Le nuove frontiere della Sovranità: riflessioni sull’Outer Space e sulla decadenza del Corpus
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Premessa: il Corpus
<<Non è un fatto che stiamo già dando l’assalto alla stratosfera?[1]>>
Lo spazio esterno extra-atmosferico, il c.d. “Outer Space”, grazie alle moderne tecnologie, si sta aprendo proprio difronte noi, insieme a un mondo di opportunità. Ma queste nuove possibilità si accompagnano a una serie di complesse problematiche. Quali sono le leggi che regolano questo immenso spazio? Chi può sfruttare le risorse in loco? Gli stessi vecchi principi che guidano il nostro ius sono, o saranno, gli stessi nel OS? Ma soprattutto: chi detiene la sovranità nello Spazio Esterno? Alcune considerazioni del giusfilosofo tedesco Schmitt possono fare da apripista: “la storia universale è una storia del progresso nei mezzi e nei metodi dell’appropriazione: dalla occupazione della terra dei tempi nomadi alla conquista dei mari del XVI e XVII secolo, fino alla appropriazione industriale e alla sua differenziazione fra paesi sviluppati e non sviluppati, per finire all’appropriazione dell’aria e dello spazio dei nostri giorni. Non può esservi nessun uomo capace di dare ciò che, in un modo o nell’altro, non abbia preso”[2].
Il secolo scorso ha visto concretizzarsi sogni ed aspirazioni radicati nell’umanità da millenni: l’esplorazione dello spazio, dei corpi celesti, della Luna sono oggi alla portata degli Stati e – persino – di soggetti privati[3]. L’essere umano, però, sente sempre il bisogno di “normare” l’ambiente che lo circonda; per tali ragioni si sono sviluppati, nelle sedi internazionali, alcuni Trattati volti a “ordinare” il nuovo “spazio”: nel 1967 venne siglato il Trattato sui principi che governano le attività degli Stati in materia di esplorazione ed utilizzazione dello spazio extra-atmosferico compresa la Luna e gli altri corpi celesti (“Treaty on Principles Governing the Activities of States in the Exploration and Use of Outer Space, including the Moon and the Other Celestial Bodies”, altrimenti noto come Outer Space Treaty “OST”), che costituisce, ancora oggi, il testo cardine della materia, dettandone i principi e le linee direttrici[4]. Pochi mesi dopo, il 19 dicembre 1967 fu il turno dell’Accordo sul salvataggio e recupero degli astronauti e degli oggetti spaziali (“Agreement on the Rescue of Astronauts, the Return of Astronauts and the Return of Objects Launched into Outer Space”): esso regola le procedure di condivisione circa le informazioni, l’assistenza e le tecnologie che possano soccorrere gli astronauti, indipendentemente dalla nazionalità, i quali siano incorsi in incidenti o atterraggi di emergenza. Nel 1972 nacque la Convenzione per la responsabilità internazionale su danni causati da oggetti spaziali (“Convention on International Liability for Damage Caused by Space Objects”), che disciplina la responsabilità degli Stati per danni causati dal lancio di oggetti nello spazio[5], seguita, nel 1974, dalla Convenzione sull’immatricolazione degli oggetti lanciati nello spazio (“Convention on Registration of Objects Launched into Outer Space”), che tratta delle complesse procedure burocratiche per la registrazione di oggetti spaziali. Infine, finalizzato nel 1979 ma ratificato nel 1984, l’Accordo sulle attività degli Stati sulla Luna (“Agreement Governing the Activities of States on the Moon and Other Celestial Bodies”), il quale, tuttavia, a causa della poca partecipazione e condivisione internazionale, risulta essere il meno ratificato, contando, ad oggi, solo la partecipazione di 18 Stati, con la notabile esclusione di Russia, Cina e USA[6]. L’insieme di questi trattati prende il nome di Corpus Iuris Spatialis[7]. All’interno di tale gruppo di trattati, lo spazio cosmico viene definito un “common interest of mankind”, ossia patrimonio comune dell’umanità[8].
