venerdì, Marzo 29, 2024
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Imposta sulle successioni e donazioni nel trust auto-dichiarato

A cura di Edoardo Salmaso

Con l’ordinanza 15 gennaio 2019, n. 734, la Corte di Cassazione è nuovamente intervenuta sulla controversa questione della tassazione del trust e, più nello specifico, sulla corretta individuazione del momento in cui si realizza il presupposto impositivo.

Con la pronuncia in commento, la Corte ha ritenuto di dover dare continuità all’orientamento di legittimità oggi prevalente che assoggetta il negozio fiduciario all’applicazione dell’imposta sulle successioni e donazioni al momento dell’effettivo arricchimento a favore del beneficiario.

Tuttavia non sono mancati alcuni correttivi.

Come noto, con la riviviscenza del D. Lgs. 31 ottobre 1990, n. 346, ad opera del D. L. n. 262/2006, giurisprudenza e dottrina si sono da subito interrogate circa l’assoggettabilità del trust all’imposta sulle successioni e donazioni.

La tesi più risalente, sulla scorta di una interpretazione letterale del citato D. L. n. 262/2006, assumeva l’istituzione di un’autonoma imposta “sulla costituzione dei vincoli di destinazione”, avente a presupposto la mera costituzione del vincolo.

Difatti, la Corte di Cassazione affermava che l’imposta sulla costituzione di vincolo di destinazione è un’imposta nuova, accomunata solo per assonanza alla gratuità delle attribuzioni liberali, altrimenti gratuite e successorie; essa riceve disciplina mediante un rinvio, di natura recettizio-materiale, alle disposizioni del D.Lgs. n. 346/1990 (in quanto compatibili: D.L. n. 262/2006, art. 2, comma 50, come convertito), ma conserva connotati peculiari e disomogenei rispetto a quelli dell’imposta sulle successioni e sulle donazioni”[1].

Tale impostazione, a lungo seguita, peccava di razionalità; il presupposto impositivo verrebbe così individuato nella predisposizione del programma di funzionalizzazione del diritto al perseguimento degli obiettivi voluti, restando irrilevante l’effettivo arricchimento del beneficiario.

In altri termini sarebbe soggetta ad imposizione fiscale l’utilità conseguita dal vincolo di destinazione e non il trasferimento di ricchezza.

Aderendo a tale insegnamento, vincoli di destinazione privi di arricchimento sarebbero comunque soggetti ad imposta sulle successioni e donazioni.

Sono questi i casi dei trust auto-dichiarati, dei trust di garanzia e dei trust di scopo.

Assoggettare tout court ogni vincolo di destinazione all’imposta sulle successioni e donazioni risulterebbe, in determinati casi, addirittura incostituzionale.

Questo è quanto affermato dall’orientamento oggi prevalente laddove osserva che non sarebbe costituzionalmente legittima l’imposizione del tributo donativo sulla mera costituzione di un vincolo di destinazione senza tener conto dell’effetto traslativo e dell’arricchimento del beneficiario[2].

Sulla scia del più recente convincimento della Corte, l’atto costitutivo del trust, così come, più in generale, ogni vincolo di destinazione, è soggetto all’imposta ipotecaria e all’imposta catastale al momento della costituzione mentre, invece, l’imposta sulle successioni e donazioni andrà liquidata al momento dell’effettivo trasferimento di ricchezza.

La Suprema Corte, nell’ordinanza qui in commento, pur condividendo il nuovo orientamento, suggerisce alcuni correttivi con specifica attenzione ai trust auto-dichiarati.

Il Collegio, nell’ambito di un contenzioso in cui l’Agenzia delle Entrate richiedeva il pagamento dell’imposta sulle successioni e donazioni al momento della costituzione del vincolo di destinazione, ha osservato come, in taluni casi, nel trust auto-dichiarato“il trasferimento a favore dell’attuatore faccia emergere la potenziale capacità economica del destinatario (immediato) del trasferimento”

Tale circostanza giustifica la liquidazione dell’imposta sulle successioni e donazioni al momento della stessa costituzione del vincolo, senza necessità di attendere l’effettivo trasferimento di ricchezza a favore del beneficiario finale che, in alcuni casi, potrebbe essere condizionato o sottoposto a termine.

Una conclusione del genere non è esente da critiche.

Infatti, l’atto istitutivo del trust auto-dichiarato difetta di un reale trasferimento suscettibile di generare materia imponibile; l’effetto immediato si limita alla temporanea segregazione dei beni comportante la preservazione del patrimonio destinato[3].

La costituzione di untrust auto-dichiarato è tendenzialmente un “atto neutro” dal quale, essendo la posizione del settlor e del trustee individuabili nella stessa persona, non vi è alcun reale ed immediato trasferimento di ricchezza.

È evidente, dunque, che la pronuncia in commento ha sovvertito i principi che individuavano il presupposto impositivo nel reale trasferimento di beni e diritti comportante l’arricchimento effettivo ed immediato del beneficiario.

Dunque, vi è da concludere che il Collegio, con specifica attenzione al caso del trust auto-dichiarato, abbiafissatounnuovo presupposto impositivo,differente da quello sino ad ora individuato nel trasferimento di beni e diritti e conseguentearricchimento del beneficiario.


[1]Agenzia delle Entrate, Circolare 22 gennaio 2008, n. 3/E, e Circolare 6 agosto 2007, n. 48/E.

Conformi, Corte di Cassazione con ordinanze n. 3735, n. 3737 e n. 3886 del 4 febbraio 2015. La posizione assunta dalla Corte di Cassazione è stata sin da subito criticata dalla dottrina maggioritaria, fra cui D. Stevanato, “La “nuova” imposta su trust e vincoli di destinazione nell’interpretazione creativa della Cassazione”.

[2] Fra le altre, Corte di Cassazione n. 4482/2016; Cass. ord., Sez. VI, n. 5322/2015; Cass. ord., Sez. VI, n. 3886/2015.

[3] Nello stesso senso, S. Pellegrino, “Tassazione indiretta del trust: la confusione regna sovrana” ed E. Pergolari, “Trust, imposta se c’è un effettivo incremento patrimoniale”.

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