lunedì, Ottobre 7, 2024
Finance Destination

Product Oversight Governance: la disciplina del governo degli strumenti finanziari e le recenti proposte della Retail Investment Strategy

A cura di Federica Mandelli e Alessandra Cacopardo, Responsabili della rubrica Finance Destination.

Per la rubrica Finance Destination, prosegue il percorso di approfondimento della proposta di direttiva omnibus della Retail Investment Strategy (“RIS”) pubblicata lo scorso 24 marzo dalla Commissione Europea, oggi al vaglio del Parlamento e del Consiglio Europeo.

Tra le principali proposte della RIS rilevano senza dubbio quelle in materia di Product Oversight Governance (c.d. “POG”) o “Governo degli strumenti finanziari” come indicato dalla Consob al Titolo VIII del Regolamento Intermediari n. 20307.

Per delimitare con maggiore precisione l’ambito di analisi, gli obiettivi e i limiti della POG, rilevata l’assenza di una definizione univoca di derivazione normativa, proviamo a darne una definizione senza la pretesa, si intende, di coglierne appieno le diverse complessità: “la Product Governance è l’insieme di regole, processi e attività richieste al soggetto che intende realizzare e/o distribuire un prodotto finanziario, e che riguardano il suo concepimento (ingegnerizzazione), la sua gestione (identificazione/correlazione tra bisogni finanziari della clientela e prodotti; strategie di vendita; funzionamento del prodotto nelle diverse situazioni di mercato; monitoraggio nel continuo) e la sua distribuzione”.

L’organica disciplina del governo degli strumenti finanziari è relativamente recente; il corpo normativo che la affronta, regolamentandola in maniera strutturata, è stato infatti introdotto nell’ordinamento europeo con la Direttiva MiFID II (2014/65/UE) e la Direttiva Delegata UE 2017/593.

Uno sforzo esegetico finalizzato ad una migliore comprensione della materia induce tuttavia a riconoscere che lo sviluppo della POG affonda le sue radici in alcuni principi generali risalenti alla MiFID I[1], ossia nel dovere degli intermediari di agire “in modo onesto, equo e professionale per servire al meglio gli interessi dei loro clienti” e, quanto alla normativa primaria nazionale, nel disposto dell’articolo 21 del Testo Unico della Finanza che pone esplicitamente, quale obiettivo dell’agire trasparente, corretto e diligente degli operatori, e quale criterio guida delle loro condotte, il soddisfacimento nel miglior modo possibile degli interessi dei clienti.

Oltre ai citati principi generali meritano un richiamo due atti di soft law che hanno, di fatto, anticipato la materia in Italia, ossia le comunicazioni Consob del 2 marzo 2009 e del 22 dicembre 2014 (revocate con Avviso Consob del 3 febbraio 2022) [2], aventi ad oggetto la distribuzione di prodotti finanziari illiquidi e di prodotti complessi ai clienti al dettaglio.

In particolare, la comunicazione del marzo 2009 era essenzialmente finalizzata a individuare alcune regole di comportamento per i distributori e, nel rileggere taluni passaggi, si intravedono alcuni dei capisaldi della POG ove gli intermediari erano chiamati a “verificare nella definizione della propria politica commerciale, la compatibilità dei prodotti con le caratteristiche ed i bisogni della clientela”, “definire i processi aziendali idonei a consentire, già in astratto, lo svolgimento di valutazioni circa le esigenze finanziarie che i prodotti della propria offerta dovranno soddisfare”.

Osservando inoltre gli accadimenti storici si nota come tra la MiFID I e la MiFID II si siano susseguite le crisi finanziarie del 2008, 2010 e 2011, e diversi fenomeni di misselling a spese della clientela al dettaglio che hanno messo in luce il fallimento dei suddetti principi generali, inducendo il legislatore europeo ad intervenire per rafforzare ulteriormente i meccanismi di tutela degli investitori.

Il Considerando n. 71) della MiFID II sembra cogliere il nesso causale tra il raggiungimento dell’interesse dei clienti e la POG ove sottolinea che “per agire nel migliore interesse dei clienti, le imprese di investimento dovrebbero comprendere le caratteristiche degli strumenti finanziari offerti o raccomandati, nonché istituire e riesaminare politiche e disposizioni efficaci per identificare la categoria di clienti alla quale fornire i propri prodotti e servizi”.

Comprendere le caratteristiche dei prodotti significa, quindi, averne esaminato tutte le peculiarità, e averne testato le reazioni a fronte di scenari di mercato mutevoli; le vigenti regole in materia di POG prescrivono inoltre agli intermediari di interrogarsi sul target di clientela a cui il prodotto è indirizzato e prevedono l’obbligo di sviluppare una strategia di distribuzione, monitorando nel tempo l’andamento del prodotto ed apportandovi se del caso i necessari correttivi.

Tutte queste attività sono attribuite sia ai cd. “Manufacturer”, ossia coloro che realizzano i prodotti di investimento, sia ai “Distributor”, ossia coloro che distribuiscono tali prodotti, entrambi soggetti chiamati ad instaurare un reciproco e costante dialogo informativo anche al fine di valutare le opportune attività di riesame dei prodotti realizzati e distribuiti.

Dalla sua entrata in vigore nel 2018, questo corpus di regole ha in effetti prodotto molti cambiamenti nelle imprese di investimento, conducendo le stesse alla riscrittura delle proprie procedure e processi e, nei casi più virtuosi, allo sviluppo di tool informatici ad hoc e all’organizzazione di tavoli tecnici partecipati in maniera continua e strutturata da diverse funzioni aziendali (marketing, compliance, risk management, sales), il tutto sotto il governo effettivo dell’organo di supervisione strategica, il Consiglio di Amministrazione.