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Il “Common Heritage of Mankind”
Il concetto in questione – prenda poi la dicitura di “common heritage of…”[9] o di “province of…”[10] – è espressione di una volontà internazionale di equo sfruttamento e di conservazione di determinate porzioni di “spazio” naturale. Non esiste sovranità nazionale su tali porzioni e impera solamente il diritto internazionale (Trattati, Convenzioni o, spesso ed anche, la consuetudine). Il principio di common heritage copre la sfera della gestione internazionale di risorse all’interno di uno spazio, anziché dello spazio stesso[11]. La disciplina è quella elaborata dalla Convenzione delle Nazioni Unite sul Diritto del Mare, del 1982, riguardante la possibilità di sfruttare le risorse dell’alveo del mare profondo, prevedendo, ad esempio, il trasferimento obbligatorio di tecnologie, la condivisione dei benefici materiali che derivino da tali operazioni e una supervisione internazionale, tanto sulle private compagnie che sugli Stati, al fine di garantire il rispetto degli obblighi internazionali ed evitare appropriazioni esclusive indebite[12]. La questione verte sul divieto di appropriazione esclusiva di un “territorio”, non invece sull’uso, anche commerciale, che si possa fare di tale “territorio”.
Ad ogni modo, sono sorte interpretazioni divergenti sul concetto in questione, che dividono, in particolare, i Paesi sviluppati e quelli in via di sviluppo. Invero, le Nazioni in via di sviluppo sostengono che le aree individuate quali common heritage non dovrebbero essere soggette ad alcuna sovranità e che le risorse ivi contenute dovrebbero essere sfruttate e gestite dalla comunità internazionale nel suo complesso. Di altra opinione, sono le nazioni sviluppate, le quali interpretano il principio quale autorizzazione internazionale a sfruttare le risorse delle predette aree, a patto che nessun soggetto internazionale ne reclami la giurisdizione esclusiva[13]. Come sostenuto anche dal prof. Von der Dunk, tali discussioni sono basate più su considerazioni politiche che su aspetti propriamente legali[14].
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L’Outer Space Treaty e il difficile connubio fra libertà di esplorazione e occupazione
Per constatare la concreta applicazione della normativa è utile iniziare la disamina dall’articolo II dell’Outer Space Treaty (1967), il quale statuisce sinteticamente che l’OS non è “soggetto ad appropriazione nazionale a titolo di sovranità, attraverso l’uso o l’occupazione, o con ogni altro mezzo”[15]. Ma è realmente così? Gli stati nazionali (e, oggigiorno, anche le grandi multinazionali) non esercitano alcun “controllo” riconducibile in qualche modo all’ambito di applicazione dell’articolo II, OST?
Secondo alcuni autori[16], l’Outer Space Treaty, pur prevenendo possibili reclami di sovranità, non proibirebbe espressamente l’appropriazione privata delle risorse. Ne costituirebbero tipico esempio l’acquisizione, da parte di stati e compagnie private, degli slots orbitali dedicati ai satelliti. Infatti, la maggior parte dei satelliti geostazionari battono la bandiera di pochissime nazioni (e poche pure sono le multinazionali ad averne alcuno): a far data all’aprile 2020, i satelliti artificiali in orbita terrestre sono 2666, di cui 1308 statunitensi, 356 cinesi, 177 di multinazionali, 167 russi. Tra questi, 339 hanno un uso militare[17].
La disciplina in materia è regolata dall’Unione Internazionale delle telecomunicazioni (in acronimo, ITU), un’agenzia specializzata dell’ONU che definisce gli standard internazionali nelle telecomunicazioni e nell’uso delle onde radio; nel 1982, nell’ambito di regolamentazione della stessa agenzia venne siglata la Convenzione Internazionale sulle Telecomunicazioni (International Telecommunication Convention, ITC), poi trasmutata ed aggiornata nella Costituzione e Convenzione dell’ITU del 2018. Negli ultimi decenni, dopo il caso Tonga[18] degli anni ‘90, l’agenzia applica, nell’allocazione degli slot orbitali, un sistema a posteriori, assegnandoli solamente quando sorgano effettivi bisogni o esigenze dei richiedenti, cercando di evitare la commercializzazione di un bene finito, la quale ricorrerebbe nei casi in cui si ammettesse un sistema di “prenotazione” da parte di nazioni poco interessate, o senza i mezzi adeguati, per un effettivo utilizzo di detto spazio (cosiddetto sistema a priori)[19]. Nel tentativo di bilanciare l’equazione giuridica, l’articolo 44 della Cost. e Conv. dell’ITU richiede espressamente che l’utilizzo degli slots orbitali sia compiuto “razionalmente, efficientemente e in modo economico […] prendendo in considerazione i bisogni speciali dei paesi in via di sviluppo e le condizioni geografiche di particolari nazioni”[20].
