La governance del processo di digitalizzazione della pubblica amministrazione
La governance del processo di digitalizzazione della pubblica amministrazione
a cura di Chiara Limiti
E-government o office automation?
In un primo momento la digitalizzazione dell’azione amministrativa, e del processo, è consistito quasi esclusivamente nel tentativo di sviluppare le infrastrutture base e nell’introdurre nuove tecnologie che avevano lo scopo di tradurre i processi e i modelli burocratici esistenti attraverso l’utilizzo dell’informatica negli stessi processi e modelli ma in versione informatica. L’errore alla base di tale interpretazione è quello di ritenere che la mera introduzione di strumenti e tecnologie informatiche potesse essere sufficiente a determinare quel volano necessario allo efficientamento del settore pubblico. Tuttavia, come si è imparato con l’esperienza, l’informatizzazione tout court dei processi, senza una loro reingegnerizzazione, è destinata a non sortire alcune effetto positivo né in termini di efficienza e né in termini di trasparenza.
È apparso a questo punto lampante che il processo di digitalizzazione non potesse limitarsi all’introduzione di nuove tecnologie, ma, avesse bisogno di essere supportato da un cambiamento normativo ed organizzativo che mirasse ad ottimizzare il lavoro delle amministrazioni e ad offrire agli utenti servizi on line più efficienti. Si comincerà, quindi, a parlare di e-government intendendo con questo termine quel processo di riorganizzazione e reingegnerizzazione dell’attività amministrativa attraverso l’utilizzo delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione.
E-government, infatti, consiste nella reingegnerizzazione dei processi e nella rimodulazione dell’esercizio dell’attività amministrativa attraverso l’uso di tecnologie della comunicazione e dell’informazione. Lo scopo dell’e-government è, quindi, quello di attuare il progetto di “amministrazione digitale” migliorando la circolazione dei dati, sia all’interno delle amministrazioni che all’esterno, e l’attività degli uffici ed organi amministrativi. L’e-government, ha due finalità principali: aumentare l’efficacia dei servizi offerti ai cittadini e aumentare l’efficienza dei processi interni alle amministrazioni.
La realizzazione dell’e-government passa anche attraverso l’introduzione e l’assimilazione di principi che appartengono, più specificamente, al campo dell’open government ovvero del governo aperto. I tre principi che rappresentano i pilatri dell’open governement sono: la partecipazione, la trasparenza e la collaborazione. “i principi di trasparenza, partecipazione e collaborazione devono costituire la struttura portante di un governo aperto al dialogo e al confronto partecipato con i cittadini, in modo di favorire un controllo diffuso da parte del privato sull’operato delle istituzioni e sull’utilizzo delle risorse pubbliche”[1]. L’italia, nell’ambito del più apio processo di ammodernamento amministrativo, ha sottoscritto l’open government declaration, ha presentato un action plan (che ha valore biennale) e è entrata a far parte dell’open government partnership[2].
Pertanto, si può affermare che a un iniziale fraintendimento in cui la digitalizzazione dell’amministrazione è stata intesa quasi esclusivamente come office automation, è subentrato un processo strutturato di revisione normativa e organizzativa che può essere intesa come e-government[3]. Allo stato attuale anche il concetto di e-governement rischia di essere un po’ superato e sostituito da quello di “servizi di e-government”.
La governance della digitalizzazione della pubblica amministrazione
L’inizio del percorso della digitalizzazione può essere individuato già nella legge n. 241/90, con cui si è dato avvio alla stagione della semplificazione della pubblica amministrazione. Questa norma fu, infatti, definita in dottrina come “inconsapevolmente informatizzata”[4], perché pur non facendo nessun esplicito riferimento né all’informatica e né alla telematica, si ritiene che per una sua corretta e completa applicazione vi sia la necessità di introdurre tali tecnologie. Un riferimento esplicito alla telematica venne inserito, nell’ambito della legge 241 del 1990, solo con la riforma avvenuta ad opera della legge 15 del 2005.
