NFT, immagini e copyright: il caso Emrata
NFT, immagini e copyright: il caso Emrata
A cura di Dott.ssa Elisa Simionato
“Buying Myself Back: A Model for Redistribution”. Si chiamerà così il Non-Fungible Token (“NFT“) che la supermodella Emily Ratajkowski metterà in vendita dal 14 maggio 2021 da Christie’s, la più grande e rinomata casa d’aste al mondo[1]. Christie’s non è in realtà nuova a questo genere di operazioni: già a marzo 2021 ha battuto all’asta l’NFT di Beeple, “The first 5000 days”, per la somma di 69 milioni di dollari[2], concludendo la più costosa compravendita fino a quel momento realizzata nel mercato dell’arte digital e determinando di conseguenza l’orientamento degli appassionati di opere d’arte innovative degli ultimi tempi.
Ma facciamo un passo indietro: cosa sono gli NFT?
I Non-Fungible Tokens rappresentano una speciale tipologia di token crittografico che, a differenza di quelli comunemente noti per il loro utilizzo nell’ambito delle criptovalute, sono infungibili. In altre parole, se l’uso dei Fungible Tokens permette, per la loro stessa natura di beni fungibili, uno scambio di questi “gettoni” (un bitcoin, a prescindere da ciò che è scritto nella “stringa” che lo compone, è sempre un bitcoin), ciò non è altrettanto vero per i loro cugini infungibili, cioè non interscambiabili, gli NFT. L’utilizzo degli NFT garantisce infatti un marchio di originalità digitale, poiché ognuno di questi token possiede caratteristiche peculiari che lo differenziano dagli altri e lo rendono irriproducibile[3]. Il mondo e il mercato dell’arte non hanno tardato a sfruttare le potenzialità questa tecnologia. L’acquisto di un’opera d’arte collegata ad un NFT avviene tramite l’ormai noto sistema della blockchain, il registro virtuale (Distributed Ledger Technology, DLT) che ospita gli hash, cioè le “stringhe di codice” univoche legate ad ogni token[4]. È il token infungibile stesso a garantire all’acquirente una prova dell’autenticità e della proprietà dell’opera acquistata[5]. Si tratta infatti di metadati associati ad un file immagine, che consentono di vendere e comprare il file come fosse un pezzo d’arte fisicamente esistente.
Alla luce di queste premesse, è possibile analizzare più nel dettaglio il caso “Buying Myself Back: A Model for Redistribution”.
La nota “Emrata”, come è conosciuta dai suoi numerosissimi followers, lamentava da tempo di aver perso il controllo sulla propria immagine.
A questo argomento aveva in particolare dedicato un essay pubblicato su The Cut nel settembre 2020 e divenuto ormai celebre, “Buying Myself Back – When does a model own her own image?”[6], in cui affrontava la questione del consenso all’uso dell’immagine propria e del corpo femminile in genere. A detto saggio è seguito poi l’annuncio della pubblicazione nel 2022 di “My Body”, primo libro della Ratajkowski, dedicato alle stesse tematiche. L’attivista e modella si è vista in effetti più volte coinvolta in spiacevoli situazioni in cui prendevano rilievo i profili della tutela dell’immagine e del risvolto che questa tutela ha sulla vita di un personaggio pubblico. È nota, ad esempio, la vertenza giudiziaria che l’ha vista citata in giudizio da un paparazzo, con l’accusa di aver danneggiato quest’ultimo per aver pubblicato sul proprio account Instagram, senza consenso, un’immagine di se stessa da lui scattata; paradossalmente, anche lo scatto era avvenuto senza il previo consenso della Ratajkowski[7].
Sulla scia delle scelte imprenditoriali compiute dalla collega Kate Moss[8], dunque, anche Emrata ha deciso di vendere i “propri” NFT per riprendere in qualche modo il controllo della propria immagine, e (o), come d’altro canto fa da anni, continuare a monetizzarla. In particolare, l’opera di cui si discute, “Buying Myself Back: A Model for Redistribution”, ritrae la Ratajkowski, in posa accanto ad un ritratto di se stessa. Quest’ultima opera è a sua volta stata creata dall’artista Richard Prince, il quale l’aveva realizzata utilizzando, senza permesso, un’immagine della top model pubblicata sul periodico Sports Illustrated Swimsuit.
Il caso descritto dà luogo a non pochi dubbi che i giuristi si pongono con riguardo a diverse questioni. Anzitutto, cosa viene effettivamente compravenduto? Ad un osservatore superficiale potrebbe sembrare che si tratti della vendita di un singolo link, ma l’interesse del compratore sta invece in ciò che è collegato a detto link, cioè l’immagine cui si viene reindirizzati. Eppure, la compravendita riguarda non tanto l’immagine o il link, ma il token ad essa associato. Anche la più distratta consultazione di un qualunque motore di ricerca permetterà ad ogni utente di visualizzare ed anche scaricare sul proprio dispositivo l’opera in esame, semplicemente digitandone il titolo.
