lunedì, Ottobre 7, 2024
Di Robusta Costituzione

Il referendum costituzionale 2020: analisi del quesito referendario e confronto con il referendum abrogativo

Con la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale n.23 del 29 gennaio del D.P.R. 28 gennaio 2020 è stato indetto il referendum ex art.138 della Costituzione per l’approvazione del testo della legge costituzionale concernente “Modifiche agli articoli 56, 57 e 59 della Costituzione in materia di riduzione del numero dei parlamentari”, approvato dal Parlamento e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n.240 del 12 ottobre 2019.

Il testo del quesito referendario prevede: “Approvate il testo della legge costituzionale concernente “Modifiche agli articoli 56, 57 e 59 della Costituzione in materia di riduzione del numero dei parlamentari”, approvato dal Parlamento e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana – Serie generale – n.240 del 12 ottobre 2019?”

Per le note vicende legate all’emergenza sanitaria[1], con il D.P.R.  del 5 marzo 2020[2] il Consiglio dei Ministri ha adottato la decisione di rinviare la data del referendum confermativo sulla riduzione del numero dei parlamentari, al fine di consentire a tutti i soggetti politici una campagna elettorale efficace e ai cittadini un’adeguata informazione sulla scelta che sono chiamati a fare votando sul quesito referendario[3]. Infine con la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale n.180 del 18 luglio 2020 del decreto del Presidente della Repubblica del 17 luglio 2020 sono stati convocati i comizi elettorali e fissata la data, nei giorni di domenica 20 settembre e lunedì 21 settembre 2020

Il testo della proposta di legge costituzionale prevede la riduzione del numero dei deputati da 630 a 400 e la riduzione del numero dei senatori elettivi da 315 a 200. La proposta è stata approvata, in prima deliberazione, dal Senato, in un testo risultante dall’unificazione di alcuni disegni di legge costituzionale d’iniziativa parlamentare nella seduta del 7 febbraio 2019; il medesimo testo è stato approvato, senza modificazioni, in prima deliberazione, dalla Camera dei deputati nella seduta del 9 maggio 2019. Nella seduta dell’11 luglio 2019 è avvenuta l’approvazione in seconda deliberazione da parte dell’Assemblea del Senato.

Senza voler entrare nel merito delle ragioni legate al voto e agli indirizzi dei partiti politici, ci si limiterà in questa sede ad analizzare gli articoli oggetto del referendum approvativo e della differenza di quest’ultimo dal referendum abrogativo ex art. 75.

 

Referendum approvativo e referendum abrogativo: istituti e differenze

 

Il referendum approvativo è un istituto che non ha trovato per molti decenni alcuna utilizzazione: la prima consultazione referendaria è avvenuta in occasione della riforma del Titolo V il 7 ottobre 2001. In quella occasione, infatti, si era infranta una regola non scritta in base alla quale le modifiche alla Costituzione si realizzano con il concorso, o almeno il consenso, di tutte le forze politiche. Successivamente, nel 2006 la maggioranza allora al governo ha tentato di nuovo di modificare da sola la Costituzione, riscrivendo un significativo numero di articoli della Seconda Parte del testo costituzionale. In questo caso, tuttavia, il referendum costituzionale ha avuto esito negativo e la prospettata riforma non è stata realizzata[4]. Per ultimo nel 2016, nel corso della XVII Legislatura, il testo di riforma costituzionale, sul quale l’esito del referendum non è stato positivo, prevedeva una Camera inalterata nella sua composizione di 630 deputati, un Senato di 95 senatori elettivi di secondo grado. Tali senatori sarebbero stati eletti dai Consigli regionali o provinciali autonomi (in conformità alle scelte espresse dagli elettori per i candidati consiglieri in occasione del rinnovo dei medesimi organi) tra i consiglieri regionali ed i sindaci del territorio[5].

 

Tale specifico istituto trova la sua disciplina nell’art. 138 della Cost. comma 2[6]. Qualora nella seconda deliberazione il consenso parlamentare non sia così esteso da raggiungere la maggioranza speciale[7] dei due terzi, la norma ammette che siano chiamati a decidere gli stessi elettori attraverso il referendum.

