Responsabilità da reato degli enti e sequestro preventivo: sì al dissequestro parziale delle somme per consentire il pagamento delle imposte dovute
(Cass. Pen., Sez. VI, 11/04/2022, n. 13936).
1. Il Gip del Tribunale di Roma aveva disposto il sequestro preventivo, a fini di confisca, dei saldi attivi esistenti sui rapporti finanziari e bancari nella titolarità della S. S.r.l., sino alla concorrenza dell’importo di oltre 45 milioni di euro; tali somme, ad avviso dell’accusa, rappresentavano il profitto del reato di traffico di influenze illecite, previsto e punito dall’art. 346 bis c.p.
La società proponeva appello avverso il provvedimento richiamato, chiedendo il parziale dissequestro della somma di euro 16.068.665; ciò in quanto, partendo dal presupposto che le somme oggetto di sequestro sarebbero state comunque sottoposte a tassazione, la società era intenzionata a pagare le imposte dovute, anche per sottrarsi all’applicazione delle gravose sanzioni fiscali previste per gli eventuali mancati versamenti.
Tale adempimento, tuttavia, sarebbe risultato impossibile in assenza dello svincolo parziale delle somme richiesto dalle difese; il Tribunale del Riesame, ciononostante, rigettava l’impugnazione, rilevando come la società avrebbe dovuto pagare i debiti tributari facendo ricorso ad ulteriori e diverse provviste economiche.
Per tali motivi, dunque, la società ha proposto ricorso per cassazione, chiedendo l’annullamento del provvedimento impugnato.
2. La Cassazione accoglie il ricorso proposto nell’interesse della società.
In via preliminare, i Giudici ricordano come la tassazione dei proventi illeciti risulti disciplinata dall’art. 14, comma 4, L. 537/1993, a mente del quale “Nelle categorie di reddito (…) del testo unico delle imposte sui redditi (…) devono intendersi ricompresi, se in esse classificabili, i proventi derivanti da fatti, atti o attività qualificabili come illecito civile, penale o amministrativo se non già sottoposti a sequestro o confisca penale”. La giurisprudenza civile, sul punto, ha più volte ricordato come l’esclusione dei proventi illeciti dalla base imponibile, ove questi ultimi siano sottoposti a sequestro o confisca penale, operi soltanto qualora il provvedimento ablatorio sia intervenuto entro la fine del periodo di imposta cui il provento si riferisce[1].
Il sequestro dei profitti incamerati dalla società, nel caso in esame, sarebbe avvenuto in un periodo di imposta successivo (2021) rispetto a quello in cui tali proventi sarebbero maturati (2020): pertanto, tali somme, seppur illecite, rientrerebbero tra i redditi soggetti a tassazione.
Fatta tale premessa, gli Ermellini ritengono fondato il motivo di ricorso afferente al mancato dissequestro parziale delle somme oggetto della cautela reale.
Nell’affrontare il motivo di ricorso, la Corte esamina i precedenti di legittimità inerenti alla responsabilità delle persone fisiche, in ordine alle quali è stato sostenuto come non sia consentito lo svincolo delle somme sequestrate ai fini del pagamento del debito tributario: l’adempimento dello stesso, infatti, a parere della Cassazione, dovrebbe avvenire con moneta diversa[2].
Si rileva, tuttavia, che la stessa disciplina penale tributaria preveda la riduzione della confisca nel caso in cui, medio tempore, venga pagato il debito tributario. Ci si riferisce al meccanismo previsto dall’art. 12 bis, D. Lgs. n. 74/2000, secondo il quale la confisca non opera per la parte che il contribuente si impegni a versare all’Erario, anche in presenza di sequestro.
Pertanto, l’ammontare del sequestro deve subire una riduzione in misura corrispondente ai ratei versati per effetto dell’accordo di cui al richiamato art. 12 bis, poiché, altrimenti, si determinerebbe un’inammissibile duplicazione sanzionatoria[3]. Non sarebbe possibile, invece, un dissequestro funzionale al pagamento delle imposte[4] (dovendosi ricavare, invece, come la riduzione dell’importo sequestrato vada parametrato sugli importi effettivamente versati per effetto della convenzione con il Fisco).
