domenica, Aprile 28, 2024
Fashion Law Influencer Marketing

Pratiche leganti e concorrenza sleale: il caso Hermès

A cura di Stefano Saminara 

  1. Premessa

Il 19 marzo 2024 potrebbe essere un giorno di importanza fondamentale nel mondo del Fahion Law, così come in quello della moda, e questo in quanto grazie all’impulso fornito da Tina Cavalleri e Mark Glinoga è stata avviata una class action nei confronti del noto brand di lusso Hèrmes. La vicenda è incentrata sul prodotto di punta della casa di moda francese, ovvero la borsetta Birkin, quest’ultima nata inizialmente come semplice collaborazione tra Hèrmes e l’attrice e cantante Jane Birkin, e poi divenuta – al pari della 11.12 di Chanel – una vera e propria icona di stile, una borsetta senza tempo sogno di ogni appassionato di moda. La controversia presentata innanzi alla corte distrettuale del nord della California concerne il rifiuto da parte del brand parigino di vendere il proprio prodotto alla sig.ra Cavalleri, e ciò in quanto lo storico di quest’ultima – ovvero il report indicante il numero di acquisti dalla stessa effettuata presso Hèrmes – non si configurava come sufficientemente ricco da consentirle l’accesso ai prodotti di nicchia dello stesso brand, degni soltanto dei clienti più fedeli. Innanzitutto, è necessario chiarire come la Birkin bag sia un prodotto estremamente elitario, con un prezzo di listino di Euro 6.800,00 per la versione base mini, fino a Euro 126.000,00 per il modello più pregiato, è certamente una delle borse (se non la borsa) più costose che possa essere reperita sul mercato[1]. Oltre a essere un pezzo di design estremamente costoso, la Birkin risulta prodotta in un numero di pezzi piuttosto limitato, decisamente minore rispetto all’effettiva domanda per essa sussistente, tale da necessitare la redazione di una apposita waiting list per i futuri acquirenti determinante un periodo d’attesa non inferiore ad un anno, ma v’è di più. L’inserimento del proprio nominativo all’interno dell’appena menzionata lista non è n’è automatico n’è scontato, ma si configura come possibile solo per coloro possono definirsi come fedeli in virtù del numero di acquisti precedentemente effettuati (il cui volume necessario però non è dato sapersi). La scarsità del numero di pezzi annualmente disponibili, e di conseguenza la loro difficile reperibilità sul mercato, rendono la borsa in questione la più desiderata in assoluto[2].

  1. Il caso

Fatta questa premessa, è doveroso ora addentrarsi in quelle che sono le contestazioni mosse dagli attori nei confronti del colosso francese. Ebbene, leggendo attentamente l’atto di citazione della class action avviata, si comprende come la condotta contestata si identifichi nella strategia di vendita, nonché nello strettamente connesso sistema di commissioni erogate ai propri dipendenti, da parte di Hèrmes. Come già in precedenza anticipato, con riguardo alla prima delle due condotte, sebbene non ufficialmente – per quanto ciò avvenga comunemente nella pratica – Hèrmes richiede per ottenere l’accesso alla borsa Birkin, l’acquisto di un numero indefinibile di prodotti tali da poter identificare il soggetto come un “affiliate” del marchio. È di conseguenza evidente che, oltre all’esistenza di una barriera all’entrata rappresentata dal prezzo, quest’ultimo non è l’unico che dovrà essere pagato, ma a esso sarà da aggiungersi quello relativo a un certo numero di accessori (c.d. “ancillary products”), il cui prezzo a loro volta non potrà certamente definirsi modico. Con riferimento alla seconda delle condotte contestate, invece, ovvero i benefit economici ottenibili dai dipendenti di Hèrmes, gli addetti alle vendite prestanti il proprio servizio in boutique ricevono una commissione variabile dal 1,5 % al 3 % su ogni prodotto venduto, ad eccezione delle borse Birkin. È quindi evidente come la politica portata avanti dal marchio sia esasperata dagli stessi commessi prestanti servizio al dettaglio, e ciò per l’evidente ragione per cui più è alto il numero degli ancillary products, più alta sarà la remunerazione dagli stessi ottenuta.