Tuttavia, l’avvio all’inserimento degli strumenti informatici nell’ambito della pubblica amministrazione avviene attraverso il decreto legislativo 39 del 1993. Questo decreto non si limita a enunciazioni di principio ma istituisce l’AIPA autorità per l’informatica nella PA. Tra gli scopi principali di questa Autorità vi è la necessità di garantire l’interconnessione informatica delle pubbliche amministrazioni. Per tenere fede a tale obiettivo, l’AIPA progetta e realizza la RUPA – rete unitaria della PA. Attraverso l’utilizzo della RUPA si doveva garantire ad un utente qualsiasi della rete, che fosse autorizzato, di accedere, in condizioni di sicurezza, a tutti i dati e a tutte le procedure dei sistemi informativi della propria amministrazione così come delle altre amministrazioni presenti nella rete.
Nel 2001 l’introduzione del Ministro per l’innovazione tecnologica porta ad una sovrapposizione delle competenze che ha reso inutile l’esperienza dell’AIPA. Questa sovrapposizione porta ad una soppressione dell’autorità nel 2003, e al suo posto venne istituito un organismo collegiale: il Centro Nazionale per l’Informatica nella PA (CNIPA) presso la PCM che aveva lo specifico compito di dare attuazione alle politiche di e-government ideate dal Ministro per l’innovazione e le tecnologie. Si tratta, quindi, di un modello che prevede da una parte l’organo politico che impartisce le direttive e dall’altra un organo tecnico che ha, quasi esclusivamente, il compito di attuare le direttive politiche. Con la soppressione dell’AIPA, è stato ripensato anche il modello di interconnessione delle pubbliche amministrazioni: la RUPA. Infatti, con il il dlgs 42 del 2005 si provvede alla soppressione della RUPA che sarà sostituita dal sistema pubblico di connettività (SPC[5]) e dalla rete internazionale delle pubbliche amministrazioni (RIPA) la cui disciplina confluirà poi nel CAD. La RIPA è il sistema attraverso il quale si assicura il collegamento tra le PPAA e gli uffici italiani all’estero.
Con la L. 69/2009 il Governo ha provveduto mediante dlgs n. 177/2009 (attuativo) a modificare l’assetto normativo del CNIPA, da questa modifica nascerà DigitPA. DigitPA avrà funzioni essenzialmente di carattere tecnico, così come previsto dal dlgs. n. 177/2009. Rispetto al suo precedessore (il CNIPA) perde anche la funzione di coordinamento dell’informatica pubblica, che si esplica principalmente attraverso la predisposizione e l’adozione del piano triennale per l’informatica nelle PA. Si tratta, quindi, di un nuovo spostamento di competenze dall’organo tecnico all’organo politico. I principali compiti di DigitPA (EPNE) sono:
- attività di consulenza e di proposta nei confronti del Presidente del consiglio, delle regioni e degli enti locali;
- redazione e diffusione di standard e regole tecniche;
- verifica circa l’effettivo rispetto delle previsioni normative;
- progettazione, gestione, realizzazione di appositi progetti nel campo dell’amministrazione digitale.
Quindi, il governo Monti, in un contesto di forte restrizione della spesa pubblica motivata dalla crisi economica e sociale, ha provveduto a sopprimere DigitPA e con esso l’Agenzia per la diffusione delle tecnologie per l’innovazione. Le funzioni di tali strutture sono quindi transitate ad una nuova Agenzia, appositamente istituita con il nome di Agenzia per l’Italia digitale (AGID). L’AGID rientra nell’ambito del modello di agenzie ex decreto legislativo n. 300/99, si tratta quindi di un’articolazione ministeriale di primo livello a cui viene riconosciuta una autonomia maggiore, senza personalità giuridica e sottoposta all’indirizzo politico amministrativo. Anche l’Agenzia per l’Italia Digitale è istituita presso la Presidenza del Consiglio e ne rappresenta l’agenzia tecnica. All’AGID vengono affidati compiti ben più ampi rispetto alle ultime due precedenti esperienze. Si va, infatti, dal compito di garantire l’attuazione dell’Agenda digitale italiana[6], al coordinamento delle amministrazione (sia locali che nazionali) in tema di informatica attraverso l’emanazione del Piano Triennale per l’informatica della Pubblica amministrazione[7] e alla sua attuazione. Inoltre, l’AGID è chiamata a diffondere le tecnologie dell’informazione e della comunicazione e a progettare sistemi per la diffusione delle competenze digitali.
