Il Tribunale competente nel caso di contraffazione del marchio sui social network come Instagram
Articolo redatto con il coordinamento dell’Avvocato Nicola Lanna, esperto di Fashion Law, IP e New Media (Influencer Marketing)
L’art. 120[1] del codice della proprietà industriale al comma 6 e 6-bis, ai fini della individuazione del Tribunale competente in materia di contraffazione stabilisce che:
“6. Le azioni fondate su fatti che si assumono lesivi del diritto dell’attore possono essere proposte anche dinanzi all’autorità giudiziaria dotata di sezione specializzata nella cui circoscrizione i fatti sono stati commessi.
6-bis. Le regole di giurisdizione e competenza di cui al presente articolo si applicano altresì alle azioni di accertamento negativo anche proposte in via cautelare.”
È necessario approfondire il comma 6 del suddetto articolo, in quanto, attraverso un’attenta analisi, si evince come la disposizione dell’organo giudicante rilevi su un’interpretazione data in precedenza dalla Giurisprudenza di merito, in temi del tutto estranei a quello della contraffazione online, in cui per “commissione del fatto” si intende non solo il luogo della condotta, ma anche il luogo nel quale si sono prodotti gli effetti pregiudizievoli della condotta in esame, o, ancora il luogo nel quale ha sede il soggetto che subisce l’attività di contraffazione[2].L’art. 120 c.p.i però, è interpretato come mera norma di deroga rispetto a quello che è il principio generale della competenza dei giudici nel domicilio del convenuto. Esso, trova la sua essenza nel collegamento esistente tra il luogo in cui avviene la condotta lesiva, ovvero contraffattiva ed il luogo in cui ha sede il soggetto leso[3].
È ormai scienza comune che il crescere della popolarità di social network come Instagram, aumenta a dismisura i tentativi di frode dei più noti brand di lusso. Instagram, oggi, è considerato come il social network fotografico più amato dai fashion addicted, ove tutti vogliono stare al passo delle nuove tendenze, tutti vogliono imitare i più noti modelli e fashion blogger e tutti vogliono indossare i più noti brand di successo, a qualsiasi costo. Instagram però non solo fa emergere fotografi e aiuta i brand di recente costituzione ad affermarsi nel mercato, ma al contempo dà spazio ai dealer della contraffazione[4]. Le nuove associazioni criminali, dunque, si servono dell’evoluzione tecnologica anche per diffondere la res contraffatta sul mercato, il più delle volte ciò avviene per conservare una sorta di anonimato che viene garantita dal web market.
Il processo di vendita, nel caso di specie, risulta essere anche più semplice rispetto a quello in cui la merce viene fisicamente venduta sul mercato, invero, basta utilizzare un telefono cellulare, scambiare un paio di foto su Whatsapp, Direct o WeChat per concludere una trattativa di compravendita. Medesima disciplina viene attuata per effettuare il pagamento, basta una semplice carta di credito, o un conto PayPal, e con un semplice click è possibile acquistare la borsa falsa di Gucci o altre case di moda. Un processo così articolato, nonché in costante evoluzione, non consente alle autorità giudiziarie di tenere il passo controlli e per tale ragione, per i contraffattori della merce che viene rivenduta online, è sempre più semplice eludere il sistema. Tale problematicità nasce anche in quanto tra i social network utilizzati non sempre c’è affinità di nazionalità, come ad esempio Telegram che è un social network russo e, di conseguenza, diventa difficile per le autorità italiane effettuare un controllo approfondito su una piattaforma di un paese estero
Ciononostante, il problema che sorge ogni qualvolta si presenta un tema di contraffazione del marchio online è quello di individuare il Tribunale competente. Sul punto si è espresso il Tribunale ordinario di Torino (n. 29252/2015 RGNR)[6], a seguito di un procedimento cautelare di urgenza per contraffazione del marchio realizzato online mediante il sito di e-commerce con social media, ovvero Facebook e Instagram. Il criterio generale prevede due possibilità per chi agisce in giudizio, ossia quello di ricorrere presso il Tribunale della controparte o nel luogo dove i fatti sono stati commessi. Nel caso analizzato nella sentenza di Torino vi era una società estera la quale rivendicava i tentativi di contraffazione via web posti in essere da una società italiana.
La società italiana ha sede legale in Sicilia ed utilizza un nome a dominio ed un sito di e-commerce molto simili a quelli della azienda estera. In base alla denuncia della società estera, si evince che la stessa ritiene che il luogo nel quale è stato commesso l’illecito sia Torino, in quanto viene delineato come locus commissi delicti, ovvero il luogo in cui si perfeziona l’illecito penale. Oltremodo, nella memoria della società si evince, dalla giurisprudenza citata, che la strategia difensiva della società estera fa leva sull’ “evento dannoso a raggiera e contestuale”, nella misura in cui la violazione commessa sul sito web, si realizza non soltanto nel territorio nazionale ma internazionale, coinvolgendo la totalità degli Stati. La società italiana però, nelle sue repliche, contesta la scelta del Foro torinese, in quanto il locus commissi delicti non può perfezionarsi nel luogo di consegna ma nel luogo in cui i dati sono stati immessi in rete, ovvero nella città siciliana i cui ha sede legale l’impresa.
