giovedì, Novembre 14, 2024
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#Russexit – La Russia fuori dal Consiglio d’Europa

Nel suo libro The Dawn of Eurasia , Bruno Maçães scrive che la Russia e “I russi hanno forse un palco privilegiato per decodificare le più straordinarie illusioni della globalizzazione grazie alla loro esperienza con l’utopia sovietica”. İnızıo con questa citazione perché è indubbio come, nello scenario europeo e globale, il popolo russo abbia sempre rivendicato una sua posizione peculiare nello scacchiere geopolitico. Questa profonda autoconsapevolezza si è presto tradotta in un autentico orientamento politico e filosofico, l’eurasianismo, che vede la Russia lontana sia dalla cultura europea sia da quella asiatica, con un’identità unica, un tertium genus rispetto al blocco occidentale e a quello orientale. Il recente scoppio del conflitto tra Russia e Ucraina ha evidenziato come la frattura con l’Europa abbia ormai raggiunto livelli non più ricomponibili, con un allontanamento non solo ideologico, ma anche – e soprattutto – politico.

Oltre ai combattimenti sul fronte, si sta parallelamente consumando un altro conflitto: quello tra la Russia (o meglio, le autorità russe) e i suoi stessi abitanti. Le forze di sicurezza, in queste tre settimane, hanno arrestato quasi quindicimila persone che protestavano contro la guerra e contro il governo di Vladimir Putin che, in risposta, ha annunciato nuove limitazioni alla libertà di manifestazione[1]. Poi è arrivata anche la decisione di stringere ancora di più la morsa sui social network e social media – quasi ad eliminare ogni parvenza di libertà di parola: il paese è ora fuori dal circuito del world wide web (rimane attiva solamente la rete nazionale, Runet), i principali social network hanno ormai “staccato la spina” e chi diffonde “fake newson-line sul conflitto in Ucraina rischia fino a 15 anni di carcere[2].

Ciò a cui stiamo assistendo, quindi, è – un ormai inevitabile – scivolamento del paese da “democrazia autoritaria” a vero e proprio regime illiberale. Questione di sfumature, si potrebbe dire, soprattutto se consideriamo che, già prima di queste turbolente settimane, la Russia non brillava in termini di tutela dei diritti fondamentali. Quanto sta accadendo potrebbe però rappresentare un vero e proprio punto di non ritorno per la già fragile democrazia russa.

L’Europa lontana

Cercare di rimanere aggiornati sullo stato di salute della democrazia e del rispetto dello Stato di diritto in Russia, come si può facilmente immaginare, non è semplice, anche in tempo di pace. Ci si affida alle voci (poche e sempre più deboli) degli oppositori, dei media indipendenti (come Meduza, unica emittente ancora non di proprietà statale[3]) e di Amnesty[4]. Ma un ruolo centrale, in questi anni, l’ha avuto anche il Consiglio d’Europa e il sistema di tutela giurisdizionale rappresentato dalla Corte europea dei diritti dell’uomo, che ha continuato a vigilare sulla condotta delle autorità di Mosca.

Con la Convenzione europea dei diritti dell’uomo è nata una sovrastruttura internazionale, di natura politica, istituzionale e giudiziaria, pensata per garantire il rispetto dei diritti fondamentali in tutto il continente e che ha coinvolto anche paesi storicamente separati dalle vicende dell’Europa continentale come le repubbliche caucasiche e, appunto, la Russia. Nel corso del tempo, la Corte europea dei diritti dell’uomo si è ritagliata un ruolo centrale nel garantire standard minimi di tutela dei diritti fondamentali nel continente, cementificando sempre di più la sua posizione nel quadro normativo e giuridico europeo.

Il sistema, però, soffre di un grave problema strutturale: l’intera architettura ha un budget scarsissimo, che non arriva neanche a mezzo miliardo di euro (per intenderci, l’Unione Europea, per il 2022, può contare su un tesoretto superiore ai 170 miliardi di euro)[5] e che si basa interamente sugli emolumenti degli Stati membri, con quote proporzionali in base alla dimensione[6]. Tuttavia, essendo un sistema su base volontaria e non esistendo un sistema di “riscossione” di questi contributi, uno Stato membro può decidere di non pagare la propria quota e utilizzare tale potere come ritorsione per decisioni ritenute ingiuste o come leva politica per “ricattare” il Consiglio (e d’altronde, perché uno Stato dovrebbe voler finanziare, con soldi pubblici, un sistema il cui unico scopo è quello di sanzionarlo?). E il rischio è molto più concreto di quanto non si creda, anche perché, tra i maggiori contribuenti, ci sono anche gli “Stati canaglia” del Consiglio, ossia quelli maggiormente sanzionati dalla Corte di Strasburgo: Italia, Francia, Turchia e, ovviamente, Russia.

