mercoledì, Marzo 27, 2024
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Il ricorso alla CEDU in caso di disastri climatici

Mentre i leader politici e diplomatici si riuniscono alla COP24 di Katowice per fare il punto circa i (magri) progressi raggiunti dagli Stati nella lotta ai cambiamenti del clima, gli effetti del riscaldamento globale emergono in maniera sempre più evidente. In particolare, gli eventi alluvionali che hanno recentemente colpito l’Italia, provocando vittime e danni all’ambiente e a beni privati su larga scala, fanno sorgere più di un quesito circa i possibili rimedi azionabili dagli individui per la reintegrazione dei danni sofferti, o per prevenire ex ante gravi violazioni dei propri diritti in conseguenza di disastri climatici. Il tema, peraltro, è di particolare interesse e complessità giuridica nella misura in cui si consideri il cambiamento climatico quale fattore determinante nell’aumento esponenziale della frequenza e della magnitudo di certi disastri o eventi meteorologici.

Oggi, si tratterà della possibilità di ricorrere alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, alla luce della pertinente giurisprudenza, nel caso di violazioni di diritti riconosciuti dalla Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, che siano riconducibili all’azione (rectius: all’omissione) delle autorità dello Stato colpito da un evento climatico estremo.

Ci si è interrogati, anzitutto, circa la possibilità di ricorrere alla Corte lamentando una violazione dei diritti umani direttamente legata alle insufficienti politiche dello Stato in tema di riduzione delle emissioni di gas serra, quale principale causa del riscaldamento globale e, quindi, delle sue conseguenze catastrofiche. Un simile rimedio, seppur astrattamente prospettabile considerata la cospicua giurisprudenza “ambientale” della Corte – che ha in più occasioni accertato la responsabilità degli stati per la violazione di diritti umani in conseguenza di un danno ambientale[1] (si vedano, tra gli altri, Lopez Ostra v. Spain, Guerra and Others v. Italy, Taskin and Others v. Turkey, Moreno Gomez v. Spain[2]) – appare giuridicamente problematica quanto alle peculiarità del fenomeno.

Il riscaldamento globale, infatti, non è altro che l’effetto della concentrazione nell’atmosfera di gas serra provenienti da una molteplicità di attori (installazioni industriali, veicoli, abitazioni private), localizzati in paesi diversi. Il profilo globale, transfrontaliero e cumulativo del contributo degli Stati al cambiamento climatico è da sempre di ostacolo all’accertamento della c.d. “responsabilità da cambiamento climatico”, e fa sì che nessuno Stato possa mai essere considerato quale unico responsabile, né del riscaldamento globale né delle conseguenze disastrose che ne derivano. Sarebbe, quindi, impossibile ricostruire il nesso di causalità tra l’azione o l’omissione attribuibile allo Stato, e la violazione dei diritti umani prodottasi con ciò. A ragionare diversamente, si finirebbe per imporre un obbligo positivo impossibile di protezione dei diritti umani attraverso la prevenzione del riscaldamento globale, a cui nessuno stato singolarmente può ambire, ponendosi un tale obbligo in contrasto con il principio ad impossibilia nemo tenetur, più volte statuito dalla Corte medesima. Altro ostacolo, di carattere procedurale, riguarda la difficile configurabilità della legittimazione ad agire in capo all’individuo che ricorra per contestare le insufficienti politiche dello Stato in tema di riduzione delle emissioni di gas serra. Come stabilito dalla Corte in Kyrtatos v. Greece[3], un danno ambientale può costituire un violazione dei diritti umani solo nella misura in cui incida direttamente, comprimendolo, sul godimento di un diritto protetto in capo al ricorrente; eventualità, questa, che è difficilmente rintracciabile nella politica climatica di uno Stato, o nella mera presenza di gas serra nell’atmosfera, che, pur oltre i limiti, può per lo più alterare il funzionamento del clima, ma è di per sé inidonea a ledere direttamente il godimento di diritti individuali[4].

Proprio nel malfunzionamento del clima e nelle singole conseguenze dell’innalzamento delle temperature, vanno ricercati possibili rimedi per l’accertamento della responsabilità dello Stato in caso di disastri climatici.