  1. Le presunte violazioni

Tali condotte, a detta degli attori si configurerebbero come abusive in quanto in aperta violazione dello Sherman Act, del Cartwright act e conseguentemente della California’s Unfair Competition Law, integrando così concorrenza sleale nella specifica declinazione di abuso di posizione dominante. Preme innanzitutto chiarire che Sherman Act e il Cartwright Act siano entrambe leggi miranti a punire condotte di concorrenza sleale, con la differenza che la prima è una legge più generica e federale, mentre la seconda, invece, emanata nello stato della California, punisce condotte in maniera più precisa identificandole specificatamente. Infine, con riguardo alla California’s Unfair Competition Law, essa si configura come un bacino all’interno del quale si inserisce anche lo stesso Cartwright Act, e che, tra le sue diverse disposizioni, si occupa anche del ristoro economico dovuto a coloro che siano stati colpiti dalle condotte di concorrenza sleale identificate da quest’ultimo. Pertanto, ai fini del presente articolo, esse verranno trattate congiuntamente come un’unica macro-contestazione. Secondo la ricostruzione fornita dagli attori, la posizione dominante che Hèrmes nel tempo avrebbe ottenuto sul mercato, sarebbe dagli stessi sfruttata illecitamente per obbligare i consumatori ad acquistare prodotti di cui essi non avrebbero alcuna necessità solo al fine di poter ottenere accesso ad una Birkin bag. Ai sensi delle precedentemente menzionate leggi antitrust, “it’s unlawful for any person to lease or make a sale or contract for the sale of goods, merchandise, machinery, supplies, commodities for use within the State, or to fix a price charged therefor, or discount from, or rebate upon, such price, on the condition, agreement or understanding that the lessee or purchaser thereof shall not use or deal in the goods, merchandise, machinery, supplies, commodities, or services of a competitor or competitors of the lessor or seller, where the effect of such lease, sale, or contract for sale or such condition, agreement or understanding may be to substantially lessen competition or tend to create a monopoly in any line of trade or commerce in any section of the State[3]. Il comportamento descritto dalla norma identificherebbe i c.d. “tying contracts” o “vendite abbinate” ossia quelle vendite per cui il consumatore è autorizzato ad acquistare un prodotto dell’impresa detenente posizione dominante solo se ne acquista anche altri, quest’ultimi tuttavia in alcun modo connessi con il primo[4]. Tramite la pratica in questione l’intento del brand è quello di espandere abusivamente – a spese dei consumatori – il proprio mercato dominante dall’area del primo prodotto al secondo.

  1. Chi altro oltre Hermès?

Le contestazioni mosse nei confronti del colosso francese inducono a riflettere, e ciò in quanto tali pratiche non identificherebbero unicamente la strategia commerciale adottata da Hèrmes, ma anche da altre imprese assimilabili in quanto detenenti un posizionamento di mercato del medesimo valore nei rispettivi ambiti. Pensiamo ad esempio a Ferrari, oppure a Rolex. In entrambe le fattispecie i prodotti offerti non sono disponibili a qualunque consumatore, al contrario è pubblicamente affermato come determinati modelli siano accessibili solamente a un numero ristretto di clienti aventi acquistato in precedenza altri prodotti definibili come “entry level”, il cui prezzo pagato tuttavia, specie per la prima delle due società citate, determina una spesa complessiva in certi casi superiore al milione di Euro[5].

  1. Il panorama Europeo

È di conseguenza evidente come l’esito della controversia oggetto del presente articolo possa avere importanti risvolti dal punto di vista pratico, determinando l’insorgere di simili cause nei confronti di altre compagnie non solo negli Stati Uniti, ma anche in Europa e persino, nello specifico, in Italia. Sebbene, infatti, la legge applicata al caso concreto di cui si discute impediente le presunte abusive pratiche commerciali sia di matrice statunitense, normative equipollenti sono state adottate anche in sede di Unione Europea, nello specifico il riferimento è all’art. 102 TFUE. Tale disposizione regolamentare è stata poi recepita in Italia con l’art. 3, lett. d), Legge 287 del 1990 il quale vieta alle imprese dominanti di “subordinare la conclusione dei contratti all’accettazione da parte degli altri contraenti di prestazioni supplementari che, per loro natura e secondo gli usi commerciali, non abbiano alcuna connessione con l’oggetto dei contratti stessi”.  È doveroso sottolineare la somiglianza della disposizione appena citata con quella offerta dalla normativa americana. In ambito Europeo, tuttavia, sarebbero stati effettuati ulteriori passi in avanti grazie all’apporto della giurisprudenza e della dottrina, le quali, a partire dal caso Microsoft[6], avrebbero enucleato 6 condizioni che congiuntamente debbano risultare presenti al fine di constatare la presenza della pratica concorrenziale abusiva più volte menzionata. Rispettivamente:

  1. la posizione dominante nel mercato del prodotto legante;
  2. la diversità tra il prodotto legante e il prodotto legato;
  3. la coercizione del consumatore ad acquistare congiuntamente i due prodotti;
  4. l’effetto escludente;
  5. l’assenza di una giustificazione obiettiva;
  6. (dottrinale) la probabilità che la pratica legante, nel caso concreto, danneggi i consumatori.