Tuttavia, a seguito di dispute dottrinali e giurisprudenziali in merito, attraverso la lettura dei principi, si dichiara incompetente il foro di Torino in favor di quello di Catania. L’ordinanza con la quale il giudice di Torino dichiara la propria incompetenza, fa leva sul sesto comma dell’art. 120 c.p.i., nel quale è espressamente richiesto che la delega sia giustificata. Il medium che permetterebbe di giustificare questa deroga farebbe pressione sulla difesa della società italiana, la quale giocando con la teoria dell’ “evento a raggiera” consentirebbe l’instaurazione del procedimento dinanzi a qualsiasi tribunale.
Dunque, il criterio della prossimità alla controversia impone di individuare il luogo in cui i fatti sono stati commessi come il luogo in cui è stata posta in essere sia l’attività di realizzazione del sito web nel quale viene sponsorizzata la vendita di un prodotto contraffatto. Così facendo però vi sarebbe una disattenzione da parte del giudice di prime cure, in quanto, nell’individuare il giudice competente, non prenderebbe in considerazione neppure l’ubicazione del server ma il luogo in cui ha sede lo stabilimento o comunque il magazzino delle merci del soggetto che ha immesso sul mercato la merce contraffatta.
Nel caso in esame, il Tribunale di Catania è competente in quanto è nella città siciliana che si è dato avvio alla creazione del sito web, con tutti i suoi dati e la sua piattaforma, e fatalità, la scelta del Foro agevola i giudici in quanto nella stessa città risiede il magazzino fisico della società italiana accusata di contraffazione.
Nella società odierna in cui diritto e tecnologia si intersecano costantemente, l’individuazione del foro competente nel caso di controversie sorte online è di particolare rilevanza sul piano pratico. Tale problematica sorge in quanto in caso di condanna a risarcimento del danno, il soggetto soccombente potrebbe vedersi condannato due volte, in primis dal Tribunale che si scoprirà poi essere incompetente ed infine dal Tribunale a cui, di fatto, è derogata la competenza.
[1] Articolo 120, Codice della proprietà industriale (D.lgs. 10 febbraio 2005, n. 30), disponibile qui: https://www.brocardi.it/codice-della-proprieta-industriale/capo-iii/sezione-i/art120.html
[2] Cass., Sez. Unite, n. 2700/2013.
[3] Sul punto art. 5 punto 3 del Reg. CE 44/2001.
[4] Sul punto “Social media and luxory goods counterfeit: a growing concern for government industry and consumers worldwide”, in Washington Post.
[5] https://www.vogue.it/news/notizie-del-giorno/2016/06/01/instagram-contraffazione-chanel-vuitton
Maria Elena Orlandini nasce a Napoli il 2 Luglio 1993.
Fin da piccola si appassiona a tutto ciò che riguarda il diritto e la criminologia, così, conseguita la maturità scientifica, si iscrive alla Facoltà di giurisprudenza presso l’Università degli Studi del Sannio.
Si laurea con il massimo dei voti il 20 Marzo 2018 con una tesi dal titolo “Mass Media e criminalità” seguita dal Prof. Carlo Longobardo per quanto riguarda la parte di Diritto Penale e dal Prof. Felice Casucci per la parte di Diritto Comparato.
Attualmente collabora con lo Studio Legale dell’Avv. Elisabetta Costa, sito in Padova.
Per l’anno accademico 2018/2019 è iscritta al Master di II livello in Giurista Internazionale d’Impresa presso l’Università degli Studi di Padova – sede di Treviso, ove sta approfondendo i suoi studi in materia di diritto penale dell’economia, con una tesi dal titolo “Il reato di bancarotta e le misure premiali previste dal nuovo Codice della Crisi di Impresa”, sotto la supervisione del Prof. Rocco Alagna.
Nel corso della sua carriera universitaria ha organizzato una serie di convegni con l’associazione universitaria “Articolo3” con la collaborazione della cattedra di diritto penale dell’Università degli Studi del Sannio.
Nel 2015 partecipa alla simulazione diplomatica NMUN, organizzata dalle Nazioni Unite a New York, come rappresentante delle Isole Marshall nella commissione della GA3, dedicata principalmente ai Diritti Umani, firmando una “resolution” rivolta all’eliminazione della xenofobia.
Il suo sogno è quello di vincere il concorso in Magistratura ma, al contempo, è affascinata dalla carriera accademica.
Ama viaggiare, conoscere nuovi luoghi e fare nuove esperienze.
Nutre un profondo senso di fiducia nei confronti della Giustizia e delle Istituzioni.
Passione, curiosità e amore la caratterizzano in tutto quello che fa.
Collabora per l’area di Diritto Penale e di Fashion Law di Ius in Itinere.
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