Il traffico illecito di rifiuti
Il problema rifiuti inversa e mette in ginocchio il nostro paese.
Sui rifiuti per anni, decenni, il fenomeno camorristico ha speculato rendendo la terra – su cui camminiamo, su cui costruiamo, sui cui piantiamo o da cui attingiamo risorse primarie – inutilizzabile o meglio fonte e causa di malattie mortali, la malattia del secolo non a caso è il cancro.
Per far fronte a questa situazione di disagio in cui versa l’intera popolazione oggigiorno sono state diverse le pronunce degli Ermellini e gli interventi del legislatore in merito.
Recentemente, nel 2015, con la legge 22 maggio n. 68 “Disposizioni in materia di delitti contro l’ambiente” è stato introdotto un Titolo ex novo al codice penale dedicato proprio ai reati ambientali – precedentemente si parlava di vuoto normativo in tale materia – questo come mezzo di tutela diretta nei confronti dell’ambiente, ma anche e soprattutto di tutela indiretta nei confronti della persona la quale vive ed è in contatto con l’ambiente per tutto il corso della sua vita.
In realtà è bene precisare che per ambiente non si intende solo il suolo o il sottosuolo ma si deve ritenere che tra i beni ambientali oggetto di tutela, rientrano senz’altro le acque in genere, così come l’aria, espressamente contemplate dall’art. 452-bis c.p., senza alcun riferimento quantitativo o dimensionale (di fatto difficilmente individuabile), diversamente da quanto previsto riguardo al suolo ed al sottosuolo, il cui degrado invece deve interessarne “porzioni estese o significative”[1].
La normativa di cui si è fatta menzione si è preoccupata di:
- introdurre sette fattispecie delittuose come l’omessa bonifica, la morte o le lesioni come conseguenza dei delitti contro l’ambiente, l’inquinamento ambientale ecc;
- inserire l’art. 452-octies c.p. e l’art. 452-nonies, di cui il primo costituisce un’aggravante specifica applicabile ai casi in cui le concessioni, le autorizzazioni in materia ambientale siano frutto di scopi mafiosi o associazioni per delinquere; il secondo invece è un aggravante generica applicabile a tutti i reati commessi in violazione del TU sull’ambiente o del d.lgs. n. 152/20106;
- introdurre la confisca obbligatoria, anche per equivalente, del profitto o del prodotto o ancora di quanto utilizzato per commettere il reato;
- introdurre una prescrizione raddoppiata al fine di evitare il fenomeno dell’impunità;
- introdurre il ravvedimento operoso, con una riduzione di pena dalla metà ai due terzi o da un terzo alla metà quando o si compiano atti per ripristinare lo stato dei luoghi, come potrebbe essere una bonifica (prima del dibattimento) oppure quando si collabora con la giustizia per l’individuazione degli autori del reato;
- infine di prevedere una condanna che obblighi sempre il reo a ripristinare, a sue spese, lo stato dei luoghi danneggiati dal suo operato.
Oltre ad un problema di sfruttamento del suolo per fini camorristici o economici, c’è da dire che è spesso anche il singolo cittadino a non avere cura dell’ambiente circostante, non preoccupandosi di riciclare i rifiuti secondo norma. A tal proposito la Corte di Giustizia Europea trovandosi dinnanzi a vicende di procedimenti penali a carico di gestori di discariche italiane ha statuito che “Il detentore di un rifiuto che può essere classificato sia con codici corrispondenti a rifiuti pericolosi sia con codici corrispondenti a rifiuti non pericolosi, ma la cui composizione non è immediatamente nota, deve, ai fini di tale classificazione, determinare detta composizione e ricercare le sostanze pericolose che possano ragionevolmente trovarvisi onde stabilire se tale rifiuto presenti caratteristiche di pericolo”, e a tal fine può utilizzare campionamenti, analisi chimiche e prove previsti dalla normativa europea o qualsiasi altro campionamento, analisi chimica e prova riconosciuti a livello internazionale. Se, tuttavia, dopo una tale valutazione ci si trovi “nell’impossibilità pratica di determinare la presenza di sostanze pericolose o di valutare le caratteristiche di pericolo che detto rifiuto presenta”, il principio di precauzione impone di classificare quest’ultimo come rifiuto pericoloso. La Corte ha inoltre aggiunto che “il detentore del rifiuto con “codici a specchio”, la cui composizione dunque non è immediatamente nota, è obbligato a ricercare la presenza di tutte le sostanze pericolose ma, sempre conformemente al principio di precauzione, solo quelle che possono ragionevolmente trovarsi in tale tipo di rifiuto[2]”.