La Costituzione si limita a prevedere che la richiesta di referendum deve avvenire entro tre mesi «dalla pubblicazione»; che i soggetti legittimati sono un quinto dei componenti di una Camera, cinque consigli regionali, cinquecentomila elettori; che il testo sottoposto a referendum, per poter essere promulgato, deve essere approvato dalla maggioranza dei voti validi. Non è previsto, a differenza di quanto fa l’art. 75 Cost. per il referendum abrogativo, un quorum di partecipazione per la validità del referendum[8]. Se la richiesta viene avanzata, è dovere del Presidente della Repubblica indire il referendum in una domenica compresa tra il 50 e il 70 giorno successivo alla emanazione del decreto di indizione; a referendum avvenuto, se la maggioranza dei votanti ha approvato, la legge costituzionale è perfetta, e seguirà la sua promulgazione, pubblicazione ed entrata in vigore come per tutte le leggi; se la maggioranza dei votanti ha respinto il referendum, il progetto di legge cade e il risultato sarà pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale. Se invece entro i tre mesi la richiesta di referendum non viene avanzata, scaduto il termine il progetto approvato dalle Camere diviene perfetto, con la sequenza comune a tutte le leggi di promulgazione, pubblicazione ed entrata in vigore[9].

 

Molteplici restano i problemi aperti, sia di tipo procedurale sia relativi al complessivo ruolo che il referendum costituzionale viene a rivestire nel procedimento dell’art. 138.

Quanto alla procedura, un concreto problema interpretativo è sorto nella prima occasione nella quale, nel 2001, è stato richiesto un referendum costituzionale e ha riguardato l’indizione del referendum. Ci si è chiesti se, una volta depositata una richiesta e scrutinatane la legittimità da parte dell’Ufficio centrale, il referendum potesse essere indetto oppure se dovessero necessariamente trascorrere i tre mesi, al fine di consentire l’eventuale deposito di altre richieste. Il governo ha optato per questa seconda possibilità, ritenendo che, anche se ininfluenti sul piano pratico (in quanto il quesito referendario è sempre lo stesso e identico, stabilito per legge, indipendentemente dal numero dei promotori), ulteriori richieste potessero però avere una rilevanza politica e giuridica, in quanto l’essere presentatori di una richiesta incide sulla possibilità di disporre degli spazi sui mass-media nella campagna referendaria. Tale prassi è stata seguita anche nella occasione referendaria del 2006.

L’altro grande interrogativo della dottrina riguarda il ruolo che il referendum riveste nel procedimento di revisione costituzionale.

Si possono distinguere due principali orientamenti. Da un lato, quello che riconduce il referendum a elemento di perfezione della legge, in quanto «comporta l’aggiunta del consenso di un terzo organo a quello prestato da ognuna delle due Camere», consenso presunto in caso di approvazione con la maggioranza dei due terzi o quando il referendum non sia stato richiesto[10] , per cui l’approvazione popolare avrebbe carattere costitutivo e la legge costituzionale assumerebbe il carattere di atto complesso. Dall’altro, quello secondo il quale si tratterebbe invece di un momento, eventuale, di integrazione dell’efficacia, nell’ambito di un procedimento che esaurisce la sua fase costitutiva a livello parlamentare: tale tesi si appoggia sia sul carattere meramente eventuale e facoltativo dell’intervento popolare[11], che sul tenore letterale dell’art. 138, secondo il quale le leggi costituzionali sono adottate dalle Camere (e su tale base sono già definite leggi), pur potendo essere approvate anche dal popolo[12]. Tale tesi è stata avallata anche dalla Corte costituzionale, secondo la quale «nel nostro sistema le scelte fondamentali della comunità nazionale, che ineriscono al patto costituzionale, sono riservate alla rappresentanza politica, sulle cui determinazioni il popolo non può intervenire se non nelle forme tipiche previste dall’art. 138». Per la Corte, «l’art. 138, 2° co., della Costituzione non solo prevede un referendum popolare sulla legge costituzionale come ipotesi meramente eventuale,[…] ma, ad impedire che l’intervento popolare sia svincolato dal procedimento parlamentare al quale soltanto può conseguire, circoscrive entro limiti temporali rigorosi l’esercizio del potere di iniziativa[…] Al 3° co., lo stesso articolo 138 preclude del tutto la possibilità di un intervento popolare quando stabilisce che «non si fa luogo a referendum se la legge è stata approvata nella seconda votazione da ciascuna delle Camere a maggioranza di due terzi dei suoi componenti», con ciò confermando che la revisione costituzionale è appunto, in primo luogo, potere delle Camere. […] All’interno del procedimento di formazione delle leggi costituzionali il popolo interviene infatti solo come istanza di freno, di conservazione e di garanzia, ovvero di conferma successiva, rispetto ad una volontà parlamentare di revisione già perfetta, che, in assenza di un pronunciamento popolare, consolida comunque i propri effetti giuridic[13].