3. Spostandosi, invece, sul terreno della responsabilità da reato degli enti, i Giudici osservano come non sussistano, allo stato, disposizioni che consentano lo svincolo delle somme in sequestro al fine di consentire il pagamento delle imposte maturate sui redditi illeciti; ma d’altro canto, sulla base di un’interpretazione costituzionalmente orientata del principio di proporzionalità, ritiene la Corte che, nel silenzio del legislatore, il dissequestro parziale di tali somme debba essere consentito, al fine di evitare la cessazione definitiva dell’attività dell’ente ancor prima della definizione del procedimento penale.
Tale interpretazione, conforme a Costituzione, si renderebbe necessaria giacchè, altrimenti, il sequestro e la successiva confisca determinerebbero un’esasperata compressione dei diritti costituzionali, quali quelli della libertà di iniziativa economica privata, del diritto di proprietà e del diritto al lavoro, rispettivamente previsti dagli artt. 41, 42 e 4 Cost.
Inoltre, anche un’interpretazione sistematica del compendio normativo previsto dal D. Lgs. 231/2001 legittimerebbe la lettura offerta dai Giudici; infatti, il mancato dissequestro parziale delle somme oggetto del provvedimento ablativo trasformerebbe il sequestro de quo in un’interdizione definitiva dell’attività dell’ente, di cui all’art. 16 del Decreto 231, misura strutturalmente e funzionalmente diversa dalla cautela reale e, peraltro, nemmeno ammessa nei casi di traffico di influenze illecite.
La Corte, nel suffragare l’opinione proposta, ricorda anche la valenza decisiva del principio di proporzionalità, che assolve “ad una funzione strumentale per un’adeguata tutela dei diritti individuali in ambito processuale penale, e ad una funzione finalistica, come parametro per verificare la giustizia della soluzione presa nel caso concreto[5]”.
Sicchè, nell’adottare la misura cautelare reale, il Giudice dovrà evitare che il vincolo reale, alla luce del richiamato bilanciamento tra diritti costituzionalmente garantiti ed in virtù del principio di proporzionalità della misura stessa, si risolva in una sostanziale inibizione dell’attività dell’ente attinto dal sequestro.
“Ritiene, dunque, il Collegio che, in attuazione del principio di proporzionalità della misura cautelare, il giudice possa autorizzare il dissequestro parziale delle somme sottoposte a sequestro preventivo finalizzato alla confisca per consentire all’ente di pagare le imposte dovute sulle medesime quale profitto delle attività illecite, quando l’entità del vincolo reale disposto (…) rischi di determinare, anche in ragione dell’incidenza dell’obbligo tributario, già prima della definizione del processo, la cessazione definitiva dell’esercizio dell’attività dell’ente[6]”.
Tale principio viene però opportunamente precisato nei seguenti termini: “In tali specifici casi lo svincolo parziale delle somme sequestrate deve ritenersi ammesso alla stringente condizione della dimostrazione di un sequestro finalizzato alla confisca che (…) metta in pericolo la operatività corrente e, dunque, la sussistenza stessa del soggetto economico e al solo limitato fine di pagare il debito tributario, con vincolo espresso di destinazione e pagamento in forme controllate[7]”.
Per tali ragioni, dunque, la Corte annulla l’ordinanza con rinvio al Tribunale di Roma, chiedendo al Giudice del rinvio di valutare se sussistano, o meno, le stringenti condizioni per ammettere il dissequestro parziale delle somme, in particolare valutando se il profitto illecito sequestrato concorra alla formazione del reddito imponibile prodotto dalla S. S.r.l. e, in caso di risposta positiva, se l’inadempimento dell’obbligo tributario possa minare la continuità operativa dell’ente.
4. La pronuncia oggetto del presente commento merita senz’altro piena condivisione.
La Corte di Cassazione, pur in assenza di un’esplicita disciplina sul punto, procede ad un ragionamento condotto in applicazione del principio del favor rei, sulla base del fondamentale parametro della proporzionalità della cautela reale ed a fronte di un bilanciamento tra la ratio dell’istituto del sequestro preventivo ed i diritti fondamentali di proprietà e di libertà di iniziativa economica privata, previsti dalla Carta Costituzionale.
