E se un programma di intelligenza artificiale diventasse stilista o designer?
Può un programma di intelligenza artificiale diventare stilista o designer? Tutti noi conosciamo Jeff Bezos, fondatore di Amazon, ma in pochi sanno fin dove si spingano le sue ambizioni di “dominare” virtualmente tutti i settori del mercato dei beni di consumo, incluso – udite, udite – quello del fashion. Ebbene, quale potrà mai essere il nesso tra il colosso statunitense del commercio elettronico e l’haute couture? Non sono ancora riuscita ad incuriosirvi? E se vi dicessi che, già dal 2017, Amazon sta sviluppando dei sistemi di apprendimento automatico, che potrebbero sostituire stilisti e designers?
Uno degli obiettivi di Bezos è utilizzare la tecnologia per analizzare le ultime tendenze e la reazione dei consumatori di fronte alle stesse [1], acquisendo un netto vantaggio rispetto alle aziende del lusso, forse meno abili nel monitoraggio del gradimento e nell’utilizzo dei social media. Da qualche anno l’imprenditore statunitense ha mostrato la volontà di rafforzare la propria posizione nel settore dell’abbigliamento, ad esempio lanciando servizi come Prime Wardrobe, che consente ai clienti di provare gli abiti prima di acquistarli e di poterli restituire gratuitamente qualora il prodotto non rispecchiasse le aspettative o la sua app Echo Look, che fornisce feedback sugli outfit indossati. Poteva fermarsi qui uno dei visionari più sorprendenti che il mondo abbia mai conosciuto? Assolutamente no. Bezos e i suoi ricercatori – nonchè il suo team che ha sviluppato ciascuno dei suoi progetti di intelligenza artificiale – hanno creato un programma che sfrutta uno strumento di nome GAN [2], grazie al quale è possibile realizzare disegni e modelli di abiti, i quali possono essere concretamente fabbricati dagli esseri umani. Per dirla in altre parole:“the technology was hardly ready to turn out fashion designs that the $1 trillion e-commerce titan could add to its sweeping marketplace site” [3].
Sin dagli esordi del progetto voluto da Amazon, l’accademica e informatica Kavita Bala ci avvertiva [4] che questo interesse nel provare a comprendere come la moda si sviluppa nel mondo, da parte di grandi aziende – come Amazon –, cambierà completamente l’industria del fashion, e non solo, poiché queste nuove tecniche, sviluppate per studiare e seguire le tendenze della moda, potrebbero addirittura fornire una visione diversa e più ampia del comportamento umano [5].
1. “Inventore artificiale” e risvolti giuridici
Il momento in cui programmi di intelligenza artificiale, attraverso sofisticati algoritmi, riusciranno a svolgere le mansioni di stilisti e designers non è ancora giunto [6] ma, qualora esso dovesse arrivare, vi saranno degli aspetti giuridici di cui tenere sicuramente conto. Uno degli interrogativi a cui bisognerà rispondere riguarderà sicuramente l’affascinante materia della proprietà intellettuale e, in particolar modo, la paternità dei diritti legati alle invenzioni create dai programmi di intelligenza artificiale: “Chi ne sarà il titolare?” La risposta a tale primo quesito non sembra creare problemi: sembra chiaro che, qualsiasi creazione avvenga nei laboratori di Amazon, appartenga ad Amazon; ciò si evince dalle disposizioni in materia di occupazione, le quali stabiliscono esplicitamente la titolarità dei diritti di proprietà intellettuale da parte del datore di lavoro (nel caso di specie, del colosso statunitense) su qualsiasi invenzione avvenga da parte dei suoi dipendenti durante il periodo del loro impiego. Per ciò che concerne il nostro ordinamento, un ulteriore riferimento può essere trovato nella lettura del terzo comma dell’articolo 38 del Codice della proprietà industriale [7].
Una seconda, e più interessante, domanda è: “Chi (o cosa) sarà l’effettivo inventore delle creazioni in questione?”
Nel nostro ordinamento, quando si fa specifico riferimento alla complessa rete dei diritti di proprietà intellettuale, si nominano sempre “l’autore”, “il creatore”, “l’inventore”, sostantivi che, per una comune associazione mentale, si è propensi a collegare ad una persona fisica, ad un essere umano. Da qualche tempo, complice la repentina evoluzione tecnologica, ci si sta chiedendo se, a livello legale, il creatore possa coincidere con l’intelligenza artificiale e una prima risposta ci viene offerta dal “caso DABUS”; esso non ha nulla a che fare con il fashion system, ma costituisce un rilevante precedente anche per il mondo della moda.
