mercoledì, Marzo 27, 2024
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L’ONU approva una risoluzione contro gli stupri di guerra

«Nonostante numerosi sforzi, la violenza sessuale continua ad essere una caratteristica orribile dei conflitti in tutto il mondo (…) [ed] è usata deliberatamente come arma di guerra», così afferma il Segretario Generale dell’ONU Antonio Guterres davanti al Consiglio di Sicurezza, riunitosi il 23 aprile per dibattere sull’utilizzo della violenza sessuale nei conflitti armati.

L’organo ha approvato, in tale sede, una risoluzione contro lo stupro come arma di guerra che esige “da tutte le parti in causa in conflitti armati, che mettano immediatamente e universalmente fine agli atti di violenza sessuale” e domanda loro “di assumere e mantenere impegni precisi (…) per lottare contro tali violenze“. Il Consiglio incoraggia, ugualmente, le autorità nazionali a rinforzare le legislazioni volte a punire gli autori di violenze sessuali e a facilitare l’accesso alla giustizia per le vittime di stupri commessi durante un conflitto “tra cui le donne e le ragazze particolarmente colpite da tali crimini“. A garantire, inoltre, che i sopravvissuti alla violenza sessuale e di genere ricevano, nei rispettivi paesi, cure adeguate alle loro esigenze particolari e senza alcuna discriminazione.

Durante l’incontro sono intervenuti anche i premi Nobel per la pace 2018 Nadia Murad – yazidi irachena torturata e violentata dall’ISIS –, e Denis Mutwege – ginecologo congolese –,  affiancati da Amal Clooney – avvocato specializzato nella tutela dei diritti umani –, oltreché il già citato Guterres. Secondo quest’ultimo, «(…) lo stupro in guerra colpisce in larga misura le donne perché collegato a questioni più ampie come la discriminazione di genere», e vi è «un’impunità diffusa». Invero, « la maggior parte di questi crimini non viene denunciata, investigata o perseguita». L’avvocato Amal Clooney, che appoggiava la versione originale della risoluzione, ha comunque ritenuto la bozza «un passo in avanti, soprattutto nella misura in cui rafforza il regime di sanzioni per coloro che commettono tali crimini».

Stilata dalla Germania e approvata con 13 voti a favore e 2 astenuti – Russia e Cina –, la risoluzione è scampata al veto statunitense per il rotto della cuffia. Difatti, gli States avevano minacciato di porre il veto – bloccando dunque la procedura – a causa del lessico della bozza. La frase rimossa per volontà di Washington (la quale prevedeva di riconoscere “l’importanza di fornire assistenza tempestiva ai sopravvissuti alla violenza sessuale, esorta l’ONU e i donatori a fornire servizi sanitari non discriminatori e inclusivi che si rivolgono alla salute sessuale e riproduttiva delle vittime di violenza sessuale, al supporto psicologico, legale e di sussistenza e altri servizi multi-settoriali, con particolare attenzione alle persone affette da disabilità“) includeva il concetto di “assistenza alla salute riproduttiva”, che avrebbe riconosciuto, indirettamente, alle vittime il sostegno all’aborto, in aperto contrasto con le politiche dell’amministrazione Trump. Inoltre, gli USA si opponevano al termine “genere”, considerandolo una copertura per l’ennesima promozione dei diritti dei transgender.

Comunque, il testo era già stato privato di uno dei suoi elementi principali, ossia l’istituzione di un meccanismo formale – un organismo di monitoraggio – che segnalasse gli atti di violenza sessuale perpetrati durante ogni conflitto, a cui si erano nuovamente opposti gli USA, la Russia e la Cina. Infine, la Germania, presidente di turno dei Quindici, è riuscita a far approvare la propria risoluzione superando le contrarietà dei tre Stati Membri.

