La Protezione Civile europea (parte I): il Meccanismo Unionale del 2013
L’attuale sistema europeo di protezione civile è il frutto di un percorso che gli Stati europei hanno intrapreso all’indomani del disastro di Chernobyl, il quale ha avuto effetti c.d. transfrontalieri, colpendo Paesi anche molto lontani dalla centrale nucleare “Lenin” (Italia inclusa). L’incidente ha dimostrato che questo genere di disastri non può essere affrontato adeguatamente se non tramite un approccio “comunitario” (rectius, di livello eurounitario)[1].
Il Meccanismo Unionale di Protezione Civile si è evoluto e ha acquistato sempre maggiore rilievo, fino a “ritagliarsi” un proprio spazio all’interno dei Trattati europei. Questa nuova attenzione verso la protezione civile è stata il motore del rinnovamento del Meccanismo, la cui “versione” più recente è datata 2013.
La protezione civile nel Trattato di Lisbona
La modifica più recente e consistente del diritto primario dell’Unione europea risale al 2007, con l’adozione del Trattato di Lisbona (entrato in vigore nel 2009). Con riferimento all’attività di protezione civile, le novità introdotte dal Trattato di Lisbona sono essenzialmente due.
In primo luogo, all’art. 6 TFUE si stabilisce che in tale materia l’Unione gode (solo) di una competenza parallela (o meglio, di sostegno, completamento e coordinamento delle azioni dei Paesi UE)[2].
Ciò implica che l’obiettivo posto a livello europeo non è quello di armonizzare le normative nazionali e i sistemi di soccorso, ma quello di costituire una vera e propria rete di cooperazione fra le “realtà locali”, ossia i sistemi di protezione civile che ogni Stato membro ha istituito.
Data la complessità della materia e le peculiarità proprie di ciascuno Stato membro, sia sotto il profilo dell’organizzazione del servizio, sia sotto il profilo dei rischi cui ciascun sistema deve fare fronte[3], una competenza più “stringente” (o meglio, tendente all’unificazione) in capo all’Unione sarebbe stata difficilmente accettata dagli Stati. Ancor prima, questa opzione sarebbe stata scarsamente funzionale rispetto all’obiettivo finale, ossia l’instaurazione di un meccanismo di cooperazione fra Stati (nei limiti del principio di sussidiarietà[4]) per meglio rispondere alle calamità che affliggono ciascuno Stato e che spesso presentano tratti di specialità che le rendono uniche.
Tenuto conto di siffatta finalità, l’atto che appare più idoneo adottare in materia è la decisione. Infatti, nonostante l’art. 296 TFUE consenta alle istituzioni di scegliere liberamente lo strumento legislativo da adoperare, è vero altresì che vi sono alternative più adatte di altre.
Invero, atti come la direttiva ed il regolamento tendono, in modo più o meno “intenso”, a conseguire un’armonizzazione che è difficilmente compatibile con la competenza c.d. parallela, sotto la quale, appunto, ricade la materia della protezione civile. In questo senso, la decisione è lo strumento più appropriato per “avvicinare” i meccanismi nazionali e creare una cooperazione flessibile fra strutture, infrastrutture, mezzi di soccorso ed operatori dei singoli Stati membri. La decisione, infatti, garantisce che il livello di cooperazione instaurato non sfoci nell’istituzione di una rigida struttura europea unificata. L’obiettivo, infatti, è piuttosto quello di “mettere a fattor comune” ciò che ogni Stato possiede e conosce, in previsione di accorrere in aiuto di un altro Stato, sia esso facente parte della stessa Unione o “terzo”.
In secondo luogo, il Trattato di Lisbona, rispetto ai trattati precedenti, ha indicato una base giuridica ad hoc per la protezione civile, ossia l’art. 196 TFUE[5]. Quest’ultimo sarà, appunto, il perno per l’adozione della Decisione 1313/2013/UE, la quale istituisce il Meccanismo Unionale di Protezione Civile attualmente in essere[6].
