L’eterno silenzio europeo sul principio di “fair use”: alcune osservazioni sulla riforma del diritto d’autore
Durante l’assemblea plenaria dello scorso 4 luglio il Parlamento europeo, riunito a Strasburgo in seduta plenaria in un clima di forti dibattiti e controversie, ha posto un freno decisivo all’iter di negoziazione della proposta di direttiva sul diritto d’autore nel mercato unico digitale (direttiva 2016/0280), rinviando l’intera discussione ai prossimi mesi.
Dopo essere stata definita come una “soluzione posticcia, sciatta nell’impostazione e nella formulazione e approssimativa negli effetti”[1] e aver sollevato obiezioni anche rispetto alla sua conformità alla Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea[2], la proposta di riforma sull’impianto del diritto d’autore in Europa è stata bocciata con 318 voti contrari contro 278 favorevoli. Al centro dell’accesissimo dibattito sono stati prevalentemente gli articoli 11 e 13[3].
Il primo, teso a proteggere gli editori di notizie dalla condivisione massiva e indiscriminata da parte dei grandi aggregatori di notizie, avrebbe subordinato la pubblicazione dei cosiddetti snippet (i ritagli con titolo e sottotitolo dell’articolo, che rimandano poi al link) alla corresponsione di un equo compenso per gli autori della news.
L’approvazione dell’art. 13 avrebbe invece modificato radicalmente il ruolo delle piattaforme internet di condivisione, rendendole direttamente responsabili per il materiale pubblicato dagli utenti in violazione del copyright. La probabile conseguenza sarebbe stata quella di spingere questi providers (vedi Youtube e Facebook) a introdurre degli algoritmi-filtro per analizzare e bloccare, prima ancora della loro pubblicazione, tutti i caricamenti non coperti da licenza.
Entrambe le norme sono state aspramente criticate, considerate uno strumento per anteporre gli interessi economici dell’industria del copyright al valore sociale generato dalla libertà di espressione e di moltiplicazione delle opere.
Oltre gli articoli 11 e 13
Sarebbe tuttavia riduttivo circoscrivere l’analisi ai soli articoli appena citati, considerando che le novità fin qui menzionate non erano le sole che la nuova direttiva intendeva introdurre. Al contrario, il testo della proposta comprendeva tutta una serie di cambiamenti che, a quasi vent’anni dall’avvento della Direttiva 2001/29/CE e alla luce di profondissime innovazioni tecnologiche, apparivano al legislatore europeo come necessarie e improrogabili.
Importanti spunti di riflessione, ad esempio, possono essere sviluppati a partire dalle disposizioni del Titolo II della nuova proposta. Tali norme sono infatti tese ad adeguare all’odierno panorama digitale l’elenco di eccezioni e limitazioni ai diritti esclusivi garantiti ai titolari di diritto d’autore, eccezioni che ad oggi consentono soltanto a soggetti specifici (e solo in particolari casi) di riprodurre pubblicamente materiale protetto da copyright senza dover richiedere alcuna autorizzazione.
Il legislatore comunitario del 2001, nel tentativo di bilanciare gli interessi dei titolari dei materiali protetti e degli intermediari con l’interesse alla diffusione della cultura, aveva proposto un elenco tassativo di eccezioni che andavano prevalentemente a beneficio di organismi pubblici (biblioteche, archivi) e che permettevano un uso libero del materiale per finalità didattiche non commerciali e di ricerca scientifica, per fini di sicurezza pubblica o per scopi d’informazione giornalistica (art. 5).
Si tratta però di eccezioni che gli Stati membri potevano scegliere di integrare o non integrare nella norma interna di recepimento, dettaglio che nel corso degli anni ha comportato frammentarietà e incertezza nell’applicazione della legge europea da parte dei singoli organi nazionali.
La proposta 2016/0280, se da un lato interveniva giustamente a rendere obbligatorie queste eccezioni per tutti gli Stati membri, e allo stesso tempo introduceva una nuova eccezione per le pratiche di text-and-data mining da parte di istituti di ricerca (art. 3), dall’altro continuava a tagliare fuori dall’elenco degli utenti “privilegiati” alcuni soggetti di fondamentale importanza per lo sviluppo di creatività e innovazione, come start up, ricercatori indipendenti e aziende private.
