venerdì, Luglio 26, 2024
Di Robusta Costituzione

La legge n. 81/2014 a “giudizio” dinanzi alla Corte costituzionale

A cura di Emanuela Laganà, Avvocato e Dottore di ricerca

Per la Rubrica “Di Robusta Costituzione”: Con l’attuazione della legge n. 81/2014, una certa diffidenza è stata dimostrata dalla magistratura che, per  tre volte, ha adito la Corte Costituzionale facendo perno su alcune frequenti criticità riscontrate dagli operatori nell’applicazione della stessa.  Di seguito vedremo le più rilevanti pronunce in materia, proseguendo l’approfondimento iniziato precedentemente dalla stessa Autrice, e disponibile al seguente link: La Legge n. 81/2014 nel prisma dell’art. 27, comma III, della Costituzione – Ius in itinere

 

La legge n. 81/2014 a “giudizio” dinanzi alla Corte costituzionale

 

Il Tribunale di sorveglianza di Messina, con Ordinanza n. 247/2014 del 16 luglio, ha sollevato la questione di legittimità costituzionale dell’articolo 1 della legge n. 81/2014 nella parte in cui stabilisce che l’accertamento della pericolosità sociale sia effettuato sulla base delle qualità soggettive della persona senza tenere conto delle condizioni di cui all’articolo 133, secondo comma, n. 4, del codice penale (condizioni di vita individuale, familiare e sociale del reo) e senza che la mera assenza di piani terapeutici individuali possa costituire presupposto sufficiente per la proroga dell’internamento[1].

La ratio della norma è impedire che eventi esterni e non dipendenti dalla volontà del soggetto internato (deficit dei servizi di prossimità o indisponibilità di familiari e parenti a farsene carico) possano influire sulla valutazione dei presupposti relativi alla sussistenza della pericolosità sociale o alla possibilità di procedere alle sue dimissioni. Attingere alle condizioni personali e sociali dell’infermo di mente autore di reato prescindendo, come spesso accadeva prima della novella legislativa, dalle effettive condizioni di salute e dalla complessiva valutazione della personalità, aveva supportato la inumana prassi degli “ergastoli bianchi”[2]. E non solo. A fare da sfondo a questa perversa logica legislativa era la errata considerazione che se il folle reo fosse stato dimesso, in assenza di un tessuto familiare e sociale pronto ad accoglierlo, la sua pericolosità si sarebbe riacutizzata.

Secondo il Giudice remittente i nuovi criteri di valutazione della pericolosità sociale comprometterebbero l’approccio multifattoriale alla stessa, fino al punto da rendere impossibile una adeguata prognosi della pericolosità, con la conseguenza di affidare la scelta della misura di sicurezza alla esclusiva (e potenzialmente arbitraria) volontà del giudice.  L’accertamento della pericolosità sociale in assenza di indici esterni – evidentemente finalizzato a privilegiare il bisogno di cura rispetto all’esigenza di custodia – inoltre, sarebbe in contrasto con la esigenza di equilibrio «costituzionalmente necessario che deve necessariamente caratterizzare questo tipo di fattispecie tra le esigenze di cura e tutela della persona interessata e di controllo della sua pericolosità sociale»[3].

L’aumento del “peso” della malattia nella prognosi della pericolosità potrebbe, secondo il Giudice a quo, nuovamente introdurre la categoria della pericolosità sociale presunta già dichiarata incostituzionale e successivamente espunta dall’ordinamento dalla “legge Gozzini”[4].

Secondo l’ordinanza di rimessione, la normativa imporrebbe al giudice rigidi vincoli nella valutazione generale della personalità del folle reo e limiterebbe la facoltà dell’organo decidente rispetto alla scelta della misura di sicurezza più adeguata. Pertanto, “sottostimare” la pericolosità sociale del folle reo e rimetterlo in libertà potrebbe mettere a repentaglio la sicurezza della comunità. Sotto tale profilo, secondo il giudice a quo, la disposizione si porrebbe in contrasto con l’art. 2 Cost. e, di converso, lo stesso infermo di mente autore di reato vedrebbe compromesso il proprio diritto fondamentale alla salute, in palese contrasto con l’art. 32 Cost. Inoltre, la libertà concessa a soggetti giudicati in un recente passato “pericolosi socialmente” neutralizzerebbe le finalità di difesa sociale e terapeutiche, reintroducendo quella occulta forma di presunzione di pericolosità cui si è accennato.

Il Giudice a quo evidenzia anche che il trattamento differenziato, nella valutazione prognostica della pericolosità sociale, tra i soggetti non imputabili o semi-imputabili e quelli imputabili (nei confronti dei quali la pericolosità sociale continuerebbe ad accertarsi nella globalità e interezza dei fattori prognostici ex art. 133 c.p.) vizierebbe la norma di irragionevolezza.

L’erosione della base del giudizio di pericolosità sociale in combinato disposto con l’introduzione di un termine di durata massima delle misure di sicurezza attribuirebbe a queste ultime delle funzioni retributive e punitive non compatibili con la ratio e la funzione ad esse ricondotta dall’ordinamento. In questo senso, la norma configgerebbe con gli artt. 25 e 27 della Costituzione.

Infine il giudice a quo ipotizza una violazione dell’art. 77 Cost., per assenza dei presupposti normativi di necessità ed urgenza nel provvedimento di proroga del termine di chiusura degli ospedali psichiatrici giudiziari.

A fronte delle 496 righe dell’atto di promovimento, la Corte costituzionale risponde con le 158 righe della sent. n. 186/2015[5]: la questione è respinta, in quanto dichiarata infondata in tutti i suoi profili. Attraverso questa pronuncia di infondatezza a carattere interpretativo del testo normativo[6], prospettando una peculiare lettura delle norme impugnate, il Giudice delle leggi contesta lo stesso presupposto logico-giuridico da cui muove il giudice a quo e dal quale hanno avuto origine tutte le censure di illegittimità costituzionale.

