martedì, Marzo 19, 2024
Diritto e Impresa

L’ammissibilità del conferimento di criptovalute in società di capitali

a cura di Andrea Minieri

L’ammissibilità del conferimento di criptovalute nelle società di capitali è una questione che fonda la sua complessità nell’intersecazione del diritto societario con la garanzia del credito e con la struttura delle nuove innovazioni digitali, le quali si figurano come una spina nel fianco dei legislatori[1]. La problematica in esame è controversa, affrontata in via interpretativa e, allo stato attuale, irrisolta.

Sin da subito si segnala l’atteggiamento della giurisprudenza recente, e maggioritaria, incline a risolvere negativamente la questione circa il “se” della legittima conferibilità delle criptovalute in società di capitali, sia con riguardo alla costituzione del capitale sociale in fase di stipulazione dell’atto costitutivo, sia con riguardo all’aumento del capitale sociale a pagamento. In questa trattazione si analizzerà la fattispecie del decreto n. 7556/2018 del 18 luglio 2018 del Tribunale di Brescia, poi confermata dal successivo decreto n. 207/2018 del 24 ottobre della Corte appello di Brescia; successivamente, si analizzerà il dato giuridico di riferimento[2], così da possedere le basi fattuali-giuridiche con cui il Collegio giudicante si è pronunciato in ossequio al principio del sillogismo del giudice.

La facti species in concreto

L’Amministratore unico di una società di capitali – nel merito, di una società a responsabilità limitata – aveva preso atto del diniego da parte del notaio rogante al perfezionamento dell’iscrizione al Registro delle Imprese di una delibera assembleare concernente un aumento di capitale sociale a pagamento. La delibera assembleare in questione[4] aumentava proporzionalmente il capitale sociale da euro 10.000,00 a euro 1.410.000,00 mediante conferimenti in natura dei seguenti beni:

  • 109,56 unità di criptovaluta, con liberazione di capitale pari a euro 714.000,00;
  • 23 opere d’arte costituite da dipinti su tela, di autori vari, con liberazione di capitale pari a residui euro 686.000,00.

Ai sensi dell’art. 2465 c.c.[5], il conferimento in natura oggetto dell’aumento del capitale presentava apposita relazione giurata, il cui oggetto era una valutazione dei beni conferiti con perizia di stima. Ebbene, il caso di specie nasce allorquando il sopracitato notaio rogante rifiuta con decreto motivato l’iscrizione nel registro delle imprese dell’aumento così deliberato dall’assemblea, adducendo che “le criptovalute, stante la loro volatilità, non consentono una valutazione concreta del quantum destinato alla liberazione dell’aumento di capitale sottoscritto”. In altre parole: la delibera assembleare non rispettava i requisiti del dispositivo dell’art. 2465 comma 2.

Avverso a tale diniego faceva successivamente ricorso la S.r.l., la quale, contrariamente, sosteneva la piena sussistenza dei requisiti ex. 2464 comma 2 c.c., fondando le sue argomentazioni su alcune caratteristiche specifiche dei beni oggetto del conferimento. Più precisamente si evidenziava:

  • l’esistenza, nonché la messa a disposizione da parte della Società e del socio conferente, delle credenziali di accesso con le quali era reso possibile ed immediato il passaggio della titolarità della criptovaluta in questione;
  • l’esistenza di una valutazione della criptovaluta attuale, concreta, precisa ed attendibile in termini monetari, risultante da perizia di stima debitamente prodotta;
  • la discreta scambiabilità della moneta virtuale in oggetto su di una precisa piattaforma raggiungibile da un preciso indirizzo Internet;
  • la liceità dell’iscrizione del conferimento in natura nel bilancio, potendo la criptovaluta essere considerata, come ad esempio il diritto di proprietà intellettuale, alla stregua di qualsiasi altro bene immateriale.

La facti species in astratto

Il principio di diritto evidenziato nel decreto di rigetto n. 7556/2018[6] da parte del tribunale di Brescia, sezione specializzata in materia di Imprese, è particolarmente interessante. Successivamente all’affermazione in via preliminare di volersi astenere dal prendere posizione rispetto alla generale idoneità delle valute digitali a costituire elemento di attivo al conferimento nel capitale sociale di una società di capitali, il Collegio giudicante ha incentrato l’indagine giuridica sulla sussistenza dei requisiti di cui all’art. 2464, comma 2 del codice civile. In altre parole, il giudice di merito ha indagato esclusivamente il principio di diritto sotteso al dispositivo dell’art. 2464, comma 2, il quale sancisce solennemente che un bene giuridico, per essere conferito nel capitale sociale di una società di capitali, debba essere “suscettibile di valutazione economica[7].