La prima spaccatura nei rapporti tra Mosca e Strasburgo si ebbe nel 2014, l’anno dell’invasione della Crimea.

L’Assemblea del Consiglio d’Europa reagì all’aggressione sospendo il diritto di voto alla Russia, che decise, in risposta, di ritirare la propria delegazione, annunciando che non avrebbe più corrisposto la propria quota di partecipazione. La “Guerra Fredda” tra le parti durò fino al 2018, anno in cui l’Assemblea, dichiaratamente in difficoltà economiche[7], modificò le proprie regole procedurali e permise alla Russia di tornare a sedere nell’Assemblea con una propria rappresentanza[8] (al tempo, la BBC segnalò come alcuni membri della delegazione russa fossero soggetti a sanzioni da parte dell’Unione Europea – quando si dice partire con il piede giusto[9]). Resa del Consiglio d’Europa e vittoria per la Russia, che, a conti fatti, a parte qualche j’accuse dagli scranni dell’Assemblea, non subì alcuna concreta ripercussione sul piano internazionale[10].

Nonostante il rientro nei ranghi, gli anni successivi non furono però privi di controversie.

Putin, a fine 2019, propose una riforma della Costituzione russa – poi approvata con referendum nel luglio 2020 – censurata con veemenza dal Consiglio d’Europa e dalla Commissione di Venezia in quanto si proponeva di riaffermare la superiorità delle pronunce della Corte costituzionale russa sulle sentenze rese da tribunali internazionali, minando il principio di supremazia del diritto internazionale, su cui si basa l’esecutorietà delle sentenze della Corte europea dei diritti dell’uomo [“there is no choice to execute or not to execute a Strasbourg court judgment”][11].

Nel gennaio 2021, il Consiglio ha preso di nuovo posizione contro il Cremlino, rilevando un generale peggioramento della situazione nel paese circa la tutela e il rispetto dei diritti umani fondamentali, con riferimento ad alcuni casi particolarmente discussi – tra tutti, l’arresto del leader politico Alexei Navalny – e la condotta delle autorità russe su fronti “caldi” quali la Crimea, la Cecenia, in particolare per l’appoggio a movimenti indipendentisti in Georgia (Ossezia e Abcasia) e Ucraina (Donbass). Il contrasto arrivò a serpeggiare anche tra gli altri membri delle delegazioni: i rappresentanti di Lettonia, Lituania, Estonia e (curiosamente, ma non troppo) Ucraina segnalarono come il dialogo con Mosca fosse diventato pressoché impossibile[12].

La tomba dei diritti

Dati della Corte europea alla mano[13], la Russia è il secondo paese europeo con più condanne all time (3.116, dietro solo alla Turchia, con 3.820), e il primo per numero di giudizi attualmente pendenti – il 24% – e nel 2021 sono stati presentati più di 6.000 ricorsi.

La casistica, come si può immaginare, è – tristemente – ricca e variegata, così come numerosi sono i fronti, interni ed esterni, forieri di gravi violazioni dei diritti umani.

Ce lo raccontano, ad esempio, sentenze come quella sul caso Olisov[14] (violazione dell’art. 3 CEDU per le violenze e gli abusi perpetrati dalle autorità su tre persone arrestate) o come quella sul caso Utvenko Borisov, concluso con una condanna per le drammatiche condizioni di vita dei detenuti nelle carceri del paese[15].

Ma ce lo racconta anche la notoriamente scarsa attenzione delle autorità russe per i diritti delle minoranze e il contrasto ai crimini d’odio[16]: non se la passa sicuramente bene la comunità LGBTQ+[17], spesso accusata di svolgere propaganda eversiva contro i “valori della famiglia tradizionale[18], così come le minoranze religiose, anch’esse spesso dichiarate estremiste e messe all’indice[19] e, infine, gli oppositori politici.

