martedì, Ottobre 8, 2024
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Sanzioni agli stati che violano la rule of law (parte II): le altre istituzioni UE sulla proposta della Commissione

Premessa: questo contributo costituisce la conclusione del tema presentato nel precedente articolo[1]. Attualmente, all’interno di alcuni Paesi europei si registrano dei veri e propri “movimenti legislativi” che minano alla base il rispetto della rule of law, così come delinata nei Trattati europei. Le soluzioni avanzate sono molte; fra queste vi è una Proposta di Regolamento della Commissione europea che vorrebbe legare la sospensione dei fondi europei al mancato rispetto della rule of law. Di seguito si darà conto dell’attività svolta dalle altre istituzioni europee rispetto a questa Proposta di Regolamento, nel quadro della procedura legislativa ordinaria.

Il Parere della Corte dei Conti dell’Unione e la Posizione del Parlamento europeo

Sul tema, la Corte dei conti dell’Unione Europea ha adottato un Parere[2] sulla Proposta di Regolamento della Commissione[3] nel quale ha dichiarato di “accoglie[re] favorevolmente l’obiettivo dell’iniziativa legislativa della Commissione di tutelare il bilancio dell’Unione”. Ciononostante, l’istituzione non ha mancato di rilevare che alcuni punti fondamentali siano stati formulati in modo impreciso, con il rischio di attribuire un potere eccessivamente discrezionale alla Commissione europea. In particolare, si sottolinea che la mancanza di criteri specifici per l’adozione delle decisioni e il voto a maggioranza qualificata inversa del Consiglio conferiscono grande discrezionalità alla Commissione: per questo motivo, la Corte dei Conti afferma che “specificare più esplicitamente le fonti di riferimento potrebbe migliorare la trasparenza, la tracciabilità e la controllabilità del meccanismo proposto nonché la certezza giuridica e la non arbitrarietà dei poteri esecutivi proposti da conferire alla Commissione”.

Questa Raccomandazione (n. 1) è stata tenuta in considerazione dal Parlamento europeo in sede di formulazione della propria Posizione[4]: rispetto all’art. 5 par. 2 della Proposta che si limita a ricorrere ad un linguaggio generico (“la Commissione può tener conto di tutte le informazioni pertinenti (…)” nel decidere se comminare o meno una violazione) si contrappongono gli emendamenti 52 e 45 che, rispettivamente, descrivono un novero più preciso di fonti dalle quali trarre il convincimento che lo Stato sta violando la rule of law[5] e che introducono la figura del gruppo di esperti indipendenti”. Questo panel dovrebbe essere composto da soggetti scelti dai parlamenti nazionali e da quello europeo, con la possibile partecipazione di osservatori provenienti, per esempio, dagli organismi del Consiglio d’Europa e dall’ONU. L’obiettivo è quello di “sostenere la Commissione nell’identificazione delle carenze generalizzate riguardanti lo Stato di diritto” attraverso report annuali dei risultati ottenuti dalla loro analisi e la redazione di pareri su determinate carenze generalizzate. Questi ultimi saranno tenuti in considerazione dalla Commissione stessa al fine di decidere se la carenza sia o meno assodata.

Il novero di parametri risulta certamente più dettagliato grazie all’emendamento del Parlamento, in particolare il n. 32, recante una definizione più precisa di “carenza generalizzata dello Stato di diritto”, ma il nodo ancora non è sciolto: non vi sono dati oggettivi, concretamente misurabili, quanto piuttosto una serie di elementi e criteri che devono comunque essere interpretati. Il gruppo di esperti indipendenti potrà fornire la propria opinione, ma sembra che l’obiettivo di limitare la discrezionalità della Commissione sia ancora lontano dal suo raggiungimento: i parametri per decidere se sussista o meno una carenza generalizzata nel rispetto dello Stato di diritto non sono oggettivi (e di conseguenza non è agevole il sindacato su tale accertamento) e i pareri del panel, per quanto autorevoli, non sono vincolanti, sicché la Commissione vede la propria discrezionalità solo scalfita.