In questo senso, un percorso di accesso alla Corte può rinvenirsi nella giurisprudenza relativa ai disastri naturali, il cui principale caso di studio, e primo precedente in materia, è rappresentato da Budayeva and Others v. Russia[5]. Il caso riguarda una serie devastante di frane fangose che, nel 2000, colpirono la città di Tyrnauz nel Caucaso, Russia meridionale, provocando numerose vittime. I giudici di Strasburgo per la prima volta enucleavano i criteri da valutare per concludere se il comportamento delle autorità dello Stato colpito dall’evento fosse in linea con gli obblighi positivi di protezione dei diritti umani discendenti dall’adesione alla Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo. Nel caso di specie, la Corte procedeva a valutare se il rischio di verificazione dell’evento fosse o meno prevedibile dalle autorità deputate dello Stato colpito (“foreseeability of the risk”), all’uopo considerando una serie di elementi, quali l’origine della minaccia, l’imminenza del rischio, e se un tale rischio concernesse o meno una calamità ricorrente. Specificamente, considerando che l’area della città di Tyrnauz era comunemente riconosciuta per essere incline a certi tipi eventi franosi e, visti gli avvisi ufficiali all’epoca indirizzati al Governo Russo circa la devastazione che tali frane, indipendentemente dalla loro portata, avrebbero prodotto alla città, la Corte perveniva a ritenere che il Governo Russo poteva ragionevolmente assumere la probabilità di verificazione dell’evento. In subordine, appurata la prevedibilità del rischio da parte delle autorità, la Corte procedeva a valutare se le competenti autorità russe avessero fatto ogni cosa fosse nelle loro possibilità per proteggere i diritti delle persone sotto la propria giurisdizione (c.d. best efforts requirement). Nel caso che occupa la Corte rilevava la totale assenza di risorse stanziate, al tempo dell’inizio della serie devastante di frane nell’area, per la riparazione dei danni causati da precedenti eventi alle infrastrutture poste ad argine e difesa della comunità di Tyrnauz. Ulteriormente, la Corte riteneva che l’autorità Russa avesse omesso di informare adeguatamente i civili circa il rischio, e di evacuarli prontamente dall’area colpita, concludendo per la violazione del diritto alla vita ex. Art. 2 della Convenzione, relativamente alla mancata implementazione di misure essenziali a protezione delle persone sotto la propria giurisdizione.

A simili conclusioni la Corte è pervenuta, quattro anni più tardi, in Kolyadenko and Others v. Russia[6], concernente l’inondazione della città di Vladivostok dovuta dall’eccezionale fuoriuscita di acqua contenuta nel bacino idrico di Pionerskoye adiacente alla città, ed indotta da piogge intense confluite nel canale dell’omonimo fiume . Nel caso che occupa la Corte statuiva che le autorità avrebbero dovuto valutare a priori il rischio insito nel funzionamento del giacimento idrico, adottando le misure necessarie e conseguenti. Così, la Corte confermava un elemento già emerso in Budayeva and Others v. Russia, secondo cui l’obbligo di protezione dei diritti umani da parte degli Stati scatterebbe non solo nell’imminenza della catastrofe, bensì preventivamente, dal momento in cui è anche solo astrattamente prevedibile da parte delle autorità il verificarsi futuro di certi eventi, imponendo così all’autorità il dovere di condurre un’appropriata valutazione dei rischi (“duty to conduct risk assessment”)[7]. Anche in questo caso, la Corte concludeva per la violazione diritto alla vita ex. art. 2 della Convenzione, visto il fallimento dello Stato di mettere in sicurezza l’area attraverso la pulizia del canale del fiume Pionerskoye, collegato al giacimento idrico citato.

I casi trattati, oltre a chiarire i parametri da valutare per accertare la colpevole omissione dello Stato colpito, concernevano rimedi avanzati successivamente al verificarsi di disastri, per il risarcimento dei danni prodotti alla vita, o alla salute delle vittime o dei parenti di queste ultime. Tuttavia, date le considerazioni circa il momento anticipato in cui scattano gli obblighi positivi di protezione dei diritti umani, non è improbabile desumere la proponibilità e la fondatezza di un ricorso proposto antecedentemente al verificarsi dell’evento, ove si lamenti che l’omissione dell’autorità preposta all’eliminazione dei rischi derivanti da un disastro prevedibile, già violi o minacci, per sé sola, diritti riconosciuti dalla Convenzione[8]. Nella già citata giurisprudenza “ambientale”, la Corte ha infatti stabilito che l’assenza di misure essenziali dello Stato relativamente a un rischio prevedibile può già violare l’Art. 8 della Convenzione relativo al rispetto della vita privata e familiare dell’individuo, turbata appunto dalla minaccia trascurata dall’autorità [9].

La possibilità di proporre un ricorso preventivo alla CEDU si confà particolarmente al caso dei disastri climatici. Infatti, nell’impossibilità di ricorrere direttamente contro le insufficienti politiche dello Stato in tema di riduzione di gas serra, c’è margine per sostenere che uno Stato particolarmente esposto e/o in condizioni di vulnerabilità rispetto ad alcuni tipi di disastri climatici o eventi meteorologici, debba non solo valutare i rischi, ma anche pianificare anticipatamente le misure essenziali per adattarsi a dette conseguenze[10]. Secondo la decisione della Corte in Budayeva and Others v. Russia, a far ciò lo Stato sarebbe vincolato non solo dagli obblighi positivi di protezione derivanti dall’aver aderito alla Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, ma anche dalla considerazione che la verificazione e l’impatto di taluni disastri climatici sui diritti fondamentali delle persone non può essere sempre dirsi imprevedibile o interamente aldilà del controllo delle autorità [11]. Si potrebbe pensare, per fare qualche esempio, all’incrementato rischio di alluvioni in determinate aree vulnerabili, poiché esposte a torrenti o corsi d’acqua, o perché stagionalmente soggette a piogge intense. Ancora, si può pensare alla prevedibili conseguenze catastrofiche che l’innalzamento del livello dei mari porterà alle popolazioni di territori costieri più “bassi” o, ancora alla probabilità di incendi boschivi nelle aree a maggior rischio, oggi molto più probabili per via di anomali e prolungati periodi di caldo.