Diverse sono certamente le pronunce anche in ordine al modo cui arginare il fenomeno del mancato riciclo o meglio del cattivo riciclo di rifiuti.
In merito, una recente pronuncia del TAR di Bari ha precisato che l’art. 179 del d.lgs 152/2006, ha determinato una gerarchia dei rifiuti prevedendo un “ordine di priorità” nella politica e nell’attività di gestione degli stessi; “le opzioni da seguire, da questo previste sono infatti: a) la prevenzione, intesa come insieme di misure volte ad impedire la produzione di rifiuti; b) la preparazione per il riutilizzo, definita come operazione di controllo, pulizia e riparazione, che permette il riutilizzo del bene; c) il riciclaggio, ovvero quella particolare forma di recupero attraverso il trattamento con tecniche appropriate per ottenere altri prodotti o materiali; d) il recupero di altro tipo, come ad esempio avviene con le tecniche di recupero per produrre energia e l’utilizzo del rifiuto pretrattato come combustibile, e, solo in ultimo, e) lo smaltimento, che a sua volta può avvenire, secondo due modalità principali; la prima è costituita dall’incenerimento, la seconda (residuale) dal conferimento a discarica”[3].
Superata la breve premessa sul fenomeno dell’inquinamento ambientale e le misure adottabili al fine di contenerne gli effetti conseguenti, vi preme soffermarsi sul reato di traffico illecito di rifiuti, fattispecie sulla quale la giurisprudenza di continuo si trova a pronunciarsi.
L’articolo 260 del d.lgs. 152/2006 sanziona la condotta di “chiunque, al fine di conseguire un ingiusto profitto, con più operazioni e attraverso l’allestimento di mezzi e attività continuative organizzate, cede, riceve, trasporta, esporta, importa, o comunque gestisce abusivamente ingenti quantitativi di rifiuti è punito con la reclusione da uno a sei anni”. Tale norma è stata trasposta, in attuazione del principio di “riserva di codice” nell’articolo 452-quaterdecies del codice penale dal d.lgs. 1° marzo 2018 n. 21.
Tale norma quindi punisce le attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti nelle sue molteplici forme come la miscelazione di questi al fine di farne smarrire l’origine di provenienza; la collocazione in discariche abusive e via discorrendo.
Trattasi di reato plurioffensivo, che ha quindi come bene giuridico tutelato, come anticipato, non solo l’ambiente ma anche l’incolumità fisica del cittadino; inoltre è un reato di pericolo astratto in quanto ai fini della sua punibilità non è necessario che la lesione al bene giuridico si sia già verificata ed infine è un reato comune, può quindi essere ascrivibile e compiuto da chiunque.
La Suprema Corte, inoltre, ai fini della classificazione del reato di traffico illecito di rifiuti ha ritenuto che “per perfezionare il reato è necessaria una, seppure rudimentale, organizzazione professionale (mezzi e capitali) che sia in grado di gestire ingenti quantitativi di rifiuti in modo continuativo, ossia con pluralità di operazioni condotte in continuità temporale, operazioni che vanno valutate in modo globale: alla pluralità delle azioni, che è elemento costitutivo del fatto, corrisponde un’unica violazione di legge, e perciò il reato è abituale dal momento che per il suo perfezionamento è necessaria la realizzazione di più comportamenti della stessa specie” [4];da tale pronuncia si evince icto oculiche il reato viene annoverato tra i c.d. reati abituali.
La Corte di Cassazione nel 2011 ha anche precisato che la maggior parte di tali reati viene posta in essere da aziende in possesso di autorizzazioni idonee alla gestione dei rifiuti[5], ma che tuttavia agisce in maniera difforme dalle prescrizioni in materia; sul punto “la legge non richiede che il traffico di rifiuti sia posto in essere mediante una struttura operante in modo esclusivamente illecito, ben potendo le attività criminose essere collocate in un contesto che comprende anche operazioni commerciali riguardanti i rifiuti che vengono svolte in modo lecito.
In altri termini, il delitto può essere integrato sia da una struttura operante in assenza di qualsiasi autorizzazione e con modalità del tutto contrarie alla legge, sia da una struttura che includa stabilmente condotte illecite all’interno di una attività svolta in presenza di autorizzazioni e, in parte, condotta senza violazioni […]. Ciò che rileva, infatti, è l’esistenza di «traffico» di rifiuti intenzionalmente sottratto ai canali leciti, e l’inserimento all’interno di un percorso imprenditoriale ufficiale può divenire addirittura una scelta mirante a mascherare l’illecito all’interno di un contesto imprenditoriale manifesto e autorizzato”[6].
