Il naufragio della Costa Concordia – I parte
Il naufragio della Costa Concordia
La Costa Concordia è la nave passeggeri di più grosso tonnellaggio mai naufragata. L’episodio avvenuto a largo dell’isola del Giglio il 13 gennaio 2012 ha suscitato nell’opinione pubblica italiana e internazionale grande apprensione che ha indotto i giudici a svolgere un lavoro lungo e meticoloso che ha portato ad una prima sentenza del Tribunale di Grosseto nel 2015; nel 2017 si è invece espressa sulla questione, ponendovi fine, la Suprema Corte di Cassazione. Il giudizio si è concentrato principalmente sulle responsabilità dell’imputato Francesco Schettino (che analizzeremo via via in vari articoli) in relazione ai reati di naufragio colposo, omicidio colposo plurimo, lesioni colpose plurime. Queste ultime due fattispecie venivano contestate anche al responsabile dell’unità anticrisi istituita a terra da Costa Crociere s.p.a. Al comandante venivano altresì addebitati il reato di abbandono nave previsto dall’art 1097 c. nav., non essendo sceso per ultimo dall’imbarcazione e il reato di abbandono di minori o incapaci previsto dall’art. 591 c.p.
La pronuncia che ci accingiamo ad esaminare non è l’unica emessa nel corso del giudizio: il 20 luglio 2013 il G.u.p. del tribunale di Grosseto ha sentenziato il patteggiamento di due ufficiali di bordo, del timoniere, dell’hotel director e del rappresentante della società armatrice.[1]
Cenni introduttivi
La nave è stata costruita in Italia dai cantieri navali della Fincantieri Sestri Ponente e fu varata il 2 settembre 2005[2].
Il nome “Concordia” fa riferimento all’unità e alla pace fra le nazioni europee infatti i suoi tredici ponti avevano i nomi di altrettanti Stati europei (Olanda, Grecia, Svezia, Italia, Gran Bretagna, Belgio, Irlanda, Portogallo, Francia, Germania, Spagna, Austria e Polonia).
Al momento del varo, la Concordia è stata la più grande nave della marina mercantile italiana, assumendo alla sua entrata in servizio, il ruolo di ammiraglia della compagnia, fino al 2007. La nave era lunga 289,59 metri e larga 35,50 metri. Poteva ospitare un massimo di 3780 passeggeri per un massimo di 4890 persone a bordo.
È necessario fin da ora sottolineare che, per limitare gli effetti di eventuali allagamenti, i locali situati al di sotto della linea di galleggiamento erano suddivisi trasversalmente in compartimenti, delimitati da paratie stagne, ovvero setti trasversali di lamiere disposti da murata a murata e dal fondo della nave al ponte 0 (ponte sulla linea di galleggiamento).
Più in particolare, partendo da poppa e venendo verso prua la Concordia era suddivisa in 19 compartimenti.
Questa precisazione sui compartimenti è indispensabile in sede preliminare, poiché il numero di componenti allagati determina la riserva di galleggiabilità della nave; la presenza di una falla va necessariamente posta in relazione al tipo di compartimento allagato e alla sua destinazione d’uso.
Invero, è opportuno aggiungere che è prassi costante lasciare le porte stagne aperte anche in navigazione data la maggiore agilità nello svolgimento delle attività lavorative.
A differenza di altre vicende in cui i fatti meritano solo un cenno, in questo caso data la complessità della vicenda, che ha interessato oltre 4229 individui che erano presenti a bordo sia in veste di passeggeri che di equipaggio più tutti coloro che sono poi intervenuti nei soccorsi, ci induce a riportare una ricostruzione dettagliata dei fatti, operando anche delle digressioni relative a eventi specifici avvenuti prima e dopo il naufragio utili per la ricostruzione delle circostanze e dei motivi che hanno portato al tragico epilogo.
È utile anche ricostruire la piramide gerarchica a bordo, dal momento in cui è chiaro in primo luogo che la nave necessita di personale qualificato in 2 diversi settori specifici. La prima distinzione è tra “gente di mare” ai sensi dell’art. 114 del codice della navigazione, che poi ulteriormente si dividono in personale addetto ai servizi di coperta e di macchine ed in genere servizi tecnici di bordo; e personale addetto ai servizi complementari di bordo (servizi non direttamente coinvolti nella navigazione ma particolarmente rilevanti per le navi da crociera).