Il Meccanismo Unionale di Protezione Civile
La Decisione 1313/2013/UE riprende molto delle precedenti decisioni in tema, pur innovando e ammodernando il Meccanismo. Di particolare rilievo è la scelta sistematica di dedicare un capo specifico alla fase della prevenzione rispetto ai rischi connessi ai disastri. Si tratta della prova di un cambio di mentalità: non c’è dubbio, infatti, che un sistema di scambio di informazioni puntuale e profondamente conoscitore dei rischi che caratterizzano ciascuna realtà, statuale e locale, è il primo passo per poter garantire una risposta efficace ed efficiente (soprattutto nella fase iniziale dell’emergenza, in cui spesso, giocoforza, si è costretti a fare “conte” approssimative).
Un’ulteriore precisazione appare necessaria: il Meccanismo è pensato per intervenire non solo a favore di uno o più Stati membri colpiti da un disastro (sia esso naturale o di origine umana), ma anche a favore di Stati c.d. terzi. Invero, risulta evidente che il Meccanismo abbia operato più volte fuori UE che a favore di uno Stato membro (su 330 interventi dal 2002, ben 212 sono stati eseguiti al di fuori del territorio dell’Unione Europea)[7].
La fase della prevenzione
Nella pratica, la prevenzione in tema di protezione civile, a livello di Unione europea, si risolve in attività di “coordinamento morbido”, incentrate sul mero scambio di informazioni. La parte di prevenzione più gravosa, e consistente in attività più “incisive” sul territorio nazionale, è ancora demandata agli Stati membri.
In particolare, l’art. 5 della Decisione 1313/2013/UE affida alla Commissione compiti di sostegno e promozione delle “attività di valutazione e mappatura del rischio da parte degli Stati membri attraverso la condivisione di migliori prassi” (par. 1, lettera b) e “facilita la condivisione di conoscenze, migliori prassi e informazioni, anche tra gli Stati membri che condividono rischi comuni” (par. 1, lettera a). Al tempo stesso, la Commissione deve “elabora[re] e aggiorna[re] periodicamente una panoramica e una mappatura intersettoriale dei rischi di catastrofi naturali e antropiche cui l’Unione può essere esposta” (par. 1, lettera c).
Ai sensi del par. 2, infine, la Commissione può inviare sul luogo una squadra di esperti capace di fornire consulenza in merito alle misure di prevenzione (dietro richiesta dello Stato membro, terzo oppure appartenente all’ONU).
All’art. 6, rubricato “Gestione dei rischi”, si richiede agli Stati membri di compiere ulteriori attività di valutazione dei rischi a livello nazionale o subnazionale, mettendo a disposizione della Commissione una sintesi degli elementi di rilievo, insieme alla valutazione delle capacità di gestione dei rischi ai livelli sovramenzionati. Gli Stati hanno anche la possibilità (su base volontaria) di partecipare a un esame inter pares (o peer review) della valutazione della capacità di gestione dei rischi.
Questa opportunità serve a favorire un approccio coerente ed efficace in materia di prevenzione, in quanto dal dialogo possono emergere elementi di grande importanza e di crescita per i sistemi nazionali di risposta. Di conseguenza, non si può non sottolineare il grande valore strategico di queste esperienze di condivisione che, pur non essendo obbligatorie, sono caldamente raccomandate[8].
Un ulteriore aspetto meritevole di attenzione consiste nell’individuazione del metodo di valutazione che gli Stati dovranno applicare. Nello specifico, l’elaborazione di linee guida comuni relative ai metodi di valutazione dei rischi da parte della Commissione è il frutto di un momento di dialogo con gli esperti di protezione civile degli Stati membri partecipanti al Meccanismo. Di particolare rilevanza in merito è stato un incontro organizzato dal Dipartimento della Protezione Civile italiana, congiuntamente alla Commissione europea, nell’ambito del semestre di Presidenza italiana del Consiglio dell’Unione europea[9].
La fase della prevenzione, che nella Decisione 1313/2013/UE si concreta negli artt. 5 e 6 appena esaminati, è prodromica alla fase successiva, quella della preparazione, che sarà esaminata di seguito.
La fase della preparazione
Il Capo III della Decisione 1313/2013/UE è dedicato alla c.d. preparazione, la quale ha ad oggetto essenzialmente due aspetti del Meccanismo di protezione civile.
Il primo riguarda gli strumenti di comunicazione che consentono lo scambio di informazione fra gli Stati membri, la Commissione europea e le altre agenzie e istituzioni UE coinvolte in fase di emergenza.
