Tampon Tax e Costituzionalità
A cura di Federica Pelli
È ormai noto a tutti i lettori che le cessioni di bene in commercio e le prestazioni di servizi sono sottoposte ad un’aliquota IVA determinata dal legislatore, le cui tabelle indicative sono allegate al d.P.R. del 26/10/1972 n. 633 rubricato “Istituzione e disciplina dell’imposta sul valore aggiunto”.
I.V.A. è l’acronimo di imposta sul valore aggiunto ed indica l’ammontare del tributo che si produce nel sistema economico per effetto degli scambi di beni e servizi[1].
La fonte legittimante di tale imposta, che ha trovato ingresso in Italia a partire dal 1972, è l’art. 53 della Costituzione che, al primo comma, stabilisce come “Tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva”.
Tralasciando gli aspetti più tecnici agli esperti in diritto tributario, ciò che qui maggiormente interessa sono le aliquote IVA applicate per alcune categorie di beni[2].
Il pane, la pasta, i libri scolastici sono solo alcuni dei beni “di prima necessità”, con un’aliquota IVA del 4% e dunque sottratti alle valutazioni di tipo utilitaristico.
Le modalità con cui il legislatore ha disposto tale classificazione sono alquanto discutibili e sollevano non poche criticità, soprattutto alla luce di importanti principi costituzionali.
Prima fra tutte è la tampon-tax: in Italia gli assorbenti sono ancora tassati con un’aliquota IVA del 22%.
La tassa sugli assorbenti e i profili problematici
La ratio istitutiva dell’IVA si rinviene nella necessità di tassare gli acquisti singoli dei contribuenti in proporzione alla loro capacità di spesa e ciò richiede necessariamente una diversificazione del costo dei beni di consumo.
Il d.P.R. n. 633 del 1972 – come esaminato nella fase introduttiva del presente articolo – inquadra gli assorbenti e i prodotti di igiene personale tra i beni tassati al 22%, invece che tra quelli di prima necessità. Ne consegue il notevole costo degli assorbenti e dei prodotti di igiene personale utilizzati dalle donne nel periodo delle mestruazioni[3].
Tale situazione si pone inevitabilmente in contrasto con i nostri principi fondamentali, stante il diritto costituzionale delle donne all’eguaglianza, inteso come il diritto della collettività di riconoscere e rispettare le peculiarità del genere femminile, senza creare posizioni di svantaggio, garantito dalla prima parte dell’articolo 3 della Costituzione[4].
Il dettato costituzionale trova rispondenza assiologica nella sentenza della Corte costituzionale n. 126 del 1968 che, senza alcun margine di interpretazione alternativa, recita espressamente: “l’art. 3 Cost. tende ad escludere privilegi e disposizioni discriminatorie tra i cittadini e prende in considerazione l’uomo e la donna come soggetti singoli, che, nei rapporti sociali, godono di eguali diritti ed eguali doveri. Esso tutela la sfera giuridica della donna ponendola in condizioni di perfetta eguaglianza con l’uomo rispetto ai diritti di libertà, alla immissione nella vita pubblica, alla partecipazione alla vita economica ed ai rapporti di lavoro ecc..”[5].
Nella stessa direzione, ma in una prospettiva diversa, il combinato disposto dell’art. 2 e 3 Cost. attribuisce allo Stato il compito di proteggere le differenze di genere ed evitare che queste ultime comportino irragionevoli disparità di trattamento[6].
Ci serviamo nuovamente della giurisprudenza di costituzionalità, secondo la quale “il compito del legislatore è quello di rimuovere quegli ostacoli, che, fondandosi su apparenti concezioni diffuse nella collettività, vengono frapposti alla eguale considerazione giuridica dell’uomo e della donna rispetto a fatti di identica natura”[7].
È importante ricordare che, oltre agli articoli finora esaminati, i Padri Costituenti hanno concesso un ampio spazio ai diritti delle donne, nonostante la Costituzione si stata approvata dopo la parentesi di un periodo storico durante il quale il genere femminile era fortemente relegata a ruolo di “madre di famiglia”, privo di alcun potere decisionale. Si pensi, ad esempio, all’eguaglianza morale e giuridica dei coniugi cristallizzata nell’art. 29 Cost.[8], alla protezione della maternità scalfita dall’art. 31 Cost.[9], alla parità nel lavoro, nella partecipazione politica e di accesso alle cariche pubbliche previsti rispettivamente negli artt. 37, 48, 117 e 51 Cost[10].
Inoltre, l’art. 10 Cost. impone all’Italia di conformarsi “alle norme di diritto internazionale generalmente riconosciute”, ma, nonostante ciò, l’Italia non ha ancora seguito la scia positiva delle altre Nazioni[11].
In primo piano si pone l’art. 32 della Costituzione secondo cui “La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure agli indigenti”[12], grazie al quale potrebbe legittimarsi una legge che garantisca assorbenti gratuiti alle donne con un reddito esiguo o addirittura inesistente.
Appare d’uopo aggiungere che tutti i tentativi di riforma, ex multis la recente proposta di emendamento dell’on Laura Boldrini[13], sono stati dichiarati inammissibili. L’unica modifica rilevante è stata apportata con il decreto fiscale 2020, convertito in legge n. 157/2019, il quale prevede una riduzione dell’aliquota IVA (dal 22% al 5%) soltanto per alcuni prodotti c.d. di nicchia: assorbenti biodegradabili, coppette mestruali lavabili e dispositivi di protezione compostabili, peraltro attualmente poco usati dalle donne italiane e comunque introvabili[14].
“La tassa sulle mestruazioni è un introito sicuro a cui nessun governo vuole rinunciare, la spesa per gli assorbenti rimane delle donne invece”, è la considerazione dell’Associazione “Non una di meno” su Twitter, che può essere il punto di partenza per operare un ripensamento sul tema delle mestruazioni.