Tutti i soggetti presenti a bordo sono gerarchicamente sottoposti al comandante (sulla figura del comandante vedi qui), procedendo nella scala gerarchica della gente di mare abbiamo poi il direttore di macchina, comandante in seconda, capo commissario e medico di bordo che sono tutti sullo stesso piano e dirigono i rispettivi rami, poi abbiamo gli altri ufficiali (primo secondo e terzo), poi nostromo e maestro di macchina, altri sottoufficiali e i comuni.
La timeline: dalla partenza all’impatto
Nel gennaio 2012 la Concordia era impegnata nella crociera nel mediterraneo denominata “profumo di agrumi”; in particolare la sera del 13 gennaio era in partenza da Civitavecchia per raggiungere il porto di Savona.
La rotta da tenere durante questa tratta è stata inizialmente pianificata dalla Società di Gestione Costa e comunicata all’Autorità Marittima; la rotta prevista permetteva di mantenere una distanza minima dalla costa di 3,3 miglia.
Alle ore 18.27 Francesco Schettino comunicò all’ufficiale cartografo Canessa di voler cambiare rotta in modo da fare un passaggio più ravvicinato all’isola del Giglio; su proposta del Canessa venne concordata una rotta che permetteva di passare a circa mezzo miglio dal Giglio, in un punto in cui il fondale è sufficientemente profondo; i motivi di tale richiesta sono risultati molto chiari: Schettino voleva adoperare il c.d. “inchino” sia per omaggiare il mâitre dell’hotel della nave, Antonello Tievoli, sia per omaggiare il comandante Palombo, suo maestro. Già al momento della pianificazione, il comandante, aveva manifestato la volontà di passare “un po’ più sotto” per mettere in risalto le proprie doti marinaresche, ma, di fronte alla proposta dell’ufficiale cartografo di tracciare una nuova rotta il comandante rispondeva negativamente lasciando intendere con la frase “no, no, poi vado io” che si sarebbe occupato personalmente dell’accostata.
Alle 21.34 Schettino arrivava in plancia, quando la nave era distante 2.54 miglia dalle “Scole” (il gruppo di scogli su cui poi si schianterà). Al momento dell’arrivo la velocità era di 15,4 nodi. È necessario tenere presente che in quel momento la nave non aveva ancora raggiunto il “will over point”: il punto segnato da Canessa in cui portare la rotta su 334°. Dalle registrazioni della scatola nera risulta poi una telefonata al comandante Palombo durante la quale Schettino pronunciava le parole “va bè: io… anche se passiamo a zero-tre, zero-quattro, ci sta acqua là sotto, vero? Okay! Ho capito, quindi stiamo tranquilli… sì, sì, mo faccio tanti fischi e salutiamo a tutti. Va bene. E poi ci sentiamo.” Da ciò si evince la chiara intenzione dello Schettino di passare a distanza ben più ravvicinata di 0,5 miglia.
Da questo momento Schettino prendeva ufficialmente il comandando e ordinava varie rotte da tenere al timoniere; uno di questi ordini non veniva ben compreso dal timoniere e veniva corretto dal primo ufficiale (lo stesso Ambrosio dichiarerà di aver consapevolmente corretto diversamente da quanto detto dal comandante, nel tentativo di accelerare la correzione di rotta[3]) e di nuovo da Schettino. A questo punto è necessario aggiungere che la velocità della nave, la grossa stazza della stessa e più in generale le leggi fisiche che ne governano i movimenti fanno si che la Costa Concordia, prima di poter cambiare rotta, si diriga ancora verso la costa del Giglio. Infatti, in circa tre minuti, il Comandante impartiva circa 10 ordini diversi cercando di adoperare l’accostata in maniera lenta e graduale, quanto più vicina possibile al Giglio.
Quando la nave era ormai a circa 135 metri dalle Scole, si susseguirono ordini da parte del comandante di accostata a sinistra. A questo punto si verificava, secondo la versione accolta dai giudici del Tribunale di Grosseto, l’errore del timoniere che eseguiva l’ordine (come stimato dai periti) con un ritardo di circa 13 secondi.