Il dlgs. 179/2016 affianca all’AGID il Commissario straordinario per l’attuazione dell’agenda digitale (prima era prevista la cabina di regia) che svolge funzioni di coordinamento operativo dei soggetti pubblici, anche in forma societaria operanti nel settore delle tecnologie dell’informatica e della comunicazione e rilevanti per l’attuazione degli obiettivi dell’Agenda digitale italiana, limitatamente all’attuazione degli obiettivi di cui alla predetta Agenda digitale ed in coerenza con quanto previsto nell’ambito dell’Agenda digitale europea. Il Commissario straordinario, nato sulla spinta della volontà di intervento da parte del Governo Renzi e dell’allora Ministro Marianna Madia, nonché dalla disponibilità di una figura di forte risalto in materia di informatizzazione (Diego Piacentini), cesserà di esistere il 31 dicembre 2019.
I progetti di trasformazione digitale della pubblica amministrazione passano di nuovo in gestione al Ministro per l’innovazione tecnologica e la digitalizzazione, attraverso il Dipartimento per la trasformazione digitale e la società pagopa s.p.a. Si assiste ad un ulteriore cambio di paradigma nella governance della digitalizzazione della pubblica amministrazione, viene di nuovo proposto un modello che vede una figura politica (il ministro) definire gli obiettivi, affiancato e supportato da una struttura tecnica. Si ritorna, quindi, ad un modello che era lo stesso già proposto nel 2003, dove affianco al Ministro era preposto il CNIPA che aveva l’esplicita funzione di dare attuazione alle politiche di e-government proposte dall’indirizzo politico. Di conseguenza, si abbandona un modello più semplice, ma più spurio dal punto di vista legale, di un forte ente tecnico che da una parte definisca le politiche e dall’altra ne curi l’attuazione, così come era stata pensata inizialmente l’AGID. Nell’ambito di tale percorso, quindi, l’AGID finisce per perdere molte delle sue funzioni di indirizzo politico, che verranno rese al Dipartimento e al Ministro incaricati. Il Governo è, quindi, intervenuto modificando la governance della digitalizzazione delle p.a. spostando le competenze del Team per la trasformazione digitale alla Presidenza del Consiglio dei Ministri e al Presidente del Consiglio che ha, a sua volta, ha delegato il Ministro per l’innovazione tecnologica e la digitalizzazione.
Con il DL 135/2018, è stato istituito il Dipartimento per la trasformazione digitale, “quale struttura di supporto al Presidente del Consiglio per la promozione ed il coordinamento delle azioni del Governo finalizzate alla definizione di una strategia unitaria in materia di trasformazione digitale e di modernizzazione del Paese attraverso le tecnologie digitali. Esso deve dare attuazione alle direttive del Presidente in materia e assicura il coordinamento e l’esecuzione dei programmi di trasformazione digitale (DPCM 19 giugno 2019)”[8]. Il Dipartimento è stato quindi organizzato internamente in ottemperanza a quanto previsto nel decreto 24 luglio 2019.
La governance alla prova della pandemia
La pandemia da Covid-19 incide in maniera estremamente profonda sulle modalità di lavoro nell’ambito delle pubbliche amministrazioni e determina in molti casi anche la necessità di intervenire sulla governance dei processi. La necessità di agire rapidamente, che caratterizza, queste situazioni “estreme” porta, infatti, a prediligere modelli di governance maggiormente accentrati e accentratori a scapito di altri. Ad esempio, con il dl n. 76/2020 sono state emanate delle disposizioni volte a modificare le modalità organizzative interne delle pubbliche amministrazioni al fine di implementare il loro grado di innovazione digitale: la diffusione del lavoro agile (c.d. smart working) nella pubblica amministrazione. A questo si è aggiunge il passaggio di competenze in merito al coordinamento informatico dell’amministrazione statale, regionale e locale dall’AGID alla Presidenza del Consiglio.