Ebbene, attraverso la stesura di un pregevole elenco delle caratteristiche sostanziali del capitale sociale, il Tribunale di Brescia ha chiarito cosa possa essere effettivamente conferito e, viceversa, cosa non possa esserlo, sancendo nero su bianco i requisiti essenziali dell’archetipo di “bene giuridico conferibile in una società di capitali”. In tal senso, risulta che un bene debba:

  1. essere idoneo ad essere oggetto di valutazione in un dato momento storico, prescindendosi dall’ulteriore problematica connessa alle potenziali oscillazioni di valore;
  2. fare riferimento ad un mercato attivo del bene in questione, presupposto di qualsivoglia attività valutativa, la quale impatta poi sul grado di liquidità del bene stesso;
  3. essere idoneo ad essere “bersaglio” dell’aggressione da parte dei creditori sociali;

Pertanto il Giudice ritiene, con riguardo alla fattispecie specifica, che il notaio abbia legittimamente rifiutato ex. 2436, c. 3 di provvedere all’iscrizione nel Registro delle imprese della delibera assembleare con la quale si emanava la maggiorazione del capitale sociale mediante conferimento in natura di monete virtuali.

Per quanto concerne le motivazioni addotte dalla Società ricorrente in grado di appello, il Collegio giudicante, in conclusione, rigetta il ricorso adducendo che:

  • non è possibile attribuire alla criptovaluta in questione un valore economico attendibile, atteso che la moneta digitale oggetto di conferimento non era né presente, tantomeno scambiabile in alcuna delle più note piattaforme di scambio tra criptovalute ovvero tra criptovalute e monete avente corso legale. In forza di ciò, la Corte sostiene l’impossibilità di poter fare affidamento su dinamiche di mercato, presupposto necessario per una attendibile valutazione dei conferimenti in natura ex. art. 2464 comma 2. Ulteriormente, l’unico “mercato” nel quale la criptovaluta operava in concreto consisteva in una sola piattaforma riconducibile ai medesimi soggetti ideatori della criptovaluta;
  • considerando la funzione ancorché di produzione, di garanzia del capitale sociale, la dichiarazione giurata ex. 2465 c.c. presentata dai soci conferenti non tiene conto della necessità di dover garantire l’idoneità del conferimento in questione ad essere oggetto di aggressione da parte dei creditori; a detta della Corte, inoltre, la criptovaluta in questione sarebbe inidonea ad essere oggetto di forme di esecuzione forzata: così come implementata “potrebbe di fatto rendere impossibile l’espropriazione senza il consenso e la collaborazione spontanea del debitore”.

Considerazioni conclusive

Alla luce dell’analisi in fatto e in diritto dei decreti del Tribunale e della Corte di Appello di Brescia, è possibile porre delle riflessioni. In primo luogo, il fatto che il giudice di merito abbia sancito l’inidoneità della criptovaluta ad essere inclusa nel capitale sociale di una società di capitali – attesa l’impossibilità di valutazione, nonché la volatilità di questo nuovo strumento di pagamento – porge le basi ideologiche per far sorgere un legittimo dubbio: a ben vedere, si potrebbe mettere in discussione il “se” della possibile idoneità giuridica di una criptovaluta ad intervenire nella capitalizzazione societaria, qualora essa non presenti una deleteria volatilità o comunque faccia riferimento ad un mercato più “solido” e giuridicamente sicuro. La risposta a questo dubbio interpretativo potrebbe essere positiva. Ne sarebbe prova, empiricamente, l’esistenza di Oraclize s.r.l., la prima società di capitali costituita con intero capitale sociale in bitcoin. Più specificamente, il fatto che tale criptovaluta sia posseduta attualmente da circa 100 milioni di utenti ed il fatto che la blockchain alla sua base costituisca un mercato che permette mediamente l’esecuzione di 400.000 transazioni al giorno, sono elementi che permetterebbero sia l’avverarsi del limite normativo sancito nell’art. 2464 comma 2 del codice civile, sia il rispetto dello scopo garantistico del capitale sociale.