 

Il referendum abrogativo ex art. 75 presenta la particolarità che attraverso di esso il corpo elettorale può dire solo se intende abrogare una legge già esistente oppure intende mantenerla in vita, ma non può proporre una nova legge né approvare una nuova legge né approvare un progetto di legge sostitutivo della legge eventualmente abrogata. È un atto con contenuto necessariamente negativo e mai positivo. La Carta Costituzionale dispone che il referendum abrogativo può essere chiesto solo da 500000 elettori o da cinque consigli regionali; che può riguardare solo leggi del Parlamento o atti avente forza di legge o parti di essi; non può riguardare “le leggi tributarie di bilancio, di amnistia e di indulto, di autorizzazione a ratificare trattati interazionali”; il referendum è valido solo se hanno votato la maggioranza assoluta degli aventi diritto e cioè la metà più uno dell’intero corpo elettorale.

L’istituto del referendum è rimasto a lungo inapplicabile a causa dell’inerzia del Parlamento che non approvava la legge necessaria per la pratica operatività dell’istituto. Solo nel 1970 tale legge è stata approvata[14].

Il referendum abrogativo è considerato fonte del diritto per cui la Corte costituzionale può esercitare il controllo di legittimità costituzionale in merito al suo risultato. Parte della dottrina (Pizzarusso) sostiene che il referendum procede “a senso unico”, in quanto esso può solo abrogare una disposizione legislativa, ma non introdurre precetti nuovi.

Altri, invece, hanno sostenuto che l’abrogazione non equivale mai ad un “non disporre diversamente”, bensì ad un “disporre diversamente” (Crisafulli)[15].

L’istituto referendario costituisce un mezzo di tutela delle minoranze cui è possibile ricorrere al fine di chiedere l’intervento del popolo per modificare il tessuto legislativo. Il referendum, infatti, rappresenta uno dei modi più incisivi in cui tutto il popolo può esercitare direttamente la sovranità di cui è esclusivo titolare al di fuori e al di sopra della volontà delle segreterie dei partiti. Tale istituto, nelle intenzioni del Costituente, rappresentava anche un correttivo alle scelte del Parlamento in questioni particolarmente delicate[16]; ma in concomitanza con l’aggravamento fella crisi dei normali canali di rappresentanza politica, tale istituto ha assunto un significato più marcatamente politico[17].

 

Gli articoli oggetto del quesito referendario

 

Come accennato supra, la proposta di legge costituzionale dispone per ciascuno dei due rami del Parlamento una riduzione pari (in termini percentuali) al 36,5 per cento degli attuali componenti elettivi, intervenendo sugli artt. 56, 57 e 59.  A seguito della proposta di modifica costituzionale muta dunque il numero medio di abitanti per ciascun parlamentare eletto. Per la Camera dei deputati tale rapporto aumenta da 96.006 a 151.210. Il numero medio di abitanti per ciascun senatore cresce, a sua volta, da 188.424 a 302.420[18].

L’art. 56 è il secondo del Titolo I (Il Parlamento) della Parte II della Costituzione (Ordinamento della Repubblica) e segue l’articolo che sancisce l’assetto bicamerale del Parlamento. L’art. 56 consta di quattro commi e riguarda la Camera dei deputati, così come il successivo art. 57, anch’esso di quattro commi, riguarda il Senato della Repubblica. Ma l’apparente equilibrio geometrico fra i due articoli è andato perduto nell’iter di formazione: mentre dell’art. 56 le disposizioni salienti sono a) la legittimazione elettiva a suffragio universale e diretto (1° co.); b) l’individuazione del numero dei componenti (2° co.); c) l’individuazione dell’età minima ai fini della capacità elettorale passiva (3° co.); d) il criterio di riparto dei seggi fra le diverse circoscrizioni territoriali (4° co.), dell’ 57 le disposizioni principali sono a) l’elezione del Senato a base regionale; b) l’individuazione del numero dei componenti elettivi; c) due commi dedicati al riparto dei seggi fra le Regioni (e la circoscrizione Estero). Invece il contenuto dei co. 1° e 3°, art. 56, relativamente alla componente elettiva del Senato, si ritrova nel successivo art. 58 (il cui 1° co. è quasi un ossimoro, col richiamo, relativamente improprio, all’universalità del suffragio, in realtà limitato a coloro che abbiano superato i venticinque anni), mentre le disposizioni relative ai componenti non elettivi e vitalizi sono contenute nell’art. 59[19].

