lunedì, Marzo 18, 2024
Criminal & Compliance

La particolare tenuità del fatto ex art 131 bis. Casistica giurisprudenziale sui profili sostanziali

A cura di: Avv. Roberto Tedesco

La “particolare tenuità del fatto” cosi come disciplinata dall’art. 131-bis c.p., introdotta dal d.lgs. n. 28/2015, rappresenta una delle più importanti novità del diritto sostanziale penale degli ultimi anni.

Tale disposizione normativa, di fatto, ha ripreso il significato giuridico di due istituti già presenti nel nostro ordinamento giuridico: il primo con riferimento al processo minorile, riguarda la sentenza di non doversi procedere per  irrilevanza del fatto ex art. 27 d.P.R. n. 448/1988 ed il secondo, relativo ai giudizi dinanzi al Giudice di pace, attiene al provvedimento di esclusione della procedibilità nei casi di particolare tenuità descritto dall’art. 34 d.lgs. n. 274/2000.

L’art. 131 bis c.p. disciplina una causa di esclusione della punibilità dell’autore del reato che si basa sulla valutazione delle modalità della condotta, sull’esiguità del danno cagionato e del pericolo, sulla valutazione delle circostanze di cui all’art. 133 c.p. che rendano l’offesa di particolare tenuità considerato il fatto che non si tratta di un comportamento abituale.

Questo istituto giuridico si applica a quei reati per i quali è prevista una pena nel massimo non superiore ai cinque anni di reclusione oppure la pena pecuniaria sola o congiunta alla pena detentiva nei limiti indicati. Non rileva la contestazione della recidiva, salvo il caso in cui si trattasse di reato della stessa indole rispetto a quello contestato.

Dall’analisi dell’istituto emerge che la non punibilità per particolare tenuità del fatto presuppone, in ogni caso, la commissione di un fatto di reato pur sempre offensivo, ancorché, sulla base della valutazione complessiva, sia valutato in misura particolarmente tenue, senza che di per sé venga esclusa l’offensività del fatto.

Chiarita la portata giuridica dell’art. 131 bis c.p. si vuole, di seguito, analizzare le principali pronunce giurisprudenziali in materia di tenuità del fatto.

Negli ultimi anni numerose pronunce della giurisprudenza di legittimità hanno analizzato il suddetto istituto giuridico inquadrando in maniera più definita gli ambiti di applicabilità dello stesso.

In primo luogo, si rappresenta che, con sentenza delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, è stato stabilito che l’art. 131 bis c.p. non si applica ai giudizi dinanzi al Giudice di Pace poiché si ritiene che deve prevalere il principio di specialità tra le singole norme e per tale motivo sarò applicabile, esclusivamente, l’art. 34 d.lgs. n. 274/2000 in tema di improcedibilità dell’azione penale nel caso di fatto tenue[1].

La summenzionata pronuncia di legittimità è stata di fondamentale importanza per inquadrare l’ambito di operatività dell’art. 131 bis c.p. evitando cosi, di fatto, di estendere eccessivamente la valutazione sulla tenuità del fatto nei reati di competenza del Giudice di Pace.

Un’altra pronuncia di legittimità, molto interessante in materia di tenuità del fatto, ha stabilito l’applicabilità della disciplina di cui all’art. 131 bis c.p. nel caso in cui vi siano più reati legati dal vincolo della continuazione, qualora, però, le violazioni non siano in numero tale da costituire ex se dimostrazione di serialità, ovvero di progressione criminosa indicativa di particolare intensità del dolo o versatilità offensiva[2].

Ancora in ambito di reato continuato e di tenuità del fatto, si evidenzia quanto disposto da una recente sentenza della Corte di Cassazione, secondo la quale, ai fini della configurabilità della causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto di cui all’art. 131 bis c.p., non è ostativa la contestazione di più reati, legati dal vincolo della continuazione, nel caso in cui questi riguardano azioni commesse nelle medesime circostanze di tempo, di luogo e nei confronti della medesima persona, elementi da cui emerge una unitaria e circoscritta deliberazione criminosa, incompatibile con la condotta abituale[3].

Per completezza, sul punto, si segnala un orientamento della Corte di Cassazione, contrario a quelli precedentemente riportati, il quale sostiene che, nel caso di contestazione di reati legati dal vincolo della continuazione, la tenuità del fatto ex art 131 bis c.p. non può trovare applicazione poiché il reato continuato, di fatto, configura un’ipotesi di “comportamento abituale” per la reiterazione di condotte penalmente rilevanti, ostativa al riconoscimento del beneficio, essendo indicativo di una devianza “non occasionale”[4].