Alle 21.45. a una velocità di 14,4 nodi e una distanza dalla costa di circa 160 metri Schettino ordinava, nell’ultimo estremo tentativo di evitare l’urto “hard to port” (tutto a sinistra), per effettuare la c.d. manovra a baionetta per far allontanare la poppa dal basso fondale, senza riuscire nell’intento. La nave urterà 2 secondi dopo aprendo una falla nello scafo di quasi 53 metri di lunghezza per 7,3 di altezza nel punto più alto. L’acqua iniziò ad entrare velocemente, allagando, nel giro di pochi minuti tre compartimenti contigui e mettendo fuori uso l’impianto elettrico, con conseguente black out, e la sala macchine. Il primo annuncio venne diramato alle 21.55, ma riferendo solo un guasto ai generatori della nave. La stesso avviso venne fatto alla Capitaneria di porto, omettendo di sottolineare la gravità della situazione.
Un ora dopo, alle 22.54 venne dato l’annuncio di abbandono nave, quando ormai la nave aveva raggiunto una inclinazione tale da rendersi quasi impossibile la calata delle scialuppe[4]. Non è chiaro a che ora il Comandante lasciò l’imbarcazione, ma è accertato che alle 2 raggiunse il porto, a bordo di un gommone, contrariamente al comando della Capitaneria di porto.
Le responsabilità del Comandante per il reato di cui agli artt. 428-449 c.p.
L’articolo 449 è composto da 2 commi, il primo comma non fa altro che estendere la possibilità di applicazione dell’articolo 428 (e altri disastri) anche alle condotte di tipo colposo, mentre invece il secondo comma prevede una pena maggiore nel caso in cui la nave viene condotta al naufragio da parte di un membro dell’equipaggio. L’articolo 428 è collocato nel titolo VI del codice penale, dove sono raggruppati i delitti contro l’incolumità pubblica. In questi tipi di delitti, che vengono generalmente individuati nei “fatti che possono esporre a pericolo un numero indeterminato di persone” il legislatore si è concentrato sull’interesse della società civile complessivamente considerata a non essere interessata da disastri, ovvero sull’assenza di pericoli collettivi. La natura del pericolo comune comporta una valutazione unitaria, delle posizioni delle vittime potenziali, che di fronte ai delitti contro la pubblica incolumità appaiono indifferenziate, prive di individualità e fungibili. Inoltre, requisiti necessari per la configurazione di una fattispecie di reato contro la pubblica incolumità sono la potenzialità e la diffusività del pericolo, che consente di evidenziare come la mancata verificazione di effetti pregiudizievoli in danno di individui sia dovuta solo alla casuale assenza di persone in questo raggio. Per tale motivo, nel momento di realizzazione di perdita di attitudine alla navigazione della nave (vedi qui art. 428), si realizzerà automaticamente la fattispecie di cui all’art. 449 c.p. Nella valutazione del nesso di causalità, la sentenza del Tribunale di Grosseto, poi confermata dal giudice di legittimità, conferma l’impianto accusatorio avanzato dal Pubblico Ministero, riconoscendo che la scelta di modificare la rotta, e di condurre la nave in prossimità degli scogli comportano una piena responsabilità da parte dell’imputato. In relazione al delitto di naufragio ( per l’approfondimento vedi sopra) A parere del Tribunale, censurato dai legali dell’imputato, ma pienamente confermato dalla sentenza della Cassazione, un diretto nesso eziologico tra l’imperita gestione della navigazione e la disastrosa collisione sono, sussistenti al di la di ogni ragionevole dubbio, senza che si possa affermare l’esistenza di circostanze eccezionali interruttive di tale decorso causale, come avevano invece sostenuto i legali dell’imputato. La Corte in merito approfondisce la situazione relativa alla gerarchia di bordo chiarendo che “In proposito, a tutto concedere, occorre tenere presente che, quando fra i diversi garanti intercorre un rapporto gerarchico, il titolare della posizione di garanzia gerarchicamente sovraordinato non deve fare quanto è tenuto a fare il garante subordinato, ma deve scrupolosamente accertare se il subordinato è stato effettivamente garante, ossia che ha effettivamente posto in essere la condotta di protezione a lui richiesta in quel momento» Altra questione affrontata in tema di legittimità è quella relativa ai vari soggetti tenuti al rispetto delle regole cautelari che nella specie furono violate. I giudici a riguardo hanno sottolineato che la decisione dello Schettino di effettuare il passaggio sotto costa ha avuto un peso preponderante sul corso degli eventi che condussero al naufragio, rispetto a quello degli errori attribuiti agli altri ufficiali e al timoniere.
