lunedì, Dicembre 2, 2024
Labourdì

Somministrazione: la Cassazione recepisce gli orientamenti della Corte di Giustizia Europea

A cura di Nicola Numeroso

 

La Sezione Lavoro della Suprema Corte con ben due recenti decisioni recepisce gli orientamenti della giurisprudenza comunitaria, affermando come in materia di somministrazione il requisito della «temporaneità» riguardi non l’istituto della somministrazione in sé, ma piuttosto la singola missione del lavoratore presso l’utilizzatore.

Dunque, alla luce delle indicazioni della Corte di Giustizia dell’Unione Europea nel caso di reiterato invio mediante più missioni consecutive nel tempo di uno stesso lavoratore presso la medesima impresa utilizzatrice ipotesi di ricorso abusivo all’istituto della somministrazione in base all’articolo 5, comma 5, della direttiva 2008/104 è configurabile solo se la loro durata complessiva sia tale da non poter ragionevolmente qualificarsi temporanea.

Si fa altresì presente che tali indicazioni della Corte di Giustizia Europea trovano applicazione sicuramente per i rapporti precedenti l’introduzione delle limitazioni di cui al decreto dignità, rilevato che la disciplina dettata dal Dlgs 81/2015[1] in tema di somministrazione a termine, cui fanno riferimento i rapporti oggetto delle decisioni, non prevede alcun limite temporale alla durata massima delle missioni, o causali giustificative, non contemplando neppure un numero massimo di missioni dello stesso lavoratore presso la medesima impresa utilizzatrice, e non pone limiti a proroghe o rinnovi, in sintesi nulla se non i limiti quantitativi previsti dal CCNL.

In particolare, in questa sede si analizzerà la prima di tali decisioni ossia la sentenza di Cass. Sez. Lav. del 21 luglio 2022, n. 22861, partendo dai fatti e motivi di impugnazione, per arrivare ai principi espressi dalla Suprema Corte in recepimento di quelli di matrice comunitaria.

Fatti e motivi di ricorso:

La vicenda nasce dall’impugnazione proposta da un ex lavoratore somministrato alla sentenza di merito della Corte d’Appello di Brescia del 16 ottobre 2019, n. 363 con la quale veniva respinta l’impugnazione proposta dallo stesso lavoratore avverso la precedente decisione di primo grado che rigettava le sue richieste di dichiarare nulli i plurimi e consecutivi contratti di lavoro in somministrazione a tempo determinato, per una durata complessiva di 1.596 giorni lavorativi, intercorsi con la società utilizzatrice convenuta in giudizio, e di conseguente costituzione di rapporto a tempo indeterminato con la stessa utilizzatrice a decorrere dalla data di stipula del primo contratto, oltre al risarcimento dei danni.

Il giudice di secondo grado infatti, uniformandosi alla decisione del grado precedente, escludeva la configurabilità di un unico rapporto di lavoro in presenza di plurimi contratti, e rigettava le richieste del lavoratore in considerazione dell’avvenuto decorrere dei termini d’impugnazione con riguardo a tutti i contratti di somministrazione ad eccezione dell’ultimo, e comunque confermando la legittimità di questo concluso sotto il vigore della disciplina di cui D.Lgs. 81/2015 che non prevedeva né causali giustificative né un limite di durata, oltre che quelle di cui alle discipline precedenti.

Concludendo così la Corte territoriale con l’escludere la configurabilità di un uso distorto in frode alla legge della somministrazione a termine, nonché la ricorrenza di profili di non conformità del diritto interno alla normativa europea.

Il lavoratore ricorreva così in Cassazione sussumendo una violazione dell’art. 117, c. 1 Cost. in relazione all’art. 5.5. della Direttiva 2008/104/CE sul lavoro tramite agenzia interinale, e quindi l’elusione delle norme sia nazionali che europee che qualificano il rapporto a tempo indeterminato come forma ordinaria di rapporto di lavoro e come eccezioni a quelli precari.