In particolare, l’art. 7 istituisce il Centro di coordinamento della risposta alle emergenze (in inglese, Emergency Response Coordination Centre, ERCC) che ha sostituito il MIC[10]. Si tratta del cuore operativo del Meccanismo. Ex art. 7 l’ERCC “garantisce la capacità operativa 24 ore su 24, sette giorni su sette ed è al servizio degli Stati membri e della Commissione”.
Per comprendere meglio il funzionamento dell’ERCC occorre fare riferimento alla Decisione 2014/762/UE[11], la quale si occupa dell’attuazione della Decisione 1313/2013/UE. Dall’analisi della Decisione del 2014, emergenze che “in tempo di pace” (ossia quando non vi sono emergenze da gestire) l’ERCC raccoglie, analizza e diffonde le informazioni che gli Stati gli comunicano a fini preventivi. Costituendo il centro nevralgico del Meccanismo, in caso di emergenza, il Centro diffonde messaggi di allerta rapida relativamente al disastro in corso o imminente e pubblica in modo continuo i necessari aggiornamenti. L’ERCC “opera quindi come hub per lo snodo delle comunicazioni tra gli Stati partecipanti e tra essi e la Commissione”[12].
L’ERCC necessita, tuttavia, di un sistema capace di assicurarne il funzionamento anche in caso di calamità. Questa infrastruttura prende il nome di CECIS (Common Emergency Communication and Information System): non si tratta di una novità introdotta dalla Decisione 1313/2013/UE, bensì di uno strumento esistente già dal 2001 finalizzato a consentire il funzionamento del predecessore dell’ERCC, ossia il MIC. Il CECIS è gestito dalla Commissione e “assicura la comunicazione e lo scambio di informazioni tra l’ERCC e i punti di contatto degli Stati membri” in modo riservato (art. 8 Decisione 1313/2013/UE)[13].
La fase della preparazione, però, non si esaurisce con l’istituzione dei sistemi di comunicazione e coordinamento.
Il secondo aspetto della preparazione riguarda, infatti, gli strumenti di soccorso. L’art. 9 della Decisione 1313/2013/UE ha ad oggetto i c.d. moduli di protezione civile, definiti dall’art. 4 della stessa Decisione come “un insieme autosufficiente e autonomo di mezzi degli Stati membri predefinito in base ai compiti e alle necessità o una squadra mobile operativa degli Stati membri costituita da un insieme di mezzi umani e materiali, che si può descrivere in termini di capacità di intervento o di compiti che è in grado di svolgere”.
I moduli devono rispettare precisi requisiti (prescritti nella Decisione 2014/762/UE), ma devono essere anzitutto interoperabili, ossia compatibili e capaci di operare con altri moduli, provenienti anche da enti diversi.
Con particolare riferimento ai moduli e, più in generale, ai mezzi di soccorso assumono grande rilievo gli artt. 11 e 12 della Decisione 1313/2013/UE.
L’art. 11, infatti, prevede la creazione di una Capacità europea di risposta emergenziale (in inglese, European Emergency Response Capacity, EERC), definita dalla stessa Decisione come “un pool volontario di mezzi di risposta preimpegnati degli Stati membri”[14].
Come si dirà in seguito, il fatto che le risorse siano “pre-caricate” nel pool (ossia che siano registrate dagli Stati nel database dell’ERCC) non vuol dire che siano disponibili sempre e in ogni caso. Infatti, lo Stato del cui mezzo di soccorso si tratta ha l’ultima parola in relazione all’effettiva mobilitazione della risorsa (c.d. principio di volontarietà).
Per “rispondere” alle carenze di disponibilità di mezzi di soccorso che si possono riscontrare, l’art. 12 (nella forma precedente alla riforma del 2019[15]) prevede la possibilità di sostenere finanziariamente gli Stati per poter colmare le proprie carenze in termini di mezzi di risposta. Infatti, l’art. 12 prevede un complesso sistema in mano alla Commissione, la quale, innanzitutto, valuta “se gli Stati [dispongono] dei mezzi mezzi necessari al di fuori del [pool europeo]” (par. 2) per poter eventualmente decidere di incoraggiarli a colmare queste lacune strategiche sostenendo, appunto finanziariamente, questi sforzi (par. 3 che rinvia all’art. 21, lett. j) Decisione 1313/2013/UE).
