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Caso EMA: il ricorso dell’Italia


Il 20 novembre 2017, a margine del Consiglio dell’Unione Europea, gli Stati Membri hanno deciso sulla ricollocazione della sede dell’EMA (Agenzia Europea per i medicinali), resa necessaria dall’imminente uscita del Regno Unito dall’Unione Europea. Dopo una lunga procedura di voto, ad uscire vincitrice è stata la proposta del governo olandese, relativa alla città di Amsterdam, che ha superato solo al sorteggio la proposta del governo italiano, che individuava come sede Milano. Oltre le critiche derivate dall’utilizzo di una simile modalità di voto, la decisione è stata attaccata dal governo italiano che l’ha ritenuta viziata e ne ha quindi chiesto l’annullamento con un ricorso alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea (CGUE).

Il ricorso, nel dettaglio, chiede l’annullamento della decisione ai sensi dell’art.263 Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea (TFUE). Come ricaviamo dalla norma e dall’interpretazione consolidata della giurisprudenza europea, sono quattro le condizioni che devono essere presentate affinchè sia ammissibile il ricorso finalizzato all’annullamento di un atto proveniente da una delle istituzioni dell’Unione:

  1. L’atto deve essere impugnabile, caratteristica che secondo la Giurisprudenza della CGUE è da ricollegare alla capacità dell’atto di produrre effetti giuridici nei confronti di terzi;
  2. Il ricorrente deve avere il diritto di agire, con limiti per il caso in cui sia una persona fisica;
  3. Il ricorso deve porre in evidenza un vizio di legittimità dell’atto, che è sussitente quando sono violate le norme sulla competenza ad emanarlo, quelle che regolano l’adozione dell’atto, quelle di grado superiore, come le norme dei trattati, e quando si realizza uno sviamento di potere, cioè quando il potere è utilizzato per un fine diverso da quello per il quale era stato attribuito;
  4. Il ricorrente deve agire entro 2 mesi [1]

A sostegno della propria richiesta l’Avvocatura Generale dello Stato presenta un unico motivo di ricorso, sostenendo che la decisione che individua Amsterdam come sede dell’EMA sia viziata per sviamento di potere derivante da un difetto di istruttoria e dal travisamento dei fatti. Essenzialmente, quindi, si fa leva sulla presunta non corrispondenza della situazione di fatto della sede di Amsterdam alle informazioni fornite dal governo olandese in sede di offerta, che avrebbe, di conseguenza, viziato la decisione.

Analizziamo nel dettaglio il processo in base al quale si é giunti alla decisione finale, soprattutto per comprendere il funzionamento della gara di aggiudicazione e i requisiti stabiliti dal bando per essere ammessi alla stessa.

Il 22 giugno 2017, dopo la Brexit, il Consiglio approvò la procedura di trasferimento della sede dell’EMA, stabilendo che la decisione di ricollocazione fosse da adottare all’esito di un processo decisionale trasparente, regolato da un bando di gara che facesse affidamento su criteri obiettivi predeterminati per la decisione, e che le offerte dovessero essere presentate entro il 31 luglio 2017 alla Commissione Europea. La Commissione era individuata come organo competente ad effettuare la valutazione di ammissibilità dell’offerte, ai sensi dei criteri dettati dal bando di gara, che poi sarebbero state giudicate secondo una determinata procedura di voto. Il Consiglio, già in questa decisione, sottolineava come i criteri da stabilire dovvessero essere tali da assicurare “continuità operativa“, cioè da mettere in grado l’Agenzia di assumere le proprie funzioni già alla data del recesso del Regno Unito. Numerosi riferimenti, in particolare, erano riferiti all’idoneità e all’adeguatezza delle sedi individuate.

Per quanto riguarda, invece, i requisti previsti dal bando per la presentazione delle offerte, si richiedeva agli Stati interessati di fare specifico riferimento alle condizioni offerte in soddisfazione di ciascuno dei criteri prescritti, in particolare alle modalità per garantire la “continuità operativa” dell’Agenzia. In particolare, nel dettaglio, gli offerenti erano onerati dal trattare le questioni concernenti i tempi, le modalità di trasferimento e l’individuazione delle strutture messe a disposizione, spiegando in che modo fossero in grado di soddisfare le specifiche esigenze richieste dal Bando.

La Commissione, chiamata a valutare le offerte, il 30 settembre 2017, spiega come il suo esame abbia ad oggetto soltanto i progetti così come presentati dagli Stati, non implicando azioni di verifica delle informazioni presentate. Ancora una volta, però, vi è la specificazione, da parte di un’istituzione europea, del requisito della “continuità operativa”, cioè la capacità di operare durante e immediatamente dopo la transizione, e che lo stesso per essere soddisfatto abbisogna che i nuovi locali siano pronti in tempo, essendo da giudicare meno desiderabili le soluzioni temporanee in attesa della fine dei lavori.

