lunedì, Aprile 22, 2024
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Porto d’armi per difesa personale: non rileva ex se l’appartenenza ad una categoria a rischio

Ai fini del rilascio della licenza per il porto d’armi per difesa personale non rileva ex se l’appartenenza ad una categoria a rischio.

La licenza per il porto d’armi è una specifica autorizzazione amministrativa che permette di acquistare, detenere e trasportare – anche fuori dalla propria abitazione – delle armi.  In particolare, nel caso del porto d’armi per difesa personale, la licenza avrà una validità annuale e la richiesta può essere avanzata solo da coloro che, maggiorenni e senza precedenti penali[1] , siano in grado di dimostrare, oltre al possesso dei requisiti fisici e psicologici, le ragioni in virtù delle quali il soggetto ha il bisogno di circolare armato.

In questo caso l’autorità preposta al rilascio dell’autorizzazione è il Prefetto e poiché la legge non indica tassativamente i casi in cui è possibile richiedere la licenza per difesa personale, la valutazione relativa al <<dimostrato bisogno>> sarà espressione di un potere discrezionale dell’autorità che, in quanto valutazione nel merito,  sarà di per sé insindacabile da parte del G.A.

Recentemente, sulla scia di una consolidata giurisprudenza, il T.A.R. Lombardia, Sez. I Brescia, con la sentenza n.1101/2018, ha confermato che, ai fini del rilascio della suddetta licenza, non rileva l’appartenenza ad una categoria ovvero l’esercizio di una professione “a rischio”: << in assenza di una disposizione di legge sul rilascio della licenza di polizia ratione personae, si deve ritenere che l’appartenenza alla ‘categoria’ in sé non abbia uno specifico rilievo>>.

Nel caso di specie il ricorrente, in precedenza titolare della licenza, svolge un’attività lavorativa per cui si trova <<quotidianamente, nelle condizioni di trasportare consistenti somme di denaro e quantità elevate di metalli aventi ingente valore economico>> il quale inoltre più volte si è trovato vittima di furto, danneggiamenti alla propria autovettura, truffa e furto in abitazione.

Il diniego del Prefetto, secondo parte ricorrente, sarebbe stato affetto da eccesso di potere per carenza di motivazione, poiché quest’ultima non riportava le circostanze ostative al rinnovo della licenza, nonché eccesso di potere per carenza di un’ istruttoria da cui evincere <<il mutamento delle condizioni di pericolo del richiedente, ovvero evidenziante l’emersione di elementi suscettibile di indurre un giudizio di non affidabilità del soggetto>>.

In realtà, il Collegio chiarisce come il diniego della licenza sia derivato da accertamenti di polizia, tramite i quali è emersa la mancanza di elementi indicativi di condizioni attuali di concreta, grave e potenziale esposizione a rischio. Inoltre, consolidata giurisprudenza[2] ha chiarito come sia insufficiente, ai fini della prova del dimostrato bisogno, <<lo svolgimento di determinate attività commerciali o professionali che potrebbero, in quanto tali, esporre a reati contro la persona o il patrimonio, neppure se tali attività siano svolte in aree del Paese particolarmente colpite da fenomeni criminali e malavitosi>>.

La ratio sottesa a quest’orientamento nasce dalla necessità di impedire che il rischio di esser vittima di un reato ovvero il trovarsi in una zona a “rischio geografico” possa dar vita ad una <<generalizzata diffusione delle armi>>, dalla quale poi deriverebbe <<un ulteriore aumento dei fatti di sangue che costituiscono gravissima turbativa della sicurezza pubblica>> nonché <<un vero e proprio sovvertimento del principio per cui la tutela della sicurezza pubblica e la difesa sociale sono riservati e affidati allo Stato>>.

Le valutazioni sottese al rilascio della licenza di porto d’armi per difesa personale devono  tener conto delle peculiarità del territorio, delle implicazioni di ordine e sicurezza pubblica e delle specifiche situazioni dei richiedenti, finanche basandosi su criteri di carattere generale tra i quali tuttavia, <<l’appartenenza in sé ad una categoria non ha uno specifico rilievo>>.

Pertanto, nel caso in cui l’organo ritenga che ex se l’appartenenza ad una categoria non abbia uno specifico rilievo ai fini del rilascio della licenza la scelta effettuata è espressione di una valutazione di merito, di per sé insindacabile dal G.A.: << la motivazione dei provvedimenti di rigetto delle istanze può basarsi dunque sulla assenza di specifiche circostanze tali da indurre a disporne l’accoglimento e l’interessato può lamentare la sussistenza di profili di eccesso di potere, qualora vi sia stata una inadeguata valutazione in concreto delle circostanze>>. Nel caso di specie l’autorità ha apprezzato gli elementi rilevanti per il titolo abilitativo in questione, ritenendoli non sufficienti per il rilascio dello stesso.