Proprio nei riguardi dell’opposizione, la stretta delle forze di sicurezza del Cremlino si estende non soltanto alle manifestazioni di piazza[20], ma anche al web[21], fino a colpire singoli individui considerati pericolosi per Putin e i suoi boiari: l’ex governatore ed ex Ministro dell’Energia Boris Nemtsov[22], l’agente segreto, poi dissidente politico fuggito in Inghilterra, Aleksandr Litvinenko[23] – avvelenato con il polonio, la giornalista Anna Politkovskaja[24] – uccisa nell’ascensore di casa – e l’attivista per i diritti umani in Cecenia Natalia Estemirova, sulla cui morte la Corte si è recentemente pronunciata evidenziando le lacune delle autorità nelle indagini condotte sul suo omicidio, ad oggi ancora senza un colpevole[25]. La lista sarebbe ancora lunga, ma sarebbe incompleta se non citassi il re dell’opposizione russa, Alexiey Navalny, rispetto alla cui posizione la Corte si è già pronunciata in alcune occasioni[26] e che oggi può “vantare” ben 11 (!) ricorsi pendenti a suo nome davanti ai giudici di Strasburgo[27].

In Russia, insomma, un problema con le autorità e il dissenso effettivamente c’è.

E il problema, come accennato, non riguarda solamente la violazione per se, ma anche la reazione dell’autorità, spesso incapace di accertare le responsabilità dei singoli e di garantire equo ristoro e risarcimento alle vittime; violazioni, dunque, usando la terminologia della Corte, sia sotto il profilo sostanziale sia sotto il profilo procedurale.

La situazione peggiora sui palcoscenici internazionali in cui la Russia gioca un ruolo centrale: la Corte ha spesso censurato le regole di ingaggio e la condotta delle forze di sicurezza russe nel Caucaso del Nord, in Cecenia[28], in Moldavia e Trasnistria[29], ma anche in Georgia[30] e nella stessa Ucraina, ove la Russia, come abbiamo visto, ha cominciato a giocare la sua partita già qualche anno fa, con l’invasione della Crimea. Proprio rispetto alla questione ucraino-crimeana, la Corte, a partire dal 2014, ha ricevuto una serie di ricorsi, individuali e interstatali, relativi a numerose violazioni compiute dalle autorità russe: uccisioni, sparizioni forzate, deportazioni, attacchi ai civili e alle strutture civili, comprese scuole, ospedali e infrastrutture per l’approvvigionamento di acqua, elettricità e gas[31].

Un precedente tragicamente importante, che torna di estrema attualità.

Cosa cambia con la guerra?

Andiamo con ordine.

Il giorno dopo lo scoppio del conflitto, il 25 febbraio, il Consiglio d’Europa ha sospeso i diritti di rappresentanza della Russia, affermando come l’invasione russa abbia rappresentato una grave violazione dei valori e dei principi della Convenzione europea dei diritti dell’uomo[32].

L’iniziale scelta di sospendere la rappresentanza russa –approccio ritenuto da molti eccessivamente “morbido”– ha però un precedente (quello adottato in occasione dell’invasione della Crimea, di cui si è detto prima) ed è stata motivata dall’esigenza di “congelare” i propri rapporti con Mosca, mantenendo così saldo l’assetto istituzionale interno al Consiglio d’Europa: la Russia, pur non partecipando più alle Assemblee, sarebbe infatti comunque rimasta sottoposta agli obblighi derivanti dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo e la Corte avrebbe ancora potuto valutare i ricorsi presentati da cittadini russi o, comunque, presentati nei confronti delle autorità russe[33]. In sostanza, un modo per sanzionare il Cremlino senza però interrompere del tutto i contatti.

Con l’inizio dell’offensiva su larga scala, però, i rapporti si sono presto irrigiditi.