Principi della decisione di Cassazione:

I giudici di Cassazione con la sentenza in commento si uniformano a due recenti decisioni della Corte di Giustizia (sent. 14 ottobre 2020, JH c. KG, C-681/2018, e sent. 17 marzo 2022, Daimler AG, Mercedes-Benz, Werk Berlin, C-232/20) secondo le quali la Direttiva 2008/104 sul lavoro tramite agenzia interinale risalta la temporaneità del lavoro prestato presso l’utilizzatore, e che tale temporaneità non deve essere intesa come avente lo scopo di limitare l’applicazione del lavoro interinale ai soli posti non permanenti o occupati per sostituzione, e ciò poiché tale termine si riferisce alle modalità della messa a disposizione di un lavoratore presso l’impresa. In definitiva, è il rapporto di lavoro con l’impresa utilizzatrice che ha per sua natura carattere temporaneo. Osservano inoltre i giudici europei che ciò è anche coerente con l’art. 5, c. 5, prima frase della Direttiva 2008/104 che invita gli Stati membri ad adottare le misure necessarie conformemente alla legislazione e/o pratiche nazionali, per evitare il ricorso abusivo al lavoro interinale, ed in particolare per prevenire missioni successive di uno stesso lavoratore presso la medesima impresa utilizzatrice con lo scopo di eludere le disposizioni della direttiva. In riferimento a tale disposizione la Corte in particolare sottolinea che essa non è volta ad imporre agli Stati membri di fissare un limite al numero di missioni di un medesimo lavoratore presso la stessa impresa utilizzatrice o di subordinare il ricorso ad una tale forma di lavoro a tempo determinato solo in presenza e con indicazione di ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo, né definisce, come neppure le altre disposizioni della Direttiva, alcuna specifica misura che gli Stati membri debbano adottare a tal fine, ed ancora che nessuna disposizione della Direttiva fissa una durata oltre la quale una messa a disposizione non può più essere qualificata come avvenuta “temporaneamente” o impone agli Stati membri di prevedere una siffatta durata.

Piuttosto, l’art. 5, par. 5, prima frase, impone agli Stati membri di adottare misure necessarie atte a prevenire l’assegnazione di missioni successive a un lavoratore tramite agenzia interinale aventi lo scopo di eludere le disposizioni di tale Direttiva intesa nel suo insieme, come ad esempio è dato dal caso di più conseguenti invii presso la medesima utilizzatrice.

Sulla scorta di tali considerazioni la Cassazione, ha ritenuto, demandando al giudice del rinvio tale indagine, che l’intervenuta decadenza del lavoratore dall’impugnazione dei singoli contratti impedisce che la vicenda contrattuale sia fonte di azione diretta nei confronti dell’utilizzatore, ma che tale successione di missioni può considerarsi «fattualmente» rilevante, quale «antecedente storico», per la valutazione sulla possibile elusione del requisito della «temporaneità» che, secondo le statuizioni della Corte di Giustizia, si ricava dalla direttiva 2008/104.

La Cassazione ravvisa inoltre una volontà del legislatore europeo di avvicinare le condizioni del lavoro tramite agenzia interinale ai classici rapporti di lavoro, interpretando il contenuto della Direttiva come piuttosto volto ad incoraggiare i lavoratori tramite agenzia interinale ad un impiego permanente presso l’impresa utilizzatrice, obiettivo che trova risalto ad esempio all’art. 6 par. 1 e 2 ove sono previste da parte degli Stati l’adozione di forme quali il diritto di precedenza.

Le decisioni della Corte UE:

In particolare, nella sent. 14 ottobre 2020, JH c. KG, C-681/2018 la Corte di Giustizia ha dichiarato che l’art. 5, par. 5, prima frase della Direttiva 2008/104 deve essere interpretato nel senso che esso non osta ad una normativa nazionale che non limita il ricorso al lavoro tramite agenzia interinale, ma deve invece essere interpretato nel senso che esso osta a che uno Stato membro non adotti alcuna misura al fine di preservare la natura temporanea del lavoro tramite agenzia al fine di evitare l’assegnazione ad un medesimo lavoratore presso la stessa impresa utilizzatrice.