Rispetto alla prospettata incidenza, da parte delle nuove norme, sulla categoria della pericolosità sociale, la Corte osserva che, come si evince chiaramente dalla lettera dell’art. 1 della legge impugnata, la differente valutazione degli indici di pericolosità va tenuta in conto solo ed esclusivamente ove si debba disporre il ricovero in un ospedale psichiatrico giudiziario o in una casa di cura o di custodia e nessuna altra diversa misura sarebbe idonea ad assicurare cure adeguate e a fare fronte alla  pericolosità sociale del soggetto.

Nulla muta dunque nella categoria generale della pericolosità sociale. Si tratta di un accertamento individualizzato finalizzato a limitare le misure fortemente restrittive della libertà personale ai soli casi in cui le condizioni di salute mentale del soggetto non consentano diversamente. Per usare le parole della Corte, la disposizione censurata «non ha modificato, neppure indirettamente, per le persone inferme di mente o seminferme di mente, la nozione di pericolosità sociale, ma si è limitata ad incidere sui criteri di scelta tra le diverse misure di sicurezza e sulle condizioni per l’applicazione di quelle detentive»[7].

Con riferimento alla violazione dell’art. 77, comma 2, Cost. la Corte si limita a osservare che il contenuto degli emendamenti introdotti in sede di conversione del d.l. n. 52 del 2014 è omogeneo rispetto alla disposizione originaria e che, completando quest’ultima, risulta ugualmente necessario e urgente, specificando inoltre che i requisiti di necessità e urgenza riguardano le disposizioni del decreto e non i relativi emendamenti[8].

La originale lettura della norma fornita dalla Corte si discosta delle ipotesi interpretative formulate in precedenza ed anche dalle ricostruzioni prospettate dalla dottrina successivamente all’entrata in vigore delle nuove disposizioni, orientate a ritenere che il legislatore abbia introdotto nuovi e più restrittivi criteri di accertamento della pericolosità sociale, da applicare ai soli soggetti potenzialmente destinatari delle misure del ricovero in ospedale psichiatrico giudiziario o in casa di cura e di custodia. Ad avviso della Corte, invece, il modello generale di accertamento della pericolosità sociale resta invariato e i limiti stabiliti dal legislatore costituiscono dei criteri di scelta della misura concretamente applicabile a un soggetto già ritenuto socialmente pericoloso, allo scopo di implementare il principio di extrema ratio delle misure di sicurezza detentivo-custodiali. Un sistema bifasico, quindi, scandito da un doppio giudizio prognostico, secondo un modello che, pur ricalcando quello che presiede all’applicazione delle misure cautelari, si caratterizza per evidenti elementi di peculiarità[9].

La Corte precisa che la limitazione introdotta dal legislatore sarebbe finalizzata a riservare le misure estreme ai soli casi in cui le condizioni mentali della persona le rendano necessarie. Va comunque osservato che gli elementi che il legislatore estromette dal giudizio bifasico, pur non potendo motivare la scelta di misure di sicurezza custodiali, possono costituire un ostacolo all’applicazione della libertà vigilata che – nell’ ottica del favor rei – sarebbe, in astratto, la misura più adeguata a bilanciare pericolosità sociale e diritto alla cura[10]. Infatti, «per un verso, l’infermo di mente (ex art. 232 c.p.) non può essere posto in libertà vigilata se non quando sia possibile affidarlo ai genitori, agli obbligati all’assistenza o a istituti di assistenza sociale»[11]; per altro verso «l’assenza di programmi terapeutici individuali è una delle ragioni principali fallimento della misura della libertà vigilata con prescrizioni terapeutiche, indicata anche dalla giurisprudenza costituzionale quale possibile alternativa all’ospedale psichiatrico giudiziario»[12].

Si potrebbe paradossalmente «assistere a una sostanziale semplificazione “motivazionale” per il giudice chiamato a disporre la misura, che, muovendo dal più ricco quadro relativo all’an della pericolosità, potrebbe limitarsi a “scorporare” gli elementi rispetto ai quali opera la preclusione successiva, con particolare riferimento alle condizioni di vita individuale, familiare e sociale del reo»[13].

Come è stato osservato, «nell’ipotesi in cui il primo giudizio risultasse integralmente fondato sugli elementi che non possono intervenire nel secondo giudizio, l’esito ancor più paradossale sarebbe quello di un’autentica lacuna nell’individuazione della misura applicabile. Le situazioni più complesse sono ipotizzabili in riferimento ai casi in cui l’infermo di mente potrebbe essere “controllato e curato” al di fuori dell’ospedale psichiatrico giudiziario se adeguatamente seguito da una solida rete socio-sanitaria di riferimento (meno problematica la situazione nella quale lo stato della infermità disponesse in favore della soluzione maggiormente limitativa della libertà personale)»[14]. D’altronde, la nozione di vizio di mente, specie a seguito del modello di accertamento “misto” consolidato dalla c.d. “sentenza Raso” della Corte di cassazione[15], ingloba situazioni molto eterogenee tra loro, che, caratterizzate da una ridotta pericolosità sociale, ben sarebbero compatibili con misure meno restrittive.

È stato, altresì, evidenziato che due potrebbero essere le soluzioni ipotizzabili: recuperare la distinzione tra Ospedale psichiatrico giudiziario e Casa di cura e di custodia valorizzata dal codice penale; predisporre normativamente un ampliamento del novero delle misure di sicurezza previste dall’ordinamento, in modo da offrire soluzioni intermedie tra i due estremi dell’Ospedale psichiatrico giudiziario e della libertà vigilata[16].