Un’altra raccomandazione che ha come obiettivo la limitazione della discrezionalità della Commissione è la n. 2, che invita gli organi legislativi a specificare la base giuridica per disciplinare i termini stabiliti a favore dello Stato che deve fornire le informazioni richieste, ma anche per imporre dei limiti temporali precisi alla Commissione per svolgere la propria attività, soprattutto quella di revoca delle misure dal momento che la formulazione originaria non è affatto dettagliata: all’art. 5, par. 4, il termine dato allo Stato per presentare le proprie informazioni e osservazioni è stabilito dalla Commissione, anche se non può essere inferiore a 1 mese dalla notifica della conclusione[6]; mentre tutte le altre fasi dell’iter sono lasciate alla volontà e ai tempi della Commissione. Trattandosi di misure che possono comportare gravi conseguenze per i bilanci degli Stati destinatari, e più in generale anche degli altri Stati membri, non appare fruttuoso punire in modo così duro, facendo passare troppo tempo dalla violazione che giustifica la sanzione: si tratta di una questione di credibilità sia delle istituzioni europee sia delle misure in sé.

La mancanza di termini prestabiliti è problematica per altri due ordini di ragioni: in primo luogo, l’incertezza sull’effettiva adozione della misura pone sugli Stati una vera e propria “spada di Damocle” che rischia di andare a detrimento di tutto il sistema economico nazionale, che potrebbe cadere in uno stato di stallo (almeno sotto il profilo delle opere finanziate in tutto o in parte dai fondi SIE). In secondo luogo, l’assenza di regole oggettive potrebbe consentire alla Commissione di trattare in modo diverso, rectius discriminatorio, i diversi Stati nei quali di volta in volta si individuano carenze generalizzate dello Stato di diritto. Tale scelta sarebbe in aperto contrasto con il principio di eguaglianza degli Stati dinanzi ai Trattati previsto dall’art. 4, par. 2, TUE[7]. Allo stato attuale, l’obiettivo è stato solo parzialmente raggiunto dalla Posizione del Parlamento, in cui si prevede come sia la Commissione ad assegnare un termine fra uno e tre mesi allo Stato per presentare le proprie osservazioni e le informazioni richieste, salvo concedere alla Commissione di dare seguito alla procedura “entro un termine indicativo di un mese e, in ogni caso, entro un termine ragionevole dalla data in cui ha ricevuto dette informazioni”[8].

È discutibile anche il silenzio della Proposta sul destino dei pagamenti ai destinatari o beneficiari finali dei fondi la cui erogazione viene sostanzialmente sospesa: la questione viene liquidata dall’art. 4 par. 2 in modo frettoloso, che non individua veri strumenti per far sì che a patire le conseguenze della violazione della rule of law sia lo Stato interessato e non i suoi cittadini. Questa critica è stata mossa dalla Corte dei conti UE nella Raccomandazione n. 3 nella quale si sottolinea come, se non vi fosse alcuna modifica alla Proposta, “ciò imporrebbe allo Stato membro interessato di subentrare e pagare o di garantire altrimenti il finanziamento dei progetti o dei programmi” (§§26-28). La questione non è meramente teorica: anche alla luce del dettato dell’art. 7, par. 3, TUE – secondo cui “nell’agire (…), il Consiglio tiene conto delle possibili conseguenze di una siffatta sospensione sui diritti e sugli obblighi delle persone fisiche e giuridiche” –, occorre ricordare che la pressione va esercitata sullo Stato e non sulla sua popolazione, la quale potrebbe già trovarsi in una situazione peggiore rispetto a quella di altri Stati membri ed essere ulteriormente “lasciata indietro”. In questo frangente, il dilemma morale della necessità di aiutare chi ha più bisogno si fonde con la necessità di non accrescere il sentimento anti-europeista di questa popolazione, fornendo un involontario aiuto proprio a quel governo che ci si era prefissati di riavvicinare ai valori dell’Unione. Per limitare i danni inflitti ai beneficiari finali dei fondi sono state avanzate dalla dottrina più soluzioni: di particolare interesse è quella che propone di costituire un’agenzia europea ad hoc, che potrebbe occuparsi della gestione e del controllo della parte dei fondi SIE sospesi. Questa operazione eviterebbe la penalizzazione dei beneficiari o destinatari finali dei fondi medesimi, soprattutto se appartenenti a gruppi particolari che potrebbero risultare particolarmente danneggiati (es. soggetti con disabilità). Inoltre, questo aiuterebbe la causa dell’Unione sotto due profili ulteriori: da una parte, si potrebbe mostrare in modo inequivocabile l’origine euro-unitaria dei finanziamenti che hanno consentito la realizzazione di determinati progetti, dall’altra parte, si potrebbe indebolire il governo centrale e la sua eventuale rete di corruzione e benefits garantendo, tramite l’azione diretta, una più equa distribuzione dei contratti[9].