Post 2018, un primo intervento legislativo di revisione in materia di POG si ritrova nella Direttiva (UE) 2021/338 (meglio nota come “Quick-Fix”), di modifica della MiFID II, elaborata a seguito della crisi pandemica del Covid 19 con la missione di rimuovere gli oneri burocratici non necessari e semplificare alcuni adempimenti in capo agli intermediari. Tale provvedimento, tuttavia, non ha inciso in maniera significativa sulla disciplina, limitandosi di fatto ad allentare i processi relativamente ai prodotti rivolti alle controparti qualificate, nonché alle obbligazioni con clausola make whole[3].

Un secondo intervento ha riguardato l’integrazione dei fattori di sostenibilità negli obblighi di governance con la Direttiva Delegata (UE) 2021/1269 nell’ambito del framework normativo in materia ESG.

Adesso la RIS, in ambito product governance, sembra focalizzarsi non tanto sui processi, come sopra brevemente descritti, quanto principalmente sul tema dei costi dei prodotti di investimento al dettaglio preassemblati, i PRIIPS (quali ad esempio, i fondi comuni di investimento, i certificati, le polizze finanziarie assicurative), partendo dall’assunto che per gli investitori al dettaglio l’attuale rapporto costi/benefici a valere su detti prodotti (cd. “value for money”) sia scarso o addirittura nullo.

La Commissione propone quindi di ampliare ulteriormente la disciplina di riferimento con la definizione di un particolare processo di determinazione dei prezzi che “consenta di individuare e quantificare tutti i costi e gli oneri e di accertare se questi ultimi non compromettano il valore che il prodotto dovrebbe apportare”.[4]

Per rendere, quindi, il proprio processo di determinazione dei prezzi più obiettivo, gli intermediari dovrebbero tener conto di parametri di riferimento con cui raffrontare i costi dei loro prodotti prima di immetterli sul mercato; tali benchmark – elaborati dalle vigilanze europee (ESMA e EIOPA) – dovrebbero basarsi su informazioni dettagliate relative a costi e oneri, fornite da produttori e distributori per il tramite delle Autorità Nazionali.

Un articolato processo di determinazione dei prezzi che comprenda un confronto con i benchmark definiti da ESMA ed EIOPA consentirebbe, a parere della Commissione, di migliorare il rapporto costi/benefici dei prodotti, garantendo un adeguato value for money per gli investitori. Una deviazione dal parametro di riferimento pertinente indurrebbe invece alla presunzione di costi e oneri troppo elevati, in grado di inficiare il valore del prodotto che, di conseguenza, non potrebbe essere offerto al cliente in assenza di giustificazioni in merito alla proporzionalità dei relativi costi e oneri.

La significativa portata di tali interventi è di tutta evidenza e tra l’altro, a ben vedere, obiettivo analogo a quello sopra indicato appare già perseguito da una previsione del Regolamento Delegato 2017/565[5] secondo cui gli intermediari sono chiamati a svolgere analisi comparative che tengano conto dei costi e della complessità di servizi e prodotti equivalenti, corrispondenti al profilo finanziario dell’investitore.

Una previsione, quest’ultima, che avrebbe dovuto indurre gli intermediari a svolgere un esercizio di suddivisione dei prodotti presenti nei propri cataloghi in categorie omogenee per prezzo, complessità, strategie, rischio, arrivando ad escludere quelli non allineati all’offerta e/o non adeguati al proprio target di clientela.

La Commissione Europea, con la proposta in discussione, relativa all’elaborazione di parametri di riferimento per i PRIIPS, sembra ora spostare parte del processo in capo ai regolatori europei. Come le Autorità siano in grado di portare a termine tale compito, e quale dovrebbe essere la metodologia da seguire, è ancora tutto da capire anche attraverso le norme tecniche di regolamentazione che saranno elaborate in materia.

Dubbi in merito alla concreta fattibilità della soluzione sono però già emersi nell’industria; l’introduzione di benchmark a cui raffrontare i prezzi dei prodotti, dovendone giustificare l’eventuale scostamento, pur rappresentando un approccio innovativo, potrebbe in effetti rivelarsi piuttosto invasivo dell’autonomia privata degli operatori.

Il confronto sulla RIS in sede europea è ancora aperto; ad esito del primo esame del testo da parte della Commissione per i problemi economici e monetari del Parlamento Europeo (ECON), le proposte relative alla definizione dei benchmark per la determinazione dei prezzi sono tuttavia già state stralciate, sembrerebbe quindi che i dubbi dell’industria abbiano trovato conferma anche in sede parlamentare.

[1] Direttiva UE 2004/39: Direttiva del 21 aprile 2004 relativa ai mercati degli strumenti finanziari.

[2] Con l’Avviso del 3 febbraio 2022 Consob rappresenta espressamente che dette comunicazioni risultano direttamente o indirettamente assorbite dalle più ampie ed articolate regole dettate dalla disciplina europea in materia di prestazione dei servizi di investimento e di investor protection.

[3] D.Lgs.58/98 (Testo Unico della Finanza) art.1 comma 1-bis1 – per “clausola make-whole” si intende una clausola diretta a tutelare l’investitore garantendo che, in caso di rimborso anticipato di un’obbligazione, l’emittente sia tenuto a versare al detentore dell’obbligazione un importo pari alla somma del valore attuale netto delle cedole residue fino alla scadenza e del valore nominale dell’obbligazione da rimborsare.

[4] Fonte: Retail Investment Strategy – Relazione – Parte 1) Paragrafo 5.

[5] Articolo 54, paragrafo 9 del Regolamento Delegato 2017/565.

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