In proposito, si è discusso anche di misure di sicurezza che riproducano i caratteri dell’affidamento in prova al servizio sociale[17] o misure non detentive che prevedano l’obbligo di permanenza presso una struttura di cura[18]. Determinante comunque sarà l’effettivo rafforzamento delle strutture territoriali psichiatriche di presa in carico. Difatti, uno dei nodi cruciali è costituito dalla persistente carenza di adeguata assistenza sul versante del contesto territoriale di accoglienza (famiglia, comunità alloggio, Dipartimenti di salute mentale, Ufficio per l’esecuzione penale esterna), che – a sua volta – influenza negativamente l’efficacia della misura della libertà vigilata con prescrizioni terapeutiche[19].

Potenziando l’efficienza dei servizi sanitari di prossimità si potrebbe evitare l’ulteriore paradosso di considerare l’internamento in O.P.G. il “male minore” in assenza di una rete sociale idonea ad accogliere e sostenere gli infermi di mente autori di reato[20]. V’è anche il rischio che – alla luce delle considerazioni appena svolte – si crei un clima di generalizzato sfavore nei confronti delle misure di sicurezza custodiali e di eccessiva prudenza nel riconoscimento del vizio di mente, specie in ragione delle criticità che caratterizzano l’accertamento in questione.

Il poco auspicabile risultato sarebbe quello di spostare dall’ospedale psichiatrico al carcere il “trattamento” del soggetto con problemi di natura psichiatrica ritenuto responsabile di un delitto, generando potenzialmente una emergenza psichiatrica all’interno degli istituti penitenziari[21], aggravata anche dal complesso e farraginoso funzionamento dei giudizi di imputabilità e di pericolosità sociale nel processo penale[22].

Tra le “soluzioni” proposte si segnala anzitutto quella di una sempre più appropriata formazione del personale penitenziario, spesso sprovvisto di adeguati strumenti culturali e operativi che consentano di svolgere i propri compiti a fronte di detenuti la cui condizione presenta profili di indubbia peculiarità: ciò anche al fine di garantire una più stretta e proficua collaborazione tra l’area sanitaria e quella penale-trattamentale. Torna, a questo punto, la riflessione svolta prima sulla improcrastinabile necessità di potenziare i Dipartimenti di salute mentale, strumento necessario per il necessario raccordo più solido e funzionale possibile tra il carcere e il territorio al fine di rendere effettiva quella “apertura di porte agli internati” cui lo stesso Giudice delle leggi, nel confermare l’impianto normativo della legge n. 81/2014, sembra accordare centralità.

Con Ordinanza n. 187/2015 del 30 settembre è invece il Giudice per le indagini preliminari presso il tribunale di Napoli a sollevare la questione di legittimità costituzionale[23] dell’art 1, comma 1 – quater, della legge n. 81/2014 ritenendolo irragionevole e quindi «in contrasto con l’art 3, comma 1 Cost. nella parte in cui stabilisce che le misure di  sicurezza  detentive, provvisorie o definitive, compreso il ricovero  nelle  residenze  per l’esecuzione delle misure di sicurezza, non possono durare  oltre  il tempo stabilito per la pena detentiva prevista per il reato commesso, avuto riguardo alla previsione massima»[24].  Secondo il giudice remittente, la norma in esame avrebbe applicato alle misure di sicurezza princìpi inerenti la disciplina delle misure cautelari che si caratterizzano, però, per ratio e finalità differenti. La disposizione impugnata, inoltre, non sarebbe adeguata a contenere i casi di più grave e persistente pericolosità sociale (come quello all’esame del giudice a quo), in quanto divergenti dagli accadimenti della quotidianità. Tanto più alla luce del fatto che, spirato il termine massimo edittale, il soggetto – seppure pericoloso – non avrebbe potuto essere ricoverato neppure presso una REMS (fatta salva l’ipotesi di commissione di nuovi reati). Il giudice a quo lamentava, inoltre, l’assenza di misure alternative adeguate a curare il soggetto e contenerne la pericolosità.

La Corte costituzionale – con la sentenza n. 22/2017 – dichiara inammissibile, per difetto di rilevanza[25], la questione di legittimità costituzionale ora rapidamente illustrata.

Infatti, il Gip, nel procedimento oggetto di giudizio incidentale, avrebbe dovuto applicare una norma diversa (per intervenuta prescrizione del reato) da quella dedotta nell’ordinanza di rimessione.

Rispetto alla questione relativa alla presunta irragionevolezza dell’applicazione di un tetto massimo (coincidente con il massimo edittale previsto per il reato commesso) alle misure di sicurezza detentive analogamente a quanto previsto per le misure cautelari[26], il Giudice delle leggi evidenzia la necessità, soddisfatta dal legislatore, di porre fine la drammatica prassi degli “ergastoli bianchi” che la precedente normativa, incentrata sul sistema della proroga (potenzialmente infinita) della misura di sicurezza, aveva contribuito a generare. Ulteriore finalità della disposizione impugnata, infatti, è anche quella recuperare la proporzionalità tra misura detentiva e reato presupposto. Questa operazione, come è stato osservato, «viene ad erodere le originarie finalità di difesa sociale e di prevenzione speciale negativa assegnate alle misure di sicurezza personali»[27].

Tuttavia, ferma restando la legittimità del suddetto meccanismo, è stato osservato che la determinazione di un temine massimo perentorio alla durata della misura di sicurezza (la cui efficacia scatta in automatico), potrebbe determinare problemi dal punto di vista della pratica applicazione. Una sorta di automatismo inverso (rispetto al precedente) potrebbe condurre a lasciare in libertà soggetti che, nonostante il decorso del termine di durata della misura, risultino ancora socialmente pericolosi[28].

Tale pericolo sarebbe fortemente ridotto se, a fronte dell’obbligo giuridico di “liberare” il soggetto anche se socialmente pericoloso, vi fosse la efficace azione di tutti quei soggetti territoriali – primi fra tutti i Dipartimenti di salute mentale –  coinvolti, cui la legge riconosce un ruolo determinante nella cura del disabile mentale e nella piena realizzazione della sua dignità.