<<Ammettere che al sol fatto di svolgere un particolare attività acceda il conseguimento del titolo a portare armi, indurrebbe la conseguenza per cui a fasce molto ampie della popolazione sia consentito di girare armate, con un vero e proprio ribaltamento di fatto di quello che resta e deve rimanere (finché il Legislatore non dovesse, naturalmente, decidere di intervenire in senso diverso, nei limiti della Costituzione), un principio primo e fondante della ordinata convivenza civile e del reggimento amministrativo del nostro sistema istituzionale e giuridico, per cui è fatto divieto di portare armi ed è vietata l’autotutela>>.

[1] Si rimanda agli artt. 11 e 43 del T.U.L.P.S. per i casi ostativi al rilascio e di revoca del porto d’armi. In relazione alla questione circa gli effetti della sentena di riabilitazione – ovvero se da questa derivi  il venir meno dell’automatica ostatività al rilascio della licenza di porto d’armi anche per i delitti ex art. 43, comma 1, T.U.L.P.S., la circolare del Ministero dell’Interno del 31/08/2017 ha aderito alla c.d. tesi restrittiva secondo cui gli effetti della sentenza di riabilitazione possono essere considerati solo nei casi espressamente previsti dalla legge. Pertanto, le condanne – ed anche le sentenze di patteggiamento –  relative ai delitti ex art. 43 T.U.L.P.S. non perdono la loro valenza ostativa al rilascio della licenza. <<La riabilitazione incide solo sugli “effetti penali della condanna” (cioè sugli effetti che la condanna produce sulla successiva applicazione della legge penale), invece essa non produce conseguenze ulteriori riferite ad altri campi dell’ordinamento, se non stabilito dalla legge>> D.Sibillo Sulla condanna penale come motivo ostativo al rilascio del porto d’armi e causa di revoca del medesimo nonché sugli effetti della riabilitazione, Diritto Penale Contemporaneo, 2018.

[2] T.A.R. Emilia Romagna, Parma, 19 febbraio 2008 n. 104; Cons. Stato, sez. VI, 21 maggio 2007, n. 2536; Cons. Stato , sez. VI, 14 febbraio 2007, n. 621; Tar Lombardia, Milano, sez. I, 1 agosto 2007, n. 5514.

Federica Gatta

Giovane professionista specializzata in diritto amministrativo formatasi presso il Dipartimento di Giurisprudenza dell’Università degli Studi di Napoli “Federico II”. Conseguito il titolo di Dottoressa Magistrale in Giurisprudenza a 23 anni il 18/10/2018 con un lavoro di tesi svolto con la guida del Professor Fiorenzo Liguori, sviluppando un elaborato sul Decreto Minniti (D.l. n. 14/2017) intitolato "Il potere di ordinanza delle autorità locali e la sicurezza urbana" , ha iniziato a collaborare con il Dipartimento di Diritto Amministrativo della rivista giuridica “Ius in Itinere” di cui, ad oggi, è anche Vicedirettrice. Dopo una proficua pratica forense presso lo Studio Legale Parisi Specializzato in Diritto Amministrativo e lo Studio Legale Lavorgna affiancata, parallelamente, al tirocinio presso il Consiglio di Stato dapprima presso la Sez. I con il Consigliere Luciana Lamorgese e poi presso la Sez. IV con il Consigliere Silvia Martino, all'età di 26 anni ha conseguito l'abilitazione all'esercizio della professione forense, esercitando poi la professione da appartenente al COA Napoli. Da ultimo ha conseguito il Master Interuniversitario di secondo livello in Diritto Amministrativo – MIDA presso l’Università Luiss Carlo Guidi di Roma, conclusosi a Marzo 2023 con un elaborato intitolato “La revisione dei prezzi nei contratti pubblici: l’oscillazione tra norma imperativa ed istituto discrezionale”. Membro della GFE ha preso parte alla pubblicazione del volume “Europa: che fare? L’Unione Europea tra crisi, populismi e prospettive di rilancio federale”, Guida Editore; inoltre ha altresì collaborato con il Comitato di inchiesta “Le voci di dentro” del Comune di Napoli su Napoli Est. Da ultimo ha coordinato l'agenda della campagna elettorale per le elezioni suppletive al Senato per Napoli di febbraio 2020 con "Napoli con Ruotolo", per il candidato Sandro Ruotolo. federica.gatta@iusinitinere.it - gattafederica@libero.it

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