Per concludere la fase della preparazione è necessario fare un ultimo accenno alle attività di formazione e di esercitazione.
Anche in questo ambito un ruolo primario è affidato alla Commissione, la quale, ai sensi del nuovo art. 13[16], istituisce una “Rete unionale della conoscenza in materia di protezione civile”, composta da soggetti e istituzioni “coinvolti nella protezione civile e nella gestione delle catastrofi, compresi centri di eccellenza, università e ricercatori” (par. 1).
Fra i compiti della Rete si annovera quello di “mette[re] a punto e gesti[re] un programma di formazione in materia di prevenzione, preparazione e risposta alle catastrofi per il personale della protezione civile e per gli addetti alla gestione delle emergenze”.
L’obiettivo è quello di scambiare le c.d. buone pratiche del settore e favorire lo scambio di esperti, volontari con esperienza e giovani professionisti con il fine ultimo di accrescere il coordinamento e la compatibilità fra i mezzi di soccorso e gli esperti di ogni nazione.
Materialmente, il programma di formazione consiste in “corsi comuni e [in] un sistema per lo scambio di competenze nel settore della gestione delle emergenze” (par. 1, lettera a).
Un’altra attività afferente alla preparazione è quella delle esercitazioni, le quali si legano strettamente alla formazione, che vede, a propria volta, nelle esercitazioni il completamento degli scambi di personale a vario titolo.
Le conoscenze “scambiate” e condivise devono anche essere sperimentate in ambito pratico, al fine di verificarne la validità ed eventualmente muovere dei passi in avanti, da condividere con tutti gli interlocutori del settore[17]: infatti, una parte fondamentale delle esercitazioni riguarda la valutazione finale dei modelli di intervento per comprendere come poter migliorare il Meccanismo. Normalmente, è proprio la Commissione a pubblicare appelli e a presentare proposte di esercitazione; gli Stati che propongono le esercitazioni approvate le organizzano, potendo usufruire del finanziamento dell’UE[18].
La preparazione è orientata a dare luogo ad una risposta coordinata ed efficiente, sia all’interno, sia all’esterno dell’Unione.
La fase della risposta
L’art. 14 Decisione 1313/2013/UE disegna un preciso iter che lo Stato colpito (o in procinto di essere colpito) da un disastro deve seguire.
In primo luogo, si impone un obbligo di notifica a favore degli altri Stati membri (par. 1) e della Commissione, anche al fine di poter chiedere l’intervento del Meccanismo Unionale di Protezione Civile (par. 2).
L’art. 15, par. 1 prevede che lo Stato colpito possa “chiedere assistenza tramite l’ERCC”. Una volta ricevuta la richiesta, la Commissione si attiva, tramite il CECIS, inoltrando la richiesta ai punti di contatto degli altri Stati membri (par. 3, lettera a), raccogliendo tutte le informazioni validate sulla situazione e le comunica agli altri Stati (par. 3, lettera b) al fine di effettuare raccomandazioni “per la prestazione di assistenza tramite il Meccanismo Unionale […], invita[ndo] gli Stati membri a inviare mezzi specifici” (art. 3, lettera c).
Lo Stato destinatario della richiesta di assistenza, in virtù del principio di volontarietà, ha la parola finale in ordine alla mobilitazione dei mezzi di risposta (art. 11, par. 7): l’art. 15 par. 4 prevede che lo Stato debba decidere in tempi rapidi “se è in grado di soddisfare la richiesta”, informando lo Stato richiedente tramite il CECIS e fornendo tutti i dettagli dell’intervento, incluso il suo costo. La Decisione 2014/762/UE prevede che sia l’ERCC a specificare il termine massimo di risposta, ma in ogni caso non è inferiore a due ore (art. 35, par. 9 Decisione 2014/762/UE). L’effettiva mobilitazione dei mezzi è condizionata all’accettazione, da parte dello Stato richiedente, dell’offerta di aiuto ex art. 35, par. 10 Decisione 2014/762/UE.