Più di recente, con ordinanza n.110/2020 dell’11 maggio presso il Tribunale di Tivoli che “conduce” la legge n. 81/2014 dinanzi alla Consulta, avuto particolare riguardo alla presunta illegittimità costituzionale degli artt. 206 e 222 c.p. e dell’art. 3-ter d.l. 211/2011 (convertito nella legge n. 9/2012), come modificato dall’art. 1, comma 1, lett. a) del d.l. n. 52/2014 (convertito nella legge n. 81/2014). Tali disposizioni violerebbero nel loro complesso, in primo luogo, gli artt. 27 e 110 della Costituzione, «nella parte in cui, attribuendo l’esecuzione del ricovero provvisorio presso una Residenza per l’esecuzione delle misure di sicurezza (REMS) alle Regioni ed agli organi amministrativi da esse coordinati e vigilati, escludono la competenza del Ministro della Giustizia in relazione all’esecuzione della detta misura di sicurezza detentiva provvisoria»[29]. In seconda battuta, le menzionate norme violerebbero anche gli artt. 2, 3, 25, 32 e 110 Cost. «nella parte in cui consentono l’adozione con atti amministrativi di disposizioni generali in materia di misure di sicurezza in violazione della riserva di legge in materia»[30].

La vicenda che chiama in causa la Corte trae origine da un procedimento penale in cui l’indagato, chiamato a rispondere di violenza e minaccia a pubblico ufficiale, ritenuto infermo di mente e socialmente pericoloso, veniva destinato al ricovero presso una REMS. E tuttavia tale ricovero si rivelava di difficilissima praticabilità poiché i competenti organi sanitari rilevavano, per un periodo di circa 11 mesi, l’indisponibilità presso le strutture del territorio e, a causa di un corto circuito informativo tra le diverse REMS, per il magistrato diveniva impossibile verificare la disponibilità di altre strutture fuori dal territorio regionale di residenza soggetto sottoposto a misura di sicurezza,[31] né si poteva prospettare l’esecuzione di altra misura idonea a contenere la pericolosità sociale dell’indagato, stante il perdurante rifiuto dello stesso di rispettarne le prescrizioni ed il contenuto.

Il giudice remittente, ha ritenuto quindi che la persistente impossibilità di eseguire la misura fosse dovuta all’impianto normativo della legge n. 81/2014 nella parte in cui disciplina l’assegnazione alle REMS. In altre parole l’esclusiva competenza degli organi regionali in relazione all’esecuzione del ricovero provvisorio presso una REMS e la funzione di coordinamento esclusivamente formale spettante al Ministro della Giustizia avrebbero di fatto impedito il superamento dell’impasse del procedimento in oggetto protrattosi per lungo tempo[32].

La Corte si è pronunciata la prima volta con l’ordinanza istruttoria[33] n. 131 del 24 giugno 2021 finalizzata ad acquisire informazioni di natura tecnica necessarie ai fini della decisione. I giudici di palazzo della Consulta hanno formulato dunque una serie di quesiti, 14 finalizzati a ricostruire empiricamente l’intero impianto normativo della legge sottoposta al loro giudizio e dai quali si potesse evincere un quadro chiaro della portata applicativa della norma.[34] Tali “domande” sono state poste, in relazione alle diverse aree di competenza, a tutti gli organi coinvolti nell’attuazione della legge n. 81/2014 e segnatamente: il Ministro della Giustizia, il Ministro della salute, il Presidente della Conferenza delle Regioni e delle Province autonome, nonché il Presidente dell’Ufficio parlamentare di bilancio.

Il 27 gennaio 2022 la Corte, con la sentenza n. 22[35], dichiara l’inammissibilità delle questioni di legittimità sottoposte al suo esame e tuttavia invita il legislatore ad attivarsi per eliminare i numerosi elementi di criticità presenti nel sistema e dalla stessa rilevati.

La Corte ritiene di dover preliminarmente chiarire quale sia la natura del ricovero in una REMS laddove, a fronte di una analisi del dato letterale della norma «emerge l’accentuata vocazione di strumento di tutela della salute mentale del destinatario che il legislatore ha inteso assegnare alle strutture in questione: esse debbono essere caratterizzate da una «esclusiva gestione sanitaria» al loro interno, e possono prevedere, «ove necessario in relazione alle condizioni dei soggetti interessati», una attività di sicurezza e di vigilanza soltanto «perimetrale» ed «esterna», sì da impedire l’allontanamento non autorizzato dalle strutture» (punto 5.1. Considerato in diritto).

E però la Corte non omette di rilevare che, di fatto, l’assegnazione ad una REMS non possa essere considerata una misura ed esclusivo contenuto terapeutico. Essa infatti costituisce una misura di sicurezza “nuova”, seppure introdotta senza apportare modifiche formali a codice di rito, e in quanto tale «non può che trovare la propria peculiare ragion d’essere – a fronte della generalità dei trattamenti sanitari per le malattie mentali – in una specifica funzione di contenimento della pericolosità sociale di chi abbia già commesso un reato, o sia gravemente indiziato di averlo commesso, in una condizione di vizio totale o parziale di mente» che, tuttavia, deve essere applicata solo ed esclusivamente come extrema ratio.

I giudici di palazzo della Consulta lanciano altresì un “monito” al legislatore affinché provveda ad armonizzare la materia per mezzo di adeguati strumenti normativi volti ad colmare le evidenti lacune della disciplina. E, rispetto ad alcune di queste, in merito al funzionamento del sistema “REMS” nel suo complesso, la Consulta «evidenzia un difetto sistemico di effettività nella tutela dell’intero fascio di diritti fondamentali che l’assegnazione a una REMS mira a tutelare» (punto 5.4. considerato in diritto).

