venerdì, Luglio 26, 2024
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AGCM, istruttoria su Meta e sull’influencer Asia Valente

AGCM, istruttoria su Meta e sull’influencer Asia Valente

A cura di Avv. Nicola Berardi (Comitato Scientifico Assoinfluencer)

L’AGCM ha avviato un procedimento istruttorio nei confronti di Meta e dell’influencer Asia Valente contestando una serie di possibili pratiche commerciali scorrette. Per la content creator, l’attenzione si concentrerebbe sulla mancata riconoscibilità dei contenuti pubblicitari e sulla presenza di follower falsi. Per la piattaforma, invece, gli addebiti riguarderebbero la mancata adozione di misure idonee ad impedire lo svolgimento su Instagram di attività ingannevoli.

  1. L’iniziativa dell’Antitrust

Il procedimento che l’AGCM ha comunicato di aver avviato il 17 novembre 2023 non è il primo in materia di influencer marketing, ma ha alcune caratteristiche che lo distinguono, in parte, dai precedenti.

Dopo due campagne di moral suasion volte a sensibilizzare gli operatori del settore sul rispetto delle norme consumeristiche e dell’obbligo di trasparenza nelle comunicazioni commerciali, l’Antitrust ha all’attivo i procedimenti nei confronti di Alitalia, Alberta Ferretti e numerosi influencer (tra cui Chiara Ferragni, Giulia De Lellis e Chiara Biasi)[1], di Barilla e alcuni micro-influencer per la crema Pan di Stelle[2], nonché di British American Tobacco e alcuni content creator per la sigaretta elettronica Glo[3].

In tutti questi casi, che non hanno mai visto il coinvolgimento delle piattaforme, i procedimenti si sono chiusi senza l’accertamento di infrazioni e con l’accoglimento, da parte dell’Autorità, degli impegni formulati dalle parti con l’obiettivo di evitare il ripetersi delle attività contestate. Nessuna sanzione pecuniaria, quindi, ma un avvertimento sul comportamento da tenere per evitare di imbattersi in nuovi comportamenti illeciti.

I precedenti dell’AGCM hanno creato un vero e proprio vademecum per gli operatori del settore (brand, agenzie e content creator) che, oggi, possono contare su alcuni principi consolidati nella pianificazione e nell’esecuzione delle campagne digital. Agli influencer è richiesto di distinguere i contenuti spontanei da quelli “incentivati” da un terzo, attraverso l’uso di specifici hashtag promozionali e – se esistenti – degli strumenti messi a disposizione dalle piattaforme. Gli inserzionisti, invece, devono informare i content creator di questi obblighi di trasparenza e, in presenza di un accordo formale, devono imporne contrattualmente il rispetto.

Lo storico delle decisioni passate consente, quindi, di svolgere qualche riflessione preliminare sulla posizione dell’influencer Asia Valente e sul percorso che seguirà il procedimento istruttorio dell’AGCM. Più incerto, invece, è il ruolo di Meta poiché, dal tenore delle contestazioni (per il poco che si può cogliere dal comunicato stampa dell’Antitrust[4]), sembrerebbe essere la prima volta che un’Autorità indipendente addebiti al fornitore di una piattaforma l’omessa sorveglianza sulla condotta degli utenti.

  1. Gli addebiti nei confronti di Asia Valente

Secondo l’AGCM, “Asia Valente pubblicherebbe sul canale social foto e video di ristoranti, di spa, di hotel e di altre strutture turistiche, con le quali si ritiene possa intrattenere rapporti commerciali, senza utilizzare alcuna dicitura che evidenzi la natura promozionale di questi contenuti. Inoltre, l’influencer vanterebbe una notevole popolarità basata su un numero consistente di follower, circa 2 milioni, la maggior parte dei quali sembrerebbe non autentica”.

La prima contestazione è la più comune nel settore dell’influencer marketing. Per evitare di imbattersi in ipotesi di pubblicità ingannevole, i content creator sono tenuti a comunicare in maniera chiara, trasparente ed immediata se un contenuto è spontaneo o frutto di un rapporto con il fornitore del bene / servizio rappresentato. È infatti possibile che l’influencer, al pari di qualsiasi altro utente, pubblichi un contenuto relativo ad un albergo in cui ha trascorso una vacanza per il semplice fatto di voler comunicare – spontaneamente – la propria esperienza: in questo caso, la normativa vigente non richiede alcun accorgimento. Ma è anche possibile che il soggiorno nello stesso hotel sia frutto di un accordo commerciale: in questo caso, il Codice del Consumo impone di darne evidenza per evitare che l’utente sia tratto in inganno sulla natura del messaggio.