Il 1° marzo, su richiesta del governo ucraino, la Corte ha emesso una misura provvisoria ex art. 39 con cui ha invitato la Russia ad astenersi dal proseguire nella propria azione militare, specialmente contro i civili, condannando gli assalti a “abitazioni, veicoli di soccorso e altri beni di carattere civile specialmente protetti, come le scuole e gli ospedali”, invitando le autorità russe “a provvedere immediatamente alla sicurezza degli stabilimenti sanitari, del personale medico e dei veicoli di soccorso sul territorio attaccato o assediato”. Questo primo provvedimento è stato poi seguito a stretto giro da una seconda misura con cui Strasburgo intimava le autorità russe a garantire corridoi umanitari sicuri per la popolazione, evidenziando la pericolosità della situazione di conflitto per la tutela dei diritti fondamentali, con particolare attenzione a coloro che si trovassero senza cibo, acqua, cure mediche e assistenza nelle zone di guerra[34].

In un successivo comunicato del 10 marzo, il Consiglio d’Europa, chiedendo alle autorità russe di mettere in esecuzione l’ingiunzione della Corte, ha condannato “l’atroce bombardamento” dell’ospedale di Mariupol, paventando, per la prima volta, la possibilità di espellere la delegazione russa.

Espulsione che non si è però realizzata perché, il 15 marzo, il Cremlino – forse anche per evitare lo smacco di essere espulso – ha preso in contropiede le istituzioni europee e ha anticipatamente ritirato la propria delegazione; secondo Mosca “il corso degli eventi è diventato irreversibile” e “la Russia non ha alcuna intenzione di sopportare le azioni sovversive intraprese dall’Occidente[35].

La decisione di abbandonare il Consiglio d’Europa è ben più grave di ordinarie “scaramucce diplomatiche” e apre scenari nuovi in territori politicamente sconosciuti e inesplorati, con conseguenze che superano le mere questioni economiche o di legittimità politica del sistema convenzionale. La questione principale riguarda infatti la tutela dei diritti fondamentali nel paese: senza una risposta politica e giudiziaria da parte delle istituzioni europee, la Russia rischia di diventare un paese ostile non solo per gli ucraini, quale popolo invaso, ma anche per i suoi stessi cittadini.

Attualmente, infatti, la Russia è fuori dal sistema della Convenzione (è stata persino ammainata la bandiera che svettava di fronte alla sede del Consiglio d’Europa a Strasburgo) e anche il giudice neo-eletto, Michail Lobov, insediatosi il 22 gennaio scorso, ha dovuto abbandonare il suo ufficio.

Dal punto di vista giudiziario, dunque, si tratta di un disastro annunciato: i giudizi attualmente pendenti nei confronti della Russia (quasi 18.000) rimarranno sospesi, così come sospesi in un limbo saranno eventuali nuovi ricorsi.

Dal punto di vista politico, la situazione è altrettanto drammatica e, se possibile, ancora più complessa.

Da un lato, c’è il tema del rapporto tra Russia ed Europa: come ben evidenziato da diversi commentatori[36] – e come ho provato a spiegare in questo contributo – l’invasione in Ucraina non è che l’ultimo passo di una storia tragica e travagliata, che conferma come le armi della diplomazia e delle pressioni internazionali si siano spesso rivelate spuntate.

E poi c’è Putin.

Secondo Tatiana Stanoyava, storica e politologa del Carnegie Moscow Center e commentatrice molto richiesta sulla questione russo-ucraina, a Putin “del giudizio dell’estero non importa più nulla[37] – anche se c’è da chiedersi, nell’attuale stato di guerra, quanto venga effettivamente deciso da Putin in persona e quanto dalla corte di oligarchi che lo circonda.

Sul conflitto, molto dipenderà, ad esempio, dal modo in cui proseguiranno i negoziati, da quanto andrà avanti l’offensiva russa, da quanto sarà in grado di resistere l’esercito ucraino e da quale sarà l’evoluzione del conflitto. Molte variabili, poche certezze.

Non c’è dubbio che la gravità e l’efferatezza dei crimini commessi dall’esercito russo rappresentino un turning point cruciale nel percorso di armonizzazione ad un unico consensus internazionale in termini di tutela dei diritti umani. E certamente, segliendo di invadere l’Ucraina, la Russia ha deciso, forse definitivamente, di abbandonare la via europea per abbracciare un nuovo ordine mondiale.

[1] M. Ottaviani, Le urla dal silenzio dell’altra Russia. Arresti e bavaglio ai media, Avvenire, 27 febbraio 2022 ( .