Per ciò che riguarda invece l’articolo 56, Giovanni Conti nella sua relazione iniziale sul potere legislativo, in II Sottocommissione, aveva proposto una Camera dei deputati composta di un componente ogni 150.000 abitanti (dunque poco più di 300 in base alla popolazione dell’epoca), con elettorato passivo a 25 anni, e con rinvio alla legge per la definizione delle circoscrizioni elettorali [3] . Si aprì poi il dibattito sul numero dei componenti e da subito emerse che la Dc e il Pci erano favorevoli – in nome, fu detto, di un più stretto rapporto fra deputato ed elettori – ad aumentare consistentemente il numero proposto da Conti: si decise di adottare come criterio un deputato ogni 80.000 abitanti, come proposto da Giuseppe Fuschini, risultando così nel testo dell’art. 53 del Progetto di Costituzione, presentato alla Presidenza il 31/01/1947

Così la Camera dei deputati della I Legislatura ebbe 574 componenti; quella della II ne ebbe 590; quella della III, 596. Oggi, applicando l’originario art. 56, essa risulterebbe composta da oltre 710 deputati.

Con la legge costituzionale n. 2 del 1963 il numero dei senatori elettivi è divenuto la metà di quelli della Camera, fissati in 630, a prescindere dalla variazione della popolazione. L’art. 56 è rimasto tale fino al 2001.

Il 2° co. dell’art. 56 fissa il numero dei componenti della Camera dei deputati in 630, di cui 618 eletti in collegi nazionali e 12 nella circoscrizione Estero. Il comma in questione è frutto di due successive modifiche costituzionali. Va notato che il numero fisso di 630 deputati e 315 senatori, stabilito dalla l. cost. 2/1963 fece sì che il rapporto fra numero dei deputati e numero dei senatori passasse da circa 5 a 2 (un deputato ogni ottantamila abitanti contro un senatore ogni duecentomila abitanti) a 2 a 1 (630 deputati a fronte di 315 senatori, escludendo i membri di diritto e a vita): ma è anche vero che la prima legislatura vide i senatori elettivi integrati da ben 107 senatori di diritto

Nel 2001 è intervenuta un’ulteriore modifica del 2° co., art. 56 (l. cost. 1/2001) tramite la quale è stata riservata una quota di 12 deputati alla circoscrizione Estero[20].

 

L’art. 57 contiene una prima serie di previsioni costituzionali relative alla composizione del Senato: tuttavia, a differenza della Camera – per la quale la disciplina è contenuta nel solo art. 56, le disposizioni dell’art. 57 vanno integrate con l’esegesi di quelle che si rinvengono negli artt. 58 e 59.. Il 1° co. dell’art. 57 stabilisce che il Senato sia eletto a base regionale. Il secondo periodo, introdotto con la l. cost. 1/2001 anticipa invece la presenza di seggi riservati alla circoscrizione estero, che poi saranno quantificati in sei dal successivo comma.

Il 2° co., art. 57 stabilisce che il Senato è composto da 315 membri, di cui 6 eletti nella circoscrizione Estero, secondo il testo che risulta dall’entrata in vigore di due leggi di revisione costituzionale: la l. cost. 2/1963, con la quale si è introdotto un numero fisso dei componenti della Senato della Repubblica e la l. cost. 1/2001, che ha inserito la quota riservata per la circoscrizione Estero[21].

In precedenza, la Costituzione prevedeva un numero variabile di componenti, calcolato in rapporto al numero degli abitanti (in particolare si trattava di un senatore ogni duecentomila abitanti), per orientarsi nel 1963 al numero fisso. Tuttavia, se la disposizione ha avuto effetti sensibili per quanto riguarda la Camera dei deputati riducendo in maniera netta l’incremento potenziale dei componenti, lo stesso non si può dire per il Senato, poiché il numero effettivo dei suoi membri è, al contrario, ancor oggi superiore rispetto a quello che sarebbe risultato dall’applicazione della disposizione previgente (315 contro circa 290). In effetti, l’introduzione del numero fisso ha mutato il rapporto tra le dimensioni delle due Camere, passati da circa da 2 senatori elettivi ogni 5 deputati a 2 ogni 4 (ovviamente escludendo dal computo i membri di diritto e a vita del Senato). D’altro canto ciò fu la conseguenza del fatto che la riforma della composizione del Senato fu impostata sin dall’inizio per garantire un certo «recupero» rispetto alla consistenza di quell’assemblea nella I legislatura, quando ne furono chiamati a far parte, dalla IV disp. trans., i 107 componenti di diritto[22].