Avuto riguardo alla prospettata restituzione della competenza nella assegnazione delle REMS al Ministro della giustizia quale superamento del problema delle liste d’attesa, la Corte rileva come questo nulla muterebbe nella situazione di fatto poiché i posti disponibili sull’intero territorio nazionale risultano essere comunque numericamente inferiori rispetto al numero di pazienti in attesa di collocazione e questo conferma la necessità e questo «denota chiaramente  deficit di tutela dei diritti fondamentali non può essere quella dell’assegnazione in soprannumero delle persone in lista d’attesa alle REMS esistenti» (punto 5.4. considerato in diritto).

Secondo i “giudici delle legge” è fondamentale che lo Stato intervenga con significativi finanziamenti dei diversi sistemi sanitari regionali al fine di garantire adeguati livelli di assistenza, consentendo così ai distretti di salute mentale, che nel disegno del legislatore avrebbero dovuto svolgere un fondamentale ruolo di supporto terapeutico e risocializzante, di potere espletare al meglio le funzioni loro attribuite.

La Corte dunque decide di non espungere dall’ordinamento l’intero sistema delle REMS ma delinea in maniera chiara e precisa le azioni che tutti i soggetti coinvolti dovrebbero intraprendere per evitare che l’evidente manifesto di civiltà rappresentato dalla legge n. 81/2014 divenga un vessillo svuotato di qualsivoglia portata precettiva.

La recente pronuncia della Corte costituzionale ha messo in luce alcuni nodi da sciogliere che negli anni, nonostante gli appelli della dottrina e degli operatori pratici, sono rimasti irrisolti. Il legislatore dovrà dunque adoperarsi affinché i rilievi mossi con la sentenza n. 22/2022 non rimangano lettera morta in spregio alla tutela dei diritti fondamentali di tutti i soggetti coinvolti.

E tuttavia, già nel periodo immediatamente successivo all’approvazione della legge n.81/2014 in seguito ai lavori conclusivi degli stati generali dell’esecuzione penale, la legge delega n. 103/2017 (c.d. “riforma Orlando” dal nome dell’allora Ministro della giustizia), per quel che riguarda il tema qui trattato, demandava al governo di allora il compito di revisionare, entro un anno dall’entrata in vigore della stessa, la disciplina delle misure di sicurezza personali e dei loro presupposti applicativi[36]. Quanto al presupposto della pericolosità sociale, la legge delega poneva tra i princìpi e criteri direttivi l’accertamento periodico della stessa e la revoca della misura di sicurezza quando la pericolosità fosse venuta meno.[37]Il legislatore delegante prospettava altresì, con riguardo ai soggetti non imputabili, l’adozione di misure terapeutiche e di controllo finalizzate a realizzare le primarie esigenze di cura dell’infermo fuori dal circuito carcerario/detentivo.[38] La legge n. 103/2017, inoltre, conteneva anche i princìpi e criteri direttivi relativi alla ridefinizione della nozione di infermità, da realizzarsi «mediante la previsione di clausole in grado di attribuire rilevanza, in conformità a consolidate posizioni scientifiche, ai disturbi della personalità»[39]

Non è stato completato, infatti, proprio l’iter diretto alla riforma dell’esecuzione penale e della sanità penitenziaria. Il testo più importante, infine, relativo alla riforma delle misure di sicurezza e alla nuova definizione dell’imputabilità, neppure è stato trasfuso in uno schema di decreto legislativo, «lasciando così un vulnus profondo nel tessuto dell’ordinamento, privo dell’indispensabile fondamento in ordine ai presupposti della responsabilità penale, nonché della disciplina dedicata ai soggetti sofferenti psichici, totalmente o parzialmente incapaci di intendere e/o di volere».[40]

Gli esiti del lavoro svolto dalla “Commissione Pelissero”, con specifico riguardo alla riforma del sistema normativo delle misure di sicurezza personali e all’assistenza sanitaria in ambito penitenziario, specie per le patologie di tipo psichiatrico, sono stati di recente rivalutati dalla c.d. “Commissione Ruotolo”[41]che ha elaborato proposte di modifica sia rispetto alla legge  penitenziaria ed al relativo  regolamento di esecuzione, sia con riferimento alle disposizioni del codice penale e del codice di  procedura penale, peraltro «condividendo, con riguardo al tema delle misure di sicurezza per infermità  mentale le elaborazioni emergenti dai lavori della Commissione Pelissero»[42].

Alla “Commissione Ruotolo” va il merito di avere formulato, sulla scia delle indicazioni fornite dalla precedente “Commissione Pelissero” la proposta di introdurre l’istituto dell’affidamento in prova a beneficio dei soggetti affetti da infermità psichica «per  proseguire o intraprendere un programma terapeutico e  riabilitativo individualizzato in libertà, definito dal dipartimento  di salute mentale dell’azienda  sanitaria locale competente per  territorio in riferimento al luogo  di sua residenza o abituale  dimora»[43].

E tuttavia, nel momento in cui si scrive, non è ancora intervenuto alcun provvedimento normativo finalizzato a superare i rilievi mossi dalla Consulta che rischiano, così, di restare disattesi, vanificando gli sforzi compiuti nella lunga marcia per la tutela dei disabili mentali autori di reato.

Sarebbe forse opportuno che il legislatore compisse questo ultimo “passo verso il traguardo” garantendo piena effettività alla legge n. 81/2014 per mezzo di tutti i necessari interventi sopra indicati. Ma, soprattutto, è di fondamentale importanza – così come a più riprese “suggerito” dalla giurisprudenza costituzionale e dalla dottrina – pena la vanificazione dei risultati fino ad oggi ottenuti, che il folle reo da mero “soggetto da curare” divenga, in modo pieno ed effettivo, “persona di cui prendersi cura”.