La prima regolamentazione nazionale di questi scenari risale al 2016, quando l’Istituto di Autodisciplina Pubblicitaria ha approvato la Digital Chartsulla riconoscibilità della comunicazione commerciale diffusa attraverso internet[5]. La Digital Chart non è una norma di legge e non è vincolante per la generalità dei soggetti, essendo parte di un sistema autodisciplinare ad adesione volontaria. Tuttavia, sia per l’autorevolezza dello IAP sia per la riconducibilità dei contenuti della Digital Chart ai principi generali in materia di pratiche commerciali scorrette, le sue regole sono state fatte proprie dagli operatori di settore e richiamate indirettamente anche dall’AGCM.

Il principio fondante della Digital Chart è che “la comunicazione commerciale diffusa attraverso internet, quali che siano le modalità utilizzate, deve rendere manifesta la sua finalità promozionale attraverso idonei accorgimenti”, come i noti hashtag promozionali #adv, #promotedby# o #sponsoredby. Il regolamento dello IAP chiarisce, inoltre, che può esservi comunicazione commerciale anche in assenza del pagamento di un corrispettivo all’influencer, quando vi sia – ad esempio – l’invio di un prodotto gratuito o l’invito ad un evento. In sintesi, l’utente deve essere messo in condizione di comprendere se il contenuto sia o meno spontaneo, a prescindere dall’esistenza di una remunerazione in denaro.

L’addebito formulato dall’AGCM deriva proprio dall’applicazione di questo principio. L’influencer è una personalità pubblica che, attraverso i propri contenuti, può generare un significativo effetto pubblicitario. A fronte dei numerosi post pubblicati da Asia Valente in relazione a ristoranti, alberghi, spa ed altre strutture, l’Autorità vuole verificare se sia stato pagato un prezzo per tali servizi o, al contrario, se vi sia stato uno scambio – del tutto lecito, ma soggetto ad obblighi di trasparenza – con la visibilità offerta da post e stories della content creator. In primo luogo, quindi, l’indagine dell’AGCM si concentrerà sul rapporto tra l’influencer ed i gestori delle varie strutture. In passato, l’AGCM ha archiviato il procedimento nei confronti di un influencer a fronte della dimostrazione che i prodotti rappresentati nei post erano stati acquistati dal content creator e non forniti gratuitamente dal brand: “è emerso che il post in cui è presente una foto ravvicinata di un barattolo della ‘Crema Pan di Stelle’ rientrava tra i contenuti “spontanei” apparsi in rete in seguito al lancio della crema e che il post relativo all’offerta di una fornitura di prodotti della linea ‘Pan di Stelle’, nell’ambito di un contest, era riconducibile ad una iniziativa del solo Sig. Cerrone che ha prodotto la documentazione fiscale relativa all’acquisto dei prodotti ritratti nello stesso messaggio[6].

La contestazione sulla non veridicità dei follower è più complessa e non ha precedenti nelle pronunce dell’AGCM. Per cogliere il (probabile) ragionamento dell’Autorità, è necessario inquadrare i concetti di “pratica commerciale” e “scorrettezza”. Secondo il Codice del Consumo, è una pratica commerciale qualsiasi azione, omissione, condotta o dichiarazione, comunicazione commerciale ivi compresa la pubblicità e la commercializzazione del prodotto, posta in essere da un professionista, in relazione alla promozione, vendita o fornitura di un bene o servizio ai consumatori[7]; ed è “scorretta”, ogni pratica commerciale che sia contraria alla diligenza professionale nonché falsa o idonea a falsare in misura apprezzabile il comportamento economico del consumatore medio[8] (ossia, idonea ad alterare sensibilmente la capacità del consumatore di prendere una decisione consapevole[9]). La finalità di un’iniziativa di influencer marketing è promuovere, presso gli utenti, un prodotto o servizio facendo leva sulla personalità e sulla reputazione del content creator. Sebbene il numero di follower sia solo una delle metriche considerate dagli operatori del mercato, è indubbio che il consumatore medio – in linea generale – possa tendere ad attribuire maggior rilievo al contenuto degli influencer con un maggior seguito, con la conseguenza che una “finta” fan base potrebbe – in astratto – falsare il comportamento economico degli utenti. L’elemento di complessità, per questo frangente, sarà costituito dalla dimostrazione dell’effettiva falsità dei follower, dalla proporzione tra follower veri e falsi, e dalla prova che questa situazione possa aver realmente provocato una situazione di ingannevolezza.

  1. Gli addebiti nei confronti di Meta – Instagram

Quanto al secondo soggetto coinvolto, secondo l’Autorità, Meta “avrebbe omesso di adottare misure idonee a impedire la pubblicazione su Instagram di messaggi potenzialmente ingannevoli”, “non fornirebbe adeguata informazione sull’esistenza e sulle modalità d’uso dello strumento per contrassegnare i contenuti brandizzati né controllerebbe l’effettivo e corretto utilizzo di tale strumento, soprattutto in relazione a contenuti promozionali pubblicati da utenti estremamente popolari, quali gli influencer” e, infine, “non svolgerebbe verifiche in merito all’autenticità delle interazioni sulla propria piattaforma in modo da evitare la raccolta artificiale di ‘mi piace’ e di follower”.