 

Infine, l’articolo 3 della proposta di legge, riguardante l’articolo 59, secondo comma, della Costituzione, prevedendo espressamente che il numero di cinque senatori a vita nominati per alti meriti dal Presidente della Repubblica, sia numero massimo riferito alla permanenza in carica di tal novero di senatori. La modifica è finalizzata a sciogliere il nodo interpretativo postosi per i senatori a vita riguardo al vigente articolo 59 della Costituzione, cioè se il numero di cinque senatori di nomina presidenziale sia un “numero chiuso”[23].

Per lungo tempo la dottrina quasi unanime ha preferito la tesi restrittiva, in base alla quale non possono essere nominati complessivamente più di cinque senatori a vita, indipendentemente dal fatto che essi siano stati nominati, in tutto o in parte, dal Presidente della Repubblica in carica ovvero da un suo predecessore, spettando la titolarità del potere di nomina al Presidente astrattamente inteso, quale ufficio-istituzione statale.

Secondo l’opposta opinione, ciascun Presidente della Repubblica ha la facoltà di nominare cinque senatori a vita, anche se il numero complessivo dei senatori nominati in Senato sia superiore a cinque, ritenendo attribuito il potere di nomina al singolo titolare dell’ufficio-istituzione. In particolare, si sostiene che interpretando restrittivamente la disposizione costituzionale, l’esercizio della facoltà attribuita al Capo dello Stato sarebbe garantito soltanto al primo Presidente della Repubblica, privando i successivi della opportunità di nominare alcun senatore, se non nell’ipotesi di vacanza di seggio. In tal modo, dunque, potrebbe accadere che nel corso di un mandato presidenziale non sia possibile procedere ad alcuna nomina, venendo il Presidente «spogliato di un potere, che tuttavia, per espressa disposizione costituzionale, esso è facoltizzato ad esercitare», dando vita ad una «strana specie di attività facoltativa, che però non sarebbe in facoltà del titolare di esercitare, anche quando lo volesse»[24].

Nella prassi, soltanto i Presidenti Pertini e Cossiga hanno seguito la seconda interpretazione, mentre tutti gli altri la prima[25].

 

Le possibili conseguenze del referendum

 

La rideterminazione del numero di deputati e senatori si riflette su diversi altri profili. Tra questi, sull’organizzazione interna delle Camere con riguardo, ad esempio, al numero dei componenti delle Commissioni parlamentari e dei Gruppi parlamentari.  Inoltre, la rideterminazione numerica si riverbera sulla dinamica dei procedimenti. Ove si consideri, ad esempio, l’elezione del Presidente della Repubblica, la prevista riduzione del numero dei parlamentari comporterebbe una variazione nell’assemblea degli elettori: 600 parlamentari (oltre ai senatori a vita) ai quali si devono aggiungere i 58 rappresentanti delle Regioni (tre delegati per ciascuna Regione; un solo delegato per la Valle d’Aosta). Non considerando i senatori a vita, le maggioranze richieste dall’articolo 83 della Costituzione sarebbero così rideterminate: 439 voti necessari ai primi tre scrutini (due terzi dell’Assemblea); 330 voti dal quarto scrutinio (maggioranza assoluta), essendo il numero degli elettori pari a 658 (400+200+58). Come evidenziato nel corso dell’iter al Senato, i 58 delegati regionali per l’elezione del Presidente della Repubblica avrebbero quindi un peso diverso sul totale degli aventi diritto al voto.

Per quanto riguarda infine l’aspetto economico, l’Osservatorio dei Conti Pubblici italiani di Carlo Cottarelli ha quantificato il risparmio netto complessivo ad una cifra pari a 57 milioni di euro all’anno e a 285 milioni a legislatura[26].

 

 

[1] Per una disamina più precisa e sull’impatto del Sars-covid-19 si rimanda alla sezione di approfondimento presente nella rivista https://www.iusinitinere.it/?s=coronavirus

[2] L’art. 81 cita quanto segue “In considerazione dello stato di emergenza sul territorio nazionale relativo al rischio sanitario connesso all’insorgenza di patologie derivanti da agenti virali trasmissibili, dichiarato con la delibera del Consiglio dei ministri del 31 gennaio 2020, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 26 del 1° febbraio 2020, in deroga a quanto previsto dall’articolo 15, primo comma, della legge 25 maggio 1970, n. 352, il termine entro il quale è indetto il referendum confermativo del testo legge costituzionale, recante: «Modifiche agli articoli 56, 57 e 59 della Costituzione in materia di riduzione del numero dei parlamentari», pubblicato nella Gazzetta Ufficiale, Serie Generale, n. 240 del 12 ottobre 2019, è fissato in duecentoquaranta giorni dalla comunicazione dell’ordinanza che lo ha ammesso.”