Nel febbraio 2021 viene nominato il Governo Draghi, e in qualità di Ministro senza portafoglio per l’innovazione tecnologica e la transizione digitale viene nominato Vittorio Colao. Tra i primi atti adottati dal nuovo Governo vi è il decreto-legge 1° marzo 2021, n. 22 che, riordina le competenze di alcuni ministeri; ma nello specifico prevede che spetti al Presidente del Consiglio dei Ministri il compito di promuovere, coordinare e indirizzare l’azione del Governo su temi quali la digitalizzazione delle pubbliche amministrazioni e delle imprese; la strategia per la banda ultra larga; le infrastrutture digitali materiali e immateriali. Si assiste, quindi, alla nomina di un Comitato interministeriale per la transizione digitale, la cui presidenza è affidata allo stesso Presidente del Consiglio dei ministri, o in caso di assenza al Ministro delegato per l’innovazione tecnologica e la transizione digitale. La governance della digitalizzazione della pubblica amministrazione viene, quindi, sempre più saldamente e strettamente riportata nell’alveo politico e si viene a delineare un nuovo punto di accentramento ancora più alto, non tanto il Ministro competente in materia ma direttamente il Presidente del Consiglio dei Ministri.
La digitalizzazione delle pubbliche amministrazioni, inoltre, assume un ruolo fondamentale anche nell’ambito del Piano nazionale di ripresa e resilienza. Il Piano è composto da sei Missioni, nell’ambito della Missione 1, composta a sua volta da 3 componenti, una delle tre è dedicata alla digitalizzazione e va sotto il nome di “Digitalizzazione, innovazione, competitività e cultura”. Nel complesso, tuttavia, ben il 27% delle risorse del PNRR sono dedicate alla transizione digitale; senza considerare anche gli investimenti informatici in materia di fisco, sanità, turismo, infrastrutture, sicurezza, scuola e ricerca. Proprio in considerazione dell’importanza degli investimenti, il Ministro Colao è stato ascoltato dalle Commissioni parlamentari competenti il 18 marzo 2021 per verificare le attività avviate e le misure intraprese in relazione al PNRR.
La digitalizzazione è quindi presente e determinante in molti degli interventi e degli investimenti previsti dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) e ne costituisce uno dei tre assi strategici. Tale scelta sembra essere motivata dal considerevole ritardo dell’Italia con particolare riferimento alle competenze digitali dei cittadini, alla digitalizzazione della pubblica amministrazione e dell’impresa, agli investimenti tecnologici. Questo non brillante risultato ci viene certificato dal quart’ultimo posto ottenuto sulla base di quanto previsto dall’indice DESI nel 2020. Nel 2020, infatti, ci collochiamo al 25° posto su 28 Stati membri dell’UE, davanti solo a Romania, Grecia e Bulgaria. Il PNRR rappresenta, quindi, il viatico attraverso il quale si proseguirà nei prossimi anni il percorso di digitalizzazione della formazione. La governance del progetto, pertanto, sarà quella che di fatto gestirà anche il processo di digitalizzazione della PA, andandosi a sommare, in qualche caso a sovrapporsi, alla struttura di governance prevista ufficialmente. Per quanto concerne la governance del PNRR, il MEF ha il compito di monitorare l’andamento dei progetti, anche dal punto di vista finanziario, e rappresenta l’unico punto di contatto con la Commissione europea. A questo coordinamento si aggiunge la Cabina di Regia istituita presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri e presieduta dal Presidente del Consiglio dei ministri. Alla Cabina sono invitati a partecipare di volta in volta i Ministri e i Sottosegretari di Stato a seconda delle materie oggetto della seduta. che è stata istituita la Cabina di Regia con il compito di verificare l’avanzamento del Piano.