Punti particolarmente controversi, che non meritano di essere approfonditi in questa sede, consistono nella possibilità di utilizzare mezzi militari in supporto alle operazioni di protezione civile e nell’opportunità (o meglio, la percorribilità) di sanzioni da comminare a quei Paesi membri che rifiutano il supporto o che non accettano le offerte di aiuto. Si tratta di temi che le previsioni europee non disciplinano in modo preciso, creando non pochi problemi di applicazione di disposizioni nevralgiche per il sistema.
Quello che si è appena visto è l’iter che uno Stato membro deve seguire per gli interventi all’interno dell’Unione. Si è però detto che il Meccanismo di Protezione Civile prevede anche la sua operatività all’esterno dell’Unione.
Quando si va ad operare “fuori UE”, la prima preoccupazione è quella di garantire la coerenza e il coordinamento delle azioni europee (fra loro) e, successivamente, di queste ultime con le iniziative intraprese dalle altre organizzazioni internazionali.
La coerenza, in questo senso, non è solo un valore da rispettare in quanto previsto dai Trattati europei, ma un vero e proprio modus operandi che si rivela fondamentale per poter operare in modo fruttuoso.
L’art. 16 è rubricato, non a caso, “Promozione della coerenza nella risposta a catastrofi al di fuori dell’Unione” e prevede che “[i]l coordinamento dell’Unione è pienamente integrato nel coordinamento generale fornito dall’Ufficio per il coordinamento degli affari umanitari delle Nazioni Unite (OCHA)” (par. 2).
Ciò significa che i livelli di coordinamento, in caso di interventi esterni, sono ben due.
Il primo, quello europeo, è ancora una volta gestito dalla Commissione, alla quale spettano compiti non dissimili a quelli svolti in caso di disastro avvenuto all’interno dell’Unione.
Il secondo, quello di “livello internazionale”, è gestito dall’UNOCHA (United Nations Office for the Coordination of Humanitarian Affairs), al quale la stessa Commissione europea “si affida”[19].
Il percorso disegnato per gli interventi extra-europei è simile rispetto a quello previsto per gli interventi sul suolo europeo, anche se appare interessante mettere in luce due aspetti che evidenziano un approccio proattivo (e generoso) verso gli Stati terzi colpiti.
In primo luogo, la Decisione 2014/762/UE all’art. 35, par. 2 prevede che la Commissione possa informare il Paese terzo della possibilità di chiedere assistenza nell’ambito del Meccanismo Unionale attraverso le delegazioni dell’Unione. In secondo luogo, una previsione ancora più importante è quella inserita nell’art. 16, par. 1, Decisione 1313/2013/UE, che ammette che la richiesta di assistenza a favore dello Stato terzo colpito possa essere effettuata anche dall’ONU e dalle relative agenzie oppure da altre organizzazioni internazionali rilevanti[20]. Queste misure di favore previste per gli Stati terzi sono il frutto dell’esperienza: dopo il terribile terremoto che ha colpito Haiti nel gennaio 2010, si è presa in considerazione la possibilità che una calamità provochi il collasso delle autorità di governo[21].
L’attività del Meccanismo si conclude con la fase della smobilitazione delle risorse impiegate.
Per completezza, è opportuno ricordare che l’UE conduce anche politiche che hanno come obiettivo quello di aiutare gli Stati sotto profili strettamente connessi con la sopravvivenza della popolazione colpita. Un esempio è dato dalla politica degli aiuti umanitari, i quali si legano agli interventi di protezione civile a favore degli Stati terzi rispetto all’Unione. Lo stesso strumento che istituisce il vigente Meccanismo di Protezione Civile (la Decisione 1313/2013/UE), all’art. 16, par. 11 impone che “[siano] perseguite sinergie con altri strumenti dell’Unione, in particolare con le azioni finanziate a norma del regolamento (CE) n. 1257/96 (…)”, ossia, appunto, gli aiuti umanitari. Di contro, l’art. 2, lett. a) del Regolamento 1257/96 (istitutivo della politica umanitaria UE) prevede fra i propri obiettivi quello di “salvare e proteggere vite nelle situazioni di emergenza o di post-emergenza immediata e in caso di disastri naturali che causano perdite di vite umane, sofferenze fisiche e psicosociali nonché gravi danni materiali”.