[2] A. Piccirilli, “In carcere fino a 15 anni chi scrive fake news sulla guerra“, Today Mondo, 2 marzo 2022 (https://www.today.it/mondo/carcere-fake-news-russia.html).

[3]The Real Russia, today”, tag-line niente male (https://meduza.io/en).

[4] Che, sul proprio sito, ha una sezione dedicata alla Russia (https://www.amnesty.it/rapporti-annuali/rapporto-2020-2021/europa-e-asia-centrale/russia/).

[5] Dati di OpenBDAP (https://openbdap.mef.gov.it/it/BUE/Scopri).

[6] Ad eccezione di Francia, Italia, Russia, Germania e Regno Unito, c.d. “grandi contribuenti”, che versano una quota fissa (https://www.coe.int/it/web/about-us/budget).

[7] Letteralmente “deep political and financial crisis.”, come si legge nella Risoluzione 2277 (2019), Role and mission of the Parliamentary Assembly: main challenges for the future, Assemblea Parlamentare del Consiglio d’Europa (http://assembly.coe.int/nw/xml/XRef/Xref-XML2HTML-en.asp?fileid=27662&lang=en)

[8] Per un riepilogo della vicenda R. L. Glas, The Assembly’s Row With Russia And Its Repercussions For The Convention System, Strasbourg Observer, 30 ottobre 2017 (https://strasbourgobservers.com/2017/10/30/the-assemblys-row-with-russia-and-its-repercussions-for-the-convention-system/).

[9] Ukraine fury as Russia gets back Council of Europe voting rights, 25 giugno 2019 (https://www.bbc.com/news/world-europe-48755606).

[10] R. L. Glas, Russia Left, Threatened And Won: Its Return To The Assembly Without Sanctions, Strasbourg Observer, 2 luglio 2019 (https://strasbourgobservers.com/2019/07/02/russia-left-threatened-and-has-won-its-return-to-the-assembly-without-sanctions/).

[11] R. L. Glas , They Did It Again: Russia’s Continued Presence In The PACE, Strasbourg Observer, 23 febbraio 2021 (https://strasbourgobservers.com/2021/02/23/they-did-it-again-russias-continued-presence-in-the-pace/), che cita l’Opinione n. 981/2020 della Commissione di Venezia “Opinion on draft amendments to the Constitution (as signed by the President of the Russian Federation on 14 March 2020) related to the execution in the Russian Federation of decisions by the European Court of Human Rights”, 18 giugno 2020 (https://www.venice.coe.int/webforms/documents/?pdf=CDL-AD(2020)009-e).

[12] R. L. Glas , They Did It Again: Russia’s Continued Presence In The PACE, cit.

[13] Rispetto al 2021, il report della Corte è disponibile a questo link: https://www.echr.coe.int/Documents/Stats_analysis_2021_ENG.pdf.

[14] Corte EDU, Olisov e altri c. Russia, ricorsi nn. 10825/09, 12412/14 e 35192/14, sentenza 2 maggio 2017, violazione dell’art. 3 CEDU per le violenze e gli abusi perpetrati dalle autorità su tre persone arrestate.

[15] Senza considerare la pratica, assai diffusa, di tradurre i condannati in strutture a migliaia di chilometri di distanza dalle proprie famiglie, come accaduto in Corte EDU, Tomov e altri c. Russia, ricorsi nn. 18255/10, 63058/10, 10270/11, 73227/11, 56201/13 e 41234/16, sentenza 9 aprile 2019, e Corte EDU, Voynov c. Russia, ricorso n. 39747/10, sentenza 3 luglio 2018.

[16] In risposta ad un report del 2019, in cui gli emissari del Consiglio d’Europa segnalarono timori circa la diffusione di sentimenti omobitransfobici e razzisti, le autorità russe risposero che la Costituzione russa promuove i valori della famiglia tradizionale e che quindi non avrebbero fatto nulla per implementare la propria legislazione nazionale, bollando i suggerimenti dei funzionari europei come “irrilevanti” (si veda il quinto report della Commissione Europea contro il Razzismo e le Discriminazione, ECRI, del 5 marzo 2019, https://rm.coe.int/fifth-report-on-the-russian-federation/1680934a91).