È da sottolineare che la soluzione scelta dal Parlamento nella propria Posizione[10] è diversa rispetto a queste proposte e “gioca” tutta su regole contabili, ossia sul recupero di pagamenti effettuati e sulla riduzione del sostegno a programmi. Le somme “risparmiate” confluiscono in riserve disponibili a beneficio di chi ha diritto ai pagamenti, anche se rimangono dubbi sul come garantire questi pagamenti, ragione per la quale è auspicabile che la soluzione prospettata venga riconsiderata.

Un’iniziativa di particolare interesse, che testimonia l’attenzione da parte del Parlamento verso i cittadini europei (e non) che potrebbero essere danneggiati dall’adozione della misura si trova all’emendamento 49: la Commissione informa, attraverso siti web o portali Internet, i beneficiari o destinatari finali dei fondi a proposito degli obblighi che continuano a gravare sugli Stati membri, in modo che possano effettivamente beneficiare dei fondi stanziati. Sullo stesso sito vi sono alcuni strumenti che consentono di informare direttamente la Commissione qualora lo Stato dovesse violare questi obblighi, anche perché sarebbe un controsenso affidare i cittadini alle autorità giudiziarie nazionali per “ottenere giustizia”, quando nel sistema-Stato non si rispetta la rule of law (ciò a condizione che la carenza generalizzata riguardi la magistratura, poiché, in caso contrario nulla osta, evidentemente, alla possibilità di rivolgersi direttamente al proprio giudice nazionale).

Un altro aspetto problematico è la mancata previsione della possibilità di avviare d’ufficio la procedura di revoca delle misure prevista dall’art. 6. Inserire questa ulteriore possibilità potrebbe rappresentare un concreto aiuto, da parte dell’Unione, per quegli Stati che si trovano in una delicata fase di transizione verso il ritorno al rispetto dello Stato di diritto: una pronta iniezione di fondi può dimostrare, non solo ai cittadini dello Stato sanzionato, che la strada intrapresa è quella giusta.

L’ultima modifica da notare è inserita negli emendamenti nn. 57-58, con i quali il Parlamento europeo, a dispetto del ruolo subalterno riservatogli dall’art. 7 Proposta, rivendica un proprio ruolo nella procedura di adozione della misura di sospensione dei fondi[11]. Questa scelta ha una ragionevolezza sotto il profilo istituzionale: poiché queste misure coinvolgeranno i cittadini europei (o comunque i soggetti coinvolti lo saranno nella maggior parte dei casi), non appare opportuno estromettere il Parlamento europeo, l’istituzione direttamente eletta dai cittadini europei, dall’iter che conduce potenzialmente alla misura, relegandolo ad un semplice spettatore informato.

Il parere del Servizio giuridico del Consiglio dell’Unione europea[12]

Un’altra posizione di scetticismo rispetto all’opportunità, e prima ancora la legittimità, della Proposta arriva dal Servizio giuridico del Consiglio dell’Unione Europea. In particolare, questo fa notare che alla Commissione non è impedito in radice condizionare l’erogazione dei fondi, il problema risiede semmai nel rischio di sovrapposizione con le previsioni dell’art. 7 TUE che, a parere del Servizio medesimo, è lex specialis dell’art. 2 TUE. In questo caso, lex specialis vuol dire che l’art. 7 TUE è ritenuto l’unico meccanismo utilizzabile per garantire il rispetto dei valori di cui all’art. 2 TUE, essendo questo un sistema completo e autosufficiente, che non necessita di alcun ampliamento (che potrebbe essere interpretato come una modifica surrettizia dello stesso art. 7 TUE). Questa posizione, così netta, che ammette la possibilità di usare le condizionalità, ma non per le finalità che sono già perseguite dall’art. 7 TUE, ossia garantire il rispetto dei valori dell’Unione, è però suscettibile di critica sotto due profili distinti.