Si pensi, infine, anche al disegno di legge sul “congedo mestruale” che giace in Parlamento ormai da quattro anni, e che non sembra destinato a trovare ingresso nell’ordinamento. La proposta di legge è stata presentata il 27 aprile 2016 recante “Istituzione del congedo per le donne che soffrono di dismenorrea”, secondo cui la donna che soffre di mestruazioni dolorose, certificate da un medico specialista, ha diritto a un congedo per un massimo di tre giorni al mese[15].
[1] L’IVA è un’imposta indiretta ovvero va a colpire la capacità contributiva del singolo cittadino nel momento in cui, manifestando la propria ricchezza, acquista determinati beni o usufruisce della prestazione di alcuni servizi.
[2] Le aliquote IVA in vigore in Italia sono fissate al 4% (aliquota minima applicata alle cessioni di beni e prestazioni elencati nella tabella A parte II del d.P.R. 633/72), 10% (aliquota ridotta applicata alle cessioni di beni e prestazioni elencati nella tabella A Parte III), 22% (aliquota ordinaria) e in alcuni casi al 5% (aliquota per alcuni beni specifici, come le prestazioni socio- sanitare).
[3] Si stima che una donna in media utilizzi, durante la sua vita, circa 12 mila assorbenti, con una spesa media annuale di circa 130 euro. Un quinto di tale importo viene versato a titolo di IVA.
[4] Art. 3, comma 1 Cost. “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali”.
[5] Corte cost., sent. n. 126 del 1968, punto 9 del Considerato in diritto.
La sentenza rappresenta uno snodo centrale nel tema della parità di genere posto che, per la prima volta in Italia, viene dichiarata l’incostituzionalità dell’art. 599 c.p. che puniva l’adulterio della moglie e non anche quello del marito.
[6] Art. 2 Cost. “La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo, sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale”.
[7] Corte cost., sent. n. 126 del 1968.
[8] Art. 29, comma 2 Cost. “La Repubblica riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio. Il matrimonio è ordinato sull’eguaglianza morale e giuridica dei coniugi, con i limiti stabiliti dalla legge a garanzia dell’unità familiare”.
[9] Art. 31 Cost. “La Repubblica agevola con misure economiche e altre provvidenze la formazione della famiglia e l’adempimento dei compiti relativi, con particolare riguardo alle famiglie numerose. Protegge la maternità, l’infanzia e la gioventù, favorendo gli istituti necessari a tale scopo”.
[10] Art. 37 Cost. “La donna lavoratrice ha gli stessi diritti e, a parità di lavoro, le stesse retribuzioni che spettano al lavoratore. Le condizioni di lavoro devono consentire l’adempimento della sua essenziale funzione familiare e assicurare alla madre e al bambino una speciale adeguata protezione”;
Art. 48 Cost. “Sono elettori tutti i cittadini, uomini e donne, che hanno raggiunto la maggiore età̀. Il voto è personale, uguale, libero e segreto. Il suo esercizio è dovere civico» e art. 117, co. 7 Cost. “Le leggi regionali rimuovono ogni ostacolo che impedisce la piena parità degli uomini e delle donne nella vita sociale, culturale ed economica e promuovono la parità di accesso tra donne e uomini alle cariche elettive”;
Art. 51 Cost. “Tutti i cittadini, dell’uno o dell’altro sesso possono accedere agli uffici pubblici e alle cariche elettive in condizione di eguaglianza, secondo i requisiti stabiliti dalla legge. A tale fine la Repubblica promuove con appositi provvedimenti le pari opportunità tra donne e uomini”.
[11] Ex multis e senza pretesa esaustività, si cita l’art.19 del Trattato sul funzionamento dell’unione europea (TFUE) che prevede l’adozione di provvedimenti legislativi per combattere tutte le forme di discriminazione, incluse quelle fondate sul sesso.
Inoltre, fin dal 2006 è in vigore una direttiva europea che consente ai Paesi membri di ridurre l’IVA su questi beni, non tutti però si sono conformati: il Belgio, la Francia, il Portogallo e l’Olanda hanno una tassa compresa tra il 5% e il 7% (comunque meno del 22% italiano).
Con riferimento agli Stati che hanno risolto la questione si fa riferimento, prima fra tutte, alla Scozia che garantisce a tutte le donne tamponi e assorbenti gratis. Anche la Nuova Zelanda si è resa partecipe di una svolta normativa, stante lo stanziamento di 25 milioni di dollari neozelandesi per distribuire, a partire dall’estate del 2021, gratuitamente in tutte le scuole gli assorbenti e altri prodotti di igiene mestruale.
[12] Art. 32, comma 1 Cost.
[13] Lo slogan delle 32 deputate di maggioranza e opposizione, capitanate da Laura Boldrini, recita “il ciclo non è un lusso” e rappresenta l’emendamento finalizzato alla riduzione dal 22% al 10% della tampon-tax;
ampie riflessioni in: www.ilfattoquotidiano.it/2019/11/12/tampon-tax-proposta-per-abbassare-iva-sugli-assorbenti-al-10-boldrini-azione-bipartisan/5560261/.
[14] Il Decreto Fiscale n. 124 del 26 ottobre 2019, convertito con la legge n. 157 del 19 dicembre 2019, all’art. 32-ter prevedeva il taglio alla tampon-tax a partire dal 1° gennaio 2020.
[15] All’estero tale tipologia di congedo già è presente, si pensi al Giappone (addirittura nel lontano 1947), Sud Corea (2001) e Taiwan (2013) e recentemente anche la Gran Bretagna.