giovedì, Aprile 18, 2024
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La caduta del muro del possesso

Il diritto tra proprietà e condivisione.

 fonte immagine: https://manuelacotti.wordpress.com/category/ballo/

Una legge senza tempo ha governato la storia dell’umanità nella sua graduale evoluzione: l’uomo è padrone.

Fin dall’antichità il concetto di proprietà ha rappresentato il baluardo e centro nevralgico degli ordinamenti civilistici e l’art. 832 c.c., con una formulazione che risponde pienamente a questa ideologia liberistica, ne è l’esempio a noi più prossimo.

La proprietà è la formulazione giuridica della necessità, connaturata all’essenza umana, di individuare una regione di spazio, un bene concreto sul quale il soggetto possa esercitare il suo dominio, senza interferenze provenienti dall’esterno.

Ma che sorte subisce questa apparentemente fisiologica tendenza capitalistica al cospetto del fenomeno crescente della sharing economy?

Che altezza raggiunge il muro della proprietà in un terreno open-space di scambi e guadagni?

Sharing economy, o nazionalmente parlando ‘economia di condivisione’ è una nuova prassi economica, in cui un soggetto si sveste dei panni di proprietario e si inserisce, in qualità di fornitore di beni e servizi, in un sistema scandito da accessi temporanei e condivisi; è così che, ad esempio, l’auto che utilizzo per tornare da lavoro non sarà più di proprietà, ma dopo qualche ora sarà utilizzata da un gruppo di ragazzi per la loro uscita serale, e così via in un fitto gomitolo di interazioni per un’altrettanta moltitudine di offerte e servizi.

La rivoluzionata legge del ‘do ut des’ si innesta in un circolo di ricchezza rapido e diretto: log-in sul portale, accesso nella piattaforma, utilizzo e godimento del bene, ripristino della condizione iniziale.

L’autoregolamentazione dello scambio commerciale attraverso l’e-Commerce consente la realizzazione della disintermediazione, ossia l’eliminazione di passaggi intermedi usualmente inseriti nella catena di montaggio tipica.

Nasce così una commodification: un mercato completamente nuovo, creato ex novo dal connubio di crisi economica e progresso tecnologico.

Ma se ubi societas ibi ius, l’economia di condivisione non può rimanere un prodotto grezzo; il diritto interviene a sublimarla ed equilibrarla, in particolare canalizzando i contratti nati in quest’ottica verso due tipologie standard: il contratto business to consumer (b2c) e il contratto private to private (p2p). La prima forma contrattuale instaura una relazione giuridica tra l’impresa, che eroga il servizio, e il cliente, il quale ne usufruisce, nel tentativo di pareggiare i vantaggi delle parti coinvolte. Il secondo modello disciplina, invece, un incontro tra privati all’interno di un market-place differente, prediligendo la collaborazione e la cooperazione ripetuta nel tempo all’allocazione del rischio, differentemente da quanto era nella mente del legislatore del ’42 all’alba del moderno contratto standard,  basato su un obbligo di adempimento e diligenza in un rapporto circoscritto nelle sole parti coinvolte. Competizione e massimizzazione del profitto individuale cedono il posto a robuste strategie di collaborazione, che rendono meno vulnerabili i guadagni del singolo e intessono una rete di simmetrici benefici (in accordo ad una valutazione moderna dell’antica teoria dei giochi).

Dove c’è condivisione c’è ricchezza: Forbes sostiene che il giro d’affari dei servizi sharing si aggiri attorno ai 3.5 miliardi di dollari solo nell’ultimo anno, e il guadagno non prospetta declini.

Accesso e non possesso è dunque la costante di un nuovo ingranaggio economico, ove la tutela del diritto di proprietà cede il posto a trasparenza e fiducia in meccanismi di condivisione e parametri temporali flessibili.

Si afferma ufficialmente nel panorama del quotidiano la figura dello Sharer: ‘colui che gode delle cose in modo leale e condiviso, entro i limiti imposti dall’app’.

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