DABUS, acronimo di “Device for the Autonomous Bootstrapping of Unified Sentience”, è un programma di intelligenza artificiale composto da due reti neurali artificiali [8], simile a quello utilizzato da Amazon. Il dottor Thaler, inventore di DABUS, un anno fa ha depositato due domande di brevetto per altrettante invenzioni create dal programma; esse sono state respinte sia dall’USPTO [9], sia dal corrispettivo europeo, l’EPO [10]. Per il primo caso, il titolo 35 della legge sui brevetti degli Stati Uniti prevede che l’inventore sia una persona fisica ed esistono numerosi altri riferimenti in relazione all’idea dell’inventore-umano, ad esempio l’MPEP [11] definisce la concezione come “the complete performance of the mental part of the inventive act”, interpretazione che verrà ripresa da Robert Bahr, Deputy Commissioner for Patent Examination Policy. Egli, in una decisione pubblicata alla fine di aprile, spiegherà che parole come “mental” o “mind”, all’interno del MPEP, rafforzano l’idea che l’inventore debba essere necessariamente una persona fisica; nella stessa decisione Bahr affermerà che interpreting patent inventors “to encompass machines would contradict the plain reading of the patent statutes that refer to persons and individuals” [12].
Per ciò che riguarda l’EPO, la domanda non soddisferebbe i requisiti formali stabiliti dall’articolo 81 e dalla rule 19 della Convenzione sul Brevetto Europeo [13]. L’articolo 81 stabilisce che la domanda di brevetto deve indicare l’inventore e, se questi sia diverso dal titolare della domanda, andrebbe indicato il titolo giuridico in base al quale quest’ultimo avrebbe acquisito il diritto al brevetto; la rule 19, invece, prescrive che la domanda di brevetto debba indicare nome, cognome e indirizzo dell’inventore. In base a queste due norme, quindi, l’inventore designato in una domanda di brevetto deve essere necessariamente una persona fisica, infatti, afferma l’EPO, “il nome svolge la funzione di individuazione di un soggetto giuridico, cioè un’entità suscettibile di essere titolare di obblighi e diritti ivi inclusi. Tali diritti, in particolare, si individuano nel diritto al brevetto (disponibile) e il diritto di essere riconosciuto autore dell’invenzione (indisponibile)” e, al momento, “non risultano esistere norme giuridiche che attribuiscano alle IA la soggettività giuridica, contrariamente a quanto succede invece agli umani (in quanto tali) o alle persone giuridiche (in base ad una fictio iuris che le assimila in molti aspetti alle persone fisiche), fermo restando che, come abbiamo visto, la rule 19 stabilisce che titolare del diritto ad essere designato inventore del trovato oggetto di un brevetto può essere solo una persona fisica” [14].Per tali ragioni il sistema d’intelligenza artificiale non potrà essere designato inventore, né trasferire a terzi alcun diritto sull’invenzione di cui non può essere titolare. Alle medesime conclusioni dell’USPTO e dell’EPO è giunto anche il corrispondente organismo britannico, l’UKIPO [15].
Queste pronunce sembrano apparentemente eliminare dal novero degli inventori i programmi come DABUS e gli “AI [16] fashion designers” di Amazon, ma in realtà danno spazio ad ulteriori questioni, principalmente di carattere interpretativo, sulla vicenda. Jennifer B. Maisel [17], ad esempio, afferma che la decisione lascia aperta la possibilità di nominare un inventore umano (in connessione con un’invenzione creata da un’intelligenza artificiale), poiché l’USPTO non ha preso alcuna decisione riguardo a chi o cosa abbia effettivamente creato l’invenzione rivendicata nella domanda. L’avvocatessa prosegue spiegando che esistono diversi modi in cui una persona fisica può contribuire all’invenzione creata da un’intelligenza artificiale, ad esempio sviluppando tecniche per ottenere e formattare training data o progettando l’algoritmo utilizzato dal motore dell’intelligenza artificiale [18].
Senza dubbio, attualmente, il ruolo giuridico dell’intelligenza artificiale è ancora limitato, ma sicuramente il quadro normativo vigente è destinato a cambiare in futuro [19] e, con esso, anche il mondo della moda, abituato fino ad ora a protagonisti in carne ed ossa; ciò accadrà soprattutto se “attori” del calibro di Jeff Bezos, interessandosi al settore, creeranno algoritmi sempre più sofisticati in grado di sostituire il contributo umano.