Ma lo spazio orbitale geo-stazionario, per quanto grande, è limitato; e l’articolo I dell’OST fa riferimento al fatto che “l’esplorazione e l’uso dello Spazio Esterno […] devono essere compiuti per il beneficio e l’interesse di tutti i paesi […] lo Spazio Esterno dev’essere libero per l’esplorazione e l’uso da parte di ogni Stato senza discriminazioni di sorta, in condizioni di uguaglianza”[21]. Queste sono state perlopiù affermazioni di principio senza una concreta attuazione, anche alla luce dei dati menzionati sul numero e l’utilizzo dei satelliti: più che l’applicazione di una “free exploration and use witouht discrimination, on a basis of equality”, sembra sia stato applicato il meno nobile “first come, first served”[22].
In ogni caso, come sostenuto da alcuni, quando un satellite nazionale occupa un’orbita è difficile distinguere l’appropriazione privata dalla sovranità[23].
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L’esigua giurisprudenza sul diritto dello spazio
Tornando all’analisi dell’OST, il case-law, in materia di Diritto Spaziale, e in particolare sulla Sovranità e Giurisdizione, è piuttosto scarno e si registrano appena due sentenze: US vs Causby, 1946; US vs Cordoba, 1950[24]. La prima sentenza venne promossa da un proprietario di una fattoria di polli contro le operazioni aeree di un vicino aeroporto statunitense le quali, a causa della frequenza e della bassa quota dei vessel, provocavano danni alla salute psicofisica degli inquilini e degli animali. Il Petitioner (Causby) sosteneva che l’antico brocardo latino, Usque ad sidera, usque ad inferos – carattere fondamentale del dominium ex iure Quirintium – trovava applicazione anche nella common law americana e perciò i fines della proprietà (in questo caso verso l’alto) si estendevano indefinitamente. La Suprema Corte concluse nel senso opposto, avuto riguardo che l’antica dottrina “has no place in the modern world”. Ciononostante, condannò alla riparazione il governo USA per danni causati da una interferenza diretta ed immediata alla proprietà, senza definire un limite superiore specifico della stessa[25]. Nella US vs Cordoba, invece, vengono in rilievo i principi di diritto internazionale consuetudinario che governano[26] il diritto del mare, quindi il principio cd. Stato di bandiera, la definizione di vessel (traducibile, nel caso in specie, come “navicella”) e l’applicazione per analogia della giurisdizione di crimini compiuti “nell’area” sovrastante lo high sea. La fattispecie riguardava una rissa, iniziata dal passeggero Cordoba, all’interno di un aereo partito da San Juan (Porto Rico) e diretto a New York. La corte distrettuale di New York negò la giurisdizione statunitense sul caso, adducendo però, in un obiter dictum, la necessità di definire in sede internazionale i limiti massimi della sovranità nazionale (quindi anche della giurisdizione)[27].
Come si può ben notare i riferimenti normativi impiegati dalle corti, nonché i princìpi che vi sottendono, sono estremamente datati e non v’è vera giurisprudenza (men che meno di livello internazionale) che abbia preso seriamente in carico il problema dell’aggiornamento dei principi fondamentali – in particolare circa il tema della sovranità – dell’OS, arrestandosi a letture meramente analogiche (come i casi riportati) delle fattispecie concrete o, ancor peggio, a letture superficiali dell’articolo II dell’OST.
La vetustà di tali previsioni la si riscontra anche nella mancata menzione (invero, non per colpa) delle attività di soggetti privati, su cui comunque si dirà a breve.
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Ulteriori esempi dell’arretratezza del Corpus e i tentativi nazionali di aggiornamento
L’articolo IV sempre dell’OST si occupa dell’armamentario militare ammesso e di quello vietato, nello Spazio Esterno[28]. La normativa è volutamente (e ipocritamente, aggiungo) restrittiva, andando a escludere dalla militarizzazione dello spazio unicamente le armi nucleari e quelle di distruzione di massa, lasciando così libero campo a tutte le altre. La presenza delle stazioni di spionaggio militare Almaz, del programma spaziale russo Salyut, lanciate (o tentate di lanciare) fra il 1973 e il 1992, o ancora, la tentata SDI (Strategic Defensive Initiative), un sistema di difesa missilistico nucleare con base al suolo e nello spazio, di matrice nord-americana, hanno reso tale articolo, de facto, lettera morta.