Il governo italiano, per corrobare la sua affermazione relativa alla non corrispondenza della scelta di Amsterdam ai criteri approvvati nel giugno 2017, allega numerosi articoli della stampa europea e, in particolare, riporta le parole del Direttore Esecutivo dell’EMA, pronunciata in conferenza stampa il 28 gennaio 2018. Il Direttore aveva, infatti, lamentato la difficoltà di assicurare continuità operativa subito dopo la Brexit, a causa del non completamento dell’edificio finale e delle risorse maggiori da utilizzare per il trasferimento in locali soltanto temporanei. In più, l’edificio individuato come sostituto temporaneo era ritenuto una “soluzione non ottimale”. Il ricorrente fa, quindi, notare come la scelta di Amsterdam non sia stata per niente soddisfacente dei requisti del bando che richiedevano la completa funzionalità relativamente a spazi e soluzioni logistiche per gli uffici, gli archivi e gli standard di sicurezza.

La scelta sarebbe stata, quindi, viziata da una situazione di fatto presentata nell’offerta non corrispondente al vero o, comunque, da un’istruttoria carente e lacunosa sulle offerte.

Passando ad analizzare il merito della questione di diritto proposta, cioè l’esistenza del vizio della decisione, l’Avvocatura Generale dello Stato si concentra sulla questione preliminare, cioè se la competente sia o meno competente a pronunciarsi sulla richiesta di annullamento di un atto che, formalmente, non costituisce decisione del Consiglio dell’Unione Europea. La non imputabilità formale dell’atto al Consiglio derivava, infatti, dalla sua approvazione a margine del Consiglio, cioè come decisione imputabile agli Stati Membri in quanto tali. Nonostante questo dato formale inattaccabile, secondo il Governo Italiano ci troveremmo di fronte ad un atto sostanzialmente imputabile al Consiglio, in virtù della funzione dallo stesso svolta e dalla procedura di approvazione utilizzata, e di conseguenza, di fronte ad un atto sindacabile dalla CGUE. A conferma del ragionamento, viene riportata la Giurisprudenza della CGUE, secondo la quale un atto è decisione degli Stati, quando considerato il suo contenuto e le circostanze della sua approvazione, non è rapportabile ad una decisione sostanziale del Consiglio. In caso contrario, secondo la Corte, sarebbero sistematicamente frustrate le possibilità di sindacato di legittimità sullo stesso ai sensi dell’art.263 TFUE. Dirimente, quindi, nel caso concreto è comprendere se l’Unione ha competenza sulla materia nonostante la forma dell’atto, cosa che il ricorrente ritiene sussistente. Del resto, se si impedisse il sindacato, sarebbe facile eludere il controllo di legittimità attribuito dai trattati alla Corte, soprattutto nei settori dove l’Unione Europea non ha competenza esclusiva, come quello in ricorso. In più, a riprova della riconducibilità sostanziale dell’atto al Consiglio, viene riportato il fatto che siano state utilizzate per la decisione persino le articolazioni interne del Consiglio e che il metodo decisionale adottato sia stato quello a maggioranza, espressione delle procedure decisionali delle Istituzioni e degli Organismi Internazionali, non sicuramente quelle degli Stati Membri, ove la maggioranza non vincola i dissenzienti.

Infine, viene presentata la questione di merito, cioè il vizio della decisione, provocato da sviamento di potere per difetto di istruttoria e travisamento dei fatti. Da quanto finora detto, è acclarato, infatti, come l’accuratezza e la correttezza dell’istruttoria siano state affidate alla auto-responsabilità degli Stati offerenti. Per l’Avvocatura Generale dello Stato è chiaro che in tal caso la presenza di dichiarazioni reticenti, incomplete o inesatte non possano che viziare l’istruttoria e, di conseguenza, la decisione, per un vizio del procedimento valutativo che funge da presupposto del voto. Si tratta, quindi, di verificare semplicemente se vi è rispondenza dell’offerta olandese così come presentata all’effettiva situazione reale. Il ricorrente invita la Corte ad utilizzare i propri poteri istruttori per accertare il merito della questione e, nel caso di condivisione dell’assunto proposto, di annullare la decisione di ricollocazione e di dichiarare Milano, seconda nella procedura, per gli altri profili regolare, come sede dell’EMA.

Non resta che attendere la decisione sul tema della CGUE, ma è importante far notare alcune cose al termine della nostra analisi. In primo luogo, su una questione così importante in termini di finanziamenti e posti di lavoro collegati all’EMA si rischia una sentenza più politica che giuridica da parte della CGUE, più preoccupata a salvaguardare la decisione presa, piuttosto che ad analizzare l’oggettivo mancato rispetto da parte del governo olandese dei criteri indicati nel bando al momento della presentazione dell’offerta. In secondo luogo, va fatto notare come spesso in ambito politico internazionale siano state fatte notare, giustamente, le inefficienze del nostro Paese e dei Paesi dell’Europa meridionale in generale. Sarebbe questa, sicuramente, un’ottima occasione per dimostrare che l’Unione pretende il rispetto delle stesse regole da parte di tutti i Paesi ed assicura a tutti i Paesi, senza discriminazione alcuna, le medesime possibilità.

Sarebbe così una vittoria duplice: del Diritto e dei veri Europeisti.

 

 

[1] Strozzi e Mastroianni, Diritto dell’Unione Europea. Parte Istituzionale, 7°ed, Giappichelli, 2016

[2] Il testo del ricorso é disponibile qui

Fonte immagine: www.quotidianosanita.it

Simone D'Andrea

Studente di Giurisprudenza, classe 1994, tesista in Diritto del Mercato Finanziario, collaboratore area di Diritto Internazionale

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