Sul tema, occorre ricordare che negli ultimi tempi la comunità internazionale si è mostrata attenta e sensibile. Invero, sono passati dieci anni dall’istituzione del mandato di “Rappresentante Speciale del Segretario Generale per la violenza sessuale in situazioni di conflitto” e fra poco (nel 2020) si celebrerà anche il ventesimo anniversario della Risoluzione 1325 su Donne, Pace e Sicurezza [1]. Inoltre, il percorso è continuato con lo statuto della Corte Penale Internazionale [2] che, all’articolo 7 (paragrafo 1, lettera g) considera crimini contro l’umanità anche “lo stupro, la schiavitù sessuale, la prostituzione forzata, la  gravidanza e la sterilizzazione forzate e ogni altra forma di violenza sessuale comparabile per gravità. Una formulazione, tra l’altro, che ha ripreso le considerazioni già svolte dai Tribunali Penali Internazionali ad hoc per l’ex Jugoslavia e il Ruanda [3], i quali avevano considerato le violenze sessuali strumenti del crimine di genocidioqualora commesse con l’intento di distruggere, in tutto o in parte, un gruppo specifico di individui.  Dappiù, già in precedenza la Risoluzione 1820 [4] approvata nel 2008 dallo stesso Consiglio di Sicurezza, aveva definito la violenza sessuale come “una tattica di guerra per umiliare, dominare, instillare paura, disperdere o dislocare a forza membri civili di una comunità o di un gruppo etnico”.

Ebbene, alla luce di tali considerazioni, gli Stati europei, guidati da Germania, Regno Unito e Francia, hanno resistito a lungo caldeggiando in Consiglio di Sicurezza con lo scopo di mantenere il lessico della bozza iniziale e non rinnegare i passi in avanti avvenuti negli ultimi decenni. «L’Italia, al pari di altri Stati Membri dell’Onu, avrebbe sperato in un testo più onnicomprensivo e inclusivo» ha affermato il Rappresentante Permanente italiano, l’Ambasciatore Stefano Stefanile. «È inspiegabile che l’accesso ai servizi per la salute sessuale e riproduttiva non sia esplicitamente riconosciuto per le vittime di stupro, che sono spesso bersaglio di atroci atti di violenza e di mutilazioni barbariche», ha osservato, invece, il Rappresentante francese François Delattre dopo l’adozione della risoluzione, criticando duramente il testo definitivo. «Questo tipo di omissione» – riferendosi al non menzionare “l’assistenza alla salute riproduttiva” è «inaccettabile» in quanto «mina la dignità delle donne»: «È intollerabile e incomprensibile che il Consiglio di sicurezza non sia in grado di riconoscere che le donne e le ragazze che hanno subito violenze sessuali in guerra e che ovviamente non hanno scelto di rimanere incinte, dovrebbero avere il diritto di interrompere la gravidanza».

Tuttavia, come accade spesso (sic!) in seno al Consiglio di Sicurezza, le aspettative vanno ridimensionate dinanzi alle esigenze della realpolitik: pertanto, gli Stati favorevoli al testo originale hanno comunque preferito giungere all’approvazione della risoluzione, seppur incompleta, e hanno rinviato ulteriori passi in avanti ad un futuro prossimo, quando – si spera! – vi sarà un clima più favorevole all’accordo.


[1] Consiglio di Sicurezza, Risoluzione 1325, 31 ottobre 2000, disponibile al:

[2] Corte Penale Internazionale, Statuto della Corte Penale Internazionale, 17 luglio 1998, disponibile al:

[3] Per approfondimenti: https://www.losservatorio.org/it/pubblicazioni/grandangolo/item/download/63_48e949ddd12a6a37e88372691e804d40

[4] Consiglio di Sicurezza, Risoluzione 1820, 19 giugno 2008, disponibile al: http://www.centrodirittiumani.unina.it/documenti/Consiglio%20Sicurezza%20Onu%2018.6.2008%20Stupro%20di%20guerra.pdf

Sabrina Certomà

Classe 1996, laureata in Scienze Internazionali e Diplomatiche all'Università degli studi di Trieste. Studentessa presso la Scuola di giornalismo Lelio Basso a Roma. Collaboratrice dell'area di diritto internazionale con particolare interesse per i diritti umani.

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