Secondo la Cassazione, l’introduzione nell’ art. 260 d.lgs. 152/06 (attività organizzate per il traffico di rifiuti) del comma 4 bis, ad opera dell’art. 1, comma 3, l. n. 68 del 2015 , il quale prevede che è sempre ordinata la confisca delle cose che servirono a commettere il reato o che costituiscono il prodotto o il profitto del reato, salvo che appartengano a persone estranee al reato, non sconfessa, ma anzi avalla il principio giurisprudenziale, secondo cui è obbligatoria, ai sensi dell’ art. 259 d.lgs. citato, la confisca dei mezzi di trasporto impiegati per il traffico illecito di rifiuti[7], come precedentemente asserito.
Per la configurabilità del reato di traffico illecito di rifiuti, il profitto ingiusto può consistere anche solo nella riduzione dei costi aziendali e, comunque, non deve assumere necessariamente carattere patrimoniale, potendo essere costituito anche da vantaggi di altra natura[8].
Per il Tribunale di Napoli, non è invece integrato il reato di traffico illecito di rifiuti (Art. 259 D. lg. N. 152 del 2006) se i rifiuti prelevati non vengano immediatamente conferiti perché l’impianto era chiuso[9].
Per ciò che concerne la consumazione, si ritiene che il delitto di traffico illecito di rifiuti si consuma nel luogo in cui avviene la reiterazione delle condotte illecite[10]; quanto asserito non fa che avallare la tesi su menzionata secondo cui tale reato è ascrivibile tra i reati abituali. Infine, per ciò che concerne il concorso di reati, gli Ermellini hanno sostenuto che è configurabile il concorso tra il delitto di truffa e quello di attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti (art. 53 bis, d.lgs. 5 febbraio 1997, n. 22, oggi sostituito dall’art. 260 del d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152), differenziandosi le due fattispecie sia per le condotte contemplate che per i beni protetti, qualificandosi – in particolare il secondo – come reato offensivo dell’ambiente a consumazione anticipata e dolo specifico ed, in quanto tale, configurabile indipendentemente dal conseguimento dell’ingiusto profitto con altrui danno[11].
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[1]Cass. Pen., Sez. III, 21 settembre 2016, n. 46170
[2]Corte giustizia UE Sez. X, 28 marzo 2019, n. 487
[3]T.A.R. Bari, Sez. II, 04 marzo 2019, n. 342
[4]Cass. Pen., Sez. III, 14 dicembre 2016n. 52838
[5]www.penalecontemporaneo.it Fascicolo 12/2018
[6]Cass. Pen., Sez. IV, 19 ottobre 2011, n. 2117
[7]Cass. Pen., Sez. III, 28 novembre 2017, n. 2284
[8]Cass. Pen., Sez. III, 28 giugno 2017, n. 53136
[9]Tribunale di Napoli, Sez. I, 19 dicembre 2017, n. 11633
[10]Cass. Pen., Sez. III, 29 settembre 2017, n. 48350
[11]Cass. Pen., Sez. III, 13 gennaio 2017, n. 9133
Valeria D’Alessio è nata a Sorrento nel 1993.
Sin da bambina, ha sognato di intraprendere la carriera forense e ha speso e spende tutt’oggi il suo tempo per coronare il suo sogno. Nel 2012 ha conseguito il diploma al liceo classico statale Publio Virgilio Marone di Meta di Sorrento.
Quando non è intenta allo studio dedica il suo tempo ad attività sportive, al lavoro in un’agenzia di incoming tour francese e in viaggi alla scoperta del nostro pianeta.
È molto appassionata alla diversità dei popoli, alle differenti culture e stili di vita che li caratterizzano e alla straordinaria bellezza dell’arte.
Con il tempo ha imparato discretamente l’inglese e si dedica tutt’oggi allo studio del francese e dello spagnolo.
Nel 2017 si è laureata alla facoltà di Giurisprudenza della Federico II di Napoli, e, per l’interesse dimostrato verso la materia del diritto penale, è stata tesista del professor Vincenzo Maiello. Si è occupeta nel corso dell’anno di elaborare una tesi in merito alle funzioni della pena in generale ed in particolar modo dell’escuzione penale differenziata con occhio critico rispetto alla materia dell’ergastolo ostativo.
Nel giugno del 2019 si è specializzata presso la SSPL Guglielmo Marconi di Roma, dopo aver svolto la pratica forense – come praticante avvocato abilitato – presso due noti studi legali della penisola Sorrentina al fine di approfondire le sue conoscenze relative al diritto civile ed al diritto amministrativo, si è abilitata all’esercizio della professione Forense nell’Ottobre del 2020.
Crede fortemente nel funzionamento della giustizia e nell’evoluzione positiva del diritto in ogni sua forma.