L’articolo VI, infine, tratta della Liability, ossia il regime di responsabilità degli stati contraenti, a livello internazionale, per le attività spaziali nazionali che hanno corso nell’Outer Space, anche qui senza un riferimento concreto alla responsabilità dei privati (incluse multinazionali) ma con semplice accenno alla responsabilità di Organizzazioni Internazionali (cui le suddette multinazionali, di certo, non fanno parte)[29]. Interpretato in combinato disposto con l’articolo III, il quale prevede che le attività spaziali devono sottostare al diritto internazionale, alla Carta delle Nazioni Unite e tendere allo scopo di mantenere la pace e la cooperazione, le possibili violazioni sembrerebbero dover essere decise dalle corti internazionali, in particolare dalla Corte Internazionale di Giustizia e, per quanto attiene ai soggetti privati, secondo i tradizionali criteri di giurisdizione e competenza che inspirano le varie normative di diritto internazionale privato. L’assenza di una Corte internazionale specifica per questo settore è un altro sintomo dell’inadeguatezza del Corpus rispetto ad esigenze attuali e concrete.
Alcune nazioni hanno iniziato, seppur timidamente, un tentativo di “svecchiamento” della disciplina; in particolare, il Lussemburgo è il primo paese europeo, e il secondo al mondo, ad offrire un quadro giuridico nazionale sull’esplorazione e l’uso delle risorse spaziali, tutelando anche gli interessi dei privati (legge del Granducato del 2017)[30]. Nel dicembre del 2020 poi, il piccolo stato europeo ha introdotto una nuova legge che, all’articolo 5[31], prevede la necessità per i privati di ottenere un’autorizzazione nazionale per l’espletamento di attività spaziali, un aggiornamento rispetto all’articolo VI dell’OST.
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Riflessioni conclusive
Il campo dell’esplorazione spaziale è certamente in rapidissima ascesa e, come si è visto[32], la vetustà del Corpus – composto principalmente tra il 1967 e il 1984 – mal si accompagna con le nuove, prorompenti, esigenze che ivi sorgono[33], prima fra tutte il superamento dell’articolo II (e dell’ampolloso preambolo) dell’OST al fine appunto di costruire o ricercare la Sovranità. Per tale ragione si è iniziato a parlare di “declino” o “crepuscolo” del Corpus[34], critica volta a individuare soluzioni normative a esigenze concrete – seppur, allo stato attuale, non numerose. In ogni caso, non tutto il Corpus è da rigettare: articoli come il V[35] o il IX[36] dell’OST, l’articolo 5[37] del Agreement on the Rescue of Astronauts (1968), sono la dimostrazione che la legislazione sulla ricerca, l’esplorazione e l’utilizzo delle risorse dello spazio, venne composta con curiosità e passione per la materia, purtroppo troppo corrosa da interessi geopolitici (spesso contingenti). È fondamentale quindi, ancor prima di dettare la normativa “di dettaglio”, istruire un dialogo collettivo, che sia aperto, franco e critico, fra esperti ed istituzioni, per individuare cosa possa costituire la Sovranità dello spazio esterno: “la fondazione di un nuovo nomos o, piuttosto, la discesa degli abissi del nichilismo?”[38].
Siamo davvero, finalmente, “face to face for the last time in history with something commensurate to [the] capacity [of man] for wonder”[39]?
[1] C. SCHMITT, Dialogo sul Potere, Adelphi, Milano, 2012, pp. 66
[2] C. SCHMITT, Appropriazione/Divisione/Produzione. Un tentativo di fissare correttamente i fondamenti di ogni ordinamento economico-sociale, a partire dal <<nomos>>, in Le categorie del ‘politico’, raccolta di testi tratti da opere di Carl Schmitt, trad. it. a cura di Pierangelo Schiera, Il Mulino, Bologna, prima ed. 1972, p. 311. È possibile segnalare alcuni giuristi che si sono misurati con la riflessione geogiuridica di Schmitt: N. IRTI, Norma e luoghi. Problemi di geo-diritto, Laterza, Roma-Bari 2006; P. CAPPELLINI, ‘Carl Schmitt revisited’. Ripensare il Concetto di ‘Grande Spazio’ (Großraum) in un contesto globale, in M. Meccarelli, Massimo, M. J. Solla Sastre (eds.), Spatial and Temporal Dimensions for Legal History. Research Experiences and Itineraries, Global Perspectives on Legal History, Max Planck Institute for European Legal History, Frankfurt am Main 2016, pp. 175-193; A. SCALONE, La teoria schmittiana del grande spazio: una prospettiva post-statuale?, in Scienza & Politica. Per una storia delle dottrine, 2017, pp. 179-205; M. BALESTRIERI, Genealogia del ‘nomos’. Lo ‘spazio’ come forma del pensiero in Carl Schmitt, in The Cardozo Electronic Law Faculty Bulletin, n. 2, 2016; pp. 1-14.