In primo luogo, la procedura dell’art. 7 TUE non è unica, ma duplice: una in chiave “preventiva” al paragrafo 1 e una in chiave “sanzionatoria” al paragrafo 2, quando la violazione si è ormai concretizzata. In secondo luogo, si ritiene essere errato considerare l’art. 7 l’unico strumento di garanzia dei valori: non è corretto affidare il ruolo di “guardiano” di questi ad una sola previsione[13], che peraltro ha mostrato tutti i suoi limiti applicativi[14].

Più correttamente, tutte le istituzioni europee devono contribuire nella reazione alla minaccia posta in essere da alcuni Stati membri. Quanto appena affermato è fortemente criticato dal Servizio giuridico del Consiglio, che, anche in occasione della istituzione del Quadro sulla rule of law della Commissione nel 2014, non aveva mancato di sottolineare il carattere esclusivo dell’art. 7 nell’ambito della protezione dei valori dell’Unione.

Inoltre, il Servizio giuridico dubita della vera finalità della Proposta, che, solo apparentemente, proteggerebbe il bilancio dell’Unione: la Commissione non dimostra sufficientemente il legame fra il rispetto dello Stato di diritto e “una efficiente esecuzione del bilancio dell’Unione, la tutela degli interessi finanziari dell’Unione e il rispetto del principio di buona gestione finanziaria” (§27 del parere). Di conseguenza la sospensione dei fondi potrebbe coincidere con la violazione dello Stato di diritto, ma non necessariamente.

Si intravede la volontà del Consiglio di non fare una scelta “di campo”, anzi di rimettere la questione ai singoli Stati, ma così facendo l’unico risultato che ci si può aspettare è quello di ostacolare le iniziative delle altre istituzioni dell’Unione in materia di salvaguardia dei valori fondanti.

In conclusione

Al momento la Proposta di Regolamento è all’esame del Consiglio dell’Unione europea in fase di prima lettura e alcuni Stati si sono già espressi in modo nettamente negativo. Lo strumento della condizionalità non è visto di buon occhio nemmeno dalla stessa Commissione. Non è un mistero che il precedente Presidente della Commissione europea fosse contrario al meccanismo della condizionalità per due ordini di ragioni: da una parte la sospensione dei fondi a danno degli Stati membri più poveri potrebbe spingerli ad avvicinarsi a Stati (extra-UE) che non rispettano il principio democratico o più in generale lo Stato di diritto, ad esempio la Russia e la Cina[15]; dall’altra le decisioni degli Stati contro un loro pari potrebbero mettere a dura prova le relazioni internazionali “avvelenando il continente[16].

Sembra però che la nuova Presidente della Commissione sia di diverso avviso, in particolare ha affermato che “[…] There can be no compromise when it comes to respecting the Rule of Law[17], aggiungendo che “Our objective is to find a solution that protects the rule of law, with cooperation and mutual support, but without ruling out an effective, proportionate and dissuasive response as a last resort[18].

Non resta che attendere il Consiglio per capire quale sarà la sorte della Proposta.


[1] L’articolo cui si fa riferimento è disponibile all’indirizzo https://www.iusinitinere.it/sanzioni-agli-stati-che-violano-la-rule-of-law-la-proposta-della-commissione-europea-25112

[2] Corte dei Conti, Parere n. 1/2018 concernente la proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio, del 2 maggio 2018, sulla tutela del bilancio dell’Unione in caso di carenze generalizzate riguardanti lo Stato di diritto negli Stati membri. Il testo integrale del Parere è disponibile all’indirizzo https://www.eca.europa.eu/it/Pages/DocItem.aspx?did=46669

[3] Commissione europea, Proposta di Regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio sulla tutela del bilancio dell’Unione in caso di carenze generalizzate riguardanti lo Stato di diritto negli Stati membri, COM/2018/324 final – 2018/0136 (COD). Il testo è disponibile all’indirizzo https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/?qid=1572308361023&uri=CELEX:52018PC0324

[4] Parlamento europeo, Risoluzione legislativa del Parlamento europeo del 4 aprile 2019 sulla proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio sulla tutela del bilancio dell’Unione in caso di carenze generalizzate riguardanti lo Stato di diritto negli Stati membri (COM(2018)0324 – C8-0178/2018 – 2018/0136(COD)). Il testo è disponibile all’indirizzo https://eur-lex.europa.eu/legal-content/EN/TXT/?uri=EP:P8_TA(2019)0349

[5] I parametri sono i pareri del panel, le risoluzioni del Parlamento europeo e criteri utilizzati nel contesto dei negoziati di adesione all’Unione, in particolare dei capitoli sull’acquis concernenti il sistema giudiziario e i diritti fondamentali, la giustizia, la libertà e la sicurezza, il controllo finanziario e la tassazione, nonché degli orientamenti utilizzati nel contesto del meccanismo di cooperazione e verifica al fine di monitorare i progressi compiuti da uno Stato membro.

