venerdì, Aprile 26, 2024
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Il fenomeno del correntismo e la riforma del CSM

a cura di Alessia Palazzo

 

L’attuale e fervente dibattito in tema di “tempi e qualità della giustizia” implica inevitabilmente di fare riferimento al ruolo e all’attività del Csm quale organo di amministrazione della giurisdizione.

Nel novero delle cause del cattivo funzionamento del Consiglio rientra la c.d. politicizzazione dell’organo che ne ha snaturato le funzioni. Ed invero, si assiste ad una sempre crescente influenza esercitata dalle correnti – per tali intendendosi una pluralità di associazioni che esprimono orientamenti differenti relativi alla politica della giustizia e al ruolo dei magistrati – sul Csm, sia nella fase elettorale, sia nelle attività concrete svolte dal Consiglio riguardanti lo status dei magistrati[1].

Il fenomeno delle correnti della magistratura trova la sua origine tra la fine degli anni Cinquanta e la prima metà degli anni Sessanta, allorquando la magistratura si organizzò attorno a tre correnti principali: nel 1957 nasce Terzo potere, espressione soprattutto della bassa magistratura; più tardi nel 1962 si è costituita Magistratura indipendente, la corrente più moderata, e poi nel 1964 Magistratura democratica, portatrice di idee più progressiste[2].

Tuttavia, le correnti cominciarono ad esercitare una effettiva influenza sull’attività svolta dal Csm soprattutto a partire dalla metà degli anni Settanta.

Si colloca proprio nel 1975 la legge (L. n. 695/1975) che per la prima volta introdusse un sistema proporzionale con liste concorrenti per l’elezione dei componenti togati del Csm, con la possibilità per i gruppi associativi di essere rappresentati nel Consiglio, in tal modo inducendo le diverse correnti togate ad agire alla stregua di partiti politici[3].

A ciò si aggiunge che, in virtù dell’approvazione delle leggi nn. 570/1966 (c.d. “legge Breganze”) e 831/1973 (c.d. “legge Breganzone”), è stato abolito il tradizionale sistema di avanzamento di carriera tramite concorso ed introdotto, invece, un sistema di avanzamento a ruoli aperti, basato sul criterio di anzianità. All’introduzione di questo nuovo sistema di carriera, tuttavia, non ha fatto seguito l’introduzione di un sistema di valutazione effettiva della professionalità dei magistrati, in assenza della quale la scelta per il conferimento di un incarico direttivo ha finito per essere determinata sempre più spesso dall’appartenenza a una determinata corrente togata, e dal sostegno ottenuto dai rappresentanti della corrente che siedono in Consiglio[4].

Il primo presidente della Repubblica ad intervenire in maniera esplicita sul ruolo esercitato dalle correnti all’interno del Csm fu Sandro Pertini, che, nel suo intervento del 1981 in occasione dell’insediamento del nuovo Consiglio superiore, sottolineò “la necessità di rigorosi accertamenti sulla idoneità dei magistrati all’esercizio delle funzioni direttive[5]. In tal modo, emergendo la preoccupazione di Pertini circa la possibilità che l’assenza di una effettiva valutazione professionale dei magistrati potesse comportare che l’assegnazione degli incarichi fosse determinata da ragioni connesse all’appartenenza dei candidati a determinate correnti.

Fu, però, soprattutto durante il mandato presidenziale di Francesco Cossiga che il tema delle degenerazioni del correntismo nella magistratura cominciò ad essere al centro di interventi critici espliciti da parte dello stesso capo dello Stato.

Tra i numerosi richiami, merita di essere ricordato quello espresso da Cossiga nel 1991[6], quando il capo dello Stato si oppose alla richiesta di iscrizione all’ordine del giorno di una seduta del Csm di quesiti a suo avviso estranei alle competenze dell’organo, minacciando addirittura in caso di svolgimento della seduta di far sgomberare il Consiglio attraverso il ricorso alla forza pubblica.

Di gran lunga meno numerosi e severi rispetto a quelli del suo predecessore, i richiami sulle degenerazioni del correntismo di Luigi Scalfaro. Peraltro, tali richiami sono giunti durante i primi  mesi degli anni ‘70, per poi sparire dai discorsi presidenziali a partire dalla fine del 1992, cioè in seguito all’esplosione dell’inchiesta giudiziaria di “Mani Pulite” e all’emergere di un nuovo tipo di rapporto di potere tra magistratura e politica, caratterizzato da uno squilibrio a favore del primo.