[3]D.P.R.  del 5 marzo 2020, disponibile qui referendum-del-29-marzo-2020

[4] F. Del Giudice, Costituzione Esplicata, 2011.

[5] Dossier A.C. 1585-B “Riduzione del numero dei Parlamentari – Elementi per l’esame in Assemblea”, 2019.

[6] “[…] Le leggi stesse sono sottoposte a referendum popolare quando, entro tre mesi dalla loro pubblicazione, ne facciano domanda un quinto dei membri di una Camera o cinquecentomila elettori o cinque Consigli regionali. La legge sottoposta a referendum non è promulgata, se non è approvata dalla maggioranza dei voti validi […]”

[7] Per maggioranza speciale si intende la maggioranza, superiore a quella relativa, richiesta per l’approvazione di alcune deliberazioni parlamentari di grande rilievo o per elezioni a cariche importanti. Le maggioranze speciali sono previste: per l’adozione dei regolamenti e delle relative modifiche (ex art. 64); per la riduzione dei termini per l‘entrata in vigore della legge (ex art. 73); per l’elezione del Presidente della Repubblica (ex art. 83); per la messa in stato di accusa del Presidente della Repubblica); per l’adozione di una legge costituzionale (ex art. 138).

[8] T. Groppi, Art. 138, in Commentario alla Costituzione, in Banca Dati Wolters Kluwer, § Il referendum costituzionale.

[9] G.U. Rescigno, Corso di Diritto Pubblico, 2010, p. 217.

[10] C. Mortati, Istituzioni di diritto pubblico, 1976, p. 1238.

[11]S. Panunzio, Riforma delle istituzioni e partecipazione popolare, in Quaderni cost., 1992, p. 555.

[12] T. Groppi, Art. 138, op. cit. § Il referendum costituzionale.

[13] C. cost. sent. N. 496, 17/10/2000.

[14] G.U. Rescigno, Corso di Diritto Pubblico, op. cit., p. 254.

[15] F. Del Giudice, Costituzione Esplicata, op. cit., p. 206.

[16] Si ricordi, a titolo esclusivamente esplicativo, il referendum abrogativo sul divorzio del 1974 e il referendum abrogativo sull’aborto del 1981.

[17] F. Del Giudice, Costituzione Esplicata, op. cit., p. 207.

[18] Dossier A.C. 1585-B, op. cit., p. 5.

[19] C. Fusaro, M. Rubechi, Art. 56, in Commentario alla Costituzione, in Banca Dati Wolters Kluwer, § Premessa.

[20] C. Fusaro, M. Rubechi, Art. 56, op. cit., § Le riforme del periodo repubblicano.

[21] C. Fusaro, M. Rubechi, Art. 57, in Commentario alla Costituzione, in Banca Dati Wolters Kluwer, § Numero dei componenti.

[22] C. Fusaro, M. Rubechi, Art. 57, in Commentario alla Costituzione, in Banca Dati Wolters Kluwer, § Numero dei componenti.

[23] Dossier A.C. 1585-B, op. cit., p. 15.

[24] A. Chimenti, Art. 59, in Commentario alla Costituzione, in Banca Dati Wolters Kluwer, § I senatori di nomina presidenziale.

[25] F. Del Giudice, Costituzione Esplicata, op. cit., p. 175.

[26] E. Frattola, Quanto si risparmia davvero con il taglio del numero dei parlamentari?

https://osservatoriocpi.unicatt.it/cpi-archivio-studi-e-analisi-quanto-si-risparmia-davvero-con-il-taglio-del-numero-dei-parlamentari

Gianluca Barbetti

Gianluca Barbetti nasce a Roma nel 1991. Appassionato di diritto amministrativo,ha conseguito la laurea in Legal Services con una tesi sui servizi pubblici locali, con particolare attenzione alle società partecipate. Durante il percorso di studi, ha svolto diverse attività parallele per completare la propria formazione con approcci pratici al diritto, come Moot Court in International Arbitration e Legal Research Group. E' curatore e coautore di due opere pubblicate e attualmente in commercio.

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