 

 

[1] Il testo dell’Ordinanza è disponibile su www.penalecontemporaneo.it. Cfr. le osservazioni di R. Bianchetti, Sollevata questione di legittimità costituzionale in merito ai nuovi criteri di accertamento della pericolosità sociale del seminfermo di mente, ivi, 14 novembre 2014. Sulla stessa linea F. FiorentinI, Al vaglio di costituzionalità i parametri di accertamento della pericolosità sociale dei mentally ill offenders, in Arch. Pen., n. 3/2014.

[2] Sul punto, ex multis, A. Pugiotto, Dell’ergastolo nascosto (e altri orrori) dietro le mura degli ospedali psichiatrici giudiziari, in Quaderni Costituzionali, n. 2/2013, pp. 348 ss.; dello stesso A., La giurisprudenza difensiva in materia di Opg a giudizio della Corte costituzionale, in www.rivistaaic.it, 2016, pp. 17 ss.

[3]V. Ordinanza n. 247/2014, p. 9, in www.penalecontemporaneo.it. Sul giudizio di accertamento della pericolosità sociale, cfr., ex multis, G. Canepa, Accertamento e revisione della pericolosità sociale, in G. Gullotta (a cura di) Trattato di psicologia giudiziaria nel sistema penale, Milano, 1987; dello stesso A., Aspetti criminologici e medico-legali della pericolosità sociale, in Rass. Crim., 18/1970; A. Calabria, Pericolosità (voce), in Dig. Disc. Pen., IX, 1995; F. Bruno, La pericolosità sociale in psichiatria, in F. Ferracuti (a cura di), Trattato di Criminologia, Medicina criminologica e Psichiatria Forense, Milano, 1990.

[4]Cfr., l’Ordinanza di rinvio alla Corte cost. del Tribunale di Sorveglianza di Messina, in www.penalecontemporaneo.it.

[5] A. Pugiotto, La giurisprudenza difensiva, cit., p. 5.

[6] Corte cost., 23 luglio 2015, n. 186, in Cass. pen., n. 11/2015, p. 424 con commento di A. Massaro, Pericolosità sociale e misure di sicurezza detentive nel processo di “definitivo superamento” degli ospedali psichiatrici giudiziari: la lettura della Corte costituzionale con la sentenza n. 186 del 2015, in Arch. pen., 2/2015,  pp. 10 ss.

[7] Corte cost., n. 186 del 2015, punto 4.2. del Considerato in diritto, in www.cortecostituzionale.it.

[8] Tuttavia, com’è stato osservato, A. Massaro, Pericolosità sociale e misure di sicurezza, cit., p. 9: «La giurisprudenza costituzionale, con la sentenza n. 22 del 2012, ha evidenziato lo stretto nesso funzionale sussistente tra la legge di conversione e il decreto legge, con la conseguenza per cui la prima, pur potendo sopprimere, modificare o aggiungere disposizioni, deve in ogni caso restare entro i confini originari tracciati dal secondo: l’inserimento sia di nuovi articoli sia di nuovi commi, al di là della distinzione formale tra tali strumenti, costituisce motivo d’illegittimità, pro parte, della legge di conversione qualora non vengano rispettati i confini suddetti». Il tema è stato affrontato anche da A. Cicconetti, Obbligo di omogeneità del decreto-legge e della legge di conversione?, in www.giurcost.org, p. 2; Ibidem, Si segnala, tra i molti, il commento di A. Celotto, L’abuso delle forme della conversione (affinamenti nel sindacato sul decreto-legge). Una più ampia ricostruzione è offerta, tra gli altri, da G. Filippetta, L’emendabilità del decreto-legge e la farmacia del costituzionalista, in www.rivistaaic.it, 08/01/2012.

[9] A. Massaro, Pericolosità sociale, cit., pp. 7, 11-12. Alla prima fase, “a base totale”, competerebbe l’accertamento della pericolosità sociale del soggetto imputabile o semi-imputabile. Alla seconda, “a base parziale”, conseguente alla conclusione della prima con prognosi di pericolosità sociale, spetterebbe la scelta della misura applicabile.  Si tratterebbe, in sostanza, di verificare il quantum della pericolosità appurando se il soggetto sia “così tanto pericoloso” da giustificare il ricorso alla misura di sicurezza detentiva

[10] A. Massaro, Pericolosità sociale, cit., p. 10 ss.

[11]A. Massaro, Pericolosità sociale, cit., p. 5. Sul mancato coordinamento delle nuove disposizioni con l’art. 232 c.p. è stato chiaramente evidenziato da F. FIORENTIN, Al vaglio di costituzionalità, cit. p. 5.

[12] A. Massaro, op. et. loc. ul cit., p. 5. Sul sostanziale fallimento della soluzione della libertà vigilata applicata all’infermo di mente, v. anche. A. Calogero, La chiusura degli ospedali psichiatrici giudiziari, in www.rivistadignitas.it e M. Azzini, Il trattamento dell’infermo di mente nella fase dell’esecuzione, in www.astra.csm.it.

[13] A. Massaro, op. et. loc. ul cit., p. 5.

[14] A. Massaro, Sorvegliare, curare e non punire. L’eterna dialettica tra cura e custodia nel passaggio dagli Ospedali psichiatrici giudiziari alle Residenze per l’esecuzione delle misure di sicurezza, in Riv. It. Med. Leg., 4/2015, p. 9.

[15] Cass., Sez. un., 8 marzo 2005, c. d. “Raso”, in Dir. pen. proc., 2005, 837 ss., con ampia nota di  M. Bertolino, L’infermità mentale al vaglio delle Sezioni unite, in Dir. pen. e proc., n. 7/2005, pp. 853 ss.

[16] Sul punto, di recente, M.T. Collica, Verso la chiusura degli O.p.g.: una svolta (ancora) solo annunciata?, in Leg. pen., 4/2014, pp. 277-278.