[17] Si veda Corte EDU, Fedotova c. Russia, ricorso n. 73225/01, sentenza 13 aprile 2006, di cui ho parlato in F. Tumminello, CEDU e matrimoni omosessuali: love is (not) love?, Ius in itinere, 22 ottobre 2021 (https://www.iusinitinere.it/cedu-e-matrimoni-omosessuali-love-is-not-love-40230).

[18] Corte EDU, Bayev e altri c. Russia, ricorsi nn. 67667/09, 44092/12 e 56717/12, sentenza 20 giugno 2017, in cui la Corte ha rilevato violazione dell’art. 10 CEDU a causa della repressione attuata dalle autorità russe nei confronti della c.d. “propaganda LGBTQ”.

[19] In Corte EDU, Testimoni di Geova di Mosca e altri c. Russia, ricorso n. 302/02, sentenza 10 giugno 2010 (ex multis) la condanna è stata motivata dal rifiuto, ingiustificato, delle autorità di riconoscere l’esistenza di un gruppo affiliato ai Testimoni di Geova.

[20] Nota alle cronache è la repressione nei confronti di alcuni movimenti femministi come le Pussy Riot (si veda Corte EDU, Mariya Alekhina e altri c. Russia, ricorso n. 38004/12, sentenza 7 luglio 2018) e movimenti legati al mondo LGBTQ+ (Corte EDU, Berkman c. Russia, ricorso n. 46712/15, sentenza 1° dicembre 2020).

[21] Come ad esempio una serie di sentenze “gemelle” pubblicate dalla Corte lo scorso 23 giugno 2020, ossia Corte EDU, Vladimir Kharitonov c. Russia, ricorso n.  10795/14, Corte EDU, OOO Flavus e altri c. Russia, ricorsi nn. 12468/15, 23489/15 e 19074/16, Corte EDU, Bulgakov c. Russia, ricorso n. 20159/15 e Corte EDU, Engels c. Russia, ricorso n. 61919/16.

[22] Corte EDU, Nemtsov c. Russia, ricorso n. 1774/11, sentenza 31 luglio 2014.

[23] Corte EDU, Carter c. Russia, ricorso n. 20914/07, sentenza 21 settembre 2021.

[24] Corte EDU, Mazepa e altri c. Russia, ricorso n. 15086/07, sentenza 17 luglio 2018.

[25] Corte EDU, Estemirova c. Russia, ricorso n. 42705/11, sentenza 30 agosto 2021, (Si veda C. Klocker, Estemırova V. Russıa: a Mıssed Opportunıty for the Protectıon of Human Rıghts Defenders, Strasbourg Observer, 8 ottobre 2021, https://strasbourgobservers.com/2021/10/08/estemirova-v-russia-a-missed-opportunity-for-the-protection-of-human-rights-defenders/).

[26] In Corte EDU, Navalnyy e Gunko c. Russia, ricorso n. 75186/12, sentenza 10 novembre 2020 (violazione dell’art. 3 CEDU per le modalità di arresto durante una manifestazione) e in Corte EDU, Navalnyy c. Russia, ricorsi nn. 29580/12, 36847/12, 11252/13, 12317/13 e 43746/14, sentenza 15 novembre 2018, di cui avevo parlato qui F. Tumminello, Giustizia per Navalny: la Corte EDU condanna la Russia, Ius in itinere, 19 novembre 2018 (https://www.iusinitinere.it/giustizia-per-navalny-la-corte-edu-condanna-la-russia-15306).

[27] Per l’elenco completo si veda https://www.echr.coe.int/Documents/CP_Russia_ENG.pdf, pag. 33.

[28] In Corte EDU, Isayeva c. Russia, ricorso n. 57950/00, sentenza 24 febbraio 2005, con condanna per il bombardamento della città di Katyr-Yurt, ma anche in Corte EDU, Aslakhanova e altri c. Russia, ricorsi nn. 2944/06, 8300/07, 50184/07, 332/08 e 42509/10, sentenza 18 dicembre 2012, sulle sparizioni forzate di civili accusate di collaborazionismo con le milizie locali.

