La proprietà dei beni virtuali
Vi siete mai chiesti chi siano i veri proprietari degli spazi virtuali? A livello giuridico si può parlare del vecchio e tradizionale istituto della proprietà o si tratta di qualcosa di diverso?
Si può definire Massive Multiplayer Online Game (MMOG o MMO) un gioco online multigiocatore che permette a migliaia di utenti di muoversi contemporaneamente in un mondo virtuale. Una sottocategoria di questo gioco è il Massively Multiplayer Online Role-Playing Game (MMORPG) che si sostanzia in una piattaforma multigiocatore di massa. Questo genere di giochi permette agli user di interagire tra loro alla stregua del mondo reale. Ne consegue che per vivere attivamente all’interno del gioco, la proprietà e lo scambio di beni rivestono un ruolo cruciale. Nel 2003 la società americana Linden Lab ha lanciato Second Life dove per esempio era possibile creare e/o scambiare beni o servizi virtuali con gli altri residenti del mondo utilizzando la valuta virtuale Linden Dollar che può essere cambiata in dollari reali (il tasso di cambio varia giornalmente in relazione al rapporto domanda-offerta), dando vita ad un’economia a sé che utilizza i normali metodi di pagamento come PayPal.
Il diritto industriale è il regno dell’astratta proprietà, mentre la proprietà è un istituto reale e tangibile. A questo binomio si è aggiunta la proprietà virtuale che condivide con la proprietà i criteri dell’esclusività, trasferibilità e un certo grado di tangibilità. Ne consegue un tendenziale ampliamento dell’ambito della proprietà intellettuale. La legge si è preoccupata infatti di tutelare il diritto d’autore anche sul web, ma non si è preoccupata di proteggere il più tradizionale diritto di proprietà. Difatti, ci si chiede quali siano i diritti che si creano nel momento in cui vengono emesse monete virtuali, acquistati beni immobili o mobili all’interno di questi mondi paralleli.
Bisogna quindi riflettere sulla natura di questi oggetti: si tratta dei cd. beni giuridici? Giuridicamente si tratta di “cose materiali”. Sono in astratto accessibili a tutti ed infatti si parla di beni virtuali, ma nei fatti le loro conseguenze sono reali. Basti pensare al caso di John Jacobs che ipotecò casa per comprare una proprietà dove tutti gli utenti potevano spendere soldi veri creando profitto per il gestore che ha poi fondato i Neverdie Studios che si occupano di produzione di film, musica e mondi virtuali come Entropia e Rocktropia.
In sintesi, vi sono oggi due prospettive che possono essere assunte: una prima a favore del riconoscimento dei beni virtuali come suscettibili del diritto di proprietà a favore degli utenti online, mentre una seconda invece avversa a questo riconoscimento.
PRO proprietà:
- Ratio: l’acquisto di beni virtuali è il risultato di un investimento di denaro reale, tempo e impegno personale. Se non si tutelasse questo tipo di proprietà, in caso di furto online si avrebbe una lesione di diritti non giustiziabili.
- Sentenza del 18/12/2003, Tribunale Cinese: si riconosce che un user derubato di beni immateriali è leso di conseguenza anche nella realtà. Tra i danni si riconosce il tempo dedicato al mondo virtuale per ottenere i beni poi derubati ed il costo dell’abbonamento per anni.
- Sentenza del Tribunale di Guangzhou (2006), Cina: il principio della tutela della proprietà privata viene esteso anche alla cosiddetta proprietà virtuale. Il caso di specie vedeva un utente aver rubato e rivenduto alcuni oggetti virtuali nel videogioco Dahua Xiyou II. La sentenza riconosce che i giocatori spendono tempo, energie e soldi per acquistare i beni virtuali e pertanto essi non hanno solo un valore, ma un valore aggiunto.