L’inquadramento giuridico della posizione di Meta è decisamente più complesso per almeno tre ragioni: l’esistenza di un quadro normativo articolato, la competenza dell’AGCM ed il ruolo di elevata responsabilizzazione che si vorrebbe attribuire ai fornitori di piattaforme.

L’AGCM ha avviato un’iniziativa per pratica commerciale scorretta ed ha quindi necessariamente individuato, nella comunicazione di apertura del procedimento, una o più norme del Codice del Consumo che ritiene siano state violate. Tuttavia, il quadro normativo di riferimento non si limita alle disposizioni consumeristiche poiché include – da pochi mesi – anche il Digital Services Act[10] che vede, tra i destinatari principali, proprio i fornitori di piattaforme (specialmente quelli “di dimensioni molto grandi”, c.d. Very Large Online Platforms, come Instagram). In continuità con il passato, il DSA chiarisce che ai prestatori di servizi intermediari (inclusi i fornitori di piattaforme online) “non è imposto alcun obbligo generale di sorveglianza sulle informazioni che tali prestatori trasmettono o memorizzano, né di accertare attivamente fatti o circostanze che indichino la presenza di attività illegali[11] e definisce, poi, nel dettaglio, i casi e le modalità con cui tali soggetti sono tenuti ad attivarsi per contrastare i contenuti illegali (ossia, “qualsiasi informazione che, di per sé o in relazione a un’attività, tra cui la vendita di prodotti o la prestazione di servizi, non è conforme al diritto dell’Unione o di qualunque Stato membro conforme con il diritto dell’Unione, indipendentemente dalla natura o dall’oggetto specifico di tale diritto”)[12].

Sarà interessante verificare in che modo l’AGCM riuscirà a coordinare questo assetto normativo con una contestazione che, quantomeno dal tenore del comunicato stampa, sembrerebbe proprio richiedere una verifica – sia a priori sia a posteriori – dei contenuti pubblicati dagli utenti.

Il DSA contiene una disciplina specifica anche per quanto riguarda gli strumenti utili a contrassegnare i contenuti brandizzati, laddove impone ai fornitori di piattaforme online di mettere “a disposizione dei destinatari del servizio una funzionalità che consente di dichiarare se i contenuti che forniscono siano o contengano comunicazioni commerciali[13]. Nel caso di specie, è indubbio che Meta abbia predisposto un sistema di questo tipo. L’AGCM sembrerebbe, però, contestare un’informativa non adeguata sull’uso del meccanismo che ne avrebbe comportato il mancato utilizzo da parte dell’influencer. È in quest’ottica che la condotta omissiva di Meta sarebbe stata ricondotta ad una pratica commerciale scorretta.

Così inquadrato l’elemento normativo, a livello soggettivo il DSA attribuisce al “coordinatore dei servizi digitali”, designato su base nazionale, la competenza per accertare le violazioni del Regolamento ed adottare i provvedimenti conseguenti (tra cui, sanzioni pecuniarie più elevate rispetto a quelle previste per le pratiche commerciali scorrette). In Italia, la scelta del legislatore è ricaduta sull’AGCOM e non sull’AGCM: quest’ultima, pertanto, non può contestare la violazione del Digital Service Act. Ciò non esclude, evidentemente, il potere dell’AGCM di individuare violazioni consumeristiche da parte di soggetti ai quali sia applicabile il DSA. Ma sorgerà, di certo, un dibattito sull’opportunità di contestare una condotta che insiste specificamente su frangenti regolamentati di competenza di una diversa Autorità. Così come ci si chiederà se sarebbe stato più corretto, opportuno o efficiente, che l’AGCM si coordinasse con l’AGCOM per l’invio a Meta di un ordine di contrasto dei contenuti illegali, strumento introdotto dal DSA per intervenire agilmente sulle violazioni del quadro normativo.

  1. Considerazioni conclusive: il ruolo delle piattaforme

Il terzo punto di complessità, nella valutazione della posizione di Meta, ha un respiro più ampio ed incide in maniera trasversale su profili di carattere giuridico, economico e commerciale.