Cionondimeno, nessuno di quegli utenti potrà dire di esserne il proprietario: l’unico originale, quello marcato con l’NFT e che è ospitato di riflesso nella blockchain in cui si trova il relativo hash, è ubicato nello spazio digitale occupato dalla piattaforma presso la quale si è svolta e conclusa l’asta. La complessità della materia dà vita, conseguentemente, alla questione della tutela del consumatore. La corretta informazione dell’utente consumer non può prescindere, infatti, da una quantomeno basilare (in)formazione in materia di blockchain, token, eccetera. Difficilmente, però, è possibile sintetizzare un argomento tanto vasto quanto innovativo nelle sezioni “Terms&Conditions” consultabili dai consumatori. Anche se ciò fosse possibile, poi, sarebbe cosa assai complessa strutturare una guida comprensibile ed esaustiva anche per gli utenti del tutto digiuni della tematica, e i tentativi di informativa rischierebbero di essere frammentari o incompleti o, peggio, confusionari e inutili per il lettore-consumatore. Peraltro, una particolare attenzione andrebbe posta, segnatamente, allo spinoso tema del diritto di recesso: quest’ultimo, garantito dall’art. 52 del Codice del Consumo nell’ambito dei rapporti B2C, non può qui trovare applicazione, poiché la struttura stessa della blockchain non permette di fare “marcia indietro” nella progressione degli anelli della catena.
Venendo poi all’immagine in sé, il “Buying Myself Back: A Model for Redistribution” rappresenta un vaso di pandora per gli esperti del copyright. Esso contiene in realtà due distinte immagini: prima, quella della Ratajkowski, ma non si conosce il fotografo che l’ha scattata né chi ne detiene i diritti; poi, la copia digitale dell’opera di Prince, detenuta in forma fisica da qualcuno che probabilmente non ha il diritto di riprodurla. Va ricordato poi che proprio l’opera di Prince aveva in seno, peraltro, una serie di violazioni del copyright non indifferente. Non solo la foto era stata presa, senza permesso, da Sports Illustrated, ma la stampa includeva anche diversi contenuti pubblicati su Instagram di proprietà di Instagram stesso (come ad esempio la grafica con cui vengono visualizzati gli elementi pubblicati sul social network) e comunque riconducibili al proprietario dell’account Emrata (si veda a tal proposito la foto profilo e il nome dell’account sempre riprodotti da Prince). Ancora, Prince riporta o, meglio, fotografa anche alcuni commenti lasciati dagli utenti sotto il post, non oscurando i relativi username tra i quali, curiosamente, compare anche lo stesso “richardprince1234”.
Queste ultime rilevazioni possono far sorridere quando si pensa che, invece, il “Buying Myself Back: A Model for Redistribution” sarà strutturalmente protetto da ogni violazione del copyright, proprio grazie alla marcatura NFT che lo contraddistingue. Ciononostante, anche la contraffazione è un rischio concreto poiché l’utente finale non sempre ha le competenze e gli strumenti necessari per riconoscere l’autenticità dei token che potranno essere in futuro compravenduti come (falsamente) associati all’opera originale della Ratajkowski.
Un caso interessante, dunque, che meriterà di essere approfondito ulteriormente in considerazione del fatto che, in un mondo costellato da elementi multimediali condivisi in tutto il mondo, ogni contenuto può diventare, a sua volta, contenuto di o in un altro contenuto. Questo particolare fenomeno, per quanto riguarda il nostro ordinamento, andrà inquadrato anche alla luce della normativa sul diritto d’autore e del Codice del Consumo vigente, in considerazione del crescente interesse che le opere d’arte digital stanno alimentando non solo negli artisti stessi ma anche e soprattutto nei consumatori.
[1] Così ha annunciato il NY Times: https://www.nytimes.com/2021/04/23/style/emily-ratajkowski-nft-christies.html.
[2] La notizia è stata riporta, ex multis, dal NY Times: https://www.nytimes.com/2021/03/11/arts/design/nft-auction-christies-beeple.html.
[3] 42LF & Silvia Bossio, Guida pratica agli NFT – Arte & Diritto al tempo dei Non Fungible Token, aprile 2021.
[4] Per un maggiore approfondimento sul funzionamento della blockchain, si segnala, fra i tanti, Tiana Laurence, Blockchain For Dummies, aprile 2017.
[5] https://www.money.it/NFT-cosa-sono-come-funzionano-come-investire
[6] Disponibile su https://www.thecut.com/article/emily-ratajkowski-owning-my-image-essay.html.
[7] Sul punto si veda anche Maria Chiara La Spina, Il copyright e le Instagram stories della top model Emily Ratajkowski, disponibile su: https://www.iusinitinere.it/il-copyright-e-le-instagram-stories-della-top-model-emily-ratajkowski-34220.
[8] La stessa scelta imprenditoriale è stata compiuta anche dalla top model Kate Moss nell’aprile 2021 con la collezione di NFT collegati a brevi video “Kate Moss Moment in Time” (https://www.thecut.com/2021/04/kate-moss-nft-videos.html).