- Nel 2011 la compagnia assicuratrice cinese Sunshine ha lanciato sul mercato un’assicurazione specifica contro il furto di beni virtuali nell’ambito dei videogiochi MMORPG (Massive Multiplayer Online Role-Playing Game).
CONTRO proprietà:
- Ratio: l’utente è solo un user, cioè un utilizzatore e dunque non può pretendere diritti su una piattaforma che è una creazione altrui. Se si riconoscesse l’effettiva proprietà degli utenti si sottrarrebbe la proprietà allo sviluppatore del gioco che non avrebbe più il controllo del mondo virtuale.
- Gli sviluppatori dei giochi di ruolo spesso richiedono al momento dell’iscrizione la sottoscrizione dell’ EULA (End User License Agreements o contratti di licenza MMORPG) che proibisce la commercializzazione di oggetti virtuali all’interno del mondo parallelo. Questo per esempio è quello che ha imposto Sony Online Entertainment per il suo videogioco online EverQuest ed anche Blizzard Entertainment per uno dei videogioci più diffusi al mondo: World of Warcraft. Nell’EULA di quest’ultimo gioco si legge chiaramente: “Ogni titolo, diritto di proprietà e diritto di proprietà intellettuale in e su World of Warcraft […] sono di proprietà di Blizzard Entertainment o dei suoi concessori di licenza“.
La licenza Niantic di Pokémon Go specifica espressamente che “L’Utente riconosce di non acquisire alcun diritto di proprietà in relazione al Denaro virtuale, ai Beni virtuali o altro Contenuto; il saldo di Beni virtuali o Denaro virtuale non riflette alcun valore reale” e riporta la frase “Possiamo interrompere l’accesso e l’utilizzo dei Servizi, a nostra sola discrezione, in qualsiasi momento e senza preavviso” che insieme ad altre è sotto analisi dell’AGCM (Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato) che ha avviato un procedimento nei confronti di Niantic per clausole definite come vessatorie.
Oggi una grande fetta di prodotti digitali non vengono trasferiti di proprietà, ma sono oggetto di contratti di servizio che recitano: “Il prodotto non è venduto, ma dato in licenza“. Questo accade per esempio con iTunes e Kindle. Si leggono libri credendo di stringerli in mano e si guardano film che al termine potrebbero venire rimossi dalla propria libreria digitale. In sintesi: si acquista, ma in realtà non si diviene proprietari. Ne segue l’impossibilità di poter disporre dei beni. Bisogna riconoscere che la generazione dei Millennals è meno interessata alla proprietà e stabilità essendo abituata al movimento e alllo streaming, ma l’impegno alla base della proprietà (anche se virtuale) ha bisogno di protezione per non venir sacrificato.
In conclusione, dunque, nonostante sia difficile imporre una definizione globale di proprietà che possa tutelare la proprietà virtuale, è evidente la necessità di tutelare questo fenomeno tramite una legislazione coerente che tenga in considerazione gli interessi di tutte le parti che nel frattempo si stanno regolando con accordi privati.
Elisabetta Colombo, in concomitanza agli studi accademici presso la facoltà di Giurisprudenza dell’Università degli Studi di Milano, è attualmente attiva nell’associazione internazionale ELSA (The European Law Students’ Association) con la nomina di Presidente di ELSA Milano ed inoltre lavora nel Team for External Relations di ELSA Italia.
Nel febbraio 2016 si è aggiudicata il quarto posto all’ICC International Commercial Mediation Competition e a novembre il primo classificato alla II National Negotiation Competition organizzata da ELSA Italia.
Ricopre la carica di Head of Organizing Committee della III edizione della National Negotiation Competition che sarà ospitata da ELSA Milano questo novembre.
Con l’incarico di National Coordinator e Researcher del Legal Research Group internazionale sul tema dell’European Compliance Benchmark ha approfondito la relativa tematica coordinando al contempo il gruppo di lavoro italiano giungendo dunque alla pubblicazione del lavoro lo scorso maggio.