L’aggravante della colpa cosciente in relazione al naufragio
In sede dibattimentale si è discusso in relazione alla possibilità di applicazione dell’aggravante della colpa cosciente o se si rientrasse nella fattispecie di dolo eventuale.
L’aggravante della colpa cosciente è prevista nel nostro codice dall’art. 61 n. 3 che parla di realizzazione del reato con previsione dell’evento; la colpa e la previsione di reato non sono in antitesi come confermato anche dall’art. 43 comma 3 che prevede la possibilità di realizzazione dell’evento con previsione ma senza volizione.
Si avrà realizzazione del reato con colpa cosciente nel caso in cui l’imputato si sia rappresentato la possibilità e/o probabilità di realizzazione dell’evento ma nonostante ciò si convinca che l’evento non si verificherà perché convinto di poterlo evitare.
Il fatto che l’agente si rappresenti la possibilità e/o probabilità di realizzazione dell’evento dannoso accomuna il dolo eventuale e la colpa cosciente ma, riprendendo la sentenza Thyssenkrupp, i giudici hanno chiarito che l’ipotesi di dolo eventuale si realizza solo quando l’agente si sia rappresentata la significativa possibilità di verificazione dell’evento dannoso e si sia determinato ad agire comunque, anche a costo di cagionarlo come sviluppo collaterale o accidentale, ma comunque preventivamente accettato.
Colui che agisce con colpa cosciente invece è convinto che l’evento dannoso non si verificherà; l’evento previsto anche solo come possibile/probabile in conseguenza alla violazione di una regola cautelare non è minimamente voluto, poiché egli è certo di poterlo evitare.
Nel caso di specie si è proceduto a vari interrogatori per capire non solo in quello specifico momento ma anche in momenti diversi quale fosse la condizione psicologica dello Schettino. Dal quadro probatorio è emersa una frase pronunciata dallo Schettino poco prima dell’impatto: “starboard! Otherwise we go on the rocks”, dalla quale i giudici hanno dedotto con chiarezza che lo schettino fosse a conoscenza degli scogli e anche un solo minimo, banalissimo errore lo avrebbe condotto al naufragio. I giudici, in relazione al secondo requisito (se avesse o meno scongiurato l’ipotesi di realizzazione dell’evento nella convinzione di poterlo evitare), hanno analizzato la condotta dell’imputato nel momento successivo all’impatto, quando il comandante cadde in uno stato di profonda costernazione quasi giungendo ad una fase di “fuga dalla realtà”, a dimostrazione del fatto che lo Schettino si era rappresentato la possibilità dell’impatto ma era convinto di evitarlo, credendo fortemente nelle proprie capacità marinaresche. Questa smisurata fiducia lo ha portato al naufragio della Costa Concordia ma, paradossalmente, lo ha sollevato dal peso di una condanna per naufragio doloso.
[1]Il primo ufficiale di coperta venne condannato alla pena di un anno e 11 mesi di reclusione; il timoniere alla pena di un anno e 8 mesi; il terzo ufficiale di coperta alla pena di un anno e sei mesi di reclusione; il rappresentante di Costa Crociere S.p.a. a 2 anni e 10 mesi di reclusione; l’hotel director a 2 anni e 6 mesi di reclusione.
[2]In occasione del varo abbiamo una vera e propria cerimonia inaugurale dove il momento centrale è quello in cui viene fatta impattare una bottiglia di champagne sulla paratia della nave; nella maggior parte dei casi la bottiglia, data l’elevata velocità al momento dell’impatto, si rompe. Nei casi in cui la bottiglia non si rompe nella comunità navale l’evento viene considerato come un segnale di sfortuna. Nel caso del varo della Costa Concordia è possibile reperire in rete il video del varo ( https://www.youtube.com/watch?v=eeZvPeTaKCg).
[3]Anche questo particolare non è irrilevante in quanto denota una preoccupazione da parte del primo ufficiale e una perplessità in relazione alla manovra che il comandante si accinge ad effettuare.
[4]Tribunale di Grosseto, sentenza del 10 luglio 2015, n. 115, p.261.
Davide Carannante, 23 anni, laureato in giurisprudenza alla Federico II di Napoli con una tesi in diritto penale dal titolo “omissioni e colpe nel diritto penale marittimo”.