Una disciplina così rigida e restrittiva, qualora riproposta nel futuro testo da discutere, rischierebbe ancora una volta di non riuscire a stare al passo con i rapidissimi mutamenti tecnologici e sociali di oggi, che invece richiederebbero una maggiore elasticità applicativa.
Cos’è il Fair Use?
Ed è proprio la necessità di garantire un adeguato supporto all’innovazione e alla libertà di espressione che sta alla base del principio di Fair Use statunitense[4].
La dottrina del Fair Use (letteralmente “utilizzo leale” o “corretto”) trova il suo fondamento nel US Copyright Act, §107, dove vengono enumerati i casi in cui è possibile fare libero uso di materiale copiato o riprodotto.
A differenza di quanto previsto nella norma europea, in questo caso non si tratta però di un elenco tassativo, ma piuttosto di una serie di esempi di utilizzo legittimo (o meglio di eccezioni al diritto d’autore) da calibrare poi con i fattori indicati al medesimo comma. Quattro sono infatti le valutazioni da operare nel considerare la presenza o meno di una violazione del copyright, sia da parte degli utenti sia da parte del giudice chiamato a risolvere l’eventuale controversia:
- Il fine e la tipologia di utilizzo, compreso il fatto che si tratti di fine commerciale o educativo;
- La natura dell’opera protetta da copyright;
- La quantità e la consistenza della porzione utilizzata, valutata in relazione all’opera nella sua interezza;
- Gli effetti del suo utilizzo sul potenziale mercato dell’opera protetta o sul suo valore.
Si tratta quindi di un sistema flessibile aperto al concetto di “transformative use”, cioè all’utilizzo dell’opera con scopi e modi diversi dall’originale, da valutarsi caso per caso e nell’ottica di un equo bilanciamento tra i diritti e le pretese dell’autore e una libera circolazione della conoscenza e della creatività.
Per semplificare al massimo il modello teorico che soggiace alla pratica tipica del copyright in common law, si potrebbe quindi dire che la “freedom of use” è la regola, mentre il diritto d’autore è l’eccezione.[5]
Più flessibilità, più User Generated Content
L’esigenza di trasportare questa flessibilità anche in ambito europeo si avverte soprattutto quando si parla di User Generated Content (UGC), cioè di contenuti creati e condivisi in rete dagli stessi appartenenti alla community di utenti del web.
Appare evidente che lo scarno elenco di eccezioni previsto dalla direttiva del 2001, poi lievemente ampliato dalla proposta del 2016, non fornisce strumenti adeguati alla continua e imponente spinta creativa che ogni giorno anima i milioni di users che popolano Internet.
C’è da dire infatti che, all’interno dell’attuale quadro normativo sulla proprietà intellettuale, le modalità con cui il materiale protetto da diritto d’autore viene generalmente sfruttato dagli utenti del web potrebbero in teoria essere facilmente ricondotte a fattispecie di utilizzo non autorizzato. Banalmente, chiunque abbia mai postato un meme trovato su Facebook, creato una GIF a partire dalla sequenza di un film, ricondiviso dei Vines o caricato un suo remix si è verosimilmente macchiato di violazione del copyright, nella maggior parte dei casi senza nemmeno conoscere l’effettivo titolare dei diritti (né tantomeno il soggetto del contenuto stesso).
Tuttavia, è inverosimileche tali violazioni, vista la loro scarsa portata sia per i diritti morali che per quelli economici dell’autore, possano essere effettivamente eccepite da parte dei creatori e titolari del contenuto originale. Anzi, a volte sono proprio queste creazioni derivate a favorire la diffusione e il successo dell’opera “madre”.
Ciò non toglie, però, che l’attuale cornice normativa europea non sia in grado di ricondurre simili creazioni e interazioni nell’ambito della legalità.
Di nuovo sulle criticità dell’art. 13
Ed ecco che si torna necessariamente al dibattito intorno all’articolo 13, evidenziando lo scarto fra le diverse modalità di applicazione delle norme e i rischi che un’inversione della responsabilità per la pubblicazione degli UGC potrebbe comportare.
Il valore che la società moderna attribuisce alla creatività consente infatti di concepire uno spettro molto più ampio di utilizzi “socialmente tollerabili” di materiali protetti da copyright, cosa che invece risulterebbe difficile per un algoritmo programmato allo scopo di applicare meccanicamente le poche eccezioni previste dalla normativa europea vigente.