Conclusioni: il Meccanismo che verrà
Il Meccanismo si è rivelato efficiente ed efficace, come rilevato anche dalla Corte dei conti dell’Unione europea: dal 2002 le attivazioni sono state ben 330, di cui la maggior parte (212) per interventi fuori dall’UE[22].
Tuttavia, emergono empiricamente delle criticità quando la stessa emergenza colpisce più Stati europei contemporaneamente. In questi casi, infatti, diventa molto difficile garantire la disponibilità di mezzi di soccorso[23].
Per ovviare a questa (fisiologica) indisponibilità, l’Unione ha deciso nel 2019 di arricchire il Meccanismo di un sistema di scorte “tutte europee”: rescEU[24].
[1] Per una visione storica e normativa del percorso dell’Unione in materia si consiglia: M. Gestri, La risposta alle catastrofi nell’Unione europea: protezione civile e clausola di solidarietà, in M. Gestri (a cura di), Disastri, protezione civile e diritto: nuove prospettive nell’Unione europea e in ambito penale, Giuffrè, Milano, p. 4 ss.
[2] Non è sempre facile individuare la nozione di competenza parallela e soprattutto dare un significato ben determinato a termini come “sostegno”, “coordinamento” e “completamento” (dell’azione degli Stati membri), che rischiano spesso di essere semplicisticamente considerati sinonimi. Per sostegno si può intendere la realizzazione di un quadro normativo più favorevole e di un ambiente economico-finanziario più vantaggioso, attraverso il finanziamento di interventi strutturali e mirati. Il coordinamento indica la competenza a “determinare gli elementi comuni sui quali vanno elaborate le politiche nazionali”. Infine, il completamento attiene a “intervent[i], spesso di natura finanziaria, dirett[i] a perfezionare ed a portare a compimento un programma e/o un progetto già in fase di realizzazione”. Queste definizioni sono ripresa da P. De Pasquale, Il riparto di competenze tra Unione europea e Stati membri, in Diritto pubblico comparato ed europeo, 10-1/2008, p. 65.
[3] I rischi cui gli Stati sono esposti possono variare anche in modo sensibile: si pensi, per esempio, a Stati che hanno territori ad alto rischio sismico oppure grandi foreste che rischiano di essere interessate da incendi estivi, o ancora una collocazione geografica che renda lo Stato o una sua parte soggetta ad essere colpiti da tempeste particolarmente aggressive o, al contrario, dalla siccità.
[4] Il principio di sussidiarietà, sancito all’art. 5, par. 3 TUE, “implica una valutazione comparativa fra quello che gli Stati membri potrebbero fare per raggiungere un certo obiettivo e quello che invece è in grado di realizzare allo stesso fine l’Unione nell’esercizio delle sue competenze”. La sussidiarietà è definibile anche come la preferenza accordata alle decisioni prese dai livelli di governo più vicini ai cittadini, potendo quindi derogare alla regola del “potere più vicino al cittadino” solo quando sia assolutamente necessario per raggiungere lo scopo che ci si è prefissati (E. Triggiani, Spunti e riflessioni sull’Europa, Cacucci Editore, Bari, 2019, p. 30).
[5] Art. 196 TFUE: “1. L’Unione incoraggia la cooperazione tra gli Stati membri al fine di rafforzare l’efficacia dei sistemi di prevenzione e di protezione dalle calamità naturali o provocate dall’uomo. L’azione dell’Unione è intesa a: a) sostenere e completare l’azione degli Stati membri a livello nazionale, regionale e locale concernente la prevenzione dei rischi, la preparazione degli attori della protezione civile negli Stati membri e l’intervento in caso di calamità naturali o provocate dall’uomo all’interno dell’Unione; b) promuovere una cooperazione operativa rapida ed efficace all’interno dell’Unione tra i servizi di protezione civile nazionali; c) favorire la coerenza delle azioni intraprese a livello internazionale in materia di protezione civile. 2. Il Parlamento europeo e il Consiglio, deliberando secondo la procedura legislativa ordinaria, stabiliscono le misure necessarie per contribuire alla realizzazione degli obiettivi di cui al paragrafo 1, ad esclusione di qualsiasi armonizzazione delle disposizioni legislative e regolamentari degli Stati membri”.