In attesa di un maggiore impegno, concertato e globale, degli Stati nei confronti di un problema correttamente definito nel Preambolo dell’Accordo di Parigi come “Common concern of human-kind[12], il ricorso preventivo alla CEDU si presterebbe ad essere uno strumento per la realizzazione degli obiettivi previsti all’art. 7 dell’Accordo di Parigi, con la cui sigla gli Stati si sono impegnati ad intraprendere processi di pianificazione all’adattamento al cambiamento climatico.

[1] G. Adinolfi, The right to a healthy environment, delineating the content (and contours) of a slippery notion, in F.Zorzi Giustiniani, E. Sommario, F. Casolari, G. Bartolini (eds.), Routledge Handbook of Human Rights and Disaster, London-New York, 2018;

[2] Lopez Ostra v. Spain, App. No. 16798/90 (ECtHR, Judgment 9 December 1994); Guerra and Others v. Italy, App. No. 14967/89 (ECtHR, Judgment 19 February 1998); Taskin and Others v. Turkey, App. No. 46117/99 (ECtHR, Judgment 20 November 2004); Moreno Gomez v. Spain, App. No. 4143/02 (ECtHR, Judgment 16 February 2005);

[3] Kyrtatos v. Greece, App. No. 41666/98 (ECtHR Judgment 22 August 2003);

[4] IBA, Achieving Justice and Human Rights in an Era of Climate Disruption, in Climate Change Justice and Human Rights Task Force Report (International Bar Association), London, 2014;

[5] Budayeva and Others v. Russia, App. Nos. 15339/02, 21166/02, 20058/02, 11673/02 and 15343/02 (ECtHR, Judgment 20 March 2008);

[6] Kolyadenko and Others v. Russia, App. Nos. 17423/05, 20534/05, 20678/05, 23263/05, 24283/05 and 35673/05 (ECtHR Judgment  of 28 February 2012);

[7] J.H. Knox, Afterword: Environmental Disasters and Human Rights, in J. Peel, D. Fisher (eds.), The Role of International Environmental Law in Disaster Risk Reduction, Leiden 2016;

[8] R.H.J. Cox, The Liability of European States for Climate Change, in Utrecht Journal of International and European Law, 30 (78), 2014;

[10] M. Sossai, State failure to take preventive actions and to reduce exposure as a human rights issue, in F. Zorzi Giustiniani, E. Sommario, F. Casolari, G. Bartolini (eds.), Routledge Handbook of Human Rights and Disaster, London-New York, 2018;

[11] J.H. Knox, Human rights principles and climate change, in C.P. Carlarne, K.R. Gray and R.G. Tarafosky (eds), The Oxford Handbook of International Climate Change Law, Oxford, 2016;

[12] Considerando nr. 11 dell’Accordo di Parigi;

Report di organizzazioni internazionali consultati:

[13] Manual on Human Rights and the Environment, Council of Europe publishing (2012);

[14] Report of the Office of the UN High Commissioner for Human Rights on the Relationship between Climate Change and Human Rights (15 January 2009), UN Doc A/HRC/10/61.

Dott. Daniele Innamorati

Daniele Innamorati. Laureato in Giurisprudenza presso l'Università degli studi di Macerata nell'ottobre 2018, con tesi finale in diritto internazionale dal titolo "The protection of persons in the event of climate change-related disasters under international law". Avvocato Praticante da maggio 2018, esercita attività di pratica forense principalmente in ambito di diritto amministrativo e civile. Allievo del Master di II livello in Diritto dell'Ambiente (a.a. 2019/2020) presso l'Università degli Studi di Roma "La Sapienza". Da ottobre 2016 a settembre 2018 ha ricoperto la carica di Presidente dell'associazione ELSA Macerata (The European Law Students' Association), della quale è fondatore e socio onorario. Da gennaio ad aprile 2018, nell'ambito della convenzione MAECI-CRUI-Università Italiane,  svolge un tirocinio presso Ambasciata d'Italia in Svezia, Stoccolma, in ambito di affari politici e internazionali. Da settembre 2015 a giugno 2016 partecipa al programma Erasmus+ frequentando la Lund University (Svezia), e interessandosi principalmente di diritto internazionale pubblico e dell'Unione Europea, in particolare in ambito di diritti umani, diritto internazionale umanitario e uso della forza, diritto dell'immigrazione, diritto dell'ambiente e dell'energia. E' interessato alla c.d. "responsabilità da cambiamento climatico", con particolare riferimento al rapporto tra cambiamento climatico e diritti umani e agli strumenti di accesso alla giustizia davanti a Corti internazionali (universali e regionali) e domestiche attraverso la c.d. Public Interest Litigation. E' inoltre interessato al rapporto tra riscaldamento globale e disastri naturali e alle problematiche giuridiche che ne conseguono, soprattutto in termini di coordinamento tra normative sovranazionali e intervento umanitario in caso di calamità.

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