L’utilizzo di tecnologie in grado di riconoscere il materiale protetto all’interno di video, immagini, audio e testi, combinato con gli scarsi spazi di manovra lasciati dall’attuale testo in vigore, rischierebbe non soltanto di diventare “uno strumento per la sorveglianza e il controllo automatizzato degli utenti”,[6] ma anche di costruire una vera e propria gabbia attorno alle creazioni originali, creando una barriera per l’innovazione e la condivisione della conoscenza.
Tutto ciò a scapito degli intenti dichiarati dagli stessi riformisti della Commissione, i quali già nel 2015 avevano auspicato una modernizzazione dell’impianto della normativa copyright in grado di rafforzare la strategia del “Digital Single Market”,[7] che vede fra i suoi principali obiettivi proprio quello di garantire un facile accesso e una libera circolazione dei contenuti presenti online.
Adattare il dettato normativo all’evoluzione delle circostanze e delle sfide tecnologiche è un compito che richiede agilità e che difficilmente si sposa con il complesso iter di approvazione delle normative europee (e rende ancora più insidiosa la prospettiva di una creazione di filtri o sistemi automatizzati gestiti da soggetti privati).
Invertire la rotta verso norme aperte e criteri più flessibili come quello del fair use affiderebbe direttamente agli organi giurisdizionali il compito di bilanciare interessi economici, sociali e culturali tra loro in conflitto, mantenendo alta la protezione dei titolari dei diritti e al tempo stesso garantendo gli interessi pubblici rilevanti all’interno del mercato unico digitale.
[1]G. Scorza, “Direttiva UE sul copyright, Scorza: Minaccia alla libertà di espressione, ecco perché” (https://www.agendadigitale.eu/mercati-digitali/direttiva-ue-sul-copyright-scorza-minaccia-alla-liberta-di-espressione-ecco-perche/).
[2]R.M. Hilty, V. Moscon ed., “Modernisation of the EU Copyright rules: position statement by the Max Planck Institute for Innovation and Competition” (https://www.ip.mpg.de/fileadmin/ipmpg/content/stellungnahmen/Answers_Article_13_2017_Hilty_Moscon-rev-18_9.pdf).
[3]Edoardo Palazzolo, “La nuova direttiva europea in materia di diritto d’autore: quali insidie per la libera circolazione delle informazioni?” (http://www.iusinitinere.it/direttiva-europea-diritto-dautore-quali-insidie-per-la-libera-circolazione-delle-informazioni-11243)
[4]Lucrezia Berto, “La tutela del copyright negli Stati Uniti: l’eccezione di fair use nel caso Perfect 10 Vs. Google Inc.” (http://www.iusinitinere.it/copyright-stati-uniti-fair-use-caso-perfect-10-vs-google-inc-7112)
[5]Martin Senftleben, “The perfect match: civil law judges and open-ended fair use provisions”, contenuto in Am. Un. Int’l L. Rev, Vol. 33 No. 1, 231-286, pg. 237.
[6]Tim Berners-Lee et al., “Open letter to the President of the European Parliament” (https://www.eff.org/files/2018/06/13/article13letter.pdf).
[7]Comunicazione della Commissione al Parlamento Europeo, al Consiglio, al Comitato Economico e Sociale Europeo e al Comitato delle Regioni “Verso un quadro normativo moderno e più europeo sul diritto d’autore” ).
Classe 1996, frequenta l’ultimo anno di Giurisprudenza presso l’Alma Mater Studiorum-Università di Bologna. Da tempo interessata al rapporto fra diritto e nuove tecnologie e desiderosa di approfondire questa tematica con un periodo di studio all’estero, ha deciso di trascorrere un semestre di exchange in Australia. Qui ha frequentato la UTS: University of Technology Sydney, dove ha seguito corsi inerenti a materie quali proprietà intellettuale, informatica e innovazione imprenditoriale.
Attualmente si trova in Estonia, dove collabora con il ruolo di Research Trainee presso l’IT Law Programme dell’Università di Tartu.
Nel febbraio 2017 ha iniziato a collaborare con ELSA Bologna (the European Law Students’s Association) per poi assumere la guida dell’area Attività Accademiche in qualità di Vicepresidente e, infine, arrivare a ricopre il ruolo di Presidente.
È Senior Associate Editor della University of Bologna Law Review, realtà con la quale collabora dal 2016.