Si rammenti, a titolo esemplificativo, il monito del capo dello Stato del 23 dicembre 1992, in cui ebbe modo di affermare che “l’importante è che ciascuno, nel momento in cui giudica se un collega sia idoneo o meno, si dimentichi di quale settore fa parte nella varia distribuzione interna, che è un segno di libertà della magistratura, quando ritiene che questo collega abbia le capacità. Una virgola di tentativo di avere più benevolenza per chi ha lo stesso gruppo sanguigno porterebbe loro agli stessi mali che noi parlamentari a volte abbiamo generato[7].

Anche la presidenza di Carlo Azeglio Ciampi si ritrovò ad agire in un contesto caratterizzato da profonde tensioni tra la politica e la magistratura.

Ed invero, Ciampi non mancò di chiamare in causa in maniera critica il condizionamento esercitato dalle correnti sulle attività del Csm. In particolare, il monito più critico nei confronti delle degenerazioni del correntismo venne espresso da Ciampi durante un intervento al Csm nel 2006, laddove ha attribuito le lentezze dell’organo anche ai condizionamenti di logiche correntizie che hanno imposto “pause, frenate e mediazioni faticose ben al di là della pur necessaria dialettica[8].

In linea di continuità con il passato si pongono le due presidenze di Giorgio Napolitano, caratterizzate dall’adozione di toni distensivi nei confronti della magistratura. Nonostante ciò, molteplici sono stati i richiami contro le degenerazioni del correntismo.

Un duro monito contro le degenerazioni correntizie venne espresso da Napolitano il 9 giugno 2009, in un intervento al Csm. In questa occasione, Napolitano pose l’attenzione sui caratteri dell’obiettività ed imparzialità rispetto ai quali il Consiglio Superiore deve esercitare le sue funzioni, non dovendosi fare condizionare nelle sue scelte da logiche di appartenenza correntizia[9].

Tra i numerosi appelli di Napolitano, merita di essere citato anche quello espresso il 15 febbraio 2012 in un intervento al plenum del Csm, ove il Capo dello Stato auspicò che la scelta dei magistrati destinati a ricoprire incarichi direttivi e semidirettivi fosse “operata nell’esclusivo rispetto dei parametri della capacità professionale e organizzativa, dell’attitudine al ruolo, dell’autorevolezza e della vocazione a motivare i magistrati addetti all’ufficio”, sottolineando che scelte basate esclusivamente su tali parametri “allontanano il pericolo che l’opinione pubblica e, talvolta, gli stessi magistrati abbiano la percezione che alcune di esse siano condizionate da logiche spartitorie e trasversali, rapporti amicali, collegamenti politici[10].

La particolare preoccupazione del Capo dello Stato verso il tema delle degenerazioni del correntismo appare confermata anche dalla decisione di quest’ultimo di sollevare nuovamente l’attenzione sulla questione anche il 22 dicembre 2014, nel suo ultimo intervento al Csm, e a pochi giorni dalle dimissioni da presidente della Repubblica, chiarendo che le correnti “sono state e devono essere […] ambiente qualificato di crescita, formazione e dibattito, in direzione di un miglioramento complessivo della funzione giudiziaria, non nel senso della mera difesa di istanze corporative[11].

Anche Sergio Mattarella, nonostante sia intervenuto alle sedute del Csm solo in rare occasioni, ha più volte richiamato l’attenzione dei consiglieri sui condizionamenti esercitati dalle correnti sui lavori dell’organo di autogoverno delle toghe. È significativo, inoltre, che tali richiami siano stati espressi da Mattarella ben prima che emergesse lo scandalo giudiziario che nel giugno 2019 ha travolto il Csm.

In un intervento tenuto al Csm l’8 giugno 2015, ad esempio, dopo aver sottolineato che “il Paese ci chiede un’amministrazione della giustizia veloce per dare peso sempre maggiore alla sua autorevolezza” e che “la copertura in tempi rapidi degli incarichi negli uffici giudiziari ne rappresenta il primo necessario tassello”, Mattarella espresse l’auspicio che “la copertura di tutti i posti vacanti e, in particolare, di quelli direttivi e semi direttivi, sia effettuata celermente; e non venga ritardata dalla ricerca di intese su una pluralità di nomine[12]. Con quest’ultimo passaggio, Mattarella intese riferirsi al fenomeno delle cc.dd. “nomine a pacchetto”, cioè quelle nomine che vengono decise raggruppando più incarichi in vari uffici giudiziari, così da garantire gli equilibri tra le correnti.