[17] Si v. G. Zappa- C.A. Romano, Infermità mentale, pericolosità sociale e misure di sicurezza alla prova degli anni Duemila, in Rass. penit. e crimin., 2-3/1999, p. 95.

[18] Cfr. M. Bortolato, L’Ospedale psichiatrico giudiziario, la magistratura di sorveglianza: ruolo e funzioni nel superamento dell’Opg, in www.conams.it; M.L. Fadda, Misure di sicurezza e detenuto psichiatrico nella fase dell’esecuzione, su www.conams.it.

[19] Sul punto, interessante l’intervento di N. Mazzamuto, Relazione al Convegno SEAC 2012, in www.conams.it.

[20] Sul punto, ex multis, P. Dell’Acqua – S. D’Autilia, Abbandonare quei luoghi, abitare le soglie, in Riv. It. Med. Leg., 4/2013, p. 1363.

[21] Cfr. A. Massaro, Pericolosità sociale e misure di sicurezza, cit., p. 15.

[22] V.A. De Angelis, Il disagio mentale in ambiente penitenziario: strategie e competenze della polizia penitenziaria, in Quaderni ISSP, n. 11.

[23] Ordinanza n. 187/2015, in www.gazzettaufficiale.it.

[24]V. Ordinanza, ul. cit. Inoltre, il Giudice remittente aveva erroneamente indicato la disposizione impugnata riferendosi ad una norma (comma 8-quater dell’art. 3-ter, d.l. n. 211 del 2011, conv. con modif. in legge n. 9 del 2012, modificato dal d.l. n. 52 del 2014, conv.  con modif. in legge n. 81 del 2014) che di fatto non esiste. La Corte tuttavia, considerato che nell’ordinanza di rinvio veniva indicato il testo esatto della norma e che questa poteva quindi essere identificata, “declassava” a mero errore materiale questo aspetto non precludendo quindi l’ammissibilità della questione (sulla scorta dei propri precedenti, tra i quali la sent. 307/2009).

[25] La Corte (punto 4 del “considerato in diritto) evidenzia la discutibilità, in punto di rilevanza, della ricostruzione prospettata dal Giudice remittente in virtù della quale la norma impugnata impedirebbe, di fatto, la pronuncia di una sentenza di non luogo a procedere per estinzione del reato alla quale sarebbe seguita, alla luce della persistente pericolosità sociale del folle reo. Trattandosi di procedimento in fase di indagini preliminari – non essendo già stata esercitata l’azione penale –  il Giudice non avrebbe potuto procedere ai sensi dell’art. 129 c.p.p., né all’applicazione di una misura di sicurezza, orientandosi eventualmente verso un provvedimento di archiviazione (ex art. 411 c.p.p).

Inoltre la Corte osserva che una eventuale pronuncia di proscioglimento per estinzione del reato per prescrizione non consentirebbe al giudice di applicare la misura di sicurezza, presupponendo questa l’accertamento del delitto commesso. Né la sentenza di proscioglimento richiamata nell’art. 205 c.p. può essere assimilata a quella di estinzione del reato, regolata dall’art. 210 c.p.

[26] Si veda M. Pelissero, Ospedali psichiatrici giudiziari in proroga e prove maldestre di riforma della disciplina delle misure di sicurezza, in Diritto Penale e Processo, 8/2014, p. 928 secondo cui si tratta dell’opzione preferibile, dato che non mostra segni di retribuzionismo, ma offre una soluzione plausibile conforme a criteri di ragionevolezza.

[27] Cfr. S. Rossi, A che punto è la notte?, in www.academia.edu.

[28] Sotto questo profilo cfr., fra tanti, le osservazioni critiche – relative soprattutto all’assenza di un idoneo circuito socio sanitario di accoglienza del bisogno – di M. Pelissero, Ospedali psichiatrici giudiziari in proroga e prove maldestre di riforma della disciplina delle misure di sicurezza, cit., 928; A. Massaro, Sorvegliare, curare e non punire: l’eterna dialettica tra “cura” e “custodia” nel passaggio dagli ospedali psichiatrici giudiziari alle residenze per l’esecuzione delle misure di sicurezza, cit., pp. 1378 ss.

[29]Ordinanza del Tribunale di Tivoli, Sez. Gip-Gup, disponibile al sito: www.questionegiustizia.it.

[30] Ibidem.

[31] Per una ricostruzione fattuale ed un commento all’ordinanza n. 131/2021 ed alla sentenza n. 22/2022 del 16 gennaio 2022, si veda V. Piscopo, Una rinnovata attenzione per il sistema delle REMS: dall’ordinanza istruttoria n. 131 del 2021 alla sentenza n. 22 del 2022 della Corte costituzionale, in www.biodiritto.it, 1/2023. La vicenda viene descritta anche da O. Di Capua, La Corte alla ricerca di nuove strade per garantire la massima effettività dei diritti fondamentali. Note a margine della sentenza n. 22 del 2022 della Corte  costituzionale, disponibile in www.osservatorioaic.it, Fasc. n. 3/2022, 7 giugno 2022;  P. ADDIS, La Corte costituzionale, le REMS e un uso particolare del potere istruttorio, in Giurisprudenza costituzionale, 3, 2021, pp. 1361 ss.

[32] V. PISCOPO, op. cit.

[33] Ordinanza ai sensi dell’art. 12 delle Norme Integrative per i giudizi dinanzi alla Corte Costituzionale. Il testo dell’Ordinanza è disponibile al sito www.cortecostituzionale.it. Sui poteri istruttori della Corte, si veda, ex multis, T. Groppi, I poteri istruttori della Corte costituzionale nel giudizio sulle leggi, Milano 1997; dello stesso A., Nuova vita per i “vecchi” poteri istruttori? (nota a Corte Costituzionale, 24 giugno 2021, n. 131), in Giurisprudenza Costituzionale,  3/2021,  pp. 1355 ss; V. Marcenò, La solitudine della Corte costituzionale dinanzi alle questioni tecniche, in Quaderni costituzionali, n. 2/2019, p. 393.