Conclusioni
Tralasciando le considerazioni in merito alle forme di governo ed esperienze dei Paesi più innovativi e al di là dei nominalismi, le migliori pratiche di governance istituzionale amministrativa dei processi innovativi mostrano alcuni elementi comuni: 1) una leadership centrale per innovazione e digitale che: a) concentra la propria attività di indirizzo sull’innovazione dei processi di governo piuttosto che esclusivamente sull’e-government come singola area; b) si avvale di strutture dedicate di supporto tecnico (in genere una Commissione di alto livello quale struttura di consulenza e studio) e c) dispone di un potere decisionale effettivo sull’allocazione delle risorse; 2) un centro di coordinamento interistituzionale, per la progettazione strategica di un masterplan intersettoriale, supportata da uno o più tavoli interistituzionali, multilivello ed intersettoriali; 3) un organismo unificato centrale, responsabile per la programmazione e l’implementazione del masterplan mediante apposita roadmap nazionale, coadiuvato da un nucleo di tecnici ed esperti con competenze specifiche; 4) ciascun ministero provvede, in questo quadro, alla programmazione ed implementazione della roadmap del proprio settore; 5) l’attività di programmazione viene supportata da adeguati meccanismi di partecipazione (consultazioni multilivello); 6) è prevista la pubblicazione periodica di rapporti sullo stato di avanzamento a carico di ciascun soggetto della governance istituzionale come sopra individuata e le conseguenti review di masterplan e roadmap con specifiche azioni di recupero.
Il modello italiano, invece, come si è visto dalla ricostruzione sopra proposta ha visto un andamento altalenante. L’idea iniziale di un’autorità competente per la digitalizzazione è stata, infatti, abbandonata al momento in cui si è deciso di individuare un Ministro, senza portafogli, competente e affiancato da una struttura tecnica (inizialmente il CNIPA e poi DigitPA). A questa fase è seguita quella, in cui, in un’ottica di forte restrizione delle spese e di spending review, la governance è stata affidata ad un’unica grande agenzia che svolgeva funzioni sia politiche che tecniche (AGID). Ma successivamente, ha fatto di nuovo la sua comparsa la figura del Ministro competente in seno al Governo. Questo ha portato ad una nuova redistribuzione delle competenze che, attraverso il passaggio per il Commissario straordinario per l’attuazione dell’Agenda digitale (figura assolutamente anomala, frutto, probabilmente della disponibilità manifestata da una persona di grande competenza) e il Team per la trasformazione digitale, ha portato ad un nuovo accentramento in mano politica.
La situazione attuale e la lunga fase pandemica hanno agito come spinta alla centralizzazione della governance e, anche attraverso le fasi di applicazione del PNRR, si staglia una nuova figura centrale nell’ambito della stessa governance, di livello ancora più alto rispetto al Ministro: il Presidente del Consiglio dei Ministri.
[1] Aloia A., Open Government. Tra digitalizzazione e trasparenza della P.A., 2014, rinvenibile all’indirizzo http://www.diritto.it/docs/36115-open-government-tra-digitalizzazione-e-trasparenza-della-pa.
[2] L’Open Government Partnership (OGP) è un’iniziativa internazionale che mira a ottenere impegni concreti dai Governi in termini di promozione della trasparenza, di sostegno alla partecipazione civica, di lotta alla corruzione e di diffusione, dentro e fuori le Pubbliche Amministrazioni, di nuove tecnologie a sostegno dell’innovazione.
L’Open Government Partnership è stata lanciata ufficialmente il 20 settembre 2011 da otto Paesi (Brasile, Gran Bretagna, Indonesia, Messico, Norvegia, Repubblica delle Filippine, Sudafrica e Stati Uniti): da allora il numero di Paesi aderenti è cresciuto costantemente.
