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Risoluzione stragiudiziale delle controversie in materia di lavoro: la conciliazione e l’arbitrato

Le controversie in materia di lavoro e relative, nello specifico, ai rapporti di lavoro, possono trovare risoluzione, com’è noto, attraverso la decisione del giudice del lavoro, sulla base delle regole disposte nella normativa facente capo alla Legge n. 533 del 1973, e quindi alla contestuale riforma del Processo del Lavoro.

Il legislatore, sulla scia del processo di riforma e di una maggiore e concreta tutela concessa dallo Statuto dei Lavoratori (Legge n. 300/1970), ha proseguito con la sopracitata legge sul processo, venendo a compimento quindi la missione che l’ordinamento costituzionale aveva attribuito originariamente al diritto del lavoro, quella di “garantire ai lavoratori percorsi di tutela tesi all’eguaglianza sostanziale”[ 1 ] di cui, naturalmente, all’ art. 3 della Costituzione.

In quest’ottica di ispirazione costituzionale si inseriscono due istituti fondamentali nell’attuale ordinamento giuslavoristico italiano, che sono stati appositamente inseriti al fine di deflazionare il ricorso al giudice del lavoro: la conciliazione e l’arbitrato.

Le controversie in materia di rapporto individuale di lavoro possono risolversi quindi, oltre che attraverso la decisione del giudice del lavoro, anche attraverso i due istituti sopra enunciati, i quali presentano entrambi delle peculiarità valevoli di essere concretamente analizzate ed attenzionate.

Venendo alla conciliazione, essa risulta specificatamente contemplata nell’ultimo comma dell’art. 2113 c.c., articolo dedicato ai negozi dispositivi del lavoratore; riprendendo quanto esposto in tale articolo, il legislatore ha stabilito che l’invalidità prevista al comma 1 dell’art. 2113 c.c., per i negozi dispositivi di diritti del lavoratore derivanti da norme inderogabili, non trova applicazione “alla conciliazione intervenuta ai sensi degli artt. 185, 410, 411, 412-ter e 412-quater del codice di procedura civile”. Viene posta in essere, quindi, una situazione mediante la quale il lavoratore subordinato può ricorrere per far valere i propri diritti inerenti al rapporto di lavoro, e cioè in determinate sedi, giudiziali o stragiudiziali, in cui esso è, per il legislatore, adeguatamente assistito da un soggetto “terzo”.

La conciliazione e l’esperienza ad essa associata, appartiene ad esigenze piuttosto antiche nell’ambito del diritto del lavoro, in quanto essa era originariamente collegata all’assenza di un diritto sostanziale di regolazione del rapporto di lavoro.

In tal senso, si ricorda l’importante esperienza proveniente dai collegi probivirali[ 2 ], i quali erano tenuti, prima di decidere secondo equità, a tentare la conciliazione tra le parti.

Negli ultimi anni, però, l’istituto ha avuto sempre maggiore rilievo soprattutto in ambito sindacale, quale imponente strumento di gestione del conflitto collettivo (contenuto dal contratto collettivo), ed anche in ambito giudiziario, in quanto la conciliazione è stata fortemente influenzata dalla necessità di dover ridurre il contenzioso dinanzi il giudice del lavoro.

Dal punto di vista storico, le vicende connesse alla conciliazione, soprattutto con la finalità di voler deflazionare il contenzioso, segnano il cammino di tale istituto soprattutto a far data dagli anni ’90 in poi.

Dapprima il legislatore ha segnato la tendenza di un tentativo obbligatorio di conciliazione (L. 533/1973) in sede sindacale o amministrativa, identificato come una condizione di procedibilità della domanda giudiziale, poi, con la L. 183/2010, si è tornati su un ambito prettamente facoltativo riferente al ricorso alla conciliazione, facendo (di fatto) perdere l’originaria ratio di tale importante istituto.

Allo stato attuale, la conciliazione è condizione di procedibilità solo per l’atto di certificazione ex art. 80, d.Lgs. 276/2003[ 3 ]; per ciò che concerne i lavoratori non assunti con il contratto a tutele crescenti (CATUC), nella sola ipotesi di licenziamento per giustificato motivo oggettivo disposto dal datore di lavoro avente i requisiti dimensionali di cui all’art. 18, co. 4, legge n. 300/1970[ 4 ], e l’inosservanza di tali requisiti incide solamente sull’inefficacia del licenziamento e sul successivo regime sanzionatorio.

