profili dell’oggetto sociale nelle società di capitali, in Il nuovo diritto delle società. Liber amicorum Campobasso G. F., diretto da Abbadessa P. – Portale G. B., I, UTET, Torino, 2006, 309.

[53] Brizzi F., Doveri degli amministratori e tutela dei creditori nel diritto societario della crisi, Giappichelli editore, Torino, 2015, 203.

[54] Miola M., Capitale sociale e tecniche di tutela dei creditori, in La società per azioni oggi, Atti del Convegno internazionale di studi, Venezia 10-11 novembre 2006, a cura di P. Balzarini – G. Carcano – M. Ventoruzzo, Milano, 2007, 390.

[55] Strampelli G., Capitale sociale e struttura finanziaria della società in crisi, in Riv. Soc., 2012, 618.

[56] Strampelli G., Distribuzioni ai soci e tutela dei creditori. L’effetto degli IAS/IFRS, Giappichelli, Torino, 2009, 201.

[57] Vicari A., L’assistenza finanziaria per l’acquisto del controllo delle società di capitali, Giuffrè, Milano, 2006, 127.

[58] Si pensi agli artt. 67, 160 e 182-bis, l. fall., i quali rispettivamente prevedono il piano attestato di risanamento, il concordato preventivo e gli accordi di ristrutturazione dei debiti.

[59] Lolli A., Situazione finanziaria e responsabilità nella governance della s.p.a., Giuffrè, Milano, 2009, 126.

[60] Miola M., Capitale sociale e tecniche di tutela dei creditori, in La società per azioni oggi, Atti del Convegno internazionale di studi, Venezia 10-11 novembre 2006, a cura di P. Balzarini – G. Carcano – M. Ventoruzzo, Milano, 2007, 406.

[61] Brizzi F., Doveri degli amministratori e tutela dei creditori nel diritto societario della crisi, Giappichelli editore, Torino, 2015, 212.

[62] Angelici C., La società per azioni. Principi e problemi, in Trattato di diritto civile e commerciale, già diretto da Cicu A. – Messineo F. – Mengoni L. e continuato da Schlesinger P., I, Giuffrè, Milano, 2012, 185.

[63] Guizzi G., Responsabilità degli amministratori e insolvenza: spunti per una comparazione tra esperienza giuridica italiana e spagnola, in Studi in onore di Umberto Belviso, II, Cacucci, Bari, 2011.

[64] Angelici C., La società per azioni. Principi e problemi, in Trattato di diritto civile e commerciale, già diretto da Cicu A. – Messineo F. – Mengoni L. e continuato da Schlesinger P., I, Giuffrè, Milano, 2012, 185 ss.

[65] Sacchi R., La responsabilità gestionale nella crisi dell’impresa societaria, in Diritto societario e crisi d’impresa, a cura di Tombari, Torino, 2014, 109.

[66] Rodorf R., La continuità aziendale tra disciplina di bilancio e diritto della crisi, in Società, 2014, 917.

[67] § 25 IAS 1 (International accounting standard).

[68] § 26 IAS 1 (International accounting standard).

[69] Mazzoni A., La responsabilità gestoria per scorretto esercizio dell’impresa priva della prospettiva di continuità aziendale, in Amministrazione e controllo nel diritto delle società. Liber amicorum Antonio Piras, Giappichelli, Torino, 2010, 832 .

[70] Sandulli M., I controlli delle società come strumenti di tempestiva rilevazione della crisi d’impresa, in Le società, 2009, 1105.

[71] Ferri G., Insolvenza e crisi dell’impresa organizzata in forma societaria, in Riv. dir. comm., 2011, I, 428.

[72] Documento n.570-Revisione contabile, 2007.

[73] Cincotti C. – Nieddu Arrica F., Continuità aziendale, capitale e debito. La gestione del risanamento nelle procedure di concordato preventivo, paper presentato nel corso del IV Convegno Commerciale “Impresa e mercato tra liberalizzazioni e regole”, 2013.

[74] Tronci L., Perdita della continuità aziendale e strategie di risanamento, in Giur. comm., 2013, 1269-1291.

[75] Trib. Milano, Sezione Specializzata in materia di Imprese, 14.4.2016, n.1096.

[76]Brizzi F., Doveri degli amministratori e tutela dei creditori nel diritto societario della crisi, Giappichelli editore, Torino, 2015, 223.

[77] Documento congiunto Banca d’Italia/Consob/Isvap, 6.2.2009, n.2.

[78] Pacileo F., Continuità e solvenza nella crisi di impresa, Milano, Giuffrè, 2017, 354.

[79] Trib. Milano, 4.4.2013, n.4560, in www.giurisprudenzadelleimprese.it. – Il caso in questione ineriva ad un’azione risarcitoria promossa a seguito del fallimento di una società per azioni contro i suoi amministratori ed il suo sindaco. In particolare, agli amministratori veniva imputato di aver aggravato il dissesto patrimoniale della società con un’illegittima continuazione dell’attività, sebbene vi fosse già stata una perdita completa del capitale sociale. Gli amministratori asserivano, a propria difesa, di non aver mai conosciuto le vicende sociali, ma il Tribunale ritenne ugualmente fondata la domanda risarcitoria. Infatti, l’autorità giudiziaria affermò essere dimostrato che, nonostante il capitale sociale fosse ormai completamente svuotato, gli amministratori avessero continuato indebitamente l’attività, creando così un danno sia ai creditori, che alla società stessa.

[80] Cfr. Credit Lyonnais Bank Nederland, N.V. v. Pathe Communications Corp., C.A.N. 12150, 1991, WL 277613 (Del. Ch. 1991).

[81] In questo caso, vi è un chiaro riferimento al concetto di “ottimo paretiano” o “efficienza paretiana”, introdotto dall’ingegnere italiano Vilfredo Pareto, ed ampiamente utilizzato in ambito economico e nelle scienze sociali. Si verifica quando l’allocazione delle risorse non può subire miglioramenti ulteriori. (Cfr.

[82] Zoppini A., Emersione della crisi e interesse sociale (Spunti dalla teoria dell’emerging insolvency), in Diritto societario e crisi d’impresa, a cura di Tombari, Torino, 2014, 57.

[83] Idem, 60.

Stefano de Conciliis

Praticante Avvocato presso lo Studio legale BonelliErede. Dopo essersi laureato con lode all’Università degli Studi di Napoli Federico II, ha conseguito un LLM in Banking, Corporate, and Finance Law presso la Fordham University School of Law di New York, e collabora dal 2020 con il dipartimento di Società e Finanza di Milano occupandosi di operazioni societarie straordinarie, venture capital, private equity, nonché contrattualistica commerciale e consulenza societaria. Collabora poi con la rivista giuridica Ius in itinere dal 2019 come vice-direttore del dipartimento di diritto societario ed è co-autore del Manuale "Società Commerciali" (Gruppo24Ore) con oltre 50 professionisti dello Studio BonelliErede.

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