[6] Decisione 1313/2013/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 17 dicembre 2013, su un meccanismo unionale di protezione civile, GU L 347 del 20.12.2013, pp. 924 ss.
[7] Le statistiche riportate sono il frutto della rielaborazione dei dati raccolti all’interno di comunicazioni ufficiali europee (in particolare gli Annual Activity Report rilasciati dalla Commissione europea, l’Annual Management and Performance Report for the EU Budget 2019 e la Relazione speciale 33/2016 della Corte dei Conti dell’Unione europea: “Meccanismo unionale di protezione civile: il coordinamento delle risposte alle catastrofi verificatesi al di fuori dell’UE è stato, in genere, efficace”).
[8] Nonostante la grande importanza di questi “incontri”, gli Stati in molti casi si trovano in una impasse fra la volontà di cooperare fornendo informazioni e la necessità di preservare alcuni segreti strategici. Per contemperare queste esigenze in contrasto fra loro, l’art. 6, par. 1 della Decisione 1313 statuisce esplicitamente che le informazioni da condividere non devono essere “sensibili”. Questa previsione è perfettamente coerente con l’art. 346, par. 1, TFUE, secondo il quale “nessuno Stato membro è tenuto a fornire informazioni la cui divulgazione sia dallo stesso considerata contraria agli interessi essenziali della propria sicurezza” (lettera a). Ad adiuvandum, anche il considerando 8 della Decisione, nell’evidenziare la necessità di creare un quadro per lo scambio di informazioni, si preoccupa di fare salvo l’art. 346 TFUE. In ogni caso il fatto che gli Stati possano “opporre” il segreto con riferimento a certi elementi considerati strategici per la cura dei propri interessi nazionali non li rende liberi di scegliere se partecipare o meno allo scambio di informazioni in sede europea. Infatti, parte della dottrina, sulla scorta della giurisprudenza della Corte di giustizia, ha ipotizzato la possibilità di avviare procedimenti di infrazione contro chi non condivide queste informazioni (in tal senso S. Crespi, Art. 196 TFUE, in F. Pocar, M. C. Baruffi, Commentario breve ai Trattati dell’Unione europea, Cedam, Padova, 2014, p. 1131).
[9] M. Gestri, op. cit., p. 21. Ad ogni Stato era stato precedentemente richiesto di compilare un questionario relativo alle metodologie, strumenti e organizzazione del rispettivo sistema di protezione civile.
[10] Il MIC è il Centro di informazione e monitoraggio (in inglese, Monitoring and Information Centre), un sistema “accessibile e capace di reagire immediatamente 24 ore su 24 e a disposizione degli Stati membri e della Commissione ai fini del meccanismo” (art. 4, par. 1 lettera a Decisione 2001/792). Il MIC fu posto sotto la Direzione Generale Ambiente, in quanto era già presente in quell’ufficio un’Unità di Protezione Civile. Lo scopo principale del MIC è quello di monitorare e coordinare le risorse in caso di disastro, anche se, diversamente rispetto all’ERCC (il successore del MIC)), non era prevista una presenza fissa 24h su 24 e 7 giorni su 7.
[11] Decisione 2014/762/UE di esecuzione della Commissione, del 16 ottobre 2014, recante modalità d’esecuzione della decisione n. 1313/2013/UE del Parlamento europeo e del Consiglio su un meccanismo unionale di protezione civile e che abroga le decisioni 2004/277/CE, Euratom e 2007/606/CE, Euratom, GU L 320 del 06.11.2014, pp. 1 ss.
[12] M. Gestri, op. cit., p. 22.
[13] Per l’Italia il punto di contatto designato è il Dipartimento della Protezione Civile presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri.
[14] Nel 2019 il nome dell’EERC è stato cambiato in “pool europeo di protezione civile”. Si tratta della stessa struttura, ma il cambio di nome rivela anche un cambio di mentalità e di modalità operative, le quali saranno oggetto di un articolo di prossima pubblicazione (relativo a rescEU).
[15] L’art. 12 e tutte le disposizioni ad esso relativo sono state modificate nel 2019 a causa e in occasione dell’istituzione di rescEU.