I Paesi aderenti hanno approvato la Open Government Declaration, con la quale si impegnano ad intraprendere nuove iniziative nell’ambito dell’open government. Tra queste:
- lo sviluppo, con il pieno coinvolgimento della società civile e delle PA, di un Piano d’Azione (Action Plan) di durata biennale che raccoglie impegni e progetti sui temi d’interesse dell’OGP; Il primo action plan italiano è stato presentato nel 2012 ed, in un’ottica di partecipazione, è stato sottoposto ad una lunga ed articolata fase di consultazione;.
- la produzione di auto-valutazioni e report indipendenti sui progressi compiuti;
- la diffusione dell’open government in altri Paesi tramite lo scambio di best practice, assistenza tecnica, tecnologie e risorse.
Nello spirito di una collaborazione multi-stakeholder, l’OGP è guidata da uno Steering Committee, ovvero un consiglio che comprende rappresentanti dei Governi e della società civile. A supporto delle attività e degli obiettivi dell’OGP è stato inoltre creato l’OGP Support Unit, un piccolo segretariato permanente che lavora a stretto contatto con lo Steering Committee.
[3] Per cogliere la complessità delle determinanti del processo di digitalizzazione di un Paese, la Commissione ha elaborato un indice sintetico denominato Digital Economy and Society Index (DESI) che aggrega una serie di indicatori strutturati intorno a cinque dimensioni:
- la connettività, che contiene indicatori di copertura della “banda larga” e “banda ultralarga”;
- il capitale umano, che misura la presenza e la diffusione nella popolazione delle competenze digitali;
- l’utilizzo di internet, che descrive la diversa gamma di attività che i cittadini di un paese effettuano in rete (visualizzazione di contenuti audio/video, comunicazione, acquisto, utilizzo di servizi finanziari, …);
- l’integrazione della tecnologia digitale, che indica la misura in cui l’iniziativa imprenditoriale sfrutta la tecnologia digitale per migliorare l’efficienza, ridurre i costi, procurarsi nuovi clienti e partner, allargare i mercati di riferimento (c.d e-business);
- i servizi pubblici digitali, concernente indicatori della disponibilità e dell’utilizzo di servizi pubblici attraverso contenuti digitali, ossia l’offerta di e-government.
L’indice sintetico pondera queste cinque componenti con coefficienti in cui la disponibilità dei servizi pubblici digitali pesa meno della connettività e del capitale umano.
Ogni anno, vengono pubblicati i digital scoreboard elaborati sulla base dell’indice di DESI nonché dei rapporti che registrano i progressi effettuati dai vari Paesi membri nel raggiungimento degli obiettivi prefissati dall’Agenda digitale europea e ora dal Digital Single Market.
[4] Guardianella C., Guarnaccia E., 2004, Amministrazione digitale: leggiamo il Codice, Interlex PA.
[5] Sistema pubblico di connettività (SPC), che ha sostituito la Rete unitaria delle pubbliche amministrazioni, la c.d. RUPA. Le difficoltà di realizzazione di un SPC consiste nella duplice esigenza di garantire, da un lato, l’omogeneizzazione delle forme di elaborazione e comunicazione dei dati, e la sicurezza degli scambi di essi, e dall’altro l’autonomia organizzativa delle singole amministrazioni.
Esso era stato a tal fine ideato mediante lo sviluppo architetturale ed organizzativo atto a garantire la natura federata, policentrica e non gerarchica del sistema.
Proprio su tale previsione interviene la riforma del CAD in attuazione della legge Madia, prevedendo uno “sviluppo architetturale e organizzativo atto a garantire la federabilità dei sistemi, in un’ottica di maggiore attenzione alla interoperabilità piuttosto che alla garanzia dell’autonomia delle amministrazioni coinvolte.