Tuttavia, le critiche più dure nei confronti delle degenerazioni del correntismo sono state mosse da Mattarella all’indomani dello scandalo giudiziario esploso nel 2019, incentrato proprio sulle pratiche spartitorie compiute per le nomine ai vertici dei vari uffici giudiziari.

In particolare, il 21 giugno 2019 Mattarella tenne un duro discorso al plenum straordinario del Csm, denunciando il quadro sconcertante e inaccettabile emerso nel corso dell’inchiesta giudiziaria e condannando “il coacervo di manovre nascoste, di tentativi di screditare altri magistrati, di millantata influenza, di pretesa di orientare inchieste e condizionare gli eventi, di convinzione di poter manovrare il Csm, di indebita partecipazione di esponenti di un diverso potere dello Stato”, una prassi che si manifesta “in totale contrapposizione con i doveri basilari dell’ordine giudiziario e con quel che i cittadini si attendono dalla magistratura[13].

Il 18 giugno 2020 Mattarella è tornato a criticare severamente il sistema delle correnti, a seguito di una nuova ondata di intercettazioni pubblicate sui giornali e relative all’inchiesta sulle nomine, affermando che: “questo è il momento di dimostrare, con coraggio, di voler superare ogni degenerazione del sistema delle correnti per perseguire autenticamente l’interesse generale ad avere una giustizia efficiente e credibile. È indispensabile porre attenzione critica sul ruolo e sull’utilità stessa delle correnti interne alla vita associativa dei magistrati”.

Pur dicendosi certo che le logiche correntizie “non appartengono alla magistratura nel suo insieme”, Mattarella ha evidenziato la necessità di apportare delle modifiche normative alle procedure di conferimento degli incarichi direttivi e semidirettivi: “è necessario che il tracciato della riforma sia volto a rimuovere prassi inaccettabili, frutto di una trama di schieramenti cementati dal desiderio di occupare ruoli di particolare importanza giudiziaria e amministrativa, un intreccio di contrapposte manovre, di scambi, talvolta con palese indifferenza al merito delle questioni e alle capacità individuali[14].

Alla luce del quadro sopra esposto, è evidente che i numerosi richiami espressi dai Presidenti della Repubblica volti ad affermare una riflessione sui risvolti negativi generati dalla degenerazione del correntismo non hanno conseguito il loro obiettivo[15].

Tale circostanza è confermata dall’emergere nel giugno 2019 dello scandalo sulle cc.dd. nomine pilotate al Csm, che ha coinvolto Luca Palamara, allora Presidente dell’Associazione Nazionale Magistrati (A.N.M.) e componente del Csm, e ha condotto alla sua rimozione dall’ordine giudiziario da parte del Csm.

Dalle intercettazioni telefoniche effettuate nell’ambito delle indagini per corruzione avviate a suo carico dalla Procura di Perugia, è emerso che Palamara partecipava a incontri e colloqui non istituzionali per influenzare e deviare il lavoro del Csm, pilotando, insieme con magistrati, esponenti politici e altri soggetti di rilievo istituzionale, la nomina di molti capi degli uffici giudiziari italiani.

Palamara si è difeso sostenendo che si tratta di un “sistema”, quello per il quale è stato accusato, noto e diffuso. Da sempre, secondo Palamara, le varie correnti della magistratura concordano e si dividono le nomine più importanti e gran parte dei magistrati del Csm, ma anche capi dei principali uffici giudiziari italiani, ne sono stati complici e beneficiari.

È indubbio che il caso Palamara abbia avuto un notevole effetto sull’opinione pubblica, contribuendo a minare la già scarsa credibilità della magistratura e a diffondere un sentimento di sfiducia nelle istituzioni[16].

L’attuale momento di crisi che sta attraversando il Csm ha riacceso il dibattito intorno alle prospettive di riforma dell’organo, le quali, tuttavia, non sono una novità nel dibattito pubblico degli ultimi anni.

A partire dagli anni ’90, anche alla luce delle crescenti tensioni tra politica e magistratura, non sono mancate proposte di riforma del Csm, della sua composizione e delle sue funzioni[17].

Il testo costituzionale, infatti, indica solo alcune opzioni di fondo[18], lasciando al contempo ampio margine di discrezionalità al legislatore di attuazione. Tuttavia, la stessa tardiva istituzione del Csm e la disciplina, non sempre dettagliata, prevista dalla l. n. 195/1958[19] hanno spinto lo stesso Consiglio a supplire a tali carenze, non solo attraverso l’esercizio del suo potere regolamentare interno, ma anche con l’attivazione dei poteri para-normativi[20].