Un’ulteriore riflessione, parallelamente, attiene al rapporto tra criptovaluta e diritto all’esecuzione forzata. Al netto della considerazione per la quale tanto l’analisi concernente le tipologie di e-wallet, quanto l’interpretazione giuridica degli artt. 513 e ss. e 543 e ss. del codice di procedura civile[9] siano temi complessi di cui l’interconnessione sia inesplorata dalla giurisprudenza, nel caso di specie sembra possibile ammettere l’esecuzione forzata ex lege di criptovalute. Nello specifico, la pubblicazione sul sito istituzionale della società di organizzare operazioni volte alla conservazione – ed alla cessione – delle credenziali[10] degli e-wallet costituenti il conferimento oggetto della delibera di aumento del capitale sociale sembra una valida garanzia per i creditori, i quali, muniti di titolo esecutivo, potrebbero ottenere la sostituzione dell’intestazione degli e-wallet aggrediti. Certamente si comprendono i principi di diritto evidenziati dal Giudice, ossia il principio dell’effettivo valore economico del conferimento e il principio dell’effettiva acquisizione dello stesso[11]; tuttavia, la “messa a disposizione delle credenziali” evidenziata nel ricorso, in presenza effettiva del registro pubblico Blockchain[12], sembra correttamente poter far conseguire l’espropriazione giudiziale delle criptovalute, scongiurando “l’esistenza di dispositivi di sicurezza ad elevato contenuto tecnologico che potrebbero, di fatto, renderne impossibile l’espropriazione (delle criptovalute ndr) senza il consenso e la collaborazione spontanea del debitore”[13].

E ancora, in ultimo: il Collegio, pur tenendo presente l’interpretazione “in senso giuridico-contabile e non già materiale” della funzione di garanzia del capitale sociale, sottolinea con forza il profilo inerente all’immaterialità delle criptovalute, sancendone, infine, l’inidoneità a costituire “bersaglio” dell’aggressione dei creditori sociali”.  Ebbene, tale asserzione appare particolarmente discutibile. Come anche avallato dal ricorrente, “se possono costituire oggetto di conferimento sia i crediti sia taluni beni immateriali”, come i diritti di proprietà industriale, “non vi sarebbe ragione per escludere la liceità del conferimento delle criptovalute”. In merito a ciò si segnala come la Giurisprudenza maggioritaria abbia (ri)affermato che “l’oggetto del conferimento da parte del socio non deve necessariamente identificarsi in un bene suscettibile di espropriazione forzata, bensì in una res dotata di consistenza economica”[14] .

Il Collegio giudicante, in conclusione, premettendo nella sua motivazione di non volersi esprimere circa “l’idoneità della categoria di beni rappresentata dalle c.d. ‘criptovalute’ a costituire elemento di attivo idoneo al conferimento nel capitale di una s.r.l.”[15] sembra abbia voluto evitare appositamente di giudicare proprio ciò che maggiormente necessita di analisi approfondita: la natura giuridica delle criptovalute[16]. Il pieno riconoscimento della possibilità di conferire criptovalute nelle società di capitali resta dunque una questione controversa, destinata ad evolversi ancora.

[1] A tal proposito, il legislatore italiano, sulla scia dell’impegno statunitense e maltese (rispettivamente: Senate Bill n. 1662 del 2018 e la legge di Malta n. 43/2018), ha fornito le prime definizioni giuridiche riguardanti la tecnologia DLT – Distributed Ledger Technology – con la Legge 11 febbraio 2019, n. 12. Nel merito, risulta determinante la lettura dell’art. 8-ter comma 1 della legge in esame, il quale sancisce che “si definiscono ‘tecnologie basate su registri distribuiti’ le tecnologie e i protocolli informatici che usano un registro condiviso, distribuito, replicabile, accessibile simultaneamente, architetturalmente decentralizzato su basi crittografiche, tali da consentire la registrazione, la convalida, l’aggiornamento e l’archiviazione di dati sia in chiaro che ulteriormente protetti da crittografia verificabili da ciascun partecipante, non alterabili e non modificabili”. La Legge n. 12/2019 è reperibile al seguente link: https://www.giurdanella.it/wp-content/uploads/2019/02/Legge-semplificazioni-10-26.pdf.

[2] In via preliminare, si segnala che oggetto dell’analisi sarà principalmente, ma non esclusivamente, il dispositivo dell’art. 2464 comma 2 del codice civile, il quale è rubricato “Conferimenti”.

[3] L’atto di “giudicare” da parte del Giudice è azione la quale necessariamente fonda la sua essenza sul previo accertamento dei fatti, il quale attesta la verità dei fatti su cui si controverte. Tale accertamento è eseguito in ordine al successivo appuramento circa l’idoneità del fatto accertato ad integrare, in concreto, una determinata fattispecie legale astratta prevista dal Legislatore. Sulla teoria del sillogismo giudiziale v. P. CALAMANDREI, La genesi logica della sentenza civile, in Studi di diritto proc. civ. I, Padova, 1930.