Chiarito quanto sopra, relativamente all’ambito di applicazione dell’istituto giuridico in analisi, si vuole, di seguito, esaminare alcuni casi specifici attinenti particolari figure di reato.

In via preliminare, si vuole esaminare una recente pronuncia di legittimità la quale asserisce che la causa di non punibilità per la particolare tenuità del fatto di cui all’art. 131 bis c.p. non può essere esclusa in relazione a particolari tipologie di reato oppure alla natura degli interessi protetti dalla specifica normativa penale[5].

Sulla base di tale orientamento, appare evidente, che, al netto dei limiti previsti espressamente dalla normativa, l’applicabilità della suddetta causa di non punibilità viene lasciata alla mera valutazione del giudice di merito (ed eventualmente quello di legittimità nel terzo grado di giudizio) sulla base dell’analisi delle circostanze del fatto e non sulla natura e sugli interessi protetti dalla singola norma incriminatrice.

A tal proposito, in tema di reati tributari, si riporta il caso specifico del superamento minimo delle soglie di punibilità previste in tema di omesso versamento di IVA per il quale è stato stabilito che l’art. 131 bis c.p. è applicabile solo se l’ammontare dell’imposta non corrisposta è di pochissimo superiore a quello fissato dalla soglia di punibilità, poiché la previsione di quest’ultima evidenzia che il grado di offensività della condotta ai fini della configurabilità dell’illecito penale è stato già valutato dal legislatore[6].

La suddetta pronuncia, però, non individua una regola precisa di applicabilità della normativa in esame lasciando al giudice la facoltà di determinare quale sia l’imposta oggetto di omissione da considerarsi di “pochissimo superiore a quello fissato dalla soglia di punibilità”.

Altro esempio di applicazione dell’art. 131 bis c.p. riguarda il caso del reato di guida in stato d’ebbrezza, ex art 186 e 186 bis del Codice della Strada, non essendo incompatibile con il giudizio di particolare tenuità la previsione di diverse soglie di rilevanza penale all’interno della fattispecie tipica[7].

Ancora, relativamente al reato di rifiuto a sottoporsi ad alcoltest, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno stabilito la possibile applicazione della causa di non punibilità della particolare tenuità del fatto nel caso in cui venisse accertato in concreto che l’agente non ha tenuto una condotta di guida pericolosa[8].

Entrambe queste ultime sentenze, pur introducendo un principio giuridico apprezzabile, non individuano in maniera specifica il discrimine secondo il quale, a parità di reato, si possa pronunciare la tenuità del fatto.

Difatti è bene evidenziare che, anche per quanto riguarda l’ultima sentenza riportata, l’accertamento in concreto delle modalità di guida in dibattimento diviene molto complesso in ragione del fatto che, nella maggioranza dei casi gli operanti di P.G. che compilano il verbale di contestazione del reato difficilmente indicheranno elementi positivi relativamente alla condotta di guida e di conseguenza al conseguente rifiuto di sottoporsi ad alcol-test.

Alla luce delle summenzionate pronunce giurisprudenziali si ritiene che la disciplina di cui all’art. 131 bis c.p. sia uno strumento che, al netto dei limiti previsti espressamente dalla normativa stessa, permette al giudicante di valutare secondo la propria sensibilità le circostanze e le modalità del reato, decidendo, quindi, se un determinato comportamento sia o meno di speciale tenuità.

 


[1] Cass. Sez. Unite, sentenza del 28 novembre 2017 n. 53683

[2] Cass. Sez. II, sentenza del 2 marzo 2018 n. 9495

[3] Cass. Sez. V, sentenza del 5 febbraio 2018 n. 5358

[4] Cass. Sez. VI, sentenza del 24 gennaio 2018 n. 3353; Cass. Sez. II, sentenza del 7 giugno 2017 n. 28341

[5] Cass. Sez. III, sentenza del 9 aprile 2018, n. 15782

[6] Cass. Sez. III, sentenza del 12 ottobre 2015 n. 40774.

[7] Cass. Sez. IV, sentenza del 2 novembre 2015 n. 44132; Cass. Sez. Unite, sentenza del 25 febbraio 2016 n. 13681

[8] Cass. Sez. Unte, sentenza del 25 febbraio 2016 n. 13682

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