Per ciò che riguarda, invece, il nostro ordinamento, dobbiamo ricordare che la strada sarà lunga e complessa, poiché sicuramente dovrà essere attuata da parte del legislatore un’armonizzazione delle leggi, al fine di adattare la disciplina attuale ai nuovi fenomeni; ricordiamo che quest’ultima, soprattutto per ciò che concerne il mondo della moda e dell’arte, non si limita esclusivamente alle invenzioni e ai brevetti, ma comprende anche norme in materia di diritto d’autore e regole inerenti a disegni e modelli. In conclusione, alcuni, più tradizionalisti, si opporranno all’idea di utilizzare una macchina in sostituzione della sapiente mano umana per creare una forma d’arte come la moda; altri saranno aperti alle innovazioni che le nuove tecnologie avranno da offrire anche nel mondo patinato dell’haute couture. A prescindere da quale posizione si avrà al riguardo, di sicuro qualcosa si sta muovendo e il visionario Jeff Bezos se ne è già reso conto, come dimostra il suo interesse per il mondo del fashion, così apparentemente distante da lui, ma forse meno lontano di quanto si possa immaginare. E allora, considerato che il cambiamento è inarrestabile ed ineludibile, forse è proprio il caso di dirlo:
“Nulla si crea, nulla si distrugge, tutto si trasforma” [20] …
…Stilisti e designers, siete avvisati!
[1] Esistono già retailers lungimiranti, che utilizzano i social per monitorare le ultime tendenze, e startup, come Stitch Fit, che offrono consigli personalizzati in base alle attività e alle preferenze espresse dall’utente sui social media.
[2] Acronimo per Generative Adversarial Network.
[3] https://www.thefashionlaw.com/ai-programs-are-creating-fashion-designs-and-raising-questions-about-who-or-what-is-an-inventor/ .
[4] Per approfondire: https://www.technologyreview.com/2017/08/24/149518/amazon-has-developed-an-ai-fashion-designer/ .
[5] La studiosa e i suoi colleghi, infatti, utilizzano le informazioni raccolte da Instagram come forma di ricerca antropologica.
[6] A tal proposito il professor Tim Oates sottolinea che dovrà passare ancora molto tempo prima che un algoritmo possa inventare un trend fashion; egli afferma che: “People innovate in areas like music, fashion, and cinema. What we haven’t seen is a genuinely new music or fashion style that was generated by a computer and really resonated with people”. https://www.technologyreview.com/2017/08/24/149518/amazon-has-developed-an-ai-fashion-designer/ .
[7] Ricordiamo che tale comma recita: “Salvo patto contrario, la registrazione per disegni e modelli, che siano opera di dipendenti, in quanto tale opera rientri tra le loro mansioni, spetta al datore di lavoro […]”.
[8] La prima rete neurale, partendo da una serie di informazioni, elabora alcuni concetti, mentre la seconda confronta i concetti elaborati dalla prima rete con le informazioni di partenza, estrapolando solo quelli reputati innovativi. .
[9] Acronimo per “United States Patent and Trademark Office”.
[10] Acronimo per “Eurpean Patent Organization”.
[11] Acronimo per “Manual of Patent Examining Procedure”.
[12] Estratto preso sempre da: https://www.thefashionlaw.com/ai-programs-are-creating-fashion-designs-and-raising-questions-about-who-or-what-is-an-inventor/ .
[13] Consultabile su: https://www.epo.org/law-practice/legal-texts/html/epc/2016/e/ma1.html .
[14] Sempre da: .
[15] Acronimo per “Intellectual Property Office of the United Kingdom”.
[16] Acronimo per “Artificial Intelligence”.
[17] Avvocatessa statunitense esperta di diritto della proprietà intellettuale, intelligenza artificiale e nuove tecnologie.
[18] Per l’articolo completo: https://www.ptablaw.com/2020/05/04/uspto-says-ai-machine-cannot-qualify-as-an-inventor/ .
[19] Ricordiamo che le due decisioni dell’EPO sono già state appellate.
[20] Frase di Lavoisier, chimico, biologo, filosofo ed economista francese del Settecento.
Si legga anche LIPARULI, La democratizzazione della moda, Ius in itinere, disponibile al link https://www.iusinitinere.it/la-democratizzazione-della-moda-natura-o-web-29307