[3] I primi voli spaziali commerciali con finalità turistiche sono già iniziati nel luglio del 2021 (Virgin Galactic prima, Blue Origin poi). Fonte: VIRGIN GALACTIC, News, 11 luglio 2021: https://www.virgingalactic.com/news/virgin-galactic-successfully-completes-first-fully-crewed-spaceflight; BLUE ORIGIN, News, 20 luglio 2021: https://www.blueorigin.com/news/first-human-flight-updates.
[4] Definito anche “Pietra angolare del diritto internazionale dello spazio” da T. S. TWIBELL, Space Law: Legal Restraints on Commercialization and Development of Outer Space, vol. 65, n. 589, UMKC L. Rev, 1997, p. 592. Ciononostante, a parere di chi scrive e di altri autori, alcuni dei quali verranno citati a breve (Ruschi, Blount, Joyner), il Trattato si caratterizza per una visione ristretta, invecchiata e “stato-centrica” del diritto Spaziale.
[5] Una nota di colore è posta dall’articolo I, lettera c), della Convenzione citata: esso rende responsabile per i danni causati da un oggetto lanciato nell’orbita non necessariamente lo Stato “di bandiera” dell’oggetto, ma anzi lo Stato nel cui territorio sia effettivamente avvenuto il lancio (anche il tentativo di lancio viene in considerazione nella valutazione della responsabilità: lettera b)).
[6] Per una visione più completa sull’avanzamento dei lavori di ratifica, si rimanda a The status of international agreements relating to activities in outer space, OOSA: https://www.unoosa.org/oosa/en/ourwork/spacelaw/treaties/status/index.html
[7] L’enumerazione compiuta è puramente descrittiva e non consolidata; alcuni infatti (come il prof. A. Sipos durante le sue preziose lezioni di Air and Space law, presso l’ELTE di Budapest) vi fanno rientrare pure il Trattato per il bando degli esperimenti di armi nucleari nell’atmosfera, nello spazio cosmico e negli spazi subacquei, del 1963; altri ancora vorrebbero veder implementato il diritto bellico (o alcune sue parti) nel Corpus: cfr. P. J. BLOUNT, Limits on space weapon: incorporating the law of war into the Coprus Juris Spatialis, 51st Colloquium on the Law of Outer Space, University of Mississippi School of Law, Mississippi, 2009.
[8] Convention on Registation of objects launched into Outer Space (1974), preambolo.
[11] C. C. JOYNER, The Concept of the Common Heritage of Mankind in International Law, vol. 16, Emory Int. L. Rev, 1999, pp. 620 e ss.
[12] F. G. VON DER DUNK, Advance Introduction to Space Law, ELGAR, Massachusetts, 2020, p. 56.
[13] In tal senso M. E. SCHWIND, Open Stars: An Examination of the United States Push to Privatize International Telecommunications Satellites, Suffolk Transnat. L. Rev., vol. 93, 1986, p. 97; H. S. RANA, The “Common Heritage of Mankind” and the Final Frontier: A Revaluation of Values Constituing the International Legal Regime for Outer Space Activities, Rutgers L. J., vol. 225, 1994, p. 230-231.
[14] “Ultimately, therefore, these arguments are based more on political considerations than on proper legal analysis” F. G. VON DER DUNK, Advance Introduction to Space Law, cit., p. 58.
[15] Traduzione propria. L’articolo in lingua originale recita: “subject to national appropriation by claim of sovereignty, by means of use or occupation, or by any other means”.
[16] C. C. JOYNER, The Concept of the Common Heritage of Mankind in International Law, cit., p. 702.