Le principali ipotesi di riforma susseguitesi negli anni si sono concentrate sul piano del numero dei componenti e della disciplina elettorale, sulla base del presupposto che la modifica dei meccanismi di selezione dei componenti potesse rappresentare un argine alla politicizzazione del Csm e al peso eccessivo delle correnti della magistratura associata[21].

Da ultimo, il Consiglio dei Ministri 11 febbraio 2022, n. 60, su proposta della ministra della Giustizia, Marta Cartabia, ha approvato all’unanimità modifiche riguardanti l’ordinamento giudiziario e il Csm.

La riforma riorganizza il Csm nel tentativo di togliere peso alle correnti politiche al suo interno, e in generale interviene per limitare la politicizzazione del Csm, la lottizzazione delle nomine e stabilire le condizioni da rispettare per i magistrati che vogliono entrare in politica.

Innanzitutto, al fine di rendere più difficile prevedere spartizioni si introducono elementi di imprevedibilità nell’ambito del sistema elettorale. In particolare, per i 20 membri togati del Csm la ministra Cartabia propone un sistema elettorale misto che si basa su collegi binominali, più una distribuzione proporzionale di 5 seggi su base nazionale. Non sono previste liste, bensì candidature individuali, e in ogni collegio binominale ci devono essere almeno 6 candidati, di cui almeno 3 del genere meno rappresentato, ricorrendo al sorteggio per riportare equilibrio.

Ancora, per scongiurare il fenomeno delle nomine a pacchetto, tipiche degli accordi di spartizione, si stabiliscono nuove regole procedimentali per l’assegnazione degli incarichi direttivi, definiti in base all’ordine temporale di vacanza a partire da una rosa di candidati, e l’individuazione di criteri di valutazione, per valutare tra l’altro anche le capacità organizzative.

Si pone fine, inoltre, al meccanismo delle c.d. “porte girevoli”, attraverso la previsione dell’incompatibilità delle funzioni giurisdizionali e con le cariche politiche. Il divieto riguarderà le cariche politiche nazionali, regionali, delle province autonome di Trento e Bolzano e del Parlamento Europeo. I magistrati non potranno, altresì, essere eletti nella Regione di cui fa parte l’ufficio giudiziario in cui hanno prestato servizio negli ultimi tre anni, e al loro eventuale rientro nella magistratura potranno svolgere solo incarichi amministrativi o ministeriali.

Va segnalato anche che sulla valutazione della professionalità inciderà la c.d. “tenuta dei provvedimenti giurisdizionali”, attraverso l’acquisizione a campione della documentazione necessaria per accertare l’esito dei procedimenti nelle successive fasi di giudizio. Il giudizio terrà conto, inoltre, della capacità di organizzazione del lavoro e sarà espresso con discreto, buono, ottimo, non solo con positivo o negativo. Sulla valutazione della professionalità incideranno anche le condotte disciplinari e il coinvolgimento degli avvocati e dei professori nelle discussioni nei Consigli Giudiziari.

Ulteriori regole sono state previste per semplificare l’accesso in magistratura, consentendo l’ingresso ai concorsi subito dopo la laurea ed eliminando l’obbligo di frequentazione delle scuole di specializzazione. Alla Scuola Superiore della magistratura si vuole attribuire la preparazione per i concorsi in magistratura per chi sta svolgendo il tirocinio e per chi svolge funzioni nell’ufficio per il processo per il Piano nazionale di Ripresa e Resilienza. Per quanto riguarda, invece, la struttura del concorso si intende ridurre le materie oggetto delle prove orali e prevedere tre elaborati scritti.

Alla luce delle novità previste dalla ministra Cartabia, se ne può concludere che il disegno di legge in argomento costituisce indubbiamente un passo avanti per la regolamentazione dell’organo di autogoverno della magistratura, tuttavia, nessuna riforma potrà essere efficace senza che vi sia una presa di coscienza da parte della magistratura nel suo complesso e da parte di ciascun magistrato individualmente, per recuperare la dignità della funzione e il rispetto e la fiducia dei cittadini[22]

 

 

[1] G. Di Federico, “Il contributo del CSM alla crisi della giustizia. Le novità in materia di ordinamento giudiziario”, Atti del XXIX Convegno nazionale, 2012, 5.

[2] A. Meniconi, “La storia dell’associazionismo giudiziario: alcune notazioni”, in Questione Giustizia, IV, 2015.