[6] L’Agenda Digitale nasce dunque a livello europeo, nell’ambito della più ampia strategia Europa 2020 che pone le fondamenta per la crescita e la creazione di occupazione. In sintesi, l’obiettivo principale dell’Agenda Digitale Europea è quello di creare un mercato digitale unico e dinamico in grado di condurre le economie del vecchio continente verso una crescita intelligente, sostenibile e inclusiva. Fondamentali in questo quadro sono la valorizzazione delle tecnologie digitali e l’adeguamento tecnologico della Pubblica Amministrazione. L’Agenda Digitale Italiana costituisce dunque, in senso ampio, l’insieme di azioni e norme per lo sviluppo delle tecnologie, dell’innovazione e dell’economia digitale intraprese dall’Italia, in attuazione dell’Agenda Digitale europea. L’Agenda Digitale italiana è stata elaborata in collaborazione con la Conferenza delle Regioni e delle Province Autonome. Nell’ambito dell’Agenda Digitale Italiana sono stati predisposti la Strategia italiana per la banda ultralarga e la Strategia per la Crescita Digitale 2014-2020 per il perseguimento degli obiettivi dell’Agenda Digitale.
L’AGI si realizza mediante azioni coordinate dirette a:
- favorire lo sviluppo di domanda e offerta di servizi digitali innovativi;
- potenziare l’offerta di connettività a larga banda;
- incentivare cittadini e imprese all’utilizzo di servizi digitali;
- promuovere la crescita di capacità industriali adeguate, a sostenere lo sviluppo di prodotti e servizi innovativi. (art. 47, comma 1, del D.L. n. 5/2012, convertito in legge 4 aprile 2012, n. 35).
L’attuazione delle azioni per l’Agenda digitale italiana ha proceduto per percorsi quasi indipendenti, relativi a temi chiave specifici (fatturazione elettronica, identità digitale, servizio pubblico di connettività, piattaforme nazionali abilitanti, etc.).
Alla base del piano strategico italiano ci sono la semplificazione dei servizi pubblici e il coordinamento delle diverse azioni a livello nazionale e locale. La Pubblica Amministrazione rappresenta infatti quella leva abilitante per veicolare la trasformazione digitale del Paese e deve dunque contribuire allo sviluppo delle competenze digitali tra i cittadini e all’interno delle imprese. In tale quadro, si inseriscono alcuni dei principali interventi governativi che hanno riguardato le strategie di digitalizzazione in Italia:
- istituzione dell’AgID (Agenzia per l’Italia Digitale) nel giugno 2012, organo preposto alla realizzazione degli obiettivi di agenda digitale in Italia;
- realizzazione della Strategia Italiana per la crescita digitale 2014-2020 nel marzo 2015, il documento che definisce le azioni, le piattaforme e i programmi da incentivare per il raggiungimento degli obiettivi di agenda digitale;[4]
- approvazione del Piano Banda Ultra-Larga (BUL) nel marzo 2015 che porterà entro il 2020 a un copertura ad almeno 100 Mbit/s per l’85% della popolazione italiana;[5]
- approvazione del Piano Triennale ICT per la PA nel maggio 2017, il documento che indirizza in modo chiaro e consapevole la trasformazione digitale della PA italiana, dettando dunque le regole e i principi operativi per una più ampia trasformazione digitale in Italia.
[7] Il Piano Triennale per l’informatica nella Pubblica amministrazione è il documento di indirizzo strategico ed economico che nasce per guidare operativamente la trasformazione digitale del Paese e diventa riferimento per le amministrazioni centrali e locali nello sviluppo dei propri sistemi informativi.
Il Piano definisce il modello di riferimento per lo sviluppo dell’informatica pubblica italiana fissando i principi architetturali fondamentali, le regole di usabilità e interoperabilità, precisando la logica di classificazione delle spese ICT. L’obiettivo del Piano è quello di rifocalizzare la spesa delle amministrazioni, migliorare la qualità dei servizi offerti a cittadini e imprese e degli strumenti messi a disposizione degli operatori della PA. È importante sottolineare che il Piano è emesso da AgID in attuazione dell’articolo 14-bis, comma 2, lettera b) del Codice dell’amministrazione digitale (CAD) e le pubbliche amministrazioni operano in conformità ad esso secondo quanto stabilito nell’articolo 12 dello stesso CAD.
[8] Camera dei Deputati, La transizione digitale della pubblica amministrazione, marzo 2021.