In particolare, la motivazione si fa apprezzare poiché, attraverso la richiamata interpretazione, evita che il ricorrente subisca un’inammissibile duplicazione sanzionatoria. Infatti, se non venisse ammesso il dissequestro parziale delle somme assoggettabili a base imponibile, la società non subirebbe soltanto l’ablazione del profitto del reato, ma anche l’ulteriore aggravio sanzionatorio derivante dal mancato adempimento del debito tributario, impossibilitato proprio a causa dell’apprensione, da parte dello Stato, delle somme all’uopo necessarie.
Pertanto, l’opzione interpretativa richiamata appare, oltre che rispettosa del dettato costituzionale e convenzionale, anche logicamente allineata ad una risoluzione pratica del caso sottoposto all’attenzione dei Giudici.
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[1] Ex plurimis, Cass. Civ., Sez. V, 5/11/2019, n. 28375.
[2] Cass. Pen., Sez. III, 12/12/2019, n. 14738.
[3] Cass. Pen., Sez. III, 15/04/2015, n. 20887.
[4] Cass. Pen., Sez. III, 12/12/2019, n. 14738.
[5] Ex multis, Cass. Pen., Sez, VI, 22/09/2020, n. 34265.
[6] Cass. Pen., Sez. VI, 11/04/2022, n. 13936.
[7] Cass. Pen., Sez. VI, 11/04/2022, n. 13936.
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Avvocato penalista, nato nel 1993.
Ha conseguito il Master universitario di secondo livello in Diritto Penale dell’Impresa, presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore, con la votazione di 30/30 e lode, ottenendo altresì il premio indetto dall’Associazione AODV231 destinato ad uno studente del Master distintosi per merito, ex aequo con altro partecipante.
E’ membro dell’Osservatorio Giovani e Open Day dell’Unione delle Camere Penali Italiane ed è responsabile della Commissione Giovani della Camera Penale di Novara.
Frequenta dal 2021 il Corso biennale di tecnica e deontologia dell’avvocato penalista, attivato dalla Camera Penale di Torino.
Si laurea in Giurisprudenza all’Università del Piemonte Orientale con la votazione di 110/110, discutendo una tesi in diritto penale intitolata: “La tormentata vicenda del dolo eventuale: il caso Thyssenkrupp ed altri casi pratici applicativi”.
Durante gli studi universitari ha effettuato un tirocinio di 6 mesi presso la Procura della Repubblica di Novara, partecipando attivamente alle investigazioni ed alle udienze penali a fianco del Pubblico Ministero.
Da Maggio 2018 è Praticante Avvocato presso lo Studio Legale Inghilleri e si occupa esclusivamente di diritto penale. Da Dicembre 2018 è abilitato al patrocinio sostitutivo. Ad Ottobre del 2020 consegue l’abilitazione all’esercizio della professione di Avvocato presso la Corte d’Appello di Torino, riportando voti elevati nelle prove scritte (40-35-35) ed agli orali.
Nel corso della sua attività professionale ha affrontato molte pratiche di rilievo, inerenti in particolar modo i delitti contro la Pubblica Amministrazione, i delitti contro la persona, contro la famiglia e contro il patrimonio, nonchè in tema di reati tributari, reati colposi, reati fallimentari e delitti relativi al DPR n.309/1990. Si è occupato inoltre di importanti procedimenti penali per calunnia e diffamazione. Ha sostenuto numerose e rilevanti udienze penali in completa autonomia.
E’ collaboratore dell’area di Diritto Penale di Ius In Itinere e di All-In Giuridica, ed ha pubblicato un contributo sulla rivista Giurisprudenza Penale . E’altresì autore della sua personale rubrica di approfondimento scientifico, denominata “Articolo 40”, disponibile sul sito della Camera Penale di Novara. Vanta 46 pubblicazioni sulle menzionate riviste e banche dati, tra contributi autorali e note a sentenza.
Indirizzo mail: dario.quaranta40@gmail.com
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