[3] G. Melis, “Le correnti nella magistratura. Origini, ragioni ideali, degenerazioni”, in www.questionegiustizia.it, 10 gennaio 2020.

[4] R. Bin, G. Pitruzzella, Diritto Costituzionale, Torino, 2017.

[5] S. Pertini, “Insediamento del Consiglio Superiore”, 9 luglio 1981, in .

[6] F.  Cossiga, “Intervento al Consiglio Superiore  della Magistratura”, 12 giugno 1991, in .

[7] O. L. Scalfaro, “Intervento alla seduta del Consiglio Superiore della Magistratura”, 23 dicembre 1992, in https://archivio.quirinale.it/discorsi//AL_CSM/Scalfaro/Scalfaro_23_dicembre_1992.pdf.

[8] C. A. Ciampi, “Intervento alla seduta del Consiglio Superiore della Magistratura per l’elezione del nuovo procuratore generale presso la Corte Suprema di Cassazione”, 26 aprile 2006, in .

[9] G. Napolitano, “Intervento alla seduta del Consiglio Superiore della Magistratura”, 9 giugno 2009, in .

[10]  G. Napolitano, “Intervento all’adunanza pubblica del Consiglio Superiore della Magistratura”, 15 febbraio 2012, in .

[11] G. Napolitano, “Intervento in occasione dell’Assemblea plenaria del Consiglio superiore della magistratura”, 22 dicembre 2014, in .

[12] S. Mattarella, “Intervento del Presidente Sergio Mattarella in occasione dell’Assemblea plenaria straordinaria del Consiglio Superiore della Magistratura”, 8 giugno 2015, in https://www.csm.it/web/presidentedellarepub/bacheca-del-consigliere/-/asset_publisher/NkL0BnabHlD2/content/discorso-del-presidente-sergio-mattarella-in-occasione-dell-assemblea-plenaria-straordinaria-del-consiglio-superiore-della-magistratura.

[13] S. Mattarella, “Intervento del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella all’Assemblea plenaria straordinaria del Consiglio Superiore della Magistratura”, 21 giugno 2019, in .

[14] S. Mattarella, “Intervento in occasione della cerimonia commemorativa dell’anniversario di alcuni magistrati uccisi per l’impegno nel contrasto alla violenza terroristica e mafiosa”, 18 giugno 2020, in .

[15] E. Antonucci, “I presidenti della Repubblica e le degenerazioni delle correnti nella magistratura”, in Storia e politica, 2021, XIII n. 2, pp. 289-324.

[16] U. Apice, “Il diritto al giudice giusto e il caso Palamara”, in www.judicium.it, 10 maggio 2021.

[17] A. Morrone, “Riformare il CSM: e se provassimo a istituzionalizzare le correnti?”, in Forum di Quaderni Costituzionali, IV, 2020. Disponibile in www.forumcostituzionale.it.

[18] E.g. l’art. 104 Cost. indica la composizione dell’organo e la durata in carica dei membri: “Il Consiglio superiore della magistratura è presieduto dal Presidente della Repubblica.

Ne fanno parte di diritto il primo presidente e il procuratore generale della Corte di cassazione.

Gli altri componenti sono eletti per due terzi da tutti i magistrati ordinari tra gli appartenenti alle varie categorie, e per un terzo dal Parlamento in seduta comune tra professori ordinari di università in materie giuridiche ed avvocati dopo quindici anni di esercizio.

Il Consiglio elegge un vicepresidente fra i componenti designati dal Parlamento.

I membri elettivi del Consiglio durano in carica quattro anni e non sono immediatamente rieleggibili.

Non possono, finché sono in carica, essere iscritti negli albi professionali, né far parte del Parlamento o di un Consiglio regionale”.

[19] La l. n. 195/1958 e s.m.i. prevede le norme sulla costituzione e sul funzionamento del Csm.

[20] F. Puleio, “Autonomia della magistratura e riforma del CSM”, in Rivista trimestrale di scienza dell’amministrazione, 2021, II, pp. 1-14.

[21] T. F. Giupponi, “Il Consiglio superiore della magistratura e le prospettive di riforma”, in Il Mulino, 2021, I, pp. 45-68.

[22] P. Gentilucci, “La riforma Cartabia del Consiglio Superiore della Magistratura”, in www.diritto.it, 17 febbraio 2022.

 

Fonte immagine: Uomo Che Tiene Pezzo Degli Scacchi · Foto gratuita (pexels.com)

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