Andando alla disciplina della conciliazione, essa può essere giudiziale o stragiudiziale. La conciliazione giudiziale avviene nel corso del processo; in tal caso, il giudice del lavoro è tenuto a tentare la possibilità di ricorrere preventivamente all’istituto in esame, formulando una propria proposta (art. 420 c.p.c.). Il rifiuto delle parti di ricorrere alla conciliazione, naturalmente senza la presenza di un giustificato motivo, può costituire comportamento valutabile dallo stesso giudice per il giudizio nel processo; diversamente, se la proposta ha buon fine (le parti accettano la conciliazione e se essa ha buon fine), il relativo verbale acquisisce efficacia a titolo esecutivo.

La conciliazione stragiudiziale avviene in sede amministrativa; l’art. 410 c.p.c. la contempla dinanzi alla Commissione di conciliazione istituita presso l’Ispettorato Territoriale del Lavoro competente, secondo l’iter che viene previsto dalla legge n. 183/2010, la quale ha ridefinito la disciplina in materia, con un sensibile aumento della burocratizzazione della procedura, con la particolarità di averne disincentivato il ricorso. In ogni caso, pur se le parti disconoscono la possibilità di ricorso a tale tipologia di conciliazione, tale comportamento è sensibile di valutazione del giudice in sede di processo.

Tra le varie tipologie di conciliazione, senza dubbio di rilevanza è la conciliazione monocratica, prevista dall’art. 11, D.Lgs. n.124/2004, la quale è condotta dal personale ispettivo nell’ambito, appunto, dell’intervento ispettivo o di vigilanza.

Tale tipologia di conciliazione opera nel caso in cui l’inadempimento del datore è di tipo civile o amministrativo, e riguarda nello specifico, diritti patrimoniali del lavoratore ovvero crediti di lavoro derivanti dal mancato rispetto degli obblighi retributivi e contributivi. La conciliazione monocratica può essere contestuale, quando viene attivata dall’ispettore previo consenso delle parti nel corso dell’espletamento di un accesso ispettivo, oppure può essere preventiva, cioè quanto l’ITL riceve una richiesta di intervento da parte del lavoratore o dell’organizzazione sindacale che lo rappresenta[ 5].

Si evince un’importante tendenza del legislatore, mediante le sue attività amministrative, di voler incentivare il ricorso alla conciliazione, pur se nella realtà tali tentativi non sono positivamente accolti dalle parti, sia lavoratore che datore di lavoro.

La conciliazione, in ogni caso, può aversi anche in sede sindacale, secondo le modalità previste dai contratti collettivi “sottoscritti dalle associazioni sindacali maggiormente rappresentative”[ 6 ].

Una volta esperito il tentativo di conciliazione stragiudiziale, si redige il verbale, che il giudice, una volta accertata la sua regolarità formale, dichiara esecutivo con decreto, secondo quanto previsto dall’art. 411, co. 1 e 3, c.p.c., e per la conciliazione monocratica secondo quanto disposto dall’art. 11 co. 3-bis, Legge n. 124/2004.

Un istituto, quindi, ampliamente disciplinato dal legislatore, dagli evidenti vantaggi e che esprime la necessità di conciliare le controversie in materia di lavoro, controversie anche non di poco conto.

Non solo, uno strumento valido ed alternativo alla via giudiziaria, veloce ed affidabile, che però dall’altro verso genera alcune perplessità, in quanto finisce per accrescere la disponibilità dei diritti del lavoratore, con il contestuale rischio di indebolirne la rete di protezione, soprattutto “nel caso di assistenza di soggetti dalla terzierietà debole”[ 7 ].

Per l’analisi dell’istituto dell’arbitrato, si rimanda alla seconda parte del presente approfondimento.

 

 

[ 1 ] Esposito M., Gaeta L., Zoppoli A., Zoppoli L., Diritto del lavoro e sindacale, edizione 2018.

[ 2 ] La figura dei Probiviri fu istituzionalizzata in Italia con la Legge n. 295 del 15 Giugno 1893, la quale sancì la possibilità per le imprese di istituire dei collegi probivirali per dirimere le controversie interne, soprattutto tra dipendenti e datori di lavoro.

[ 3 ] Art. 31, co. 2, Legge n. 183/2010.

[ 4 ] Il cosiddetto Statuto dei Lavoratori

[ 5] In questo caso l’Ispettore verifica gli elementi per una soluzione conciliativa; in caso positivo, convoca le parti ed effettua un tentativo di conciliazione.

[ 6 ] Art. 412-ter c.p.c.

[ 7 ] Esposito M., Gaeta L., Zoppoli A., Zoppoli L., Diritto del lavoro e sindacale, edizione 2018.

Andrea Polizzese

Praticante Consulente del Lavoro in attesa di abilitazione professionale, appassionato studioso di Diritto del Lavoro e Diritto della Sicurezza Sociale. Laureato Magistrale presso l'Università degli Studi Magna Grecia di Catanzaro, corso di Laurea "Analisi e Gestione dei Sistemi Organizzativi" (Organizzazione e Mutamento Sociale, LM-63).

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