mercoledì, Aprile 17, 2024
Tax Driver

Le ONG: una difesa giuridica

Le ONG (“organizzazioni non governative”) sono, ormai, da alcuni giorni, al centro di un polverone giornalistico in virtù delle dichiarazioni del Procuratore di Catania, Carmelo Zuccaro, che ha dichiarato di stare indagando su una presunta collusione fra operatori umanitari e organizzazioni criminali libiche.
Il dibattito, dall’indagine originato, ha finito per andare oltre il caso concreto, quasi sicuramente per ragioni più politiche che giuridiche.
Da più parti si è levato un attacco frontale alle ONG che ha contestato, in particolare, il regime fiscale di favore di cui godono e, infine, messo in dubbio la loro reale destinazione a scopi non lucrativi.
Colpisce che tale stato di accusa totale si sia servito di una assoluta generalizzazione delle organizzazioni operanti nel settore, nonostante le indagini ufficiali siano limitate a pochissime delle 230 ONG riconosciute nel nostro paese.
Lasciando necessariamente da parte le indagini, di cui si occuperà la magistratura, prenderemo in considerazione esclusivamente il regime giuridico di tali organizzazioni, per ricavare elementi utili a comprendere, in maniera più appropriata, la bontà del fenomeno delle ONG, e a difenderle, norme alla mano, da attacchi giuridicamente ingiustificati.

Innanzitutto, in generale, per ONG intendiamo organizzazioni senza fini di lucro, indipendenti da stati e organizzazioni governative internazionali, che sono, per lo più, finanziate con donazioni e gestite prevalentemente da volontari, dedicate a scopi benefici o sociali.
In Italia le ONG vanno inquadrate all’interno della categoria delle ONLUS (“organizzazioni non lucrative di utilità sociale”), introdotta legislativamente nel 1997, per indicare non un nuovo tipo di soggetto giuridico, bensì un insieme di organizzazioni alle quali veniva riconosciuto un regime fiscale di favore in virtù del loro scopo non lucrativo.
Le agevolazioni fiscali riguardano essenzialmente imposte sui redditi, l’imposta sul valore aggiunto e altre imposte indirette.
La raccolta dei fondi da destinare alle loro attività è, poi, favorita essenzialmente in due modi: in primo luogo dal 2005 è riconosciuta la deducibilità delle donazioni dal reddito imponibile di persone fisiche ed imprese; in secondo, dal 2006, sono ammesse a concorrere al “cinque per mille”.
Nello specifico, rientrano nelle ONLUS “di diritto”, espressione utilizzata per indicare la loro attitudine ad assumere automaticamente tale qualifica in caso di riconoscimento del loro stato di ONG da parte del Ministero degli Affari Esteri.

Per acquisire la denominazione di ONG e i conseguenti benefici fiscali, quindi, la legge italiana richiede che le stesse siano riconosciute e registrate in un elenco, con un decreto del Ministro degli Affari Esteri che attesti la loro idoneità ai sensi della l.49/1987 (“Nuova disciplina della cooperazione dell’Italia con i paesi in via di sviluppo”).

Proprio dall’analisi di tale normativa, in particolare dall’art.28, possiamo ricavare gli elementi giuridici di fiducia maggiore nei riguardi delle ONG.
Al comma seconda dell’art.28, intitolato “riconoscimento di idoneità delle ONG”, è, innanzitutto, specificato che l’idoneità può essere richiesta esclusivamente per: la realizzazione di programmi a breve e medio periodo nei paesi in via di sviluppo; la selezione, la formazione e l’impiego dei volontari nel servizio civile; le attività di formazione in loco di cittadini dei paesi in via di sviluppo.
Al quarto comma, invece, troviamo un elenco di stringenti requisiti a cui devono sottostare tali organizzazioni per essere riconosciute idonee dalla Farnesina alla realizzazione dei predetti fini.
Ex art.28 co.4, tali requisiti sono:
1) la costituzione dell’organizzazione nel rispetto delle disposizioni del codice civile italiano;
2) il fine istituzionale dell’attività di cooperazione allo sviluppo in favore delle popolazioni del terzo mondo;
3) l’assenza di qualsiasi finalità di lucro, comprensiva dell’obbligo di destinare qualsiasi provento, anche derivante da attività commerciali accessorie o da altre forme di autofinanziamento, a fini istituzionali;
4) la mancanza di dipendenza da enti con finalità di lucro, nonché di qualsiasi collegamenti ad interessi di enti pubblici o privati aventi scopo di lucro;
5) la presenza di adeguate garanzie relative alla realizzazione delle attività previste, oltre che inerenti alle strutture e al personale qualificato;
6) la documentazione della realizzazione di operazioni da almeno tre anni nel settore;
7) l’accettazione alla sotto-posizione di controlli periodici sui requisiti al fine del mantenimento della qualifica;
8) la presentazione di bilancio triennali e l’attestazione di una normale tenuta della contabilità;
9) l’obbligo di relazione annuale sullo stato di avanzamento dei programmi in corso.

Come possiamo notare, quindi, i controlli prescritti dalla legge italiana sono essenzialmente volti ad assicurare che l’organizzazione non governativa agisca nell’esclusivo rispetto di interessi umanitari e che non presenti forme di collegamento collusive con enti aventi scopo di lucro.

Tornando alla tesi principale dell’analisi, cioè la bontà della normativa delle ONG, non si vuole certo dimostrare che le previsioni normative impediscono di ravvisare, nel concreto, nonostante i periodi e rigorosi controlli, fenomeni di collusione con associazioni criminali.
Quello che si vuole contestare è un fenomeno di totale ignoranza del dibattito pubblico sulle ONG in tema di regime giuridico delle stesse che ha portato ad affermazioni e tesi fantasiose, per non dire complottiste, su 230 organizzazioni, in gran parte, neanche toccate da un’analisi giuridica.
A chi invoca il controllo delle sedi delle ONG da parte della Guardia di Finanza risponde, nella sua perentoria oggettività, la normativa, che già prevede controlli periodici.
A coloro che criticano il salvataggio in mare della vita umana, obbligatorio secondo una risalente consuetudine marittima e numerosi convenzioni internazionali, si contrappongono, nella loro analiticità, i dati sul traffico di armi da parte dei principali paesi europei.

Simone D'Andrea

Studente di Giurisprudenza, classe 1994, tesista in Diritto del Mercato Finanziario, collaboratore area di Diritto Internazionale

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