La più recente sent. 17 marzo 2022, Daimler AG, Mercedes-Benz, Werk Berlin, C-232/20 ha aggiunto che ricorso abusivo alla forma di lavoro in somministrazione a termine potrebbe aversi in particolare quando più missioni successive del medesimo lavoratore presso la stessa utilizzatrice conducono ad una durata dell’attività presso tale impresa più lunga di quella che possa ragionevolmente qualificarsi come temporanea alla luce delle circostanze del caso, delle specificità del settore, e del contesto del quadro normativo nazionale. A tal scopo, quest’ultima sentenza ha considerato la possibilità per gli Stati membri di stabilire una durata massima oltre la quale una messa a disposizione non possa essere più considerata temporanea ovvero limitata nel tempo. Nell’ipotesi in cui nella normativa nazionale non venga prevista una durata massima si rinvia ai giudici nazionali stabilirla caso per caso ed in considerazione delle specificità del settore.

La Corte di Giustizia in entrambe le sentenze ha messo in risalto il requisito immanente e strutturale del lavoro tramite agenzia interinale è il carattere della temporaneità della prestazione presso l’utilizzatore, e non presso l’ApL, da intendersi nel senso di durata complessiva delle missioni per un tempo che possa ragionevolmente considerarsi temporaneo tenuto conto delle circostanze del caso, delle specificità del settore, e del contesto del quadro normativo nazionale. Questi sono per la Corte UE alcuni indici rilevatori della possibile ricorrenza di un abusivo ricorso al lavoro tramite agenzia interinale volto ad eludere la caratteristica della temporaneità.

Cass. Sez. Lavoro sent. 11 ottobre 2022, n. 29570

Quanto alla più recente sentenza di Cassazione n. 29570 dello scorso 11 ottobre, essa può essere considerata decisione “gemella” a quella appena riportata di luglio 2022, in quanto essa riguarda fatti e casi analoghi e seguendo il medesimo percorso argomentativo conferma gli stessi principi a distanza di pochi mesi, ed in alcuni casi anche chiarendoli.

In conclusione, può affermarsi che la Cassazione con la sentenza in esame non penalizza per nulla l’istituto della somministrazione, ma piuttosto mira a colpire quelle fattispecie che utilizzano uno strumento concesso dall’ordinamento al fine di aggirare i principi generali alla base della normativa comunitaria e nazionale.

 

Qui il testo integrale della sentenza n. 22861/22 : Cass. 22861_2022

[1] In tema di somministrazione di lavoro a termine il D.lgs. n. 81/2015, in continuità con la L. n. 96/2012 e con il DL n. 34/2014 ha eliminato ogni limite espresso all’utilizzo in missioni successive dello stesso lavoratore presso la medesima impresa utilizzatrice. In particolare, L’art. 31, c. 2 D.lgs. n. 81/2015 a proposito della somministrazione di lavoro a tempo determinato stabilisce che la stessa è utilizzabile nei limiti quantitativi individuati dalla contrattazione collettiva dell’utilizzatore, e che la somministrazione ex art. 8 c. 2 L. n. 223/1991 è in ogni caso esente da limiti quantitativi. Mentre il successivo art. 34 c. 2 stabilisce che il rapporto di lavoro a tempo determinato in somministrazione è soggetto alla disciplina di cui al Capo III dello stesso decreto, per quanto compatibile e con esclusione delle discipline di cui agli artt. 19, c. 1,2 e 3, 21, 23 e 24, e che il termine iniziale del contratto può in ogni caso essere prorogato con il consenso del lavoratore e per atto scritto sempre nei casi e per la durata previsti dal CCNL applicato dal somministratore.

Rossana Grauso

Studentessa della facoltà di giurisprudenza dell'Università degli studi di Napoli "Federico II" e tesista in diritto finanziario, è socia di Elsa Napoli. Appassionata di tributaristica e diritto del lavoro, prende parte al progetto "Ius in Itinere" a giugno 2016, divenendone nel gennaio 2017 responsabile dell'area di diritto tributario e diritto del lavoro. Dall'ottobre 2017 è collaboratore editoriale per AITRA - Associazione Italiana Trasparenza ed Anticorruzione. Nel futuro, un master in fiscalità d'impresa e contrattualistica internazionale. Email: rossana.grauso@iusinitinere.it

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