Tali condizioni, tuttavia, sarebbero state successivamente modificate eliminando il riferimento all’elemento di coercizione del consumatore di cui al numero iii), nonché mutando l’accezione del fattore di cui al numero iv) declinandolo nel senso di assenza di beneficio ottenibile dai consumatori finali[7]. In ogni caso, sebbene siano stati enucleati i summenzionati fattori, non è garantito che il medesimo approccio possa essere applicato in un eventuale contenzioso coinvolgente Hèrmes. Infatti, sebbene caratterizzato dall’utilizzo di pratiche leganti, il caso Microsoft non si configura come assimilabile a quanto verificatosi nella presente fattispecie. Il primo è concentrato sull’inclusione del prodotto secondario in quello primario, il secondo invece, dal necessario acquisto di prodotti di altro genere e totalmente da esso separati al fine di poter accedere all’acquisto della Birkin Bag. Interessanti le prime opinioni dottrinali in ambito americano che assimilerebbero la pratica applicata dalla casa di moda francese, ad un vero e proprio programma fedeltà premiante i clienti più devoti al brand. L’appena menzionata strategia di marketing è infatti comune in molti ambiti del commercio, basti pensare a quello dei viaggi aerei dove pacchetti viaggio di prima classe sono resi più facilmente accessibili – o sono addirittura regalati – ai clienti che nel corso del tempo hanno effettuato un numero più alto di acquisti[8]. La differenza è però apertamente marcata. L’accesso ai bonus delle compagnie aeree o similari sono servizi aggiuntivi offerti a prezzo ridotto, o in maniera gratuita. Potenzialmente, tuttavia, qualora vi fosse la volontà e la disponibilità economica del consumatore, potrebbero essere ordinariamente acquistati, certo ad un prezzo decisamente più alto. Non è questo però il caso di Hermès dove il solo accesso alla Birkin bag è il “premio fedeltà”.

  1. Azione di classe… elitaria

L’azione avviata da Ms. Cavalleri e Mr. Glinoga, come fin da principio chiarito, è un’azione di classe, la quale, per sua natura, mira solitamente a tutelare interessi diffusi accomunanti un numero alto, sebbene non numericamente definibile, di soggetti. È evidente come, sebbene inconferente a livello giuridico, l’eventuale mancata adesione di un numero discreto di persone, in un paese come gli Stati Uniti, possa influenzare l’esito del processo. Non è infatti un mistero che a livello civilistico le decisioni, a meno di particolari casistiche, non provengano dal giudice – il quale comunque presenta un onere di controllo e un potenziale potere di ribaltamento – ma altresì da una giuria. È evidente come, sebbene i componenti di quest’ultima in virtù dell’ufficio occupato abbiano il dovere di non guardare alcuna notizia collegata al giudizio, la risonanza mediatica o meno del caso, dovuto ad un eventuale esiguo numero di aderenti, potrà avere un ruolo decisivo nell’influenzare l’idea dei giurati. Circostanza quest’ultima che appare assai probabile in considerazione di come gli interessi in gioco non siano probabilmente comuni ad un numero alto di persone; è da ricordare infatti come la borsa che ha dato origine alla nascita del contenzioso qui discusso abbia un prezzo di gran lunga superiore a quello di una normale borsetta, ben oltre le possibilità economiche della popolazione media.

  1. Conclusioni

Atteso quanto sopra, la particolarità della situazione coinvolgente Hermès, unita alla diffusione della strategia da essa messa in pratica sul mercato, rende non semplice prevedere un destino preciso per la controversia sorta innanzi alla Corte distrettuale del nord della California. In ogni caso, è indubbio che il caso in questione presenta i presupposti per potersi definire come un vero e proprio terremoto nel mondo del lusso, è ciò in quanto a prescindere da quale sarà il suo esito, esso da una parte potrà determinare l’insorgere di speculari controversie oltreoceano e dall’altra, potrà definitivamente legittimare una strategia di marketing quantomeno border line, la quale ben potrà essere adottata anche da altri competitor.

[1] Informazioni generali fornite da Vestiaire Collective, disponibile qui: https://it.vestiairecollective.com/donna-borse/Hèrmes/birkin35/#categoryParent=Borse%235_brand=Herm%C3%A8s%2314_model=Birkin%2035%238_gender=Donna%231

[2] A. Toriello, 25 luglio 2023, “È sempre lei: la Birkin si conferma la borsa di lusso più ricercata. Ma quali sono le altre?”, disponibile qui:

https://www.vanityfair.it/article/hermes-birkin-la-borsa-di-lusso-iconica-piu-ricercata-fra-tutte-gucci-louis-vuitton.

[3] Cartwright Act, Cal. Bu. & Prof. Code, § 16727.

[4] G. Ghidini e G. Cavani, Proprietà intellettuale e concorrenza, Zanichelli, 2023.

[5] J. Zerbo, What is the difference between Harvard and Hermès? , The Fashion Law, 2024.

[6] Microsoft, COMP/C-3/37.792, 24 marzo 2004,

[7] M. D’Ostuni, M. Beretta, Il Diritto Della Concorrenza In Italia, Giappichelli editore, 2021.

[8] J. Zerbo, Does an antitrust case over Hèrmes Birking bags have legs?, The Fashion Law, 22 marzo 2024

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