[17] Fonte: Union of concerned scientist satellite database, riportato da TRUE NUMBERS: https://www.truenumbers.it/satelliti-spazio/. V’è da dire che, dato il massiccio dispiegamento di satelliti, principalmente da parte di compagnie private, tale numero è notevolemente aumentato, portando il totale a 4852: https://www.ucsusa.org/resources/satellite-database
[18] La nazione insulare di Tonga fece richiesta all’ITU di 16 slots orbitali tra il 1988 e il 1990, nell’alveo di una legislazione che permetteva la prenotazione fino a 9 anni prima che un satellite fosse effettivamente lanciato. La comunità internazionale rese nota la sua contrarietà a tale iniziativa, poiché Tonga non aveva bisogno di un numero così numeroso di orbite. La situazione peggiorò quando l’isola affittò alcune degli slots per 2 milioni all’anno ad altri soggetti interessati. Per ulteriori approfondimenti, S. CAHILL, Give me My Space: Implications for Permitting National Appropriation of the Geostationary Orbit, Wis. Int. Law Journal, vol. 231, 2001, p. 232.
[19] S. CAHILL, Give me My Space, cit., p. 244.
[20] Constitution and Convention of the International Telecommunication Union adottato nella 2018 Plenipotentiary Conference: https://www.itu.int/en/history/Pages/ConstitutionAndConvention.aspx
[21] Traduzione propria. L’articolo recita: “exploration and use of outer space […] shall be carried out for the benefit and the interests of all countries. […] OS shall be free for exploration and use by all States without discrimination of any kind, on a basis of equality”. Al presente indirizzo è possibile trovare il testo ufficiale (in lingua inglese): https://www.unoosa.org/oosa/en/ourwork/spacelaw/treaties/outerspacetreaty.html
[22] “For thousands of years, modern man followed this seemingly savage “first in time, first in right” rule of property” così si esprime C. R. BUXTON, Property in Outer Space: The common Heritage of Mankind Principle vs. the First in Time, First in Right, Rule of Property, Journal of Air and Law Commerce, vol. 69, n. 4, 2004, p. 690.
[23] “However, despite the label, when a satellite fills an orbit slot, the party occupies that space and effectively asserts sovereignty” così C. C. JOYNER, The Concept of the Common Heritage of Mankind in International Law, cit., p. 705.
[24] Si rinvia alla pagina SPACE LAW, dell’ONU, per una visione istituzionale d’insieme: https://www.unoosa.org/oosa/en/ourwork/spacelaw/index.html). Per i testi completi delle sentenze citate, il link: https://www.esa.int/About_Us/ECSL_European_Centre_for_Space_Law/Space_law_cases
[25] “If the landowner is to have full enjoyment of the land, he must have exclusive control of the immediate reaches of the enveloping atmosphere.” Without defining a specific limit, the Court stated that flights over the land could be considered a violation of the Takings Clause if they led to “a direct and immediate interference with the enjoyment and use of the land.” Given the damage caused by the particularly low, frequent flights over his farm, the Court determined that the government had violated Causby’s rights, and he was entitled to compensation” come riporta il sito OYEZ, United States v. Causby, https://www.oyez.org/cases/1940-1955/328us256
[26] I quali trovano fonte internazionale pattizia nella Convenzione delle Nazioni Unite sul Diritto del Mare (United Nations Convention on the Law of the Sea, UNCLOS), firmata nel 1982 e la Convenzione sull’Aviazione Civile Internazionale, nota anche come Chicago Convention, articolo 1, del 1944. È Da ricordare, però, che la UNCLOS non è mai stata ratificata dagli USA e il caso citato è di una corte nordamericana, che quindi ha applicato le norme di diritto internazionale consuetudinario (e la Convenzione di Chicago, la quale invece è stata ratificata dagli Stati Uniti).