[29] Dove, oltre alle violenze sui civili ben evidenziate in Corte EDU, Ilaşcu e altri c. Russia e Moldavia, 48787/99, sentenza 8 luglio 2004, anche dalle c.d. “forze di peace-keeping” russe (Corte EDU, Pisari c. Russia e Moldavia, ricorso n. 42139/2012, sentenza 21 aprile 2015) le autorità russe hanno messo in atto un vero e proprio piano di cancellazione della cultura locale di origine moldava (Corte EDU, Iovcev e altri c. Russia e Moldavia, ricorso n. 40942/2014, sentenza 17 settembre 2019).

[30] Questione rispetto alla quale sono anche stati presentati ricorsi interstatali Corte EDU, Georgia c. Russia (I), ricorso n. 13255/07, e Georgia c. Russia (III), (https://hudoc.echr.coe.int/eng-press?i=003-4811514-5865358) relativi a uccisioni, sparizioni forzate e arresti nel paese occupato dalle forze di sicurezza russe; oltre ai ricorsi interstatali si segnalano anche Corte EDU, Berdzenishvili e altri c. Russia, ricorsi nn. 14594/07, 14597/07, 14976/07, 14978/07, 15221/07, 16369/07 e 16706/07, sentenza 26 marzo 2019, oltre al noto caso Corte EDU, Tagayeva e altri c. Russia, ricorsi nn. 26562/07, 14755/08, 49339/08, 49380/08, 51313/08, 21294/11 e  37096/11, sentenza 13 aprile 2017, relativo alle violazioni commesse dalle autorità russe nell’eseguire un intervento armato contro dei terroristi nel Beslan.

[31] Corte EDU, Ucraina c. Russia (re Crimea), ricorsi nn. 20958/14 e 38334/18, scaricabile qui https://hudoc.echr.coe.int/eng-press#{%22itemid%22:[%22003-6904972-9271650%22]}), ma anche Corte EDU, Russia c. Ucraina, ricorso n. 36958/21, e Corte EDU, Ucraina e Paesi Bassi c. Russia, ricorsi nn. 8019/16, 43800/14 e 28525/20 (per l’elenco completo si veda https://www.echr.coe.int/Documents/CP_Russia_ENG.pdf, p. 32.

[32]The decision of the Council of Europe of 25 February to suspend the Russian Federation’s right to representation was taken because its invasion of Ukraine goes against everything we stand for and is a violation of our statute and of the European Convention on Human Rights” (https://www.coe.int/en/web/portal/war-in-ukraine), https://rm.coe.int/2022-cm-resolution-1/1680a5b463.

[33] Come evidenziato da G. Raimondi in “La Federazione russa annuncia il suo ritiro dal Consiglio d’Europa. Quali effetti sul sistema europeo di tutela dei diritti umani?”, Giustizia Insieme, 14 marzo 2022.

[34] G. Raimondi, Ibid.

[35] La Russia lascia il Consiglio d’Europa, ANSA, 10 marzo 2022 (https://www.ansa.it/sito/notizie/mondo/2022/03/10/ucraina-la-russia-lascia-il-consiglio-deuropa-_62cc18fa-ab9f-45e5-b0dd-9042fa9e46b1.html).

[36] P. Leach, A Time Of Reckoning? Russia And The Council Of Europe, Strasbourg Observer, 17 marzo 2022 (https://strasbourgobservers.com/2022/03/17/a-time-of-reckoning-russia-and-the-council-of-europe/).

[37] Così in M. B. Bagnoli, “Modello Putin”, People, 2021, p. 407.

Fabio Tumminello

30 anni, attualmente attivo nel ramo assicurativo, abilitato all'esercizio della professione forense, laureato in giurisprudenza presso l'Università degli Studi di Torino con tesi sulla responsabilità medico-sanitaria nella giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell'uomo e vincitore del Premio Sperduti 2017. Vice-responsabile della sezione di diritto internazionale di Ius in itinere, con particolare interesse per diritto internazionale, diritti umani e diritto dell'Unione Europea. Già autore per M.S.O.I. ThePost e per il periodico giuridico Nomodos - Il Cantore delle Leggi, ha collaborato alla stesura di una raccolta di sentenze ed opinioni del Giudice della Corte europea dei diritti dell'uomo Paulo Pinto de Albuquerque ("I diritti umani in una prospettiva europea. Opinioni dissenzienti e concorrenti 2016 - 2020").

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