[6] Lo stesso termine è previsto per relationem all’art. 6 il quale, al par. 2, rinvia all’art. 5, par. 4.

[7] L’art. 4, par. 2, TUE recita “2. L’Unione rispetta l’uguaglianza degli Stati membri davanti ai trattati e la loro identità nazionale insita nella loro struttura fondamentale, politica e costituzionale, compreso il sistema delle autonomie locali e regionali. (…)”

[8] Emendamenti 53-54 alla Proposta di Regolamento.

[9] I. Butler, How to safeguard European values through the Multiannual Financial Framework: Two proposals Two proposals to promote and protect European values through the Multiannual Financial Framework: Conditionality of EU funds and a financial instrument to support NGOs, in Civil Liberties Union for Europe, marzo 2018.

[10] Emendamento 50 alla Proposta di Regolamento.

[11] L’emendamento 58 prevede che la proposta di storno verso una riserva di bilancio per un importo pari alla misura possa essere respinta (o approvata con modifiche) o dal Parlamento europeo a maggioranza dei voti espressi o dal Consiglio a maggioranza qualificata. Nella versione iniziale della Proposta solo quest’ultimo aveva il potere di respingere l’iniziativa della Commissione.

[12] Questo sottoparagrafo è una rielaborazione dell’articolo di K. L. Scheppele; L. Pech; R. D. Kelemen, Never Missing an Opportunity to Miss an Opportunity: The Council Legal Service Opinion on the Commission’s EU budget-related rule of law mechanism, in Verfassungsblog, 12 novembre 2018, disponibile all’indirizzo https://verfassungsblog.de/never-missing-an-opportunity-to-miss-an-opportunity-the-council-legal-service-opinion-on-the-commissions-eu-budget-related-rule-of-law-mechanism/

[13] Nell’articolo si usa una metafora interessante: se scoppia un incendio che può distruggere la nostra casa e il vicinato sicuramente potranno intervenire i vigili del fuoco, ma ciò non impedisce a chi ancora prima si accorge del suo scoppio di intervenire onde evitarne la propagazione. Questa metafora può essere riassunta con la locuzione “opzione nucleare”, spesso usata per sottolineare come l’art. 7 TUE sia da considerare una extrema ratio.

[14] Sia concesso fare riferimento al mio precedente articolo: A. Meniconi, “Sanzioni agli Stati che violano la rule of law: la proposta della Commissione europea”, gennaio 2020, disponibile qui: https://www.iusinitinere.it/sanzioni-agli-stati-che-violano-la-rule-of-law-la-proposta-della-commissione-europea-25112

[15] R. D. Kelemen, K. L. Scheppele, How to Stop Funding Autocracy in the EU, in Verfassungsblog, 10 settembre 2018, disponibile all’indirizzo https://verfassungsblog.de/how-to-stop-funding-autocracy-in-the-eu/

[16] J. Selih; I. Bond; C. Dolan, Can EU funds promote the rule of law in Europe?, in Centre for European reform, novembre 2017.

[17] U. von der Leyen, Opening Statement in the European Parliament Plenary Session as delivered, 16 Luglio 2019, Strasburgo.

[18] U. Von der Leyen, A Union that strives for more. My agenda for Europe, par. 4.

Alberto Meniconi

Alberto Meniconi, nato il 24 Agosto 1995 a Prato. Mi sono laureato con lode in Giurisprudenza presso l'Università degli Studi di Firenze, discutendo una tesi in Diritto dell'Unione Europea dal titolo "La protezione civile e gli aiuti umanitari nel diritto dell'Unione Europea. Caso di studio: la risposta europea alla pandemia di Covid-19" (relatrice Prof.ssa Chiara Favilli). Attualmente sono un tirocinante ex art. 73 d.l. 69/2013 (conv. con mod. in l. 98/2013) presso la Corte d'Appello di Firenze - Sezione III Penale. Collaboratore dell'area di diritto internazionale e dell'Unione Europea.

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