[27] Nelle motivazioni della sentenza, definita dopo la Convenzione di Chicago sull’aviazione civile ma ben prima dell’OST del 1967, il giudice Kennedy si esprime così sulla necessità di una normativa internazionale chiara: “What I gather is that there is little likelihood, if any, of an international agreement involving, as it necessarily would, difficult and delicate questions of sovereignty. However that may be, as the law now stands, acts like those committed by Cordova will go unpunished, unless the law of the domicile of the corporation can be considered to cover them. I, therefore, find Cordova guilty of the acts charged. But I must arrest judgment of conviction since there is no federal jurisdiction to punish those acts” fonte: United States v. Cordova, 89 F. Supp. 298, JUSTIA, https://law.justia.com/cases/federal/district-courts/FSupp/89/298/2597411/
[28] La formulazione originale dell’articolo: “States Parties to the Treaty undertake not to place in orbit around the earth any objects carrying nuclear weapons or any other kinds of weapons of mass destruction, install such weapons on celestial bodies, or station such weapons in outer space in any other manner. The moon and other celestial bodies shall be used by all States Parties to the Treaty exclusively for peaceful purposes The establishment of military bases, installations and fortifications, the testing of any type of weapons and the conduct of military maneuvers on celestial bodies shall be forbidden”.
[29] “States Parties to the Treaty shall bear international responsibility for national activities in outer space, including the moon and other celestial bodies, whether such activities are carried on by governmental agencies or by non-governmental entities, and for assuring that national activities are carried out in conformity with the provisions set forth in the present Treaty. The activities of non-governmental entities in outer space, including the moon and other celestial bodies, shall require authorization and continuing supervision by the appropriate State Party to the Treaty” art. VI, OST. Invero v’è un riferimento alle possibili attività spaziali poste in essere da agenzie non governative, ma viene indicata unicamente la necessità di una autorizzazione e supervisione nazionale, non una responsabilità a livello civile o penale, foss’anche internazionale privata, delle stesse agenzie.
[30] “The Grand Duchy is the first European country, and the second worldwide, to offer a legal framework on the exploration and use of space resources, ensuring that private operators can be confident about their rights on resources they extract in space” così Legal Framework, in LUXEMBOURG SPACE AGENCY, 02/03/2022: https://space- agency.public.lu/en/agency/legal-framework.html
[31] Il quale recita: “Aucun opérateur ne peut exercer une activité spatiale sans y avoir été préalablement autorisé par le ministre ayant la politique et législation spatiales dans ses attributions, ci-après «ministre»”.
[32] Limitatamente, per ragioni di tempo, al solo OST.
[33] Fra queste anche quelle dei privati cittadine e imprese, riguardino esse la qualità dei servizi cui si accede grazie alle attività satellitari, o ancora “l’occupazione” dello spazio minimo effettivo per la corretta operatività dei satelliti, et similia. Sulle opportunità commerciali dello spazio si discute da decenni: F. K. SCHWETJE, New Opportunities in Space: Issues for the 21st Century, p. 74, Journal of Space Law, INC. University of Mississippi, vol. 17, n. 1, Mississippi, 1989.
[34] F. RUSCHI, Ascesa e declino del Corpus Iuris Spatialis. Un itinerario di filosofia e del diritto internazionale, in Dirittifondamentali.it, n. 1, 2020: http://dirittifondamentali.it/2020/01/15/ascesa-e-declino-del-corpus-iuris-spatialis-un-itinerario-di-filosofia-del-diritto-internazionale/
[35] Nel quale gli astronauti sono definiti envoys of mankind, una sorta di ambasciatori, delegati dell’umanità intera, cui si deve dare la massima assistenza possibile, da chiunque e in qualunque stato-nazione.
[36] Tratta della protezione dell’ambiente terrestre da possibili contaminazioni dovute ad attività spaziali.
[37] Sulla notificazione, il recupero e il ritorno ai responsabili di oggetti spaziali, o sue componenti, lanciati in orbita e poi ricaduti nel territorio di giurisdizione di uno stato contraente.
[38] F. RUSCHI, Ascesa e declino del Corpus Iuris Spatialis. Un itinerario di filosofia e del diritto internazionale, cit., p. 142.
[39] Citazione rielaborata da F. S. FITZGERALD, The Great Gatsby, Chiltern, 2018, prima ed. 1925.
Marco Franzoso, laureato presso la Scuola di Giurisprudenza dell’Università degli studi di Padova con tesi in Diritto Costituzionale Comparato e Diritto Internazionale. Ha perfezionato gli studi giuridici presso le Università di Bergen (Norvegia) e all’ELTE di Budapest (Ungheria). Attualmente frequenta l’Advance LL.M. in International Air & Space Law, presso l’Università di Leiden, Olanda. Collabora nell’area di Diritto Internazionale, con particolare interesse per il settore Air & Space Law.