giovedì, Aprile 18, 2024
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La tutela dei diritti fondamentali in Europa: il caso ‘Internationale Handelsgesellschaft’

L’ Internationale Handelsgesellschaft[1] costituisce uno dei principali case study relativo al conflitto tra le norme comunitarie e l’ordinamento giuridico dei singoli stati membri. A partire dalla celebre sentenza, 17 dicembre 1970, la Corte di giustizia si interessa alla questione di offrire una tutela dei diritti fondamentali nell’ambito del diritto comunitario, laddove in passato essa era stata appannaggio esclusivo dei giudici interni.

La controversia di merito ebbe come protagonisti la Internationale Handelsgesellschaft mbH, una impresa tedesca di import/export, e l’Einfuhr-und Vorratsstelle fur getreide und futtermittel(Ufficio per l’importazione e l’immagazzinamento di cereali e foraggi) di Francoforte sul Meno.

L’ I.H. aveva ottenuto una licenza d’importazione per 20 000 tonnellate di semola di granoturco, con validità fino al 31 dicembre 1967. A norma dell’articolo 12, n. 1, 3° comma, del regolamento del Consiglio CEE 13 giugno 1967 n. 120, relativo all’organizzazione comune dei mercati nel settore dei cereali, la concessione della licenza era stata subordinata al deposito di una cauzione a garanzia dell’impegno di esportare entro il termine di validità del titolo. Poiché l’esportazione veniva effettuata solo parzialmente, la Einfuhr-und Vorratsstelle für Getreide und Futtermittel dichiarava, in forza del regolamento della Commissione CEE 21 agosto 1967 n. 473, l’incameramento della cauzione. L’ Internationale Handelsgesellschaft si rifiutò di rinunciare alla restituzione della cauzione, ritendo che la disciplina comunitaria violasse il principio di libertà economica in virtù del quale ‘ciascuno può disporre liberamente delle proprie risorse e ha diritto a che esse non vengano espropriate[2] considerato come un corollario del diritto di proprietà.

La società tedesca decise quindi di ricorrere al Verwaltungsgericht (Tribunale amministrativo) di Francoforte, il quale, con ordinanza 18 marzo 1970 deferiva alla Corte di giustizia, a norma dell’articolo 177 del trattato CEE, la questione pregiudiziale relativa all’interpretazione e alla legittimità del regolamento, nella parte in cui prevedeva la costituzione del deposito cauzionale e l’incameramento di questo ultimo qualora l’esportazione non sia stata realizzata entro il termine di validità del titolo.

È rilevante soffermarsi sulle osservazioni del Verwaltungsgericht, in particolare laddove veniva precisato che sebbene i regolamenti comunitari non siano leggi tedesche, ma norme giuridiche proprie della Comunità, devono tuttavia rispettare i diritti fondamentali essenziali, garantiti dalla Costituzione tedesca, ed i principi fondamentali essenziali di diritto interno. In caso contrario, alla preminenza del diritto sovranazionale ostano i principi costituzionali tedeschi. Più precisamente, la disciplina delle cauzioni lederebbe i principi di libertà d’azione e di disposizione, di libertà economica e di proporzionalità sanciti, fra l’altro, dagli articoli 2, 1° comma, e 14 della Grundgesetz. L’impegno d’importare o d’esportare derivante dal rilascio delle licenze, unitamente alla cauzione ivi connessa, costituirebbe una intrusione nella libertà di disposizione dei commercianti, dato che lo scopo perseguito avrebbe potuto essere raggiunto mediante interventi meno gravidi di conseguenze.

La Corte di Lussemburgo, chiamata a pronunciarsi sulle questioni pregiudiziali, negò l’invalidità del regolamento. Essa chiarì che ‘il sistema delle licenze d’importazione e d’esportazione implicanti il deposito cauzionale, costituisce uno strumento necessario e adeguato, ai sensi degli articoli 40, n. 3, e 43 del trattato CEE, allo scopo di consentire alle autorità competenti di determinare nel modo migliore i loro interventi sul mercato dei cereali. Il regime delle licenze, dunque, non lede alcun diritto fondamentale.’[3] La Corte assunse una posizione univoca relativamente al ‘richiamo a norme o nozioni di diritto nazionale nel valutare la legittimità di atti emananti dalle istituzioni della Comunità, affermando che tale rinvio menomerebbe l’unità e l’efficacia del diritto comunitario.’ Come si legge nelle motivazioni in diritto, la ‘validità di detti atti può essere stabilita unicamente alla luce del diritto comunitario. Il diritto nato dal trattato, che ha una fonte autonoma, per sua natura non può infatti trovare un limite in qualsivoglia norma di diritto nazionale senza perdere il proprio carattere comunitario e senza che sia posto in discussione il fondamento giuridico della stessa Comunità[4].’ Di conseguenza, il fatto che siano menomati vuoi i diritti fondamentali sanciti dalla costituzione di uno Stato membro, vuoi i principi di una costituzione nazionale, non può sminuire la validità di un atto della Comunità né la sua efficacia nel territorio dello stesso Stato.

Sebbene i giudici di Lussemburgo abbiano precisato che l’eventuale violazione di una norma di diritto interno non inficia la validità di un atto comunitario, essi hanno altresì riconosciuto che alla Corte spetta accertare se non sia stata violata alcuna garanzia analoga, inerente al diritto comunitario.  Il cuore della sentenza è costituito dal punto in cui si legge che ‘la tutela dei diritti fondamentali è infatti parte integrante dei principi giuridici generali di cui la Corte di giustizia garantisce l’osservanza. La salvaguardia di questi diritti, pur essendo informata alle tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri, va garantita entro l’ambito della struttura e delle finalità della Comunità.’[5]

Per la prima volta con la Internationale Handelsgesellschaft, la CGUE fa riferimento alle tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri e si mostra sensibile al problema della tutela dei diritti fondamentali a livello comunitario. A partire da questa importante pronuncia viene infatti inaugurata una linea di decisioni, nelle quali con crescente determinazione è stato proclamato l’impegno della Corte di giustizia di garantire i diritti facenti parte delle tradizioni costituzionali comuni agli stati membri e fra essi in primo luogo i diritti fondamentali della persona[6].

Il caso quindi raffigura in maniera emblematica come il rapporto tra le giurisdizioni dei paesi membri e la Corte di Giustizia dell’Unione Europea non sia stato sempre pacifico, bensì spesso conflittuale soprattutto agli albori della Comunità. Tuttavia, grazie al dialogo instaurato tra giudici nazionali e comunitari, si è dato avvio ad una integrazione proficua che ha condotto la CGUE ad elaborare un catalogo giurisprudenziale di diritti fondamentali a livello comunitario.

 

[1] CGUE, sent. 17 dicembre 1970, causa 11/70
https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/?uri=CELEX%3A61970CJ0011

[2] Art. 14, GG, https://www.art3.it/Costituzioni/cost.%20Germania.htm

[3] CGUE, sent. 17 dicembre 1970, causa 11/70 punti 12 e 13 della motivazione in diritto

[4] CGUE, sent. 17 dicembre 1970, causa 11/70, punto 3 della motivazione in diritto

[5] CGUE, sent. 17 dicembre 1970, causa 11/70, punto 4 della motivazione in diritto

[6] Cartabia M., Principi inviolabili e integrazione europea, Milano, 1995, p. 20 ss.

 

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