In attesa che l’AGCM concluda le proprie indagini e pubblichi il provvedimento di chiusura del procedimento (unico momento in cui si potranno svolgere delle valutazioni concrete), la sensazione che emerge – dalle poche righe di comunicato stampa – è di un irrigidimento del grado di responsabilizzazione dei gestori di piattaforme online. L’adozione di misure idonee ad impedire la pubblicazione di contenuti ingannevoli (anzi, addirittura “potenzialmente ingannevoli”), lo svolgimento di un controllo sull’effettivo e corretto utilizzo dello strumento di individuazione dei contenuti brandizzati (addirittura differenziato sulla base della “notorietà” dell’utente) ed un controllo capillare delle interazioni avvenute sulla piattaforma volto ad evitare “finti mi piace”, appaiono globalmente in potenziale contrasto con il generale principio – sopra ricordato – secondo cui le piattaforme non sono tenute ad operare alcun controllo attivo.

Il dibattito, tutt’altro che teorico, impatta sui meccanismi di funzionamento del mercato delle piattaforme e sul punto di equilibrio cui si vuole pervenire. Se l’asticella della responsabilità dei fornitori di servizi intermediari (tra cui i gestori di piattaforme) dovesse essere fissata ad un livello troppo alto, il rischio primario è di forzare l’intero settore all’adozione di algoritmi più stringenti (non essendo percorribile una verifica “umana e manuale” di tutti i contenuti pubblicati) che potrebbero limitare non solo le potenzialità commerciali delle piattaforme, ma anche la libertà di espressione degli utenti. Questo dato va coordinato con la giurisprudenza che, più di una volta, in casi di ingiustificata rimozione dei contenuti, ha condannato i gestori delle piattaforme a risarcire il danno subito dagli utenti[14]. Dunque, anche un eccesso di rigidità potrebbe esporre le piattaforme ad un pregiudizio economico, rischiando così di creare un cortocircuito nel funzionamento stesso del settore.

L’entrata in vigore del DSA ha dimostrato che, già oggi, le piattaforme intervengono massicciamente sui contenuti falsi o illegali. Grazie ai dati pubblicati dalla Commissione Europea in tempo reale, è noto che le 16 più grandi piattaforme attive nell’Unione Europea rimuovono, ogni giorno, una media di quasi 10 milioni di contenuti. Meta, ogni giorno, ne rimuove circa 80 mila da Instagram e 800 mila da Facebook, intervenendo sia autonomamente sia a fronte delle segnalazioni degli utenti.

L’AGCM avrà, quindi, il compito (non semplice) di valutare se gli sforzi, gli investimenti e le tecnologie di uno dei maggiori gestori di piattaforme online siano adeguati rispetto al grado di diligenza professionale richiesto dalla normativa vigente. Con la consapevolezza che decisioni di questo tipo generano, non raramente, effetti a cascata sull’intero settore e sugli operatori economici che lo popolano.

[1] AGCM, procedimento PS11270 Aeffe – Alitalia, https://www.agcm.it/dotcmsCustom/tc/2024/6/getDominoAttach?urlStr=192.168.14.10:8080/C12560D000291394/0/E6B624BBD0F6A573C12584150049D1EE/$File/p27787.pdf.

[2] AGCM, procedimento PS11435 Insanity Page – Pubblicità occulta Barilla, https://www.agcm.it/dotcmsCustom/tc/2025/3/getDominoAttach?urlStr=192.168.14.10:8080/C12560D000291394/0/F29799B6815A0C30C125852E003A479E/$File/p28167.pdf.

[3] AGCM, procedimento PS12009 BAT – Pubblicità occulta Glo sui social network, https://www.agcm.it/dotcmsCustom/tc/2026/10/getDominoAttach?urlStr=192.168.14.10:8080/C12560D000291394/0/D3742CF9C999B026C125877200392683/$File/p29837.pdf.

[4] https://www.agcm.it/media/comunicati-stampa/2023/11/PS12653.

[5] https://www.iap.it/codice-e-altre-fonti/regolamenti-autodisciplinari/regolamento-digital-chart/.

[6] AGCM, procedimento PS11435 Insanity Page – Pubblicità occulta Barilla, § 30, https://www.agcm.it/dotcmsCustom/tc/2025/3/getDominoAttach?urlStr=192.168.14.10:8080/C12560D000291394/0/F29799B6815A0C30C125852E003A479E/$File/p28167.pdf.

[7] D.Lgs. 206/2005, art. 18, co. 1, lett. d).

[8] D.Lgs. 206/2005, art. 20, co. 2.

[9] D.Lgs. 206/2005, art. 18, co. 1, lett. e).

[10] Regolamento (UE) 2022/2065.

[11] Regolamento (UE) 2022/2065, art. 8.

[12] Regolamento (UE) 2022/2065, art. 3, co. 1, lett. h).

[13] Regolamento (UE) 2022/2065, art. 26, co. 2.

[14] https://www.agendadigitale.eu/mercati-digitali/i-danni-da-ban-social-per-influencer-e-creator-il-potere-delle-piattaforme-i-casi-italiani-le-nuove-regole-ue/.

Si legga anche LA SPINA, Il copyright e le Instagram stories della top model Emily Ratajkowski, Ius in itinere

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