[4] Si ricordi, a tal riguardo, come l’aumento e la riduzione del capitale sociale siano atti concernenti modifica statuaria ex art. 2436 e ss. codice civile.

[5] Vd. Art. 2465: “Stima dei conferimenti di beni in natura e di crediti”.

[6] Per esaminare il testo del Decreto di rigetto n. 7556/2018 del 18/07/2018 si veda:

http://www.quotidianofisco.ilsole24ore.com/pdf2010/Editrice/ILSOLE24ORE/QUOTIDIANO_FISCO/Online/_Oggetti_Correlati/Documenti/2018/10/12/Trib_Brescia_18_7_2018.pdf?uuid=AEhZ6XJG.

[7] Letteralmente: “Possono essere conferiti tutti gli elementi dell’attivo suscettibili di valutazione economica” art. 2464 c. 2, “Dei conferimenti e delle quote”.

[8] Con il termine “e-wallet” si intende il “portafoglio elettronico” all’interno del quale sono custodite monete in formato digitale. Con tale portafoglio è possibile eseguire pagamenti medianti dispositivi elettronici come smartphone o personal computer. Esistono diverse tipologie di e-wallet, le quali presentano implementazioni differenti: a titolo esemplificativo, si segnalano: “hardware wallet”, “software wallet”, “web wallet”.

[9] Rispettivamente: “esecuzione mobiliare presso il debitore” ex artt. 513 e ss. c.p.c., ed “esecuzione mobiliare presso terzi” ex artt. 543 e ss.

[10] Più tecnicamente si tratta di “transaction password”; con riguardo alla trattazione si segnala come sia sufficiente comunicare la private-key, ossia la firma digitale che autorizza le transazioni in criptovalute, al destinatario per effettuare la “traditio” della moneta virtuale.

[11] Si tratta di principi il cui postulato è costituito dalla “funzione storica” del capitale sociale, in un’ottica, ancorché non esclusiva, di garanzia nei confronti dei creditori.

[12] La Blockchain può essere sommariamente definita come quella tecnologia che sfrutta un registro distribuito gestito in modo decentralizzato; in via preliminare, si pensi ad un libro mastro digitale strutturato in “blocchi” di dati e di informazioni, crittograficamente legati l’uno all’altro, allo scopo di permettere agli utenti stessi la trasparenza nella transazione di assets digitali. Le peculiarità di una blockchain (permissionless) appartengono al fatto che essa sia pubblica, trasparente, immodificabile (dunque praticamente incorruttibile) e capace di far agire i suoi utenti in forma di pseudoanonimato. Per approfondire: Berberich M., Steiner M., Blockchain technology and the GDPR. How to Reconcile Privacy and Distributed Ledgers, 2 Eur. Data Prot. L. Rev., 2016, 425.; D’Antonio V., Riccio G., Sica S. (a cura di), La nuova disciplina europea della privacy, Cedam, Wolters Kluwer, IPSOA, 2016.; Nicotra M., Sarzana di S., Ippolito F., Diritto della blockchain, intelligenza artificiale e IoT, Wolters Kluwer, IPSOA, 2018.

[13] Così come sancito all’interno del decreto di rigetto del ricorso.

[14] Cass. n. 3946/2018; n. 4236/1998; n. 936/1996.

[15] Decreto n. 207/2018 del 24 ottobre della Corte appello di Brescia.

[16] Allo stato attuale degli atti non si ha un inquadramento giuridico tout court delle criptocurrency, nonostante gli innumerevoli tentativi, perpetrati dalle maggiori autorità economico-finanziarie del mondo, di definire la natura giuridica delle monete virtuali. Attualmente, in via generale, con il termine “valuta virtuale” si intende generalmente una rappresentazione di valore digitale, la quale non è emessa o garantita da una banca centrale o da un ente pubblico. Non è necessariamente legata a una valuta legalmente istituita e non possiede lo status giuridico di valuta o moneta; tuttavia, è accettata da persone fisiche e giuridiche come mezzo di scambio e può essere trasferita, memorizzata e scambiata elettronicamente. Per approfondire l’excursus storico giuridico che ha portato a questa nozione generale si veda: il rapporto sui Virtual Currency Schemes, pubblicato nell’ottobre del 2012 dalla BCE, reperibile su https://www.ecb.europa.eu/pub/pdf/other/virtualcurrencyschemes201210en.pdf., nonché il Warning to consumers on digital currencies , paper redatto dall’Autorità Bancaria europea, reperibile su: https://www.eba.europa.eu/documents/10180/598344/EBA+Warning+on+Virtual+Currencies.pdf.

 

 

 

 

 

 

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