[16] La modifica di alcuni paragrafi e l’inserimento del par. 4 all’art. 13 Decisione 1313 si sono avuti grazie alla Decisione 2019/420 che ha, fra le altre, introdotto rescEU (del quale si parlerà in un articolo di prossima pubblicazione).
[17] L’UE mette in campo un vero e proprio programma di esercitazioni che si svolgono nei vari Paesi dell’Unione i quali ospitano in queste occasioni squadre di esperti e osservatori di altri Stati membri, di Stati terzi o di organizzazioni internazionali. Per il programma di esercitazioni europee: COMMISSIONE EUROPEA – DG ECHO, List of EU-supported civil protection exercises,
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[18] B. Ivar Kruke, C. Morsut, Europeanisation of Civil Protection: the cases of Italy and Norway, in International Public Management Review, 20-1/2020, pp. 29-30.
[19] Il coordinamento con l’OCHA è assicurato da uno scambio di lettere fra la Commissione e l’OCHA. Lo strumento europeo che prevede questo meccanismo è la Decisione 2005/160/CE della Commissione europea, del 27 ottobre 2004, relativa a uno scambio di lettere tra l’Ufficio delle Nazioni Unite per il coordinamento degli affari umanitari (UNOCHA) e la Commissione delle Comunità europee in merito alla cooperazione nell’ambito degli interventi di risposta in caso di calamità (nell’eventualità di interventi simultanei in un paese colpito da calamità), GU L 52 del 25.02.2005, pp. 42 ss. Lo scambio di lettere è riconducibile alla categoria degli atti amministrativi conclusi dalla Commissione.
[20] L’elenco delle organizzazioni internazionali che godono di questa prerogativa è stabilito all’Allegato VII Decisione 2014 e sono sostanzialmente tre: 1. L’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (IOM) 2. La Federazione internazionale delle società nazionali di Croce Rossa e di Mezzaluna Rossa (IFRC) e 3. L’Organizzazione per la proibizione delle armi chimiche (OPCW).
[21] Dinanzi alla possibilità di “intromettersi” e chiedere aiuto al posto dello Stato colpito potrebbe sorgere il dubbio in ordine alla violazione, o comunque alla deroga, del principio internazionalistico di sovranità. Si tratta di un problema apparente, in quanto la sovranità viene sempre rispettata da parte dell’Unione, che deve attendere il consenso dello Stato colpito (con tutte le difficoltà relative al suo ottenimento se le autorità in discorso sono state neutralizzate dalla catastrofe): un elemento a favore di questa ricostruzione è dato dall’art. 16, par. 3, lettera c) che prevede che la Commissione europea mantenga i contatti con lo Stato colpito al fine di conoscere i dettagli tecnici concernenti, fra gli altri, “l’accettazione di offerte”.
[22] Corte dei conti dell’Unione europea, Meccanismo unionale di protezione civile: il coordinamento delle risposte alle catastrofi verificatesi al di fuori dell’UE è stato, in genere, efficace, Relazione speciale 33/2016, 08.11.2016. Disponibile qui: https://www.eca.europa.eu/it/Pages/DocItem.aspx?did=40303
[23] L’esempio più emblematico e il caso più frequente è quello degli incendi boschivi che ogni estate colpiscono in modo molto grave i Paesi che si affacciano sul Mediterraneo, Italia inclusa.
[24] Il sistema rescEU sarà oggetto di un articolo di prossima pubblicazione.
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Fonte immagine: https://www.emergency-live.com/civil-protection/echo-ercc-and-the-union-civil-protection-mechanism/
Alberto Meniconi, nato il 24 Agosto 1995 a Prato. Mi sono laureato con lode in Giurisprudenza presso l’Università degli Studi di Firenze, discutendo una tesi in Diritto dell’Unione Europea dal titolo “La protezione civile e gli aiuti umanitari nel diritto dell’Unione Europea. Caso di studio: la risposta europea alla pandemia di Covid-19” (relatrice Prof.ssa Chiara Favilli).
Attualmente sono un tirocinante ex art. 73 d.l. 69/2013 (conv. con mod. in l. 98/2013) presso la Corte d’Appello di Firenze – Sezione III Penale.
Collaboratore dell’area di diritto internazionale e dell’Unione Europea.