[34] Di seguito i quesiti formulati dalla Consulta:

«a) quante e quali siano, attualmente, le residenze per l’esecuzione delle misure di sicurezza (REMS) attive sul  territorio di ciascuna Regione e quanti pazienti siano effettivamente ospitati in ciascuna di esse;

  1. b) quanti pazienti provenienti da Regioni diverse siano ospitati attualmente nelle REMS di ciascuna Regione, e come sia regolamentato il meccanismo di deroga al principio di territorialità dell’esecuzione della misura del ricovero in REMS, previsto dall’art. 3-ter, comma 3, lettera c), del decreto-legge 22 dicembre 2011, n. 211 (Interventi urgenti per il contrasto della tensione detentiva determinata dal sovraffollamento delle carceri), convertito, con modificazioni, nella legge 17 febbraio 2012, n. 9;
  2. c) quante persone risultino attualmente collocate, in ciascuna Regione, nelle liste d’attesa per l’ammissione in una REMS e quanto sia il tempo medio di permanenza in tali liste;
  3. d) quante siano, su scala nazionale, le persone destinatarie di un provvedimento di assegnazione a una REMS ancora non eseguito, adottato in via definitiva o provvisoria dal giudice;
  4. e) quali siano, ovvero siano stati nel caso di persone definitivamente prosciolte per infermità di mente, i titoli di reato contestati alle persone di cui alla precedente lettera d);
  5. f) quante di tali persone risultino allo stato collocate in una struttura penitenziaria sulla base di ordinanze di custodia cautelare, ovvero in reparti ospedalieri di medicina psichiatrica sulla base di ordinanze di custodia cautelare in luogo di cura (art. 286 del codice di procedura penale), o ancora siano sottoposte medio tempore alla misura di sicurezza della libertà vigilata, come nel caso oggetto del giudizio a quo;
  6. g) quali siano le principali difficoltà di funzionamento dei luoghi di cura per la salute mentale esterni alle REMS per gli imputati e le persone prosciolte in via definitiva che siano risultati affetti da infermità mentale;
  7. h) se esistano, e in caso affermativo come operino, forme di coordinamento tra il Ministero della giustizia, il Ministero della salute, le aziende sanitarie locali (ASL) e i Dipartimenti di salute mentale, volte ad assicurare la pronta ed effettiva esecuzione, su scala regionale o nazionale, dei provvedimenti di applicazione, in via provvisoria o definitiva, di misure di sicurezza basate su una duplice valutazione di infermità mentale e di pericolosità sociale dell’interessato;
  8. i) quali specifiche competenze esercitino, in particolare, il Ministro della giustizia e il Ministro della salute rispetto a tale obiettivo;
  9. j) se il ricovero nelle REMS, ove disposto dal giudice, nonché gli altri trattamenti per la salute mentale disposti sulla base di un provvedimento di libertà vigilata rientrino nei livelli essenziali di assistenza (LEA) che le Regioni sono tenute a garantire;
  10. k) se sia attualmente effettuato dal Governo uno specifico monitoraggio sulla tempestiva esecuzione dei provvedimenti di applicazione delle misure di sicurezza in esame;
  11. l) se sia prevista la possibilità dell’esercizio di poteri sostitutivi del Governo nel caso di riscontrata incapacità di assicurare la tempestiva esecuzione di tali provvedimenti nel territorio di specifiche Regioni;
  12. m) se le riscontrate difficoltà siano dovute a ostacoli applicativi, all’inadeguatezza delle risorse finanziarie, ovvero ad altre ragioni;
  13. n) se siano attualmente allo studio progetti di riforma legislativa, regolamentare od organizzativa per ovviare alle predette difficoltà e rendere complessivamente più efficiente il sistema di esecuzione delle misure di sicurezza applicate dal giudice nei confronti delle persone inferme di mente».

 [35] F. Gualtieri, L’applicazione delle misure di sicurezza detentive e il “malfunzionamento strutturale” del sistema delle REMS, secondo C. Cost., sentenza n. 22 del 2022: un punto di svolta nel percorso di superamento degli ospedali psichiatrici giudiziari disponibile al sito www.giustiziainsieme.it.

[36] Cfr., ex multis, Cfr., ex multis, L. Fornari, Misure di sicurezza e doppio binario, un declino inarrestabile?, in Riv. It. Dir. e Proc. pen., 1993; L. De Marco, Il sistema del doppio binario, cit.; M. Pelissero, Pericolosità sociale e doppio binario. Vecchi e nuovi modelli di incapacitazione, Torino, 2008; V. D’Alessio, La riforma “Orlando” dell’ordinamento penitenziario, in www.ristretti.it, 2017.

[37] L’inciso del Documento finale degli Stati generali sull’esecuzione penale che evidenziava «esigenza di un ripensamento della categoria sostanziale e processuale della pericolosità sociale con valorizzazione dei profili di garanzia e di superamento dei meccanismi giudiziali di stigmatizzazione ed esclusione sociale» non è stato inserito nella delega finale.

[38] M.T. Collica, La delega, cit., p. 7.

[39] Cfr. l. n. 103/2017, in www.gazzettaufficale.it.

[40] Così, M. Ronco, Proposta di riforma sulle misure di sicurezza e sull’imputabilità , in Arch. pen. 3/2011, p. 9. , in nt. 11, l’A: precisa: «Rectius: il fondamento e la disciplina restano affidati a un impianto codicistico risalente a un’era storica e scientifica che può dirsi non passata, ma trapassata».

[41] La relazione completa è disponibile al sito www.giustizia.it.

[42] Cfr. la relazione, cit., p. 190, disponibile al sito www.giustizia.it.

[43] Cfr. art. 47-septies della proposta di modifica al codice penale formulata dalla Commissione, in www.giustizia.it.

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