giovedì, Aprile 18, 2024
Litigo Ergo Sum

Il dissenso dei condomini rispetto alle liti

 

Il dissenso alle liti condominiali è disciplinato dall’art. 1132 c.c., norma che prevede la possibilità in capo al proprietario dissenziente di separare la propria responsabilità da quella del condominio nei casi in cui la compagine abbia deliberato di promuovere giudizio civile contro un terzo o di resistervi.

La disposizione in oggetto è inderogabile, in quanto richiamata nell’elenco di cui al successivo art. 1138, 4° comma c.c..

La dichiarazione di dissociazione da parte del condomino dissenziente deve essere resa nel termine perentorio di trenta giorni. Tale termine decorre dalla data dell’assemblea, se il condomino era presente, ovvero dalla avvenuta ricezione del verbale assembleare, nel caso di assenza.

Anche se la norma dispone la manifestazione del dissenso attraverso “atto notificato all’amministratore”, si ritiene da sempre equipollente l’invio allo stesso di una lettera raccomandata. Non è necessario specificare i motivi alla base della scelta.

La ratio dell’istituto si rinviene in una sorta di tutela della minoranza assembleare. Si tratta di una circostanza che, a ben vedere, avvicina la realtà condominiale a quella societaria.

In particolare vi è una deroga al regime ordinario secondo cui le delibere assembleari sono vincolanti per tutti i condomini e le spese di interesse comune vanno ripartite tra tutti i proprietari[1].

Nel caso in oggetto, viceversa, il condomino dissenziente non sopporterà le conseguenze della lite in ipotesi di soccombenza in giudizio della compagine condominiale.

Il tratto di maggiore problematicità dell’istituto in questione consiste proprio nel comprendere in ordine a quali somme vi è la separazione di responsabilità tra condominio e proprietario dissenziente.

Alla luce del dettato normativo (art. 1132, 1° co. c.c.) e sulla scorta dell’interpretazione data dalla giurisprudenza di legittimità e merito, il condomino che ha manifestato il dissenso non sarà chiamato a corrispondere la sua quota di spese e competenze poste dal giudice a carico della compagine, in quanto soccombente. Il dissenso, tuttavia, non si estenderà all’oggetto del giudizio ed il proprietario dissenziente dovrà comunque corrispondere, in base ai propri millesimi, quanto dovuto alla controparte.

Il dissenso non potrà avere ad oggetto, inoltre, le attività preliminari rispetto alla lite tra le quali possono annoverarsi, a titolo esemplificativo, un parere richiesto ad un avvocato o ad un qualsiasi altro professionista.

Una successiva delibera dell’assemblea che coinvolga nelle spese di lite anche il condomino che abbia ritualmente manifestato il proprio dissenso è affetta da nullità radicale e sarà, pertanto, impugnabile in ogni tempo da chiunque vi abbia interesse.

Nella diversa ipotesi in cui il condominio risulti vittorioso, il proprietario dissenziente potrebbe esser chiamato a concorrere nelle spese processuali che non sia stato possibile ripetere dalla parte soccombente. Ciò accade nel solo caso in cui anche il dissenziente abbia tratto vantaggio dall’esito positivo del giudizio civile. Ricorre un’ipotesi del genere quando, in virtù della sentenza favorevole al condominio, anche il dissenziente tragga una utilitas, ad esempio il miglior godimento di beni e parti comuni.

I presupposti per la manifestazione del dissenso sono diversi.

In primo luogo il dissenso può essere esercitato solo nel caso di lite deliberata dall’assemblea, non venendo, viceversa, in rilievo tale istituto nelle ipotesi di provvedimenti presi direttamente dall’amministratore (art. 1133 c.c.) [2]. Ulteriore presupposto è che si tratti di controversia civile.

Nel silenzio del legislatore, la giurisprudenza maggioritaria ritiene che il dissenso possa essere manifestato solo in riferimento alle liti che vedono contrapposti, da un lato, il condominio e, dall’altro, un terzo estraneo ad esso [3]. E’ di contrario avviso autorevolissima dottrina [4] che ritiene configurabile il dissenso a prescindere dagli interessi e dai soggetti coinvolti nel giudizio, conferendo cittadinanza a tale istituto anche nelle ipotesi di liti cd. “interne”.

In assenza di una specifica disposizione normativa non pare plausibile impedire al dissenziente la partecipazione alle successive deliberazioni assembleari. In altri termini, il dissenziente ben potrà concorrere alla formazione della volontà comune pur continuando a sostenere la sua volontà contraria alla lite, non essendo ravvisabile una ipotesi di potenziale conflitto di interessi. 

 

A cura di Amedeo Caracciolo

 

[1] Comb. disp. artt. 1123 e 1137 c.c.

[2] Cass. Civ. Sez. II, sentenza n. 7095, 20 marzo 2017.

[3] Cass. Civ. Sez. II, sentenza n. 13885, 18 giugno 2014.

